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In una camera a terreno di una casa malinconica, in fondo a Freeman’s Court, Cornhill, se ne stavano i quattro scrivani dei signori Dodson e Fogg, procuratori di Sua Maestà alle corti di King’s Bench e Common Pleas a Westminster, e sollecitatori dell’Alta Corte della Cancelleria; ai quali scrivani, nel corso della loro giornata di lavoro, era concesso tanta parte di sole e tanto lembo di cielo quanto ne potrebbe avere un uomo calato in un pozzo di discreta profondità; ed era tolta nel tempo stesso l’opportunità di veder le stelle di giorno, che la seconda situazione non manca mai di presentare.
Lo studio degli scrivani dei signori Dodson e Fogg era una camera buia, decrepita e muffita, con un tramezzo di legno da una parte per riparare gli scrivani dagli sguardi del volgo, un paio di vecchi seggioloni, un rumoroso orologio a pendolo, un almanacco, un posaombrelli, un lungo cappellinaio, ed alcuni scaffali, contenenti vari fasci numerati di fogliacci sudici, qualche vecchia scatola con cartelline sul davanti, e molte vecchie bottiglie d’inchiostro di varia foggia e misura. V’era un uscio vetriato dal quale si usciva nell’andito che metteva nella corte, ed appunto dalla parte esterna di quest’uscio si presentò il signor Pickwick seguito da Sam Weller la mattina del Venerdì seguente agli avvenimenti, dei quali reca una fedele esposizione il precedente capitolo.
— Non sapete entrare? — gridò una voce di dietro il tramezzo in risposta alla bussatina delicata del signor Pickwick. E il signor Pickwick e Sam entrarono senz’altro.
— È in casa il signor Dodson o il signor Fogg? — domandò il signor Pickwick affabilmente, avanzandosi verso il tramezzo col cappello in mano.
— Il signor Dodson non c’è e il signor Fogg è occupato, — rispose la voce: e nel tempo stesso il capo cui la voce apparteneva, con una penna dietro l’orecchio, guardò il signor Pickwick di sopra al tramezzo.
Era un capo non affatto pulito, i cui capelli rossi, scrupolosamente divisi da una parte e lisciati e incollati con pomata, giravano in due piccoli semicerchi di qua e di là da un viso schiacciato, ornato da un paio di occhietti e sostenuto da un colletto molto sudicio e da una cravatta nera arrossita.
— Il signor Dodson non c’è e il signor Fogg è occupato, — disse l’uomo cui apparteneva quella testa.
— Starà molto a tornare il signor Dodson? — domandò il signor Pickwick.
— Non saprei
— E il signor Fogg sarà occupato a lungo?
— Secondo.
Qui lo scrivano si diè risolutamente a temperar la penna, mentre un suo compagno, il quale nascosto dal coperchio della sua scrivania andava girando una gassosa, rise in tono di approvazione.
— Aspetterò, — disse il signor Pickwick.
Nessuna risposta; sicchè il signor Pickwick, non invitato, si mise a sedere e prestò ascolto al rumore secco ed insistente dell’orologio ed alla conversazione degli scrivani.
— Un bel fatto, eh? — disse uno di loro, vestito di un soprabito grigio con bottoni di metallo e calzoni neri, conchiudendo qualche relazione misteriosa delle sue avventure della sera innanzi.
— Bellissimo, stupendo! — disse quegli dalla gassosa.
— Tom Cummins fungeva da presidente, — riprese quell’altro. — Erano le quattro e mezzo quando arrivai a Somers Town, ed ero così concio che non mi riusciva di trovare il buco da ficcare il chiavino, e dovetti destar la vecchia a furia di bussate. Dico eh, vorrei proprio vedere che direbbe il vecchio Fogg, se lo venisse a sapere! Mi buscherei il mio ben servito, eh?
A questa umoristica idea tutti risero di concerto.
— C’è stato qui un tal buscherio stamane, — disse l’uomo dal soprabito grigio, — mentre Jack era di sopra a mettere in sesto i fogliacci e voi due eravate andati all’ufficio del bollo. Fogg era qui ad aprir le sue lettere, quand’ecco che capita quel cotale dell’atto che abbiamo spiccato a Camberwell, sapete... come si chiama?
— Ramsey, — suggerì lo scrivano che avea prima parlato al signor Pickwick.
