< Il Circolo Pickwick
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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Nel quale il vecchio si caccia nel suo tema favorito e narra una storia a proposito di uno strano cliente
Capitolo 20 Capitolo 22

— Ah, ah! — esclamò il vecchio, del quale nel capitolo precedente abbiamo brevemente descritto l’aspetto ed i modi; — ah, ah! chi è che parlava di Gray’s Inn?

— Io, signore, — rispose il signor Pickwick; — ed appunto facevo notare la singolarità di quelle vecchie locande

— Voi! — disse in tono dispregiativo il vecchietto giallo. — E che sapete voi del tempo in cui tanti giovani si rinserravano in quelle camere solitarie, e leggevano e leggevano per tante ore di fila, per tante notti di fila, fino a che la loro ragione vacillava scossa dalle lunghe veglie e dall’intensità degli studi, fino a che le loro facoltà mentali erano esaurite, fino a che rompendo la luce del giorno non portava loro nè vigore nè salute; ed essi miseramente soccombevano, ricchi ancora di gioventù e di avvenire, sotto il peso ingrato dei loro libracci aridi e decrepiti? E che sapete voi, venendo più giù, ad un’epoca ben diversa, che sapete dei lunghi patimenti, della consunzione lenta, della febbre divoratrice, di tutti i grandi risultati della gran vita e della dissipazione, pei quali in quelle medesime camere tanti altri uomini caddero e scomparvero? Quanti sciagurati, dopo avere invano supplicato per mercè, quanti credete che abbiano volte le spalle col cuore spezzato allo studio dell’uomo di legge, per cercare un rifugio nella prigione o un luogo di riposo in fondo al Tamigi? Non son delle case come tutte le altre quelle lì. Non c’è uno stipite, non c’è un uscio, non c’è un fregio, non c’è un chiodo, che non potrebbe, se fosse dotato di memoria e di parola, schizzar fuori dalle pareti e narrare la sua storia di orrore... il romanzo della vita, signore, il romanzo della vita. Per ordinarie e comuni che possano adesso parere, io vi dico, signore, che sono case quelle molto singolari, ed io udrei piuttosto molte e molte leggende paurose che non la vera storia di poche camere decrepite.

C’era tanta stranezza nella impetuosa energia del vecchio e nel soggetto che l’aveva subitamente destata, che il signor Pickwick non ebbe parole pronte per rispondere; e il vecchio contenendo un tratto la sua furia, e tornando a sorridere del suo sorriso beffardo che era scomparso durante il primo eccitamento, disse:

— Guardatele poi sotto un’altra luce: nel loro aspetto più ordinario e meno romantico: che bei luoghi di lenta tortura! Pensate all’infelice che ha dato fondo a tutto il suo avere, che s’è ridotto alla miseria, che ha beccato e munto gli amici, per cacciarsi in una professione che non gli darà mai e poi mai un tozzo di pane. Pensate alle aspettazioni, alla speranza, al disinganno, ai timori, alla miseria, alla povertà, alla disperazione finale, alla sua disgraziata carriera che va a metter capo forse nel suicidio o, meglio ancora, nell’ubbriachezza sciattata e in ciabatte. Non vi pare che abbia ragione, eh? non vi pare?

E il vecchietto giallo si fregò le mani e ghignò quasi di compiacenza per aver trovato un altro punto di vista da far spiccare il suo soggetto.

Il signor Pickwick guardò al vecchio con grande curiosità, e il resto della brigata sorrise e stette intenta e silenziosa.

— E venitemi poi a parlare delle vostre Università di Germania, — riprese il vecchio. — Poh, poh! c’è tanto romanzo in casa nostra, senza che vi sia bisogno di scostarsene nemmeno di mezzo miglio; soltanto che nessuno ci bada, ecco.

— È certo che prima d’ora, — disse il signor Pickwick ridendo, — non avevo mai pensato al romanzo che questo speciale soggetto potesse contenere.

