< Il Bardo della Selva Nera
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Canto II Canto IV


IL BARDO


DELLA SELVA NERA.




CANTO TERZO.




LA PRESA DI ULMA.




Mentre d’Ullino nei riposti alberghi
Tacitamente Amor un suo leggiadro
Colpo prepara, e la Virtù gli è duce,
Due di Virtù nemiche, e d’ogni bello
5Senso d’onor, Paura e Codardìa,
Nella stretta d’assedio Ulma turrita
Tale ordiscono turpe opra di guerra,
Che della più non sarà mai che parli
Vergognando la fama. Allor che frutto
10D’infernale imeneo la tenebrosa
Dell’Erebo consorte eterna Notte

L’Angoscia partorì, l’Insidie, il Pianto,
La malvagia Fatica, e la Menzogna,
E con le bieche rubiconde Risse
15Delle leggi il Disprezzo, e la deforme
Consigliera di colpe orrida Fame,
Cognati tutti e spaventosi aspetti;
La negra madre con nefando parto
La Codardìa produsse e la Paura;
20Luridi mostri, che di Giove il senno
Fe’ di Marte ministri. Ed ei, siccome
Più gli talenta, a sbigottir li manda
Le percosse città, di falsi empiendo
Rumor gli orecchi, e di sgomento i petti.
25Or tu, Diva del canto, a cui palesi
De’ mortali son l’opre e degli Dei,
E ti ragiona ei pure i suoi segreti
Il Fato, di cui trema ogni altro Iddio;
Tu, che dentr’Ulma oprár le nequitose
30Torve sorelle mi racconta, e adempi,
Libera e vera saettando i vili,
La vendetta de’ forti. E primamente
Narrami di che loco al turpe fatto

La Paura volò. Sola e disgiunta
35Dalla sozza sirocchia (chè non sempre
Di Codardìa compagna è la Paura),
Stava la Dira sul Britanno lido
Seminando il terror delle Francesche
Armi, e destando d’ogni lato in fretta
40Le difese e l’offese. Era ne’ porti
Un sobbuglio, una pressa, una faccenda
Mirabile a vedersi. Altri devolve
Dai fervidi arsenali in mar gli abeti,
Che van su l’onde a rinnovar co’ venti
45L’antica lite, e i cavi seni han gravidi
Di tradigion, di ferro e di coraggio.
Altri il fianco ristoppa alle sdruscite
Navi, e sarte rintegra, e monche antenne,
E lacerate vele. Altri ai ridotti
50E alle bastite orribile ghirlanda
Fan de’ concavi bronzi imitatori
Del fulmine celeste. E per le vie
Brulicanti frattanto, e per le prode
Tale un gemer di rote, un incessante
55Picchiar d’incudi e di martelli, un sempre

Ire e redir di ciurme e di soldati,
D’armi, di carri e di navali arnesi,
Che l’udire e il veder mettean nell’alma
In un solo sentir confusi e misti
60Terror, diletto e maraviglia. A tanta
Provvidenza di mezzi, a tanta mole
Di travaglio assistente è la Paura,
Che per tutto discorre e tutto osserva,
Tutto esamina attenta, e mai non posa.
65Poi quando su le dure opre mortali
Stende il velo la notte, alto s’estolle
Su le nubi la Furia, e con lugubre
Lungo ululato orrendamente grida:
BONAPARTE. Si svegliano al tremendo
70Nome gli azzurri addormentati, e corrono
Alle vedette rabbuffati e pallidi.
Notano da che parte il vento spiri,
E del mar su le fosche onde la vista
Intendendo e l’orecchio, ad ogni fiotto
75Temon l’arrivo delle Franche antenne.
Svegliasi anch’esso di Vindsor su l’ebre
Piume il deliro Coronato, e corre

Con la mano a cercar su l’irta chioma
In gran sospetto il regal serto, e pargli,
80Pargli il trono veder che crolla e fugge.
Ma imperturbato il regnator ministro,
Che sonno non permette alla pupilla,
Nè si scuote a quel grido, nè sembiante
Fa di temerlo. Allor furtiva e queta
85A lui viene la Dira, e nelle chiuse
Arcane stanze gli ritrova al fianco
Orrenda compagnìa. Vi trova il vile
Tradimento, che strigne nella dritta
Pugnale acuto, e stende l’altra al prezzo
90Delle scoppiate indarno in su la Senna
Polveri inferne; e più felici colpe
Feroce e bieco vantator promette.
La sannuta vi trova e ardimentosa,
D’ogni onorato e degli Eroi flagello,
95Svergognata Calunnia con le piene
Man di libelli, in cui la ria distilla
I pagati veleni. Evvi l’avara,
Che d’oberato senator gli vende
Il suffragio e la voce. Evvi abbracciato