— Ah, Ramsey... un bel tipo di cliente allampanato. "Ebbene, signore" dice il vecchio Fogg dandogli un’occhiata feroce... voi lo sapete come fa... "ebbene, signore, siete venuto per definire quella faccenda?" — "Signorsì, proprio per questo" dice Ramsey, cacciandosi la mano in tasca e tirando fuori i quattrini; "il debito è due sterline e dieci e le spese tre lire e cinque, ed ecco qua, signore" e tira un sospirone da spaccar le pietre, porgendo la moneta avvolta in un pezzo di carta sugante. Il vecchio Fogg guarda prima alla moneta, e poi a lui, e poi fa una certa tosse curiosa, sicchè io ho subito capito che qualche cosa stava per succedere. "Non sapete, suppongo, che c’è la registrazione di una dichiarazione che viene sensibilmente ad aumentar le spese?" dice Fogg. "Voi non lo dite sul serio, signore" dice Ramsey balzando indietro; "il termine era scaduto non più tardi di ieri sera". — "Io vi dico però e vi ripeto" dice Fogg, "che il mio giovane è andato appunto a registrarla. Dite voi, signor Wicks, non è andato Jackson a registrare quella tal dichiarazione nell’affare Bullman e Ramsey?" Naturalmente io rispondo di sì, e allora Fogg torna a tossire e guarda fiso a Ramsey. "Dio buono!" dice Ramsey "ed io che ho dovuto ammattire e spremermi la, testa, per mettere insieme questo po’ di quattrini, e tutto per niente!" — "Assolutamente per niente" dice Fogg con calma; "sicchè fareste bene a tornarvene, per metterne insieme degli altri e poi portarli qui a tempo." — "Ma io non ne posso trovare, perbacco!" esclama Ramsey dando del pugno sulla scrivania. "Vi prego, signore, di non pigliarla così alto" dice Fogg, scaldandosi a freddo. "Ma io non la piglio alto niente affatto" dice Ramsey. "Sì, che la pigliate alto" dice Fogg; "uscite, signore; uscite da quest’ufficio, signore, e ripresentatevi, signore, quando saprete in che modo comportarvi, signore!" Bene; Ramsey fa per parlare, Fogg non gli lascia aprir bocca, sicchè rintasca il suo gruzzolo, e via come una gatta frustata. Non era ancora chiusa la porta, che il vecchio Fogg si volta a me, con un sorriso tutto dolcezza, e tira fuori dalla tasca la dichiarazione in questione. "Orsù, Wicks," dice Fogg "prendete subito una carrozzella correte al Temple a rotta di collo e registrate questa roba qui. Per le spese non c’è pericolo, perchè gli è un uomo solido con una lunga famiglia addosso, e con un salario di venticinque scellini la settimana sicchè dandoci una semplice procura, come da ultimo ci dovrà venire, non c’è dubbio che i suoi superiori faranno di tutto per soddisfarla. Possiamo spremergli tutto quel che vi piace, signor Wicks; ed è carità cristiana, caro signor Wicks, perchè, con la sua lunga famiglia e il magro salario, non gli potrà far che del bene una buona lezione per non indebitarsi più, non vi pare, signor Wicks?" — e sorrise con tanta bonomia nell’andar via che era un vero piacere vederlo. "Gli è un uomo d’affari numero uno quel Fogg, — conchiuse Wicks in tono di profonda ammirazione, — un uomo impareggiabile."
Gli altri tre scrivani si sottoscrissero a questa opinione, e l’aneddoto offrì a tutti la più illimitata soddisfazione.
— Bravi giovanotti questi qui, — bisbigliò Sam all’orecchio del padrone; — capi ameni che hanno una bella idea dello spasso.
Il signor Pickwick assentì col capo, e tossì per attirare l’attenzione dei giovani del tramezzo; i quali, sollevatosi alquanto lo spirito con un po’ di conversazione intima, si degnarono di accorgersi di quel signore che aspettava.
— Chi sa se Fogg sarà libero ora? — disse Jackson.
— Vado a vedere, — disse Wicks scendendo tutto dinoccolato dal suo seggiolone. — Che nome debbo annunziare al signor Fogg?
— Pickwick, — rispose l’illustre soggetto di queste memorie.
Il signor Jackson andò su per far la sua commissione, e subito dopo tornò dicendo che il signor Fogg avrebbe ricevuto il signor Pickwick fra cinque minuti; e ciò detto, tornò alla sua scrivania.
— Come ha detto che si chiama? — bisbigliò Wicks.
— Pickwick, — rispose Jackson; — è il convenuto nella causa Bardell e Pickwick.
Uno strofinio di piedi accompagnato da un suono di risa soffocate fu udito di là dal tramezzo.
— Se non sbaglio, signore, — disse Sam a bassa voce, — quei figuri lì vi trafilano.
— Mi trafilano, Sam? — esclamò il signor Pickwick; — non vi capisco.
Il signor Weller rispose accennando col pollice di sopra la spalla, e il signor Pickwick, alzando gli occhi, ebbe ad osservare questo fatto piacevolissimo che tutti e quattro gli scrivani, con le facce di persone che si divertano enormemente e coi capi sporti di sopra al tramezzo, minutamente andavano esaminando la fisonomia e l’aspetto generale del supposto rubatore di cuori e disturbatore della pace muliebre. Nell’alzare ch’ei fece gli occhi, la fila delle quattro teste improvvisamente sparì, e si udì subito dopo il rumore delle penne che furiosamente raspavano sulla carta.
Una scampanellata imperiosa chiamò il signor Jackson nell’appartamento del signor Fogg, donde il giovane tornò a dire che se il signor Pickwick voleva salire, il principale era pronto a riceverlo.
— C’è Dodson? — domandò Fogg.
— Tornato in questo punto, — rispose Jackson.
— Pregatelo di passar da me.
— Subito (Jackson parte).
— Accomodatevi, signore, — disse Fogg; — lì c’è il giornale; il collega sarà qui subito, e potremo ragionare di questa faccenda.