— Si capisce che non ci abbiate pensato, — ribattè il vecchio, — è naturalissimo. Così un amico mi domandava sempre: "Che c’è di singolare in quelle camere?" — "Curiosi bugigattoli" rispondevo io. — "Niente affatto" diceva lui. — "Un po’ solitarie" gli facevo osservare. — "Nemmeno per sogno" diceva lui. Un bel mattino morì d’un colpo di apoplessia, mentre stava per aprire la porta d’uscita. Cadde col capo nella propria buca delle lettere, e rimase lì per diciotto mesi di fila. Tutti credettero che fosse partito.

— E come lo si trovò poi? — domandò il signor Pickwick.

— Si dovette forzar la porta, visto che per due anni non aveva pagato la pigione. Bene. Fu fatta saltar la toppa; ed ecco uno scheletro tutto polveroso in soprabito turchino, calzoni neri e calze di seta venne a cadere fra le braccia del portinaio che fu il primo ad entrare. Curiosa eh? non vi pare?

E il vecchietto piegò il capo più da una parte e tornò a darsi tutto soddisfatto una fregatina di mani.

— So di un altro caso, — riprese poi a dire quando si fu calmata in qualche modo la sua risata gutturale. — Accadde in Clifford’s Inn. Un inquilino di una soffitta, un pessimo carattere, si chiuse nello stanzino della sua camera da letto, e ingoiò una dose di arsenico. L’amministratore della casa credette ch’ei se ne fosse scappato, aprì la porta e attaccò l’appigionasi. Viene un altro, prende le camere, le mobilia, ci va a star di casa. In un modo o nell’altro, non gli riusciva di dormire, si sentiva un gran malessere, era inquieto. "Curiosa!" dice "passerò a dormire nella camera appresso, e di questa farò un salottino." Fa il cambiamento, dorme benissimo la notte, ma ad un tratto si accorge, nè sa capire il perchè, che non può leggere di sera; diventa nervoso, si sente a disagio, non fa che smoccolar la candela e guardarsi attorno con tanto d’occhi. "Non me la spiego" diceva una sera, dopo tornato dal teatro, e mentre beveva un bicchiere di ponce stando con le spalle al muro perchè non lo pigliasse l’idea che qualcuno gli stesse di dietro; — "non me la spiego" diceva; e in quel punto stesso gli caddero gli occhi sullo stanzino che era sempre stato chiuso, e un brivido gli corse per le vene e lo scosse tutto da capo a piedi. "Ho già provato questa strana sensazione" dice. "Non mi so liberare dal pensiero che qualche cosa ci debba essere di misterioso in quello stanzino." Fa un grande sforzo, si dà coraggio, rompe la serratura con uno o due colpi delle molle, apre la porta, ed ecco che si trova di faccia, ritto in un angolo scuro, l’ultimo inquilino, con la boccetta stretta in una mano e la faccia livida come per una morte penosa.

E così conchiudendo, il vecchietto guardò intorno con un sorriso di tetra soddisfazione ai visi intenti dello stupito uditorio.

— Strane cose son queste che ci narrate, — disse il signor Pickwick, esaminando minutamente la fisionomia del vecchio attraverso le lenti degli occhiali.

— Strane! — ripetette il vecchietto. — Ma che, ma che! vi paiono strane a voi, perchè non ne sapete nulla. Sono curiose, ma niente affatto straordinarie.

