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9. Cane girarrosto
Cani da tiro Cane di Terranuova


I cani abbaiano al forestiero che viene, e anche, secondo l’umore o certe condizioni speciali dall’una o dall’altra parte, lo assaltano e lo addentano. Ma ci sono delle eccezioni, ci sono dei casi in cui al sopravvenire di un ignoto gli si accostano lieti, lo accolgono festosamente, gli fanno delle carezze. Altri cani allo appressarsi del forestiero cercano di fuggire.

Tra la valle di Viù e la valle di Ceres, nelle Alpi del Piemonte, vi ha un passaggio, e fra gli alberi annosi e i prati smaltati di fiori, una borgatella chiamata i Tornetti. È quello il punto più elevato in quella regione che sia abitato anche nell’inverno. Al di sopra sono soltanto le capannucce estive dei pastori.

Quando in Torino il caldo è soffocante, chi può si ricovera volentieri sui monti, i casolari dei Tornetti sono presi a pigione dai torinesi che vi si acconciano come possono; vi si va ora fabbricando qualche buona casetta; vi è una osteria che dà un po’ di alloggio, e dà poi da mangiare a chiunque ne voglia. Perciò nei mesi di luglio e di agosto ai Tornetti c’è un gran movimento. Ma non è così nel mese di maggio. La gente che rimane là in inverno, tutta del luogo, è pochissima, poca ancora in primavera, e nell’osteria c’è, come si dice in Piemonte, il gatto sul fuoco.

Nella mia gioventù, prima della nascita del Club alpino, io ero, come il borghese gentiluomo di Molière, alpinista senza saperlo. Aspettava ansiosamente le vacanze di Pasqua per fare una prima gita in montagna. Quel risveglio della natura, le acque mormoranti al primo squagliarsi delle nevi, il grido del cuculo, la brezza vivificante, le nuvole pei vertici, l’acquazzone, il mite sole nell’azzurro limpidissimo del cielo, mi davano all’anima una così grande gioia, che anche oggi, dopo tanti anni, me ne è ancora benefica la rimembranza.

Un mattino io arrivava ai Tornetti con ottimo appetito e mi avviava alla locanda. Il cane del locandiere mi corse incontro, prese a saltellarmi intorno scodinzolando, faceva una piccola corsa avanti, poi mi ritornava fra i piedi, dava tutti i segni della contentezza. Io non sapeva comprendere il buon accoglimento di quel cane, ma la serva della locanda me ne diede una spiegazione soddisfacente. Al vedere un forestiero il cane sa che si farà un po’ di cucina, si metterà della carne al fuoco, si affetterà del salame, sa che un avventore gli promette un po’ di pasto straordinario, se ne rallegra e dimostra la sua allegrezza a chi ne è la sorgente.

In tutto il mondo incivilito è noto il fatto del cane della famosa grotta presso Napoli, che si mostra umiliato allo accostarsi dei forestieri, e se non fa più un tentativo di fuga, ciò segue perché una lunga esperienza gli ha dimostrato vani e dannosi cosiffatti tentativi. L’arrivo del forestiero vuol dire per quel cane un tentativo di asfissia.

Nella grotta, per dimostrare la presenza del gas irrespirabile presso al livello del suolo, vien posto il povero cane che in breve perde i sensi, e allora vien tratto fuori e ritorna a muoversi all’aria aperta. Non so se oggi si faccia ancora con tanta frequenza questa prova nella grotta del cane, che una volta ogni viaggiatore che andasse a Napoli voleva vedere personalmente, e che si trova riferita in moltissimi libri di viaggi. Quando io vidi quella prova e domandai ragguagli, rimasi meravigliato di quel cane che ogni giorno andava vicino all’asfissia e pareva ciò non ostante in ottime condizioni di salute.

Un altro cane di mia conoscenza fuggiva pure allo accostarsi del forestiero, ed era un cane di locanda come quello dei Tornetti, il quale, per conseguenza, si regolava al tutto in modo opposto a questo, e doveva averne pure i suoi buoni motivi.