Il signor Pickwick prese una seggiola e il giornale; ma invece di legger questo, alzò un poco gli occhi per esaminar l’uomo d’affari, che era un certo coso magro, sparuto, in soprabito nero, calzoni grigi ed uosa nere; una specie di essere che formasse parte essenziale della scrivania davanti alla quale stava a sedere, e che avesse la stessa quantità di pensiero e di sentimento.
Dopo un silenzio di pochi minuti, il signor Dodson, un uomo forte, pingue, dal piglio severo e dalla voce sonora, apparve; e la conversazione incominciò.
— Ecco il signor Pickwick, — disse Fogg.
— Ah! siete voi, signore, il convenuto nella causa Bardell e Pickwick? — domandò Dodson.
— Proprio, signore, — rispose il signor Pickwick.
— Ebbene, signore, — disse Dodson, — e che cosa ci venite a proporre?
— Ah! — fece Fogg, cacciandosi le mani nelle tasche dei calzoni e sdraiandosi sulla seggiola, — che ci venite a proporre, signor Pickwick?
— Zitto, Fogg, — disse Dodson, — lasciatemi sentire quel che ha da dire il signor Pickwick.
— Son venuto, signori, — rispose il signor Pickwick guardando placidamente i due avvocati, — son venuto, signori per esprimervi la sorpresa con la quale ho ricevuto la vostra lettera dell’altro giorno, e per domandare che elementi di azione potete avere a mio carico.
— Che elementi!... — esclamò Fogg, ma il collega Dodson gli mozzò la parola in bocca.
— Signor Fogg, vi prego, vorrei parlare.
— Domando scusa, signor Dodson, — disse Fogg.
— In quanto agli elementi di azione, signore, — riprese Dodson con un’aria piena di elevazione morale, — voi consulterete la vostra coscienza e i vostri sentimenti. Noi, signore noi siamo guidati intimamente dall’asserzione della nostra cliente. Ora, questa asserzione può esser vera o falsa; può essere credibile o incredibile; ma se è vera, se è credibile, io non esito a dire, signore, che i nostri elementi di azione sono solidi, signore, sono incrollabili. Voi, signore, potete essere così un disgraziato come un furbo; ma se io dovessi esprimere una opinione sulla vostra condotta e fossi chiamato a giurare, io non starei in forse un momento e non potrei avere che una opinione sola.
E così dicendo Dodson si raddrizzò con l’aria di una virtù offesa, e guardò a Fogg, che cacciò le mani più in fondo alle tasche, e scuotendo saviamente il capo disse con tono di piena approvazione:
— Certissimamente.
— Ebbene, signore, — disse il signor Pickwick con un riso piuttosto addolorato, — permettetemi di assicurarvi che io sono un uomo disgraziatissimo, almeno in questo caso che abbiamo alle mani.
— Io spero che sia così come dite, — rispose Dodson; — lo spero e lo credo anche, signore. Se realmente voi siete innocente dell’accusa che vi vien mossa, siete molto più disgraziato di quanto alcun uomo possa essere. Che ne dite voi, Fogg?
— Dico precisamente quel che dite voi, — rispose Fogg con un sorriso d’incredulità.
— L’atto che ha iniziato l’azione, — continuò Dodson, — è stato regolarmente spiccato. Dov’è il registro, signor Fogg?
— Ecco, — rispose Fogg, porgendo di sopra alla tavola un libraccio rilegato in cartapecora.
— Ed ecco qua la nota, — riprese Dodson. — "Middlesex. Marta Bardell, vedova, in Samuele Pickwick. Danni lire sterline 1500. Dodson e Fogg per la querelante, 28 agosto 1827." Tutto in regola, caro signore, perfettamente in regola.
E Dodson tossì e guardò a Fogg il quale ripetette: — Perfettamente! — e poi entrambi guardarono al signor Pickwick.
— Debbo dunque inferirne, — disse il signor Pickwick, — che sia realmente vostra intenzione di procedere in questa azione?
— Inferire! ma senza un dubbio al mondo, — rispose Dodson con una specie di sorriso come la sua gravità glielo consentiva.
— E che i danni sono calcolati ammontare a millecinquecento sterline?
— Al che potete aggiungere la mia assicurazione che se la nostra cliente avesse inteso noi, sarebbero stati calcolati il triplo, signore, — rispose Dodson.
— Credo però, — osservò Fogg dando una occhiata al collega, — che la signora Bardell abbia esplicitamente dichiarato che non avrebbe ceduto nemmeno di un mezzo scellino.
— Certissimamente, — rispose Dodson con un suo cipiglio. Perchè l’azione era appena iniziata, e non metteva conto indurre il signor Pickwick ad una transazione, quand’anche vi fosse stato disposto.
— Siccome voi non fate alcuna proposta, signore, — disse Dodson, spiegando un foglio di cartapecora nella mano destra, e porgendo affettuosamente con la sinistra al signor Pickwick una copia di quello in carta semplice, — eccovi pel momento una copia dell’atto. Questo qui è l’originale.
— Benissimo, signori, benissimo, — esclamò il signor Pickwick alzandosi e cominciandosi a scaldare; — ve la sentirete col mio avvocato.