100Con la Perfidia il rompitor de’ patti
Falso Interesse, che del patrio amore
Ha la larva sul ceffo. Evvi di tutte
La più nera, colei che al conio suda
De’ falsati metalli, e di mentito
105Stigma imprime le carte, a cui di tutti
La sostanza è creduta. Han le medesme
Figlie d’Averno orror di questa iniqua.
Evvi ancor l’esquisito empio Diletto
Delle lagrime altrui; evvi l’Orgoglio
110Dei sublimi misfatti; evvi la Rabbia
Delle vane congiure, e degli errati
Calcoli, ed altre d’esecrato aspetto
Tartaree forme; e tutte intorno al capo
Dell’arbitro Britanno un mormorìo
115Fan confuso e feral, quale ne’ boschi
Del Gargaro racchiusi e già vicini
A far tempesta i venti: il rombo n’ode
L’arator da lontano, e sul periglio
Della già bionda spiga impallidisce.
120Tale e più roco è il susurrar là dentro
Delle spietate in quella vasta e scura

Di delitti officina; e or l’una, or l’altra
Va consultando e carezzando il macro
Degli Angli correttor, mentre alle porte,
125Che Crudeltà tien chiuse, inesaudito
Batte il pianto d’Europa. In mezzo a tanta
Tenebrosa congrèga la Paura
Comparisce improvvisa, e le raccolte
Negre sorelle di spavento agghiaccia;
130Gli occhi immobile affissa su lo smorto
Anglo, il contempla, e non fa motto. Alfine
Dalle chiome spiccando una fischiante
Cerasta al petto glie l’appicca, e grida:
Guarda e trema. In quel dir sciogliesi tutta
135In levissimo fumo, e per le nari
E per la bocca gli discende al core.
Guarda il misero, e vede, oh che mai vede?
Squarciato vede e sanguinoso il petto
Di larga piaga al fiero e non mai vinto
140Vincitor d’Abukire; e alla caduta
Del truculento Eroe pargli che tutto
D’Albïon cada il vanto e la speranza.
Vede lui stesso atroce ombra rabbiosa

Su gli atlantici flutti perseguire
145Dell’Ispano e del Franco i galleggianti
Cadaveri, ed il morso empio su quelli
Rinnovar di Tideo. Vede all’orrendo
Atto fuggir le vinte ombre atterrite,
Ed ode in quella un’esultante voce,
150Che su i campi Moravi la vendetta
Del Franco nome a contemplar le chiama.
Ode poscia un lamento, un misto, un gruppo
Di molte voci di dolore e d’ira,
Che d’ogni parte lo percuote; e vede
155Da quei gridi invocata e taciturna
A gran passi venir la domatrice
D’ogni possanza e d’ogni rio, la Morte.
E la vede egli sì, che già ne sente
Ne’ polsi il gelo; e nel morir, più eccelso
160Mira inalzarsi, ahi vista! e più temuto
Del guerreggiato suo nemico il trono,
E al piè di lui preganti colle rotte
Corone in mano i re venduti e vinti.
Al crudele spettacolo d’un freddo
165Sudor si bagna il disperato, un guardo

Gitta smarrito alle bilance infami
Compratrici de’ regi: ed ahi! le mira
Traboccanti di sangue, e le man sangue
Grondano, e al piè gli sgorga e bolle un fiume
170Di sangue che ognor cresce, e alfin l’affoga.
     Questi oprava la Dea strani terrori
Ne’ Britanni cerébri. Si diparte
A iniqua provocato ingiusta guerra
Ratto qual lampo dal Piccardo lido
175Il Guerrier de’ guerrieri, e al suo partire
Si toglie anch’essa d’Albïon la Dira,
Precorrendo l’Eroe. Piomba su l’Istro
Tacitamente; s’intromette occulta
Nel Teutonico campo, e de’ suoi geli
180Tutto lo sparge. Ma più ch’altri invade,
E al cor s’attacca del racchiuso in Ulma
Austriaco Duce. Di quel cor già donno
La Paura ritrova un altro Nume
Più deforme d’assai, la Codardìa,
185Che d’Arcoli, di Dego e di Marengo
Incessante gli tuona entro l’orecchio
I terribili nomi, nè midollo,
Nè fibrilla gli lascia che non tremi.

