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7. Cani contrabbandieri
Cani da topi Cani da tiro


La casa Treves di Milano ha pubblicato recentemente la traduzione di un viaggio nel Belgio, per molti rispetti notevole, del signor Camillo Lemonnier, viaggio nel quale si accordano armonicamente il passato col presente e il sentimento della realtà con un soffio di elevata poesia. Un bel disegno in questo viaggio rappresenta una boscaglia, a lume di luna, in cui due uomini armati sguinzagliano alcuni cani che hanno il corpo fasciato da cinghie, con basto sul dorso, e un collare tutto irto di chiodi.

Quegli uomini sono contrabbandieri, e sono contrabbandieri anche i cani.

Sulla frontiera belga presso la Francia tutti, un po’ più un po’ meno, fanno i contrabbandieri, con questa differenza che alcuni fanno esclusivamente, altri invece non praticano il contrabbando che accessoriamente, e sono principalmente e ufficialmente agricoltori.

Il contrabbando produce grossi guadagni, tutti se la intendono, tutti si sostengono, tutti si aiutano, e il governo, che alla sua volta finisce pure per guadagnarci, non vede la cosa di mal occhio.

Sotto Napoleone III era un articolo importantissimo di contrabbando dal Belgio la «Lanterne» del signor Rochefort, e altri foglietti somiglianti. Ora sono libretti d’altra natura, con disegni. Più dei libri, tuttavia, che pure ne costituiscono un articolo importante, alimentano quel contrabbando il tabacco, le trine e la seta.

Credo bene citare testualmente il brano della traduzione del viaggio del signor Lemonnier che si riferisce a ciò di cui parlo.

«...Quando il contrabbandiere si sente sicuro sulle sue gambe, sceglie il passo che crede migliore, e coi gomiti stretti al corpo, radendo la terra colla punta dei piedi, tutto raccolto su se stesso, come un cinghiale scovato, si slancia, col suo carico sul dorso, con un passo che sfida il tiro delle palle.

Gli eroi, gli sfidatori della morte, i Fra Diavolo del mestiere, perché ve n’ha taluni che amano veramente il pericolo, non procedono altrimenti. Quanto agli altri, si servono di carrozze a doppio fondo, di cavalli sellati con finimenti vuoti, arruolano persone con pance finte e gibbosità ipotetiche: talora il corpo del delitto è chiuso nel timone di una carrozzella, entro a ceppi di alberi segati in due, in fondo a un carico di paglia.

Il frodatore, del resto, di rado lavora solo; ha un ausiliare eccellente, il suo cane, che lo aiuta a scoprir le tracce del nemico, lo scosta da quei sentieri ove sta in agguato il doganiere, e, se viene aggredito, pianta i suoi denti nella gola dell’assalitore. È una razza particolare del paese, nata per così dire dalle sue losche industrie e che, al contatto del suo astuto compagno, il refrattario, ha finito di affinare prodigiosamente la sua sagacia piena di tatto e di malizia. Di incollatura vigorosa, colle orecchie alte e aguzze, col dorso largo e dei fianchi che non ansano mai, l’alter ego del contrabbandiere, di una statura che si avvicina a quella dei grossi alani, muto, coll’occhio intento, passando come una palla in mezzo ai campi, pare conscio della propria missione. Sovente egli è da solo l’operaio più attivo del contrabbando, appena il suo padrone, dopo di averlo accarezzato colla mano, ha pronunciato il «hep! hep!» della partenza, l’animale, col collo guarnito di una gorgiera irta di chiodi aguzzi e il basto serrato sulla schiena con delle cinghie, fiuta il vento, corre per un momento qua e là, latrando e scodinzolando, come indeciso, prende finalmente lo slancio, parte ad un tratto, e in pochi salti prende il largo. Sa che laggiù, nel luogo consueto di sosta, lo aspettano un pasto copioso e delle calde carezze; e come una freccia fende l’aria, non scostandosi dalla linea retta se non quando l’odore dei vestiti verdi, coi quali è familiarizzato da un pezzo, lo avverte di fare una curva; abbandonato allora alla sua intelligenza naturale, torna indietro, si accovaccia, o striscia rasente i solchi.