— Ne saremo lietissimi, — disse Fogg, fregandosi le mani.
— Lietissimi, — ripetette Dodson, aprendo la porta.
— E prima di andar via, signori, — disse il signor Pickwick sempre più adirato e volgendosi indietro sulla soglia, — permettetemi di dirvi che di tutte le furfanterie e le gaglioffaggini...
— Un momento, signore, un momento, — interruppe Dodson con grande affabilità — Signor Jackson, signor Wicks!
— Signore? — risposero i due scrivani, apparendo in fondo alla scala.
— Desidero soltanto che udiate quel che dice questo signore, — disse Dodson. — Vi prego, signore, proseguite... Dicevate dunque... le furfanterie e le gaglioffaggini...?
— Sì, o signore, — disse il signor Pickwick uscendo a dirittura dai gangheri. — Sì, io diceva che di tutte le furfanterie e le gaglioffaggini che mai furono al mondo, questa è senza dubbio la maggiore di tutte. E lo ripeto, signore.
— Avete inteso, signor Wicks? — disse Dodson.
— Terrete bene a mente queste espressioni, signor Jackson? — disse Fogg.
— Forse, signore, non sareste alieno dal chiamarci dei borsaioli, — disse Dodson. — Prego, prego, se vi sentite disposto, fate pure, non abbiate riguardo.
— E non ne ho, signore, — esclamò il signor Pickwick. — E ve lo dico in faccia che siete dei borsaioli.
— Benissimo, — approvò Dodson. — Voi potete udire di laggiù, signor Wicks?
— Oh altro! — rispose Wicks.
— Fareste bene a montare un par di scalini, — suggerì Fogg.
— Avanti, signore, avanti. Potete anche darci del ladro signore; o forse vi piacerebbe meglio di darci addosso. Fatelo, signore, vi prego, fate pure; noi non faremo la minima resistenza. Servitevi, prego.
E siccome la tentazione era forte, perchè Fogg si accostava molto ed entrava in misura del pugno serrato del signor Pickwick, c’è poco da dubitare che questi l’avrebbe contentato largamente, se non fosse stato per Sam, il quale, al rumore della disputa, sbucò dallo studio, montò le scale, ed afferrò pel braccio il suo padrone.
— Venite via, signore, venite via! — disse il signor Weller. — È una bella cosa giocare al volante, quando però non siete voi il volante e le racchette non sono due avvocati. A questo modo, il giuoco diventa troppo eccitante. Venite via. Se proprio vi bisogna sollevarvi lo spirito, cazzottando qualcuno, andiamo giù nel cortile e sfogatevi sopra di me; ma qui la faccenda costerebbe troppo cara.
E senz’altri complimenti, il signor Weller rimorchiò il suo padrone giù per le scale, e avendolo depositato sano e salvo in Carnhill, si fece indietro e si dispose a seguirlo dove meglio a lui piacesse.
Il signor Pickwick andò avanti astrattamente, traversò di faccia, a Mansion House e si diresse verso Cheapside. Sam incominciò ad esser curioso di sapere dove s’andava, quando il padrone si voltò e disse:
— Sam, voglio andar subito dal signor Perker.
— Proprio dove avreste dovuto andare ieri sera, — rispose Sam.
— Così credo, Sam.
— Ed io ne son certo.
— Bene, bene, Sam, — rispose il signor Pickwick, — ci andiamo subito; ma prima, per calmarmi un poco, vorrei prendere un bicchiere di acquavite con acqua calda. Dove se ne può trovare, Sam?
Il signor Weller aveva Londra, come si suol dire, in punta di dita; sicchè, senza nemmeno pensarci, rispose:
— Secondo cortile sulla dritta, penultima casa dalla stessa parte, prendere il camerino accanto alla prima stufa, perchè la tavola non ha una gamba nel mezzo, come l’hanno tutte l’altre, che è una cosa incomodissima.
Il signor Pickwick seguì le istruzioni del suo domestico, e dicendogli di seguirlo, entrò nell’indicata bottiglieria, dove gli fu subito portata dell’acquavite e dell’acqua calda. Il signor Weller, seduto ad una rispettosa distanza, benchè alla stessa tavola col suo padrone, fu servito con un boccale di birra.
La sala aveva un aspetto molto alla buona, e pareva essere sotto il patronato dei cocchieri di diligenze; perchè parecchi signori, che mostravano appartenere a quella dotta professione, se ne stavano bevendo e fumando nei vari scompartimenti. C’era fra gli altri, seduto nello scompartimento di faccia, un vecchio forte e colorito, che attirò l’attenzione del signor Pickwick. Il vecchio fumava con gran veemenza, ma ad ogni mezza dozzina di boccate di fumo, si spiccava la pipa dalle labbra, e guardava un po’ al signor Weller, un po’ al signor Pickwick. Poi nascondeva in un boccale che aveva davanti tanta parte della faccia quanta le dimensioni del boccale stesso consentivano, e dava un’altra occhiata a Sam e un’altra al signor Pickwick. Tornava quindi a tirare un’altra mezza dozzina di boccate con aria di profonda meditazione e da capo alzava gli occhi a guardarli. E finalmente, stendendo le gambe sulla panca dov’era seduto e appoggiando le spalle al muro, si diè a fumare senza interruzione di sorta, ed a spalancar gli occhi attraverso le nuvole di fumo addosso ai due nuovi venuti, come se si fosse ben deciso a guardarli il più che potesse.
