< I Salmi di David (Diodati)
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SALMO LXXIV.
SALMO LXXIII SALMO LXXV

SALMO LXXIV.

1          O Dio, perchè ne sdegni e tieni strani,
     E ne cacci tuttor da te lontani?
     Il tuo furor perchè fuma e fiammeggia
     Del pasco tuo contra l’amata greggia?
2          Serba, Signor, la raunanza a mente,
     Che ti piacque salvar anticamente,
     Ed acquistar per proprio tuo retaggio,
     E per devoto a te sacro legnaggio.
3          Del monte di Sion, tua diva stanza,
     Abbi, Signor, pietosa ricordanza.
     A le ruine sue muovi or i passi,
     Che ’n polve giace e diroccati sassi.
4          Vedi le stragi, che nel luogo santo
     Fero i nemici tuoi, con fiero vanto
     Ruggendo in mezzo a’ templi venerandi,
     Ove piantàr i lor trofei nefandi.

5          N’andrà la fama a le future etati.
     Come in bosco talor sterpi intralciati
     Tagliansi a monti, senza sguardo o cura,
     Ogni vaga guastar sacra scultura.
6          Ne’ Santuari tuoi funesta face
     Lanciàr, quegli recando in fiamma e brace:
     E del tuo Nome il Padiglion sovrano,
     Gittato al suol, bruttaro nel pantano.
7          Disser nel cor, con temerario ardire,
     Di lor prede appaghiam l’ansio desire.
     E nel paese ogni assegnato loco
     A’ conventi di Dio bruciar col foco.
8          Più non veggiam i nostri usati segni,
     Profeta non abbiam che ’l ver n’insegni:
     Ne chi per luce o spirazion divina,
     Nè sappia consolar di fin vicina.
9          Infin a quando ’l nemico feroce
     Bestemmie sfogherà da l’empia foce?
     Lascera ’l tu dal furïoso petto
     Senza fin vomitar scherno o dispetto?
10          Perchè, Signor, a te la man ritraggi,
     Per dar lor d’esultar tanti vantaggi?
     Non lasciar più che ti dimore in seno,
     Ned allentar a’ lor furori il freno.
11          Pur è il Signor, che mai si cangia o smuove,
     Ab antico il mio Re, per chiare prove:
     Che porge a tempo a’ suoi salute in terra,
     Ed i nemici sotto a’ piedi atterra.
12          Col tuo poter del mar spartisti l’onde,
     In due recise ed ammucchiate sponde.
     E ne l’acque fiaccasti a le balene
     Le teste e desti lor le giuste pene.
13          E affondasti la gran belva marina,
     Rottole il capo in eterna ruina.
     E desti in pasto a le ferine voglie,
     Per gli ermi lidi lor giacenti spoglie.

14          Tu festi scaturir fiumi e ruscelli,
     E dal sasso scoppiar fonti novelli.
     Asciugasti altresì grosse fiumare,
     Per dar il varco a’ tuoi per secche ghiare.
15          Il giorno è tuo, la notte bruna ancora:
     Per te surge ognidì vermiglia aurora.
     La luna desti a l’ombre oscure duce,
     E per rettor al dì, del sol la luce.
16          A la terra ponesti i suo’ confini:
     Così distingui d’essa i cittadini.
     Tu le vicende de la state e ’l verno
     Già stabilisti e tieni in tuo governo.
17          Vengati, o Dio, quel fello in rimembranza,
     Che t’oltraggiò con insana baldanza:
     E contra te la gente infuriata,
     Che ’n bestemmie la lingua have sfrenata.
18          L’alma non dar di tua tortola umile
     A le fiere selvagge in preda vile:
     Nè lasciar che la tua dogliosa schiera,
     Sempre appo te dimenticata, pera.
19          Rivolgi al Patto eterno occhi e pensiero:
     Perchè d’orror è tutto ingombro e nero,
     Quel tuo diletto già vago paese,
     Fatto di spoglie tana e di contese.
20          Nè far che ’l poverel sen torni in volta,
     D’onta la fronte e vitupero avvolta.
     Porgi più tosto al tristo bisognoso
     Di che laudar tuo Nome glorioso.
21          Sorgi, Signor, la tua ragion difendi,
     Contra l’ostil assalto ti contendi:
     Tienti l’oltraggio dispettoso al core,
     Che ’l rabbioso ti face a tutte l’ore.
22          Ned obliar le forsennate voci,
     Che sfogan contra te nemici atroci:
     Onde lo scoppio e tempestante suono
     Crescendo, sale al tuo celeste trono.

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