< Il Bardo della Selva Nera
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Canto I

SIRE



Le arpe de’ Bardi accompagnarono un dì le armi di Carlomagno, allorchè dalle rive Aquitaniche o dagli ultimi Pirenei volava a punire il Sassone ribellato, o la perfidia di Tassiglione; e le arpe de’ Bardi, non ancora mute del tutto, si sono, o Sire, destate allo strepito delle vostre vittorie; e ne hanno seguíto il rapido volo su quelle contrade medesime, ove Carlo precipitava dal trono i Re vinti, e ne accumulava sul proprio capo i diademi, e NAPOLEONE il Grande ne fa dono agli Amici, e più moderato e magnanimo li restituisce alla fronte dei Principi debellati. E veramente un Conquistatore che a’ suoi nemici abbattuti non lascia altro segno della conquista, che la memoria delle sue virtù, e li punisce col perdonare, e forzarli a far senno per l’avvenire, un siffatto, e finora inaudito Conquistatore non poteva non eccitare a grande entusiasmo le lire poetiche d’ogni suono, precipuamente quelle de’ Bardi nate in mezzo alle armi, e consecrate soltanto alla lode de’ valorosi.

Verrà tempo che una nuova mitologia divinizzando le vostre imprese, come già quelle di Ercole, di Bacco e di Teseo, porgerà alle postere fantasíe abbondante materia di pura ed alta Epopea: la quale non potendo sussistere senza la poetica maraviglia (intendo dire senza la favola), ha bisogno che la maraviglia storica non opprima troppo, siccome ora fa, la poetica. Perciocchè ove la presenza dei veri prodigj esclude l’intervento dei favolosi, e la poesía, frenata dallo splendore dei primi, non può sottometterli nè sagrificarli liberamente ai secondi, per modo che la grandezza dell’Eroe sia più opera del poeta che dello storico (come Orlando, Goffredo, gli Eroi d’Omero e Virgilio, e tutti in somma i protagonisti dell’Epopea), avverrà, che si corra sempre il pericolo di Lucano, il cui poema, perchè scarso di effetto soprannaturale, ossia di favola, è stato meritatamente escluso dalla classe degli epici, e giudicato null’altro che una sentenziosa ed ampollosa storia in esametri.

In tanta luce di opprimente istorica verità disperato il caso dell’Epopea, nè potendo questa giovarsi molto della pagana mitologia, a cui è mancato presso noi il fondamento della religione che la santificava, ed essendo cessata quella delle Fate e degl’incantesimi, che pure per qualche tempo potè supplire alla prima, era forza ricorrere ad un genere di poesía, la quale ponesse in salvo i diritti della favola senza nuocere alla dignità della storia. La poesía Bardita, riunendo e temperando l’uno coll’altro il doppio carattere dell’Epica e della Lirica, mi è sembrata, o Sire, se non la sola, almeno la più acconcia ad ordire una qualche tela poetica dei portenti per Voi operati; tanto più che il Bardo della Selva Nera, il quale abbandona i suoi boschi per seguire le vostre armate, e confondere il suono guerriero della sua arpa col fragore dei cannoni di Austerlitz, alla qualità di poeta aggiugne quella pur di profeta. Così egli, presago di avvenimenti ancora più strepitosi, e collocato su l’orlo dell’immenso avvenire, che Voi andate creando, si sta già pronto ad accompagnarvi sott’altro cielo a nuovi trionfi, più solenni anche de’ primi. Ed egli spera di recitarvi presto il bell’inno che il suo antenato Cadwallo cantò a Carlomagno, allorchè Leone III gli pose sul capo la corona dell’Occidente: inno ignorato dagli eruditi, ma pervenuto di padre in figlio al vostro Bardo per tradizione, e pieno di vaticinj, de’ quali penso, o Sire, che Voi solo abbiate la chiave.

Queste, ed altre più degne cose, che per ora è bello il tacere, va divisando nel segreto della sua mente la Musa del nuovo Bardo per onorarvi: ma tutti andranno vani i suoi lodevoli divisamenti, ove la M.V.I. e R. non li soccorra di uno sguardo confortatore. E questo egli spera, ben consapevole che fra i grandi elementi della vostr’anima non è l’ultima la Clemenza.

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