Sulle prime le evoluzioni dell’uomo grosso erano sfuggite all’osservazione del signor Weller, ma a poco a poco vedendo gli occhi del signor Pickwick voltarsi a tutti i momenti da quella parte, incominciò a guardare nella medesima direzione, facendosi ombra con la mano, come se in parte riconoscesse l’oggetto a lui davanti, e desiderasse assicurarsi della sua identità. I suoi dubbi però furono subito dileguati; perchè dopo che l’uomo forte e colorito ebbe messo fuori una nuvolaccia di fumo nero, una voce simile ad uno strano sforzo di ventriloquio emerse di sotto agli ampii scialli che gli avvolgevano la gola ed il petto e lentamente pronunciò due sole parole:
— Ohe, Sam!
— Chi è colui, Sam? — domandò il signor Pickwick.
— Non l’avrei mai creduto, signore, — rispose il signor Weller sbarrando tanto d’occhi. — È il vecchio.
— Il vecchio? — disse il signor Pickwick. — Che vecchio?
— Il mio vecchio genitore, — rispose il signor Weller. — Come si va, caro antenato mio?
E con questa bella ebollizione di affetto filiale, il signor Weller fece posto sulla panca che occupava all’uomo grosso, il quale si avanzò, pipa in bocca e brocca in mano, per salutarlo.
— Ohe, Sam, — disse il padre, — son due anni e più che non ti vedevo.
— Bravo, due anni, vecchio mattacchione, rispose il figlio. — E come sta la signora matrigna?
— Se t’ho da dire la verità, Sam, — disse con grande solennità di modi il signor Weller seniore, — te la dico subito; non ci fu mai una più brava donna come vedova di questa mia seconda metà; una creatura da leccarsene le dita Sam, e tutto quel che posso dire di lei adesso gli è che delle vedove come lei non se ne trovano due e per questo fu un gran peccato che la mutasse di condizione. Non si conduce mica da moglie, Sam.
— No, eh? — fece il signor Weller juniore
Il vecchio signor Weller crollò il capo sospirando e rispose:
— L’ho fatta una volta soverchia, Sam, una volta soverchia l’ho fatta. Pigliate esempio da vostro padre, bambino mio, e guardatevi sempre dalle vedove vita natural durante specialmente se hanno tenuto osteria o altra cosa così, Sam.
Ed emesso che ebbe questo consiglio paterno con gran tenerezza, il signor Weller seniore ricaricò la pipa con certo tabacco che prese da una scatola di latta che portava in tasca, e accendendo la novella pipa alle ceneri dell’altra, ricominciò a fumare a pieni polmoni.
— Domando scusa, signore, — disse poi riappiccando il discorso, dopo un lungo silenzio e volgendosi al signor Pickwick; — niente di personale, spero; spero che non siate mica vedovo, signore?
— No, no, — rispose ridendo il signor Pickwick; e mentre il signor Pickwick rideva, Sam informò a bassa voce il suo genitore delle relazioni che lo legavano a quel signore.
— Domando scusa, signore, — disse il signor Weller seniore, cavandosi il cappello; — spero che non abbiate a lamentarvi di Sam?
— Per nulla, — rispose il signor Pickwick.
— Mi fa molto piacere, — rispose il vecchio; — non m’è costata poca fatica la sua educazione, signore; l’ho lasciato fin da ragazzo che corresse per le vie e si trovasse da sè un ricovero. È il solo modo perchè un ragazzo venga su svelto ed accorto.
— Un certo modo alquanto pericoloso, mi pare, — disse il signor Pickwick sorridendo.
— E nemmeno troppo sicuro, — aggiunse il signor Weller; — l’altro giorno, per esempio, me l’hanno accoccata in tutta regola.
— Proprio!— esclamò il padre.
— Proprio, — ripetette il figlio; e prese a narrare, colla maggior possibile brevità, come fosse stato preso ai lacciuoli di Job Trotter.
Il signor Weller seniore stette a sentire con la più profonda attenzione, e poi disse:
— Non è uno di questi due figuri un coso secco e lungo, con tanti capelli, e una lingua galoppina?
Il signor Pickwick non capì troppo chiaramente la seconda parte di questa descrizione, ma avendo inteso la prima rispose a caso di sì.
— L’altro poi, un testone coi capelli neri e una livrea color violetto?
— Sì, sì, proprio lui! — dissero ad una voce e con calore il signor Pickwick e Sam.
— Allora so dove si trovano, e questo è tutto, — disse il signor Weller; — stanno tutti e due ad Ipswich, sani e salvi.
— No! — fece il signor Pickwick.
— Fatto, — disse il signor Weller, — e vi dirò subito come lo so. Io guido di tanto in tanto per un amico mio una diligenza di Ipswich. Me ne venivo appunto il giorno dopo la sera che prendeste il reumatismo, ed al Piccolo Moro a Chelmsford, dove erano smontati, li rilevai e li portai dritto ad Ipswich, dove il domestico, quegli dalla livrea violetta, mi disse che si sarebbero fermati molto a lungo.