— Curiose! — esclamò involontariamente il signor Pickwick

— Già, curiose; non vi pare che siano curiose? — rispose il vecchietto giallo con un ghigno diabolico; e quindi, senza aspettare che altri rispondesse, continuò:

— Ho conosciuto un altro... vediamo un po’... saranno oramai una quarantina d’anni... che venne a stare in un quartierino vecchio, umido, mezzo rovinato, in una delle più antiche locande, e che era stato chiuso e vuoto per tanti e tanti anni. Si narravano su quella casa lì un sacco di storielle, e certamente la casa era tutt’altro che allegra. Ma egli era povero, e le camere erano a buon mercato, la quale sarebbe stata per lui una ragione più che sufficiente, quand’anche fossero state dieci volte peggiori di quel che erano. Dovette anche tenersi certi mobili tarlati che vi si trovavano, e fra gli altri un grande stipo di legno da riporvi carte, co’ vetri agli sportelli e delle tendine verdi di dentro; un certo mobile del quale non sapea che cosa farsene, non avendo carte da riporvi, e in quanto ai vestiti, ei se li portava indosso, e non dovea nemmeno per questo fare una gran fatica. Basta; s’aveva anche fatto portare tutta la mobilia sua, — meno di una mezza carretta, — e l’avea disseminata per la camera, per fare che le quattro seggiole paressero, per quanto era possibile, una dozzina, e se ne stava una tal sera davanti al fuoco, sorseggiando il primo bicchiere di due caraffe di acquavite che aveva comprato in credenza, domandandosi se mai le avrebbe pagate e dopo quanti anni, quando gli venne fatto di guardare ai vetri dello stipo. "Ah!" dice "se non fossi stato costretto a pigliarmi cotesta anticaglia al prezzo di stima, mi sarei procacciato qualche cosa di più comodo per riporvi il danaro. Ve la dico schietta, vecchia carcassa" — disse poi, parlando ad alta voce allo stipo, visto che non c’era con chi altro parlare, — "se non ci volesse più fatica a rompervi di quanto profitto ne potrei cavar dopo, farei di tutto voi in meno di niente una bella fiammata". Non aveva ancora finito di pronunciare queste parole, che un suono simile ad un gemito sembrò uscire dall’interno dello stipo. Alla prima, trasalì; ma pensando poi che il rumore doveva venire da qualcuno della camera appresso che era stato a desinar fuori e si ritirava a quell’ora tarda, stese i piedi sugli alari e pigliò le molle per attizzare il fuoco. In quel punto, il rumore si ripetette; ed uno degli sportelli aprendosi lentamente, lasciò vedere ritta in fondo allo stipo una figura pallida ed emaciata in abiti logori ed unti. La figura era lunga e magra, e l’espressione della faccia piena di tristezza; ma nel colore della pelle, nell’aspetto rigido e non umano di tutta la persona, c’era qualche cosa che non poteva appartenere a nessun essere di questo mondo. "Chi siete voi?" esclamò il nuovo inquilino, facendosi pallido come un cencio lavato ma nondimeno alzando le molle e pigliando una certa mira alla faccia dell’inatteso visitatore; — "chi siete?" — "Non mi gettate coteste molle" rispose l’apparizione; "quand’anche mi coglieste, mi passerebbero senza resistenza da banda a banda e non urterebbero che nel fondo dello stipo. Io sono uno spirito". — "E, di grazia, che avete da far qui?" domandò l’altro con voce fioca. — "In questa camera" rispose l’apparizione "si è compiuta la mia rovina, ed io e i miei figli fummo ridotti alla miseria. In questo stipo furono depositate ed accumulate per anni ed anni le carte del nostro processo. In questa camera, dove m’aveano lacerata l’anima il dolore diuturno e l’indugiata speranza, due sozze arpie si divisero le ricchezze per le quali io aveva combattuto tutta una vita sciagurata, e di cui finalmente nemmeno un misero penny avanzò ai miei discendenti infelici. Io gli atterrii improvvisamente mostrandomi, e da quella notte fatale sono andato vagando di notte — il solo periodo nel quale mi è lecito tornar sulla terra — pel teatro della mia lunga miseria. Questo appartamento è mio; andate; lasciatemelo". — "Se voi insistete a far qui le vostre apparizioni" disse il nuovo inquilino, che avea potuto raccogliere la sua presenza di spirito durante la prolissa lamentazione dello spettro "rinunzierò molto volentieri a questa abitazione; ma vorrei prima farvi, se me lo permettete, una sola domanda" — "Parlate" disse severamente lo spettro. "Ebbene" disse l’inquilino "io non voglio applicare a voi personalmente quest’osservazione, perchè è del pari applicabile a tutti gli spiriti dei quali ha inteso parlare, ma mi sembra di vedere una certa inconseguenza in questo fatto, che avendo voi la bella opportunità di visitare i più bei punti della terra — perchè mi figuro che lo spazio sia per voi come nulla — dobbiate poi ritornare precisamente nei luoghi dove siete stati tanto disgraziati". — "Perbacco, cotesto è verissimo, io non ci avevo mai pensato" disse lo spirito. — "Voi vedete, caro signore" riprese a dire l’inquilino "che non è mica una bella camera questa. Cotesto stipo, a vederlo, non giurerei che fosse affatto libero dalle cimici; ed io credo veramente che potreste trovare degli alloggi molto migliori, per non dir nulla del clima di Londra che sapete quanto sia sfavorevole". — "Avete ragione, signore" disse con grande affabilità lo spirito; "quest’idea non m’era venuta mai; proverò subito un cambiamento d’aria" — e in effetto, nel mentre stesso che parlava, incominciò a dileguarsi, e già le gambe erano sparite del tutto. "E se mai, caro signore" disse l’inquilino richiamandolo, "se volete aver la bontà di suggerire agli altri signori e signore colleghi vostri, che vanno ora bazzicando per le vecchie case, che potrebbero stare tanto meglio e con tanto più comodo altrove, voi rendereste un gran beneficio alla società". — "Vi servirò" rispose lo spirito; "bisogna dire che siamo degli sciocchi noi altri, molto sciocchi davvero; io non mi so far capace come mai siamo stati per tanto tempo così stupidi". E dicendo queste parole, lo spirito disparve; e quel che è molto notevole, — aggiunse il vecchietto giallo volgendo intorno uno sguardo pieno di astuzia, — non si fece mai più rivedere.

