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Il Brehm, volendo parlare del barbone, che egli proclama per le sue facoltà intellettuali il più notevole fra tutti i cani, riferisce le parole dello Scheitlin, dicendo che egli stima poco conveniente esporre come farina del suo sacco cose già scritte sopra un dato argomento. Pare a me di non poter far meglio che imitare il Brehm, e riporto quelle stesse parole.
«Dei cani tutti il barbone è il meglio conformato. Ha una bellissima testa, il corpo ottimamente fatto, elegantissime forme, petto pieno, largo, gambe ben modellate, non troppo alte né troppo basse, né lunghe né corte, e si presenta meglio di tutti i cani. Fisicamente è atto ad ogni esercizio. Impara da sé a ballare, poiché la sua natura semi-umana lo spinge a drizzarsi verso il padrone, a star su due gambe, a camminare ritto. Tosto accortosi che ciò può fare, lo fa sovente da sé quando ne ha voglia. Il suo gusto è raffinato, distingue molto bene le vivande, è un vero ghiottone. Il suo olfatto è celebre; se ne vale per riconoscere i figli del padrone, e ne ritrova le tracce perdute; se gli si dà a fiutare la scarpa o alcun che di un bambino smarrito, egli ritrova da sé quest’ultimo, grazie alla durata dell’impressione di questo odore. È difficile che s’inganni; l’olfatto gli è assegnato come mezzo di riconoscimento, ha molta sensitività, è molto sensibile al dolore fisico, è lezioso; ha l’udito eccellente. Da lungi conosce la voce, ne distingue il senso, conosce la diversità della campana e del campanello, discerne il modo e la maniera e il suono del passo dei suoi compagni di casa. Ma la sua vista è debolina, ci vede poco, conosce il padrone alla vista solo se è vicino. Il senso della località è sviluppato nel barbone: ritrova la via di casa dopo ore e giorni di distanza. Corre vagando volentieri per la città e per la campagna, e cerca colla certezza di trovare la casa nella quale anche una volta sola venne col padrone e fu accolto bene. Perciò può esser ammaestrato ad andare a prender la carne dal macellaio e il pane dal fornaio. È meravigliosa la sua cognizione del tempo; sa quando è domenica, conosce come l’uomo affamato il mezzogiorno, e il giorno di macello all’ammazzatoio. Distingue i colori e riconosce le cose mercé di essi. La musica fa una impressione singolare sopra esso: tollera alcuni strumenti, altri no.
Il barbone ha una straordinaria potenza di percezione. Nulla gli sfugge, e perciò vien detto saggio. È un osservatore perfetto, e perciò impara a capire distintamente non solo le parole, ma i cenni, gli sguardi del padrone. La sua memoria è in sommo grado fedele. Per anni serba nell’animo la forma e il colore del padrone, per anni ricorda una strada. Si chiama intelligente questo cane in grazia del suo odorato; e quanto più si dovrebbe chiamarlo così in grazia della sua fedele memoria, poiché nella vita quotidiana si dice intelligente un bambino che abbia la memoria buona, e persino uno stupido pedante che sa molto. Questa memoria è la cagione principale della intelligenza del barbone. Tuttavia abbisogna anche di pazienza, di buona volontà, di ubbidienza: riesce a battere il tamburo, sparare una pistola e salire una scala a piuoli, assaltare liberamente con una schiera di cani un rialzo difeso da altri cani: impara a rappresentare una commedia coi compagni. Sappiamo che anche i cavalli e gli elefanti (ma essi soli) possono imparare altrettanto.
Due cose si devono aggiungere: la propensione ad imitare e la vanità del barbone. Sempre guarda il suo padrone, sempre osserva quello che egli fa, sempre vuol aiutarlo. È il vero servo, gli obbedisce allo sguardo, pensa come un bambino del babbo, cioè che quello che egli fa sia giusto, e che esso possa o debba fare altrettanto. Se il padrone piglia una palla, eccolo che ne prende anche una fra le zampe, la vuol morsicare, s’inquieta se non gli riesce. Se quello cerca minerali per qualche scopo scientifico, anche il barbone cerca pietre; anch’esso cerca di scavare se il padrone scava; se siede alla finestra questo, quello non tarda a saltare sul banco vicino, puntella le due gambe sul davanzale e ammira il paesaggio. Vuol ancor esso portare il bastone o il canestro, perché il padrone o la cuoca li portano. Li porta con sussiego, si ringalluzzisce, va dall’uno all’altro per far vedere quanto egli è garbato, e scodinzola tutto soddisfatto. Mentre porta non si piglia pensiero degli altri cani; sembra considerarli come buoni a nulla, e gli altri invece sembrano ammirarlo.