— Ebbene, lo raggiungerò, — disse il signor Pickwick; — tanto vedere Ipswich quanto un’altra città. Lo raggiungerò.
— Siete proprio sicuro che fossero loro, vecchio genitore? — domandò il signor Weller juniore.
— Sicurissimo, Sam, sicurissimo, — rispose il padre; — perchè a vederli danno subito nell’occhio; e di più, mi faceva caso che padrone e servitore stessero in tanta intrinsichezza; e, ancora di più, siccome sedevano di spalle proprio dietro la cassetta, li sentii che ridevano e dicevano che gliel’avevano ficcata al vecchio "barilotto".
— Vecchio che? — esclamò il signor Pickwick.
— Vecchio barilotto, signore; e io non dubito per niente che intendessero parlar di voi.
Non c’è proprio nulla di positivamente oltraggioso e vituperevole nell’appellativo di "vecchio barilotto", ma non si può dire che sia una designazione molto lusinghiera o rispettosa. Il ricordo di tutti i torti inflittigli da Jingle era tornato vivo e colorito nella mente del signor Pickwick, nel momento stesso che il signor Weller avea cominciato a parlare; non ci voleva che una piuma leggerissima per far traboccare la bilancia; e il "vecchio barilotto" fu appunto questa piuma
— Io lo raggiungerò! — esclamò il signor Pickwick, dando sulla tavola un pugno eloquente.
— Doman l’altro, — disse il signor Weller padre, — ho da andare ad Ipswich con la diligenza dal Toro di Whitechapel; e se proprio avete intenzione di andarci, meglio è che veniate con me.
— Certamente, — approvò il signor Pickwick; — scriverò a Bury per avvertirli che mi raggiungano ad Ipswich. Verremo con voi. Ma non scappate, signor Weller, vi prego, non vorreste prendere qualche cosa?
— Troppa bontà, — rispose il signor Weller fermandosi di botto; — credo che un bicchierino d’acquavite per bere alla salute vostra e alla felicità di Sam non ci starebbe mica male.
— No di certo, — rispose il signor Pickwick. — Ehi, bottega, un bicchiere d’acquavite.
Fu portata l’acquavite; e il signor Weller, con un saluto al signor Pickwick e una strizzatina d’occhio a Sam, vuotò d’un fiato il bicchiere come se si fosse trattato di un ditale.
— Bravissimo, babbo, — disse Sam; — badate però, vecchio mio, che non vi torni una toccatina del vostro vecchio malanno, la gotta.
— Ho trovato una cura numero uno per la gotta, Sam — rispose il signor Weller posando il bicchiere.
— Una cura per la gotta! — esclamò il signor Pickwick cavando in fretta il suo portafogli; — e qual’è?
— La gotta, signore, — rispose il signor Weller, — la gotta è un certo malanno che viene dalle troppe comodità e dall’averne troppi. Se mai vi piglia la gotta, signore, subito sposatevi una vedova che abbia una buona dose di voce e che se ne serva discretamente, e la gotta ve lo dico io che non torna più. È una ricetta miracolosa, signore. Io la prendo regolarmente tutti i giorni, e posso garentire che son sicuro da qualunque malattia prodotta dallo star troppo bene.
Ed avendo così comunicato questo prezioso segreto, il signor Weller vuotò una seconda volta il suo bicchiere, ammiccò in maniera molto complicata, trasse un profondo sospiro, e lentamente si allontanò.
— Ebbene, Sam, che ne pensate di quel che dice vostro padre? — domandò sorridendo il signor Pickwick.
— Che ne penso!— rispose il signor Weller; — penso che il pover’uomo è vittima della connubiabilità, come disse il cappellano privato di Barba Blù con una lagrima pietosa quando andò a vederlo atterrare.
Non c’era da rispondere a questa conclusione calzante, epperò il signor Pickwick, pagato ch’ebbe il conto, riprese il suo cammino alla volta di Gray’s Inn. Quando però fu giunto in questi remoti stambugi, le otto erano già suonate, e la corrente non interrotta di calzoni impillaccherati, cappelli bianchi ingrassati, e vestiti logori, che si riversavano per le varie vie di uscita, lo fecero accorto che la maggior parte degli studi erano chiusi.
Dopo essersi inerpicati per certe scale sudice e rovinose, trovò che le sue previsioni erano giuste. La porta esterna del signor Perker era chiusa; e il silenzio di tomba che seguì ai calci ripetuti del signor Weller, annunziò loro che gli impiegati aveano per quella sera smesso bottega.
— Ecco un bel caso, Sam, — disse il signor Pickwick; — non dovrei perdere nemmeno un minuto per vederlo; son sicuro che non potrò chiudere occhio per tutta la notte, se non ho la soddisfazione di pensare che ho messa questa faccenda nelle mani di un uomo del mestiere.
— Ecco qua una vecchia che va su, — rispose Sam; — forse lei saprà dove possiamo trovar qualcuno. Ohe, vecchia signora, dov’è la gente del signor Perker?