     Da due tante d’onore avversatrici
190Posseduto, incalzato, esagitato
Che farà l’infelice? Arduo torreggia
Ed aspro tutto di fulminee bocche
Il muro che lo serra, e par che debba
Da tutti assalti assicurarlo. Gravi
195Gemon di molta cerere, e per molte
Lune provvista le riposte celle.
Nulla è che manchi a qual sia uopo. Al fianco
Gli stan tre volte dieci mila intatte
Spade, e assai prodi, a cui morir più giova
200Che patteggiar la vita, ed incruente
Ceder l’armi. Che più? Pugnan per lui
I venti e l’onde. Impetüosa pioggia
L’assediante flagella. Irato inonda
L’Istro il vallo Francese. E qual già sotto
205Le fatali di Troja inclite mura
Di Teti al figlio oppor si vide il Xanto
I divini suoi flutti, e del grand’Ilio
Ritardar la caduta; non diverso
Contra il Gallico Eroe le vïolente
210Onde solleva il regnator superbo

De’ Germanici fiumi, e d’Ulma i tristi
Fati pur tenta differir. Ma indarno
Per lo vil duce, che li tolse in cura,
D’un Dio combatte la possanza. Antica
215Sua compagna fedel la Codardìa,
Ogni favilla di valor gli ammorza
Nell’attonito petto. E quando i lumi
Gli occupa il sonno, la schifosa assume
Gli atti, l’andar, la voce, il portamento
220Della Diva Prudenza, e a lui sul capo
Librandosi, e raggiando di gran luce,
Così prende a parlar: Macco, tu dormi?
Tu diletto mio figlio? E in qual ti stai
Rischio orrendo non badi? Il Franco ardito
225L’erte intorno già tiene, e signoreggia
La non forte città. Cadde Memminga,
Cadde Gunsburgo: d’ogni parte rotti
Fuggono i tuoi: le Russe armi son lungi,
E il saranno; nessuna in tanto estremo
230Speme rimanti di soccorso: e ancora
Fai dimore alla resa, e l’ire inaspri
Del vincitor? Che attendi? Il rio macello

Forse ignori di Jaffa, e che crudele
Spesso diventa la pietà schernita?
235Sorgi, e fa senno de’ miei detti, il senno
Che un dì nel campo Capüan ti fece
La rossa abbandonar vinta bandiera
Prigionier fortunato, e poi di nuovo
Più fortunato fuggitivo. Il vulgo
240Quell’abbandon vil disse, e quella fuga,
Ma ti diè laude di scaltrito il saggio,
E l’Anglo t’ammirò, l’Anglo che volle
De’ congiurati eserciti commesso
Al tuo saper il carco e la fortuna.
245Renditi dunque, renditi; son io
Che di ciò ti consiglio, io che il passato
Dell’avvenir fo speglio. Se più tardi,
Passa il momento del perdon: furente
Entra il Franco d’assalto, e tu con tutti,
250Tu se’ morto. Disparve in questo dire
Con un guizzo di luce la mentita
Diva, e tornò nel primo volto. Allora
Sul cor tutta gli stende la Paura
La man fredda, e lo strigne, e della suora

255La vile opra sigilla. Esterrefatto
Balza il misero in piedi; udir già pargli
Degl’ignivomi bronzi il tuono, e il grido
Dell’assalto; veder pargli divelta
Dai fondamenti la cittade, e sopra
260La fervida ruina alto apparire
Il gran Guerrier, che inesorato invìa
D’ogni intorno la morte. Alla pensata
Vista feral confuso, istupidito
Pensa, volge, rivolge. Ira, rimorso,
265E furore e vergogna in un raccolti
L’avvampano, ma tutti in cuor gli estingue
Delle paure tutte la più cruda,
NAPOLEON. Da tanto nome oppresso
Cede l’arme il meschin, cede un integro
270Esercito captivo; e col terrore
Sol del nome, incruente e stupefatte
Cittadi e regni il mio Signor conquista.


Fine del Canto Terzo.


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