Questo testo è stato riletto e controllato.
Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Fazio degli Uberti


I PECCATI MORTALI


     Io so’ la mala pianta di Superba,
Che generò di ciascun vizio il seme;
E quel cotal non ama Dio nè teme
4Che si nutrica di questa mia erba.
     Io son mal grata arrogante ed acerba,
Per cui il mondo tutto piange e geme;
Io so’ nelle gran cose e nell’estreme
8Colei che compagnìa rompe e disnerba:
     Io so’ un monte tra ’l cielo e la terra,
Che chiudo gli occhi vostri a quella luce
11Che ’l sol della giustizia in voi conduce.
     Col sommo bene sempre vivo in guerra:
Ver è che, quando regno in maggior pompe,
14Giù mi trabocca e tutta mi dirompe.




     Io so’ la magra lupa d’Avarizia;
Di cui mai l’appetito non è sazio,
Ma quanto più di vita ho lungo spazio
4Più moltiplica in me questa tristizia.
     Io vivo con sospetto e con malizia,
Nè lemosina fo, nè Dio ringrazio.
Deh odi s’io mi vendo e s’io mi strazio,
8Chè mor’ di fame e dell’oro ho dovizia.
     Non ho parenti, nè cerco memoria,
Nè credo sia diletto nè più vivere
11Che d’imborsare far ragione e scrivere.
     L’inferno è monumento di mia storia;
E questo è quello bene in cui m’annidolo:
14Il fiorin pregio, e Dio tengo per idolo.




     Ed io Invidia, quando alcuno guardo
Che si rallegri, vengo umbrosa e trista;
Nei membri nel parlare e nella vista
4Discuopro il fuoco d’entro ove io ardo.
     Da fratello a fratel non ho riguardo:
Ognun sa ben quel che per me s’acquista;
Morir fe Cristo e cercare il salmista
8Dinanzi da Saùl co’ lo mio dardo.
     Io consumo lo core dov’io albergo:
Io posso dir ch’io sia discordia e morte
11Di città di reami e d’ogni corte.
     Ai colpi miei non può durare sbergo,
Per ciò ch’a tradimento gli disserro:
14Io dico colla lingua e non col ferro.




     Io so’ la scelerata di Lussuria
Che legge nè ragion mai non considero,
Ma tutto quel ch’io voglio e ch’io desidero
4Giusto mi pare, e qui non guardo ingiuria.
     Io sono un fuoco acceso pien di furia,
Che i Greci e gli Troian già mal me videro.
L’anima perdo, ed il corpo m’assidero;
8E vivo con malizia e con ingiuria.
     E come ch’io dimostre nel principio
Un dolce ed un contento desiderio,
11Pur la mia fine è danno e vituperio.
     Del porco nel costume participio;
E quanto è da lodar l’uomo e la femina,
14Che fugge l’esca che per me si semina!




     Io so’ la Gola che consumo tutto
Quanto per me e per altrui guadagno,
E in ogni altro bisogno mi sparagno
4Per satisfare a questo vizio brutto.
     Lassa mi trovo e col palato asciutto,
Con tutto che lo dì e la notte ’l bagno;
Del corpo sono ’l vecchio e nuovo lagno,
8E del ciel perdo l’angelico frutto.
     Trova chi colga ben di ramo in ramo,
Ch’al mondo fui principio d’ogni male
11Nel pomo che gustò Eva ed Adaino.
     La fine mia pel mio soverchio è tale,
Che guasto gli occhi e parlitica vegno
14E casco in povertà senza ritegno.




     Ira son io sanza ragiona e regola,
Subita, furibonda, con discordia;
Pace nè amore con misericordia
4Trovar non può chi con meco s’impegola.
     Tutta mi struggo e rodo come pegola;
Minaccie e grida sempre con discordia
Dov’io albergo; non trova concordia
8Figliol con padre quando sono in fregola.
     Tosto com’ foco ogn’or più sento accendere
Entro all’animo mïo, ciò lo torbida,
11Dove non pote mai il ver comprendere.
     Paura nè lusinghe me rimorbida;
Dispregio Dio, fè, battesmo e cresima;
14Uccido altrui e quando me medesima.




     Ed io Accidia so’, tanto da nulla
Che gramo fo di chiunque m’adocchia;
E per tristezza abbascio le ginocchia,
4E ’l mento su per esse si trastulla.
     Io so’ cotal qual m’era nella culla;
Non ho più piedi nè mani nè occhia;
Gracido e muso come la ranocchia,
8Discinta e scalza, ed ho la carne brulla.
     A me non vale esempio di formica;
Deh odi s’io son pigra, che gustando
11E il mover della bocca m’è fatica!
     In somma, quando vengo ben pensando,
Dico fra’ miei pensier tristi ed infermi:
14— Io venni al mondo sol per darme a’ vermi. —




(Ricavati tutti sette da’ Poeti antichi dell’Allacci; Napoli, 1661; e riveduti sopra altri testi.)

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.