— La gente del signor Perker, — rispose una vecchia magra e dall’aspetto miserabile, fermandosi per ripigliar fiato dopo salite le scale; — la gente del signor Perker è andata via, ed io vado su a rassettar lo studio.
— Siete la fantesca del signor Perker? — domandò il signor Pickwick.
— Sono la lavandaia del signor Perker, — rispose la vecchia.
— Ah, — disse il signor Pickwick sottovoce a Sam, — è curioso, Sam, che in queste case tutte le vecchie le chiamano lavandaie. Vorrei proprio sapere perchè.
— Perchè, mi figuro io, hanno un’avversione mortale a lavare qualunque cosa, — rispose il signor Weller.
— Non mi farebbe maraviglia che la cosa stesse così, — disse il signor Pickwick, guardando la vecchia, il cui aspetto come la condizione miserevole dello studio ch’ella aveva già aperto, davano a vedere una antipatia radicata all’applicazione dell’acqua e del sapone. — Sapreste dirmi, buona donna, dove potrei trovare il signor Perker?
¾ No, non so, — rispose di mala grazia la vecchia; — non è in città adesso.
— È una cosa dispiacevole, — disse il signor Pickwick. — E sapreste invece dov’è il suo giovane di studio?
— Sì che lo so, ma credo che non mi ringrazierebbe mica se ve lo dicessi, — rispose la lavandaia.
— Ho da parlargli di cosa molto importante, — disse il signor Pickwick.
— Non fa lo stesso per domani?
— No, per dir la verità.
— Allora, se gli è così che si tratta di un affare, vi dirò dove lo si può trovare che poi non c’è nulla di male se ve lo dico. Se andate alla Pica e il Ceppo e domandate del signor Lowten al banco, vi ci condurranno, ed è proprio lui il giovane del signor Perker.
Con questa direzione ed essendo inoltre stati informati che l’osteria in questione era situata in fondo ad un cortile, che aveva il vantaggio di stare tra Clare Market e New Inn, il signor Pickwick e Sam ridiscesero in salvamento la scala dirupata e andarono insieme alla ricerca della Pica e il Ceppo.
Questa favorita osteria, consacrata alle orgie notturne del signor Lowten e dei suoi compagni, era quel che la gente comune avrebbe chiamata una taverna. Che il padrone fosse un uomo interessato e un accorto speculatore si vedeva chiaro da questo, che un meschino bugigattolo posto sotto la finestra della sala terrena, non molto dissimile per grandezza e per forma da una portantina, era subaffittato ad un ciabattino; e ch’ei fosse un filantropo si rilevava dalla protezione accordata ad un pasticciere, il quale, senza paura d’esser disturbato, sciorinava sulla porta le sue leccornie. Dietro i vetri delle finestre, le quali erano decorate di tende color zafferano, pendevano due o tre fogliacci stampati che parlavano di cedro del Devonshire e di mescolanza di Danzica, mentre un largo cartello nero annunziante in lettere bianche al pubblico illuminato che vi erano 500.000 barili di birra doppia nelle canove dello stabilimento, gettava la mente in una non ingrata incertezza relativamente alla direzione precisa verso cui si potesse estendere questa immensa caverna nelle viscere della terra. Quando avremo aggiunto che sulla logora insegna era a metà scancellata la figura di una pica assorta nella contemplazione di una striscia torta di color grigio, che i vicini fin dall’infanzia aveano imparato a considerare come "il ceppo", avremo detto quanto bisogna dell’esterno dell’edificio.
Non sì tosto il signor Pickwick si fu presentato al banco, una donna attempata emerse di dietro a un parafuoco e gli si fece avanti.
— È qui il signor Lowten, signora? — domandò il signor Pickwick.
— C’è, sissignore, — rispose la padrona. — Ehi, Charley, fate entrare il signore dal signor Lowten.
— Non può entrare adesso il signore, — disse un garzone sciattato e rosso di capelli, — perchè il signor Lowten sta cantando una canzonetta e non vuol seccature. È presto finito, signore.
Non avea ancora il garzone finito di parlare, che un gran tambussare di tavole e tintinnìo di bicchieri annunziò che la canzone era terminata in quell’istante; e il signor Pickwick, dopo aver detto a Sam che si ristorasse nella prima sala, si lasciò guidare alla presenza del signor Lowten.
All’annunzio di "un signore che vuol parlarvi" un giovane paffuto, che occupava la sedia presidenziale a capo tavola, guardò con una certa sorpresa nella direzione donde la voce procedeva, e la sorpresa non sembrò punto diminuire, quando i suoi occhi incontrarono una persona che non avea mai visto prima.
— Domando scusa signore, — disse il signor Pickwick, — e sono anche dolentissimo di disturbare questi altri signori; ma vengo per cosa molto particolare; e se permettete ch’io vi intrattenga per soli cinque minuti, vi sarò obbligatissimo.
Il giovane paffuto si alzò e tirandosi dietro una seggiola in un angolo della stanza presso il signor Pickwick, prestò attento ascolto alla sua storia di dolore.
— Ah! — fece poi, quando il signor Pickwick fu giunto alla conclusione, — Dodson e Fogg! dei furbi di prima forza Dodson e Fogg, caro signore.