Per lo più si sguinzagliano i cani in cinque o sei, sotto la guida di un vecchio veterano. Questo non ha carico e fa il servizio di esploratore. Mentre la piccola comitiva si slancia fra i campi, egli invigila l’orizzonte, scruta i cespugli, accelera con un latrato i ritardatari. Da lontano, si veggono passare come un’ombra compatta che sfiorerebbe la terra, e talora tutto questo galoppo attraversa la vigilanza addormentata di una stazione di doganieri.

Il cane del contrabbandiere ha del resto un avversario più formidabile del doganiere stesso, ed è il cane che accompagna questo ultimo nei suoi giri e che, ammaestrato alle imboscate come il suo compagno notturno, vigila ai passi, dà la caccia alle mute erranti e le assalta. Così l’agguato dell’uomo per via dell’uomo ha il suo complemento nell’agguato dell’animale per mezzo dell’animale. Lungo tutta la frontiera, la notte è rotta dai latrati rauchi che si mutano in urli quando i mastini si sono incontrati e si dilaniano a vicenda coi loro denti».

Una prova che il contrabbando al confine francese si pratica da molto tempo ce la dà una legge dell’anno 1791, anche oggi in vigore, la quale ordina espressamente che i cani contrabbandieri devano essere messi «en fourrière», vale a dire nel luogo designato dalla autorità municipale per la custodia provvisoria degli animali che in qualsiasi modo si trovano in contravvenzione colle leggi.

Il contrabbando coi cani si fa oggi tra la Svizzera e l’Italia, ed è principalmente contrabbando di oriuoli e di catenelle, che gli animali ausiliari dei contrabbandieri sono incaricati di trasportare.

L’educazione di questi cani si fa in una maniera al tutto speciale. Un contrabbandiere si veste da guardia doganale italiana, poi percuote violentemente il cane, lo insegue, gli spara fucilate dietro. Il cane impara così a temere, odiare, e sovrattutto fuggire il doganiere.

I doganieri si difendono contro i cani dei contrabbandieri in vari modi. Stanno in agguato di essi, e cercano di ucciderli a fucilate, ma vi riescono di rado. Tendono trappole sul loro passaggio, come quelle che si tendono ai lupi e alle volpi, e in certi paesi pure ai cinghiali, ma con anche minor effetto. Hanno rinunziato ai tentativi di avvelenarli con carne contenente stricnina o altro, perché non la mangiano. Cercano di educare altri cani, amici dell’ordine, a sostegno della legge che quelli violano. Ma i cani dei contrabbandieri sono contrabbandieri come i loro padroni, sono contrabbandieri da una lunga serie di generazioni, sono una razza che ha il contrabbando nel sangue.

E ciò conta moltissimo pure nella superiorità che ha il contrabbandiere sul doganiere, superiorità che qualche volta si manifesta in un modo singolare.

Qualche volta, sul confine italiano, i contrabbandieri si divertono a burlare i doganieri, facendo venire dalla Svizzera officialmente delle scatole da oriuoli vuote, e pagando il tenuissimo diritto che si richiede per esse. Gli oriuoli, portati dai cani, ci si mettono dentro dopo.

In Italia, come in Svizzera, come in Francia, come dappertutto, le popolazioni sono favorevoli al contrabbando e avverse al doganiere. Anche la letteratura amena e la poesia sono favorevoli ai contrabbandieri.

Un grande economista italiano, che era professore, tonava, in nome dei buoni principii della scienza economica, contro le dogane, nei suoi libri e nelle sue lezioni. Quel grande economista diventò ministro, e gli scolari, nella loro ingenuità, si aspettavano che fosse per abolire le dogane.

Forse il pubblico è, senza saperlo, del parere teorico di quel grande economista. Forse questa simpatia generale pei contrabbandieri ha un’altra causa, il gusto irresistibile dell’uomo per le cose proibite, per cui si compiace non solo nel farle, ma anche nel vederle fare.

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