— Non c’è mica male, se è vero, — disse il signore dai bottoni di mosaico, accendendo un altro sigaro.

— Se! — esclamò il vecchietto con un’occhiata di supremo dispregio. — Mi figuro, — aggiunse poi volgendosi a Lowten, — che anche della mia storia sullo strano cliente, che ci capitò una volta quando io era in un ufficio di procuratore direbbe che non è vera, non mi farebbe nessuna maraviglia.

— Non ne direi proprio nulla, visto che non l’ho mai intesa, — osservò il proprietario dei famosi bottoni.

— Avrei tanto caro che ce la narraste, signore, — disse il signor Pickwick.

¾ Ah, sì, sì, narratela, — disse Lowten; — nessuno l’ha mai udita fuori di me ed io l’ho quasi dimenticata.

Il vecchio girò gli occhi intorno alla tavola, e ghignò più orribilmente che mai, quasi in trionfo per l’attenzione che si dipingeva su tutti i volti. Quindi raspandosi il mento con la mano, ed alzando gli occhi al soffitto come per richiamarsi alla memoria le circostanze del fatto incominciò come segue a narrare

La storia dello strano cliente.

"Poco importa — disse il vecchio — dove o come io abbia raccolto questa breve istoria. Se dovessi riferirla nello stesso ordine in cui giunse fino a me, dovrei cominciare dal mezzo e poi tornar da capo dopo esser giunto alla conclusione. Basterà dire che qualcuno degli incidenti principali l’ho veduto io cogli occhi miei; per gli altri so che sono accaduti, e vi sono molte persone tuttora viventi, che se li ricordano forse anche troppo.

