< I profughi di Parga
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Parte II. Il Racconto
Parte I Parte III

PARTE SECONDA

IL RACCONTO

I


Quando Parga e il suo popol fiorìa,
     Anch’io spesso nell’alma gustai
     La gentil voluttà d’esser pia.


Or caduta all’estremo de’ guai,
     Mi conforta che almen su me torna
     6Quella piéta che agli altri donai.

Oh! se un dì per me lieto raggiorna;
     Se un dì mai rivedrò quelle mura
     9Da cui l’odio di Alì ci distorna;

Se mai vien ch’io risalga secura
     A posar sotto il tiglio romito
     12Che di Parga incorona l’altura;

Fra i terrori del turbo sparito,
     Un rifugio fia dolce al cor mio
     15Rammentar chi m’ha salvo il marito.

Ahi! percossa dall’ira di Dio
     A che parlo speranze di pace,
     18Se di morte il feroce desio

Forse ancor nel mio sposo non tace?

               Ma i sonni son placidi;
                    Svanito è l’algor,
                    La calma del ciglio
                    23Trasfusa è nel cor.

               Oh Dio! nol funestino
                    Vaganti pensier
                    Di patria, d’esiglio,
                    27D’oltraggio stranier.


II


Dalle vette di Suli domata
     L’infedele esecrò le mie genti
     30Che una sede ai fuggiaschi avean data.

Là, su i templi del Dio de’ redenti
     Ecco il rosso stendardo dell’empio
     33Elevar le sue corna lucenti.


Quei che indisse a Gardichi lo scempio,
     Quei che rise in vederlo, ha giurato
     36Rinnovarne su Parga l’esempio.

La sua tromba suonò lo spietato;
     Noi la nostra; e scendemmo nell’ira
     39Sul terreno d’Aghià desolato;

Sul terren che le caste rimira
     Sue donzelle vendute al servaggio,
     42E scannati i suoi prodi sospira.

Gl’infelici eran nostro lignaggio,
     Nostri i campi; e a punir noi scendemmo
     45Chi insultava al comune retaggio.

E noi donne, noi pur combattemmo;
     O accorrendo al tuonar de’ moschetti,
     48Carche l’armi al valor provvedemmo.

La vittoria allegrò i nostri petti;
     E il guerriero asciugando la fronte
     51Già cantava i salvati suoi tetti.

Già le spose recavan dal fonte
     Un ristoro ai lor cari, e frattanto
     54La vendetta cantavan dell’onte.

«Ahi cessate la gioia del canto:
     Due fratelli il crudel m’ha trafitto;
     57L’un sull’altro perironmi accanto.»

Così in Parga una voce d’afflitto
     Rompe i gridi del popol festoso
     60Che ritorna dal vinto conflitto.

Ahi! chi piange i fratelli è il mio sposo.

               Fur l’ultime lagrime
                    Che il miser versò:
                    Poi cupo nell’anima
                    65Il duol rinserrò;


               Con negri fantasimi
                    Più sempre il nodrì;
                    Ahi misero! misero!
                    69La vita abborrì. —

               Ma il sonno più aggrevasi;
                    Ritorna il tepor:
                    Trasfusa dal ciglio
                    73La calma è nel cor.

               Oh Dio! nol ritentino
                    Vaganti pansier
                    Di patria, d’esiglio,
                    77D’oltraggio stranier.


III


Come uscito alla strada il ladrone,
     Se improvviso lo stringe il periglio,
     80Riguadagna a gran passo il burrone;

Là si accoscia, e dal vil nascondiglio
     Gira il guardo, ed agogna il momento
     83Di spiegar senza rischio l’artiglio:

Tale Alì si sottrasse al cimento.
     Poi rivolto all’infausta pianura,
     86L’attristò d’un feral monumento. —

Ma que’ marmi non son sepoltura
     Che piangendo ei componga al nipote;
     89Arra son di sua rabbia futura. —

Sorge un vecchio, e predice: «Remote
     Ah! non son le vendette del vinto;
     92Oggi ei fugge, doman vi percote.

D’armi nuove il suo fianco è recinto;
     E alle vostre la punta fa scema
     95In quel dì che l’avete respinto.» —


Consigliera de’ stolti è la tema.
     Stolto il veglio e chi udillo! — Fu questa
     98De le nostre sciagure l’estrema.

Noi vedemmo venir la tempesta;
     E dov’è che cercammo salute?
     101Nel covil della serpe! — Oh funesta

Cecità de le menti canute!
     Oh de’ giovani incauta fidanza!
     104Oh vigilie de’ forti perdute!

Più di libere genti la stanza
     Non è Parga. Un’estrania bandiera
     107È il segnal di sua nuova speranza.

La sua spada è una spada straniera;
     I non vinti suoi figli all’Inglese
     110Han commesso che Parga non pera.

De’ tementi Egli il gemito intese,
     E, signor delle vaste marine,
     113Come amico la destra ci stese.