C’era una grossa locanda sulla strada che menava a Fano, in un tempo nel quale le ferrovie eran di là da venire. Tutti sanno che il governo pontificio fu sempre avversissimo alle ferrovie più di ogni altro dei governi d’Italia, nissuno dei quali, del resto, era molto favorevole ad esse. Ma nel tempo di cui parlo non c’era ancora ragione di osteggiarle, perché non se ne parlava.

Sulla strada maestra, in quella grande locanda, davano alloggio a piedi e a cavallo, e sovente dei grandi signori, dei ricchissimi inglesi vi si fermavano a mangiare e anche a dormire. Nella Romagna si ha un gran gusto, del resto lodevolissimo, per la carne allo spiedo. C’era, per far girare lo spiedo, un meccanismo mosso da un cane. Il cane allo arrivo dei forestieri sapeva di dover lavorare: e stava di mala voglia, e avrebbe avuto le migliori intenzioni di questo mondo di fuggire. Ma lo tenevano d’occhio. Anzi, in quella grande locanda, dove sovente lo spiedo doveva essere in movimento parecchie ore della giornata, c’erano tre o quattro cani che facevano ciascuno il suo tempo di lavoro. Il padrone raccontava che quei cani sapevano l’ora come se avessero avuto un oriuolo; lavoravano, se non di buona voglia, almeno rassegnati, finché, secondo le norme in uso e che mostravano di conoscere a meraviglia, non fosse venuta l’ora del riposo; venuta questa, si fermavano, guaivano, mostravano di non voler proseguire.

Del resto, questo della grande locanda sulla strada di Fano non era un fatto isolato. In molte parti della Romagna si adoperavano i cani a far girare lo spiedo, e forse si adoperano ancora: e forse la stessa cosa accade pure in altre parti d’Italia.

Linneo dice espressamente che in Francia il cane era al tempo suo, vale a dire nella prima metà del secolo scorso, adoperato a questo medesimo uso, e in quel libro francese la cosa si trova qua e là menzionata.

C’è poi quest’uso, e in pieno vigore, oggi, in Inghilterra. Anzi, secondo il solito quando si tratta di animali domestici, in Inghilterra ci fu un perfezionamento; fu creata a quest’uopo una razza apposita, razza che piglia il nome di cane girarrosto. Questo cane è una modificazione del bassotto.

Nella campagna della Fiandra occidentale, dove sono pascoli ubertosi e bovine per eccellenza produttrici, si adoperano nei poderi i cani a muovere grandi ruote per fare il burro.

Uno scultore in Torino, il quale dimorava sulla piazza Carlina, quella piazza dove c’è ora il monumento a Cavour e prima c’era la ghigliottina, nel principio del corrente secolo, affine di avere una forza motrice regolare e costante, non mi ricordo ora per quale scopo, adoperava tre o quattro cani, che lavoravano alternandosi a un dipresso tutta la giornata, come quelli che muovon lo spiedo nei paesi sopramenzionati. Il movimento era comunicato a una spranga trasversale da un cilindro cavo con pareti fatte di verghette metalliche, al tutto sullo stampo, salvo la differenza nelle dimensioni, di quelli che stanno accosto e in comunicazione colla casetta di legno nella quale si tengono gli scoiattoli. Lo scoiattolo fa girar volentieri la parte mobile metallica della sua gabbietta, la fa girare con rapidi salti buona parte della giornata, ci prova gusto, poiché si vede non si rado uscire dalla gabbietta di legno, entrare nel mobile cilindro cavo dalle pareti di filo metallico, e farlo muovere rapidissimamente a furia di salti.

Il cane va di mala voglia, anzi non va che costretto nella mobile gabbia, e di mala voglia e costretto la mette e la tiene in movimento. Lo scoiattolo ci va spontaneamente, volentieri, e volentieri la muove a lungo. Non si potrebbero adoperare parecchi scoiattoli invece di un cane?

Sottopongo il quesito alle società protettrici degli animali.

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