"Nella Via Grande del Borough, presso la chiesa di San Giorgio e dalla stessa parte, si trova, come molti sanno, la più piccola delle nostre prigioni per debiti — la Marshalsea. Benchè in tempi più vicini a noi quella prigione siasi tratta un po’ fuori dal fango e dalla sozzura che l’affogavano, anche ora nelle sue condizioni migliorate non presenta che assai scarse tentazioni agli stravaganti e un assai magro conforto agli imprevidenti. Il reo condannato trova, in Newgate, più aria e più spazio che non abbia nella prigione della Marshalsea il debitore insolvibile.

"Forse sarà una mia impressione, forse sarà perchè non mi riesce di separare quel luogo da vecchi ricordi che vi si collegano, ma certo è che quella parte di Londra io non la posso soffrire. La strada è larga, le botteghe sono spaziose, e lo strepito delle carrozze, e dei passi incessanti della gran gente che vi brulica, e tutti i suoni del traffico irrequieto n’empiono l’aria dall’alba alla mezzanotte; ma le strade circonvicine sono anguste e sudice; la povertà e il vizio giacciono e marciscono nei malsani ed affollati tuguri; la miseria e la disgrazia stanno di casa nella stretta prigione; un’aria di tristezza e di tetraggine sembra, a me almeno, incombere su tutta la scena, e darle una tinta squallida e malaticcia.

"Molti occhi, già da gran tempo chiusi nella quiete del sepolcro, hanno guardato molto leggermente a questa scena, mettendo la prima volta il piede nella prigione della Marshalsea; perchè è raro che la disperazione ci colga al primo urto della sventura. Un uomo ha fiducia in amici non ancora provati, si ricorda le molte profferte di servigi che i compagni gli hanno fatte quando non ne aveva bisogno; serba una speranza — la speranza dell’inesperienza beata — e per quanto quel primo urto abbia potuto accasciarlo, essa gli sboccia nell’animo e per breve tempo vi sta in fiore, fino a che non si piega appassita sotto il soffio del disinganno e dell’abbandono. Come si son presto infossati quegli occhi, come hanno foscamente illuminato dei visi, che la fame smagriva, che il difetto d’aria e di luce faceva impallidire, in un tempo in cui non era già una figura rettorica il dire che i debitori marcivano in prigione senza speranza alcuna di uscirne più mai! Ora non esiste più in tutta la sua estensione questa barbarie, ma ce n’avanza anche troppa perchè nascano certe miserie da far sanguinare il cuore.

"Venti anni fa, il lastrico di quella prigione era consumato dai passi di una madre col suo bambino, i quali, tutti i giorni come la luce veniva, così venivano alla porta della prigione. Spesso, dopo una notte travagliata dai pensieri tristi e dalla miseria stringente, capitavano lì un’ora prima del solito, prima che la porta s’aprisse; e allora la giovane madre allontanandosi chetamente menava per mano il fanciullo sul vecchio ponte, e pigliandoselo in collo per fargli vedere l’acqua che scintillava ai primi raggi del sole e si agitava per l’affaccendarsi irrequieto che presenta il fiume a quell’ora, si studiava di fissare l’attenzione di lui sugli oggetti che gli stavano davanti. Ma poi subito lo riponeva a terra, e nascondendo la faccia nello scialle, lasciava scorrere tante lagrime che l’accecavano, perchè nessuna espressione di interesse o di piacere veniva a rischiarare il visino magro e infermiccio del fanciullo. Erano pochi i suoi ricordi, ma tutti della stessa specie, tutti legati alla povertà e alla miseria dei suoi genitori. Per tante e tante ore di fila egli era stato a sedere sulle ginocchia della mamma, contemplando con infantile simpatia le lagrime che le rigavano la faccia, e poi cheto cheto s’era ritirato in qualche cantuccio buio, dove singhiozzando avea preso sonno. Le dure realtà della vita, le peggiori privazioni, la fame e la sete, il freddo e il bisogno, egli le avea viste tutte in casa sua, viste e provate, fin dal primo albeggiare della ragione; e benchè avesse l’aspetto della fanciullezza, non ne aveva il cuore giocondo, l’allegra risata, gli occhi luccicanti.