Il barbone è il più stimato (non il più temuto), il più amato dei cani, perché è quello che ha l’indole migliore. È particolarmente caro ai bambini, perché se ne lascia in ogni guisa stuzzicare, cavalcare, stiracchiare, senza brontolare, mordere, o mostrarsi impaziente. Per affamato che sia gli si può andar a pigliare tra le fauci quel che mangia, cosa che tollerano pochi cani. Se è stato una volta tosato riconosce il tosatore per tutta la vita e lo guarda bieco dovunque lo trovi, e se dopo un anno quel tale ricompare per tosarlo ancora fugge via, si nasconde: non vuole esser tosato. Ma conoscendo il suo uomo si lascia trar fuori dal nascondiglio, si piega senza resistenza alla necessità. Morsicato da un cane arrabbiato, se vede l’ammazzatore venirlo a pigliare, già sa quello che lo minaccia, si nasconde, il suo occhio è torbido e spaventato, tuttavia non resiste. Riceve il colpo mortale con animo tranquillo come il cavallo. Ammalato è visitato dal medico, si sottopone di buon grado alla cura. Come l’urango discerne presto quel che gli giova. Nessun animale riconosce più presto la suprema zia dell’uomo, il dovere di ubbidirgli, e che l’ubbidienza è il miglior partito. È bello vedere quando cerca il padrone. Percorre le vie a capo basso, si ferma, riflette, torna indietro, rimane di nuovo immobile all’angolo della via, pensa più che non guardi, descrive diagonali per giungere più presto ecc. È bello vedere anche quando ha voglia di uscire e non deve, e vuol farla al padrone, e come cerca di guizzare discretamente via fingendo di non voler uscire e svignandosela quando si vede inosservato; oppure con una scaltrezza volpina, non da cane, alzando una gamba presso al muro come se vi avesse da spander acqua affinché lo si scacci, scacciato, senza più pensare a spander acqua, correre all’ammazzatoio o presso una qualche sua bella; ma se non si bada a lui, smettendo ogni speranza si adagia filosoficamente sotto la tavola e lascia e dimentica il bisogno che fingeva. Mente perfettamente come un uomo. Non v’ha da meravigliare che alcuni osservatori diano al barbone intelletto umano. E per vero non v’ha uomo più abile di questo cane nell’osservazione degli oggetti, nessuno meglio di esso esprime la sua impazienza quando non gli si vuol badare. Prima di decidere esamina attentamente, e non vuole ingannarsi né esser burlato.
Colle bastonate il barbone non impara nulla; si affanna, si confonde, fa sempre meno, proprio come un bambino che deve imparare piangendo. Tuttavia si mostra talvolta goffo apposta. Colle buone si può persino avvezzarlo a mangiar cose che gli ripugnano, e che ordinariamente ricusa. Molti barboni amano il caffè come le vecchie matrone, e lo preferiscono ad ogni altra bevanda.
Strana cosa! con tanta intelligenza, tanto buon volere, il barbone è un pessimo guardiano di casa, e non può venir aizzato contro l’uomo. Ama e stima tutti gli uomini; se viene istigato contro qualcheduno guarda il padrone e il suo avversario come se non credesse possibile che quello lo volesse irritare contro un suo simile. Si potrebbe assassinare il padrone senza che ne pigliasse la difesa. È in sommo grado sottomesso al suo signore, ne teme non solo le percosse, ma il cattivo umore, la parola, il dito minaccioso in atto di rimprovero.
I cavalli e i cani sono quelli che più facilmente si spaventano fra gli animali. Il barbone può persino stupirsi, vale a dire la sua forza di discernimento può ad un tratto tacere. Un barbone inseguiva un corvo in un prato. Il corvo gli va incontro e ad un tratto grida al cane: Furfante, furfante! — Il cane spaventato si ritrae, la sua intelligenza taceva: un animale, un uccello — ed una voce umana!
La solitudine dispiace al barbone; cerca sempre l’uomo, questo o quello. Non si abbandona volentieri con cani d’altra specie. Se si balocca, è sempre con barboni, almeno a preferenza; con questi ci si mette davvero: cogli altri cani non v’ha intimità, probabilmente perché lo considerano come uno speciale amico e prediletto dell’uomo, oppure come il meglio dotato di tutti i cani, e perciò non lo possono soffrire.
Il barbone è appassionato di libertà. Viene e va. Nessun cane ama la catena, meno poi di tutti il barbone; sa ad ogni modo liberarsi e prova così la sua destrezza a strappare e rosicare i legami. Dal nodo trae fuori il capo; dà in trasporti di allegrezza, come un uomo, quando viene sciolto, e sembra andar pazzo dalla gioia».
Qui finisce lo Scheitlin. Il Brehm prosegue un tratto, poi si ferma alla sua volta, ma dice di far ciò a malincuore, soggiungendo che sul barbone si potrebbe fare un libro.
Io non nego ciò, tutt’altro, ma domando se ci sia qualche cosa al mondo su cui non si possa fare un libro.
Sul barbone aggiungerò due considerazioni.
La prima è che il barbone, il più intelligente di tutti i cani, è anche quello che ha in minor grado le qualità distintive della sua specie, l’affetto al padrone, il coraggio, il sacrifizio. Molto facilmente questo intelligentissimo animale si adatta a un padrone nuovo, e fa per lui quei giuochi, quei salti, quelle gherminelle, quelle prove di destrezza e di ingegno che faceva col suo predecessore. Vi fa venire in mente i poeti di corte, vi fa ripensare a questa dolorosa verità, che l’acume e la pieghevolezza dello ingegno vanno non di rado senza l’accompagnatura della altezza dell’animo, anche solo del sentimento della dignità personale. Quali poi siano il coraggio del barbone e il suo adoperarsi in difesa dell’uomo, lo dice lo Scheitlin troppo chiaramente.
La seconda considerazione che mi vien fatta si è che il barbone è passato di moda. Il veterano della campagna di Russia aveva per fedele compagno il barbone, il veterano del quarantotto non l’ha.