Ecco Ei siede sul nostro confine:
     Ecco Ei giura nel nome di Cristo
     116Far secure le genti tapine. —

Ahi! qual fè ci è serbata dal tristo.
     A che laccio il mio popol fu côlto,
     119Sâl quest’uomo su cui mi contristo,

Questo forte che il senno ha sconvolto. —

               Ma l’ansie cessarono;
                    Più lene è il sopor:
                    La calma trasfondesi
                    124Dal ciglio nel cor.

               Oh Dio! non la turbino
                    Lugùbri pensier,
                    Crucciose memorie
                    128D’oltraggio stranier.


IV


Squilla in Parga l’annunzio d’un bando: —
     Posti a prezzo dall’Anglo noi siamo,
     131Come schiavi acquistati col brando. —

Vano è il pianger; schernito è il richiamo;
     Già il vegliardo dell’empia Giannina
     134Co’ suoi mille avanzarsi veggiamo.

Già già tolta all’inflessa vagina
     Sfronda i cedri del nostro terreno
     137L’insultante sua sciabla azzurrina.

Egli viene: — dal perfido seno
     Scoppia il gaudio dell’ira appagata;
     140La bestemmia è sul labbro all’osceno.

Non è il forte che sfidi a giornata;
     È il villano che move securo
     143A sgozzare l’agnella comprata.

Ah! non questo, o Britanni, è il futuro
     Che insegnavan le vostre promesse,
     146Questi i patti, o sleali, non furo.

Pur quantunque deluse ed oppresse,
     Le mie genti al superbo Ottomanno
     149Non offrîr le cervici sommesse.

Un sol voto di mezzo all’affanno,
     Un sol grido fa il grido di tutti:
     152«No, per Dio! non si serva al Tiranno.»

Quindi al crudo paraggio condutti,
     Preferimmo l’esiglio. — Ma questi
     155Ch’oggi tu m’hai scampato dai flutti,

Fin d’allora in suo cor più funesti
     Fea consigli, e ne’ sogni inquïeti
     158Io, vegghiando, l’udìa manifesti

Darmi i segni de’ fieri segreti.—

               Ma i sonni prolungansi,
                    L’affanno cessò;
                    Le membra trasudano;
                    163Il cor si calmò.
                                                                                          
               Serene le imnagini
                    Ti formi il pensier;
                    O sposo, dimentica
                    167L’oltraggio stranier!


V


Eran quelli i dì santi ed amari,
     I dì quando il fedele si atterra
     170Ripentito agli squallidi altari,

Ove l’inno lugúbre disserra
     Le memorie, dei lunghi dolori
     173Con che Cristo redense la terra.

Lì, repressi i profani rancori,
     Offerimmo le aogosce a quel Dio
     176Che per noi ne patì di maggiori.

Poi gemendo il novissimo addio,
     Surse, e l’orme de’ suoi sacerdoti
     179Taciturna la turba seguio.

Que’ ne trasser là dove, remoti
     Da’ trambusti del mondo, e viventi
     182Nel più caro pensier de’ nipoti,

Sotto il salcio dai rami piangenti
     Dormían gli avi di Parga sepolti,
     185Dormían l’ossa de’ nostri parenti.

Qui, scoverte le fosse, e travolti
     I sepolcri, dal campo sacrato
     188Gli onorandi residui fur tolti. —


Ah! dovea, su le tombe spronato,
     Il cavallo dell’empio quell’ossa
     191A’ ludibri segnar del soldato? —

Da pietà, da dispetto commossa
     Va la turba, e sul rogo le aduna
     194Che le involi alla barbara possa.

Guizza il fuoco: — all’estrema fortuna
     De’ suoi morti la vergin, la sposa
     197I recisi capegli accomuna.

Guizza il fuoco: — la schiera animosa
     De’ mariti il difende; e appressarse
     200La vanguardia dell’empio non osa.

Guizza il fuoco, — divampa; — son arse
     Le reliquie de’ padri; — ed il vento
     203Già ne fura le ceneri sparse. —

Quando il rogo funereo fu spento,
     Noi partimmo: — e chi dir ti potria
     206La miseria del nostro lamento?

Là piangeva una madre, e s’udia
     Maledire il fecondo suo letto,
     209Mentre i figli di baci copria.

Qui toglievasi un’altra dal petto
     Il lattante, e fermando il cammino,
     212Con istrano delirio d’affetto

Si calava al ruscello vicino,
     Vi bagnava per l’ultima volta
     215Nelle patrie fontane il bambino.

E chi un ramo, un cespuglio, chi svolta
     Dalle patrie campagne traea
     218Una zolla nel pugno raccolta. —

Noi salpammo: — e la queta marea
     Si coverse di lunghi ululati,
     221Sicchè il dì del naufragio parea. —


Ecco Parga è deserta. Sbandati
     I suoi figli consuman nel duolo
     224I destini a cui furon dannati. —

Io qui venni mendica; e ciò solo
     Che rimanmi è quest’uom del mio core,
     227E i pensier con che a Parga rivolo.

Ei non ha che me sola, e il furore
     De’ suoi sdegni, e de’ morti fratelli,
     230Questi avanzi di pianto e d’amore,

Li riavenne all’aprir degli avelli;
     Carità si severa ne ’l punse,
     233Che, geloso, alla pira non dielli,

     Ma compagni alla fuga li assunse.

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