"Il padre e la madre contemplavano tutto questo, e si guardavano l’un l’altro, con uno strazio dell’anima che non osavano esprimere a parole. L’uomo robusto, pieno di salute, che avrebbe sopportato ogni sorta di fatica, andava giorno per giorno deperendo nell’isolamento e nell’atmosfera malsana di una prigione affollata. La donna delicata e gentile soccombeva sotto gli effetti combinati della infermità fisica e morale; il cuoricino del fanciullo spezzavasi.

"Venne l’inverno e con esso le settimane fredde e piovose. La povera giovane era venuta a stare in un quartierino non lontano dalla prigione del marito; e benchè il cambiamento le fosse stato imposto dalla crescente loro povertà, ella era adesso più felice, perchè più vicina a lui. Per due mesi, la mamma e il fanciullo vennero come al solito tutte le mattine ad aspettare che la porta s’aprisse. Un giorno, per la prima volta, ella non si fece vedere. Un altro giorno venne, ed ella si presentò sola alla prigione. Il fanciullo era morto.

"Poco sanno coloro, i quali freddamente parlano delle perdite del povero come di una felice liberazione dal soffrire per chi se ne va e di un sollievo provvidenziale per chi sopravvive, — poco sanno quanto sia il dolore e la lacerazione di queste perdite. Uno sguardo muto di affetto e di sollecitudine quando tutti gli altri occhi sono voltati in là con indifferenza, la coscienza di possedere la simpatia ed il cuore di un solo essere quando tutti gli altri ci hanno abbandonati, — è un sostegno, una ragione che ci lega alla vita, un conforto nella più profonda desolazione che nessuna ricchezza potrebbe comprare, nessun potere al mondo potrebbe concedere. Il fanciullo era stato a sedere per ore ed ore ai piedi dei suoi genitori, con le manine pazientemente intrecciate, col visino emaciato volto in su a guardarli. Essi lo avevano visto appassire giorno per giorno; e benchè la sua breve esistenza fosse stata assai triste, ed ora ei fosse partito per quella pace e quel riposo che non avea mai conosciuto in questo mondo, essi in sostanza erano il padre e la madre, e quella perdita fu un’amarezza grande per l’anima loro.

"Era chiaro per tutti quelli che guardavano il viso disfatto della povera mamma che presto sarebbe venuta la morte a chiudere la scena delle sue sventure e delle sue prove. Gli amici del marito si tenevano delicatamente in disparte per non turbare il dolore di lui, e lasciavano a lui solo la cameretta che avea prima occupato in comune con due compagni. Ella la divise con lui; e tirando avanti senza pena, ma pur senza speranza, la vita di lei lentamente incominciò ad appassire.

"Era venuta meno una sera fra le braccia del marito, ed egli l’avea portata vicino alla finestra aperta, per vedere di rianimarla con l’aria fresca di fuori, quando i raggi pallidi della luna cadendo in pieno sulla faccia di lei, gli mostrarono tal mutamento nelle note fattezze, ch’ei sentì freddo per tutta la persona e tremò e fu per cadere, timido e disanimato come un fanciullo.

"— Mettimi a sedere, Giorgio, — diss’ella con un filo di voce.

"Egli la contentò subito e sedendole vicino, si coprì la faccia con le mani e dette in uno scoppio di pianto.

"È doloroso assai doverti lasciare, Giorgio, — diss’ella, — ma questa è la volontà di Dio, e tu devi accettarla e rassegnarti, caro Giorgio, per amor mio. Oh! quanto lo ringrazio di averselo preso il nostro bambino. Adesso è felice quella cara creatura, e felice nel cielo. Che avrebbe fatto qui senza sua madre?

"— Tu non morrai, Maria, non morrai, no! — esclamò il marito balzando in piedi. Prese a camminar concitato di qua e di là, dandosi nella testa coi pugni serrati; quindi, tornando presso di lei, e sostenendola teneramente fra le braccia, aggiunse più calmo:

"— Coraggio, bambina! su, Maria, animo, cara! Tu guarirai, tu guarirai.