Il signor Pickwick ammise l’abilità e la furberia di Dodson e Fogg, e Lowten riprese a dire:
— Perker è fuori, e non tornerà prima della fine della settimana ventura, ma se vi preme che la cosa vada e volete lasciare la copia a me, posso far io tutto ciò che ci vuole fino a che non torni lui.
— Gli è appunto per questo che son venuto, — disse il signor Pickwick porgendo a Lowten il documento in questione. — Qualunque cosa di speciale accade, potete scrivermi ad Ipswich, fermo in posta.
— Non ci vuol altro, — rispose il giovane del signor Perker; quindi vedendo che gli occhi del signor Pickwick si volgevano con una certa curiosità verso la tavola, aggiunse:
— Volete star con noi una mezz’oretta? Compagnia stupenda stasera. C’è il giovane di Samkin e Green, il copista di Smither e Price e il galoppino di Pimkin e Thoms... sentirete che arietta sa cantare... e poi Jack Ramber e poi tanti altri. Voi venite dalla provincia, suppongo. Volete onorarci?
Il signor Pickwick non poteva resistere ad una opportunità così favorevole di studiare la natura umana. Si lasciò condurre verso la tavola, dove, dopo essere stato con le debite formalità presentato alla brigata, si pose a sedere accanto al presidente e ordinò un bicchiere della sua bevanda favorita.
Un profondo silenzio, affatto contrario alle aspettazioni del signor Pickwick, successe.
— Soffrite il fumo, signore? — gli domandò il suo vicino di destra, un signore in camicia a scacchi e bottoni a mosaico, con un sigaro in bocca.
— No certamente, — rispose il signor Pickwick; — mi piace anzi moltissimo, benchè non sia fumatore.
— Per me, mi dispiacerebbe assai di non esserlo, — venne su un altro signore dall’altro capo della tavola. — La pipa per me mi fa da tavola e alloggio.
Il signor Pickwick guardò a quel signore, e pensò che sarebbe stato meglio per lui se la pipa gli avesse anche fatto da lavanda.
Seguì un’altra pausa. Il signor Pickwick era un forestiero, e la sua venuta aveva evidentemente intiepidito il buon umore della brigata.
— Il signor Grundy ci regalerà adesso una canzone, — disse il presidente.
— Non credo, — rispose il signor Grundy.
— E perchè no? — domandò il presidente.
— Perchè non posso, — disse il signor Grundy.
— Dite piuttosto che non volete, — ribattè il presidente.
— Ebbene, no, non voglio, ecco fatto, — conchiuse il signor Grundy.
Questo reciso rifiuto produsse un altro silenzio.
— Non c’è nessuno che ci rimetta un po’ su? — disse il presidente afflitto e mortificato.
— Perchè non ci rimettete su voi stesso, onorevole presidente? — interrogò dal fondo della tavola un giovane losco in baffi, pizzo, e colletto di camicia aperto (e sudicio).
— Udite! Udite! — disse il fumatore dai bottoni di mosaico.
— Perchè non so che una sola canzone, e l’ho già cantata; e voi sapete che chi ripete in una notte la stessa canzone paga da bere a tutti, — rispose il presidente.
Questa risposta era convincentissima e da capo si fece silenzio.
— Sono stato stasera, o signori, — disse il signor Pickwick, sperando di attaccare un argomento alla discussione del quale tutta la brigata potesse prender parte, — sono stato stasera in un certo luogo che voi tutti conoscerete benissimo, ma che io rivedevo per la prima volta dopo tanti anni e del quale ben poco conosco; intendo parlare di Gray’s Inn, signori. Curiosi bugigattoli quelle vecchie locande in una grande città come Londra.
— Perbacco! — esclamò il presidente, parlando a bassa voce al signor Pickwick attraverso la tavola, — voi avete colto un certo soggetto sul quale uno di noi, almeno, parlerebbe in eterno. Tirerete fuori dal suo guscio il vecchio Jack Bamber; nessuno l’ha sentito parlar mai d’altra cosa, e ci ha vissuto solo tanto tempo che n’è quasi ammattito.
L’individuo cui Lowten alludeva era un omicciattolo giallo e un po’ aggobbato, che avea l’abitudine di star molto chinato quando taceva, sicchè il signor Pickwick non ne avea prima d’allora notato l’aspetto. Si meravigliò, quando il vecchio alzò la faccia aggrinzita e gli fissò addosso gli occhi grigi e lucenti, che dei tratti così notevoli gli fossero sfuggiti anche per un momento. Un tetro sorriso stava fisso sulle labbra dell’omicciattolo, il quale appoggiava il mento ad una mano scarna con unghie di straordinaria lunghezza, e nel piegare che faceva il capo da una parte spingendo lo sguardo penetrante di sotto alle folte e grigie sopracciglia, c’era in tutto lui una espressione di strana e selvaggia astuzia, molto repulsiva a vedere.
Tale era la figura che venne su ad un tratto prorompendo in un impetuoso torrente di parole. Ma siccome questo capitolo è già lungo abbastanza e il vecchio era un personaggio notevolissimo, ci sarà più deferenza per lui e più convenienza per noi, se lo lasceremo parlare in un capitolo a posta.