"— Oh no, Giorgio, no! — disse la donna morente. — Fammi seppellire, Giorgio, vicino a quella povera creatura; ma promettimi che se mai uscirai un giorno da questo luogo orribile, e diventerai ricco, ci farai trasportare in qualche tranquillo cimitero di villaggio, lontano lontano, molto lontano di qua, Giorgio, dove potremo riposare in pace. Caro Giorgio, promettimi che lo farai.

"— Sì, sì, lo prometto! — rispose il marito cadendole davanti in ginocchi. — Parla, Maria, un’altra parola, dimmi un’altra parola; una sola; guardami...

"E tacque ad un tratto, perchè il braccio che gli si stringeva al collo si fece rigido e pesante. Un profondo sospiro partì da quella bocca; si mossero appena le labbra, e un sorriso venne ad illuminare quella faccia; ma le labbra erano pallide, e il sorriso si mutò in un riso fisso e gelato.

"Egli era solo al mondo.

"Quella notte, nel silenzio e nella desolazione della miserabile cameretta, lo sciagurato s’inginocchiò presso il cadavere della moglie, e chiamò Dio in testimonio di un giuramento terribile, che da quell’ora, da quel momento, ei si votava tutto a vendicar la morte di lei e quella del suo bambino; che da quel momento fino all’ultimo momento della sua vita, tutte le sue energie a questo solo scopo sarebbero state dirette, che la sua vendetta sarebbe lunga e terribile; che inestinguibile, eterno sarebbe l’odio suo, e per tutta la terra e sempre avrebbe seguito da vicino e rabbiosamente colui che n’era l’oggetto.

"La disperazione più profonda, l’angoscia lacerante, l’ira sovraumana, aveano fatto tali guasti sulla faccia e la persona di lui in quella sola notte, che i suoi compagni di sventura indietreggiarono inorriditi in vederlo. Avea gli occhi iniettati di sangue e grevi, il viso di un pallore cadaverico, la persona curva come per decrepitezza. Nella violenza del dolore e dello strazio, s’aveva morsicato il labbro inferiore quasi da parte a parte, e il sangue ch’era spicciato dalla ferita gli era scorso pel mento ed avea macchiato la cravatta e la camicia. Non gli sfuggiva nè un lamento nè una lagrima ma lo sguardo irrequieto, il passo concitato e disordinato coi quale andava su e giù pel cortile, davano chiaro a vedere la febbre che gli ardeva dentro.

"Era necessario che il corpo della moglie fosse subito portato via dalla prigione. Egli accolse questa comunicazione con perfetta calma e ne riconobbe la convenienza. Quasi tutti i carcerati s’erano raccolti per assistere a quella triste cerimonia; si divisero di qua e di là quando il vedovo apparve. Egli s’avanzò frettoloso, e si andò a fermare, solo, in uno spazio appartato vicino al cancello d’uscita, di dove la folla, con un senso istintivo di delicatezza, s’era ritirata. La rozza cassa era portata a spalla d’uomini, e veniva avanti lentamente. Un silenzio di morte si fece fra la folla, rotto soltanto dai lamenti soffocati delle donne e dai passi strascicanti degli uomini che portavano la cassa. Arrivarono al punto dove stava il vedovo; si fermarono. Egli stese la mano sulla cassa, e aggiustando quasi astrattamente il lenzuolo che la copriva, fece segno che andassero pure avanti. I carcerieri si cavarono il cappello al passaggio della morta e di lì ad un momento il pesante cancello le si chiuse alle spalle. Egli guardò con occhio vitreo, stupidito, alla gente che gli stava intorno, e stramazzò al suolo.

"Per molte settimane dopo l’ebbero a vegliare di continuo notte e giorno; e nei più selvaggi delirii della febbre nè la coscienza della perdita sofferta nè il ricordo del giuramento che avea fatto lo lasciarono un solo istante. Le scene mutavano e rimutavano davanti agli occhi suoi; mutavano i luoghi, le cose, le persone, gli eventi, nel turbine impetuoso del delirio; ma tutto in qualche modo era connesso a quel grande, a quell’unico suo pensiero. Veleggiava per una sterminata distesa di mare, con sopra un cielo infocato e sanguigno, e le onde furiose si sollevavano, si urtavano, si frangevano da tutte le parti intorno alla sua nave. Un’altra nave scernevasi più avanti, affaticata e lottante fra la burrasca scatenata; le vele pendevano a lembi dagli alberi sbattute dal vento, e sul ponte si affollavano tante figure umane spinte ora di qua ora di là verso i fianchi, e delle onde immani ad ogni poco venivano a rompersi su quello e spazzavano via e trascinavano nelle spume sottostanti qualche passeggiero disperato. E sempre avanti, sempre avanti, fendeva l’acqua, in mezzo ai ruggiti profondi dell’abisso, con una forza e una rapidità cui nulla poteva resistere; e urtando con lo sprone nella poppa della nave che precedeva, la rompeva, la capovolgeva, vi balzava sopra con la chiglia. Dal vortice immenso che ingoiava gorgogliando la nave disgraziata, un grido si levava così alto ed acuto, — il grido di morte di centinaia di naufraghi confuso in un solo urlo feroce, — che suonava di sopra allo strepito battagliero degli elementi, ed echeggiava due e tre volte, fino a che sembrava trapassare l’aria, il cielo, l’oceano. Ma che era mai quel capo galleggiante, — quel capo canuto che si levava sulla superficie delle acque, e con occhi di disperata agonia, con grida desolanti di soccorso, lottava con le onde? Una sola occhiata ei vi dava, e con un balzo era in mare, e con braccio vigoroso nuotava a quella volta. Lo raggiungeva, gli era sopra. Era lui, era proprio lui; quelle erano le sue fattezze. Il vecchio lo vedeva venire, e invano cercava sfuggirgli. Ed egli lo acciuffava, lo serrava forte, lo traeva sott’acqua. E giù, giù, venti piedi più giù, cinquanta piedi più giù. Gli sforzi del vecchio si andavano facendo sempre più deboli, fino a che cessavano affatto. Era morto. Ed gli lo aveva ucciso, avea mantenuto il suo giuramento.

"Traversava poi le sabbie ardenti del deserto, ed era scalzo e solo. I turbini dell’arena lo soffocavano e lo accecavano; i granelli sottili e roventi gli penetravano quasi nei pori della pelle, lo irritavano fino alla follia. Masse gigantesche della stessa arena, sollevate e portate avanti dal vento, accese dal sole che le trapassava coi raggi infocati, sorgevano in distanza come colonne incandescenti. Le ossa degli uomini, periti nella desolata solitudine, gli biancheggiavano sparse ai piedi; una luce terribilmente abbagliante s’infiltrava in tutta l’aria intorno; e per lontano che gli occhi potessero portare, non vedevano altro che oggetti di spavento e di orrore. Sforzandosi invano di mettere un grido, con le labbra aride, la lingua attaccata al palato, ei correva, correva follemente Dotato di un vigore sovrannaturale, attraversava le arene, correva sempre, fino a che spossato dalla stanchezza e dalla sete stramazzava privo di sensi. Ma qual freschezza piena di fragranza lo rianimava? che suono dolcemente corrente era questo? Acqua, acqua! Era in effetto una sorgente; e il ruscello limpido e fresco gli scorreva ai piedi. Ne beveva largamente, e poi stendendo sulla riva le membra indolenzite, cadeva in un delizioso sopore. Un rumore di passi lo destava. Un vecchio dai capelli bianchi si avanzava faticosamente per giungere in quel punto e spegnere la sua sete. Era lui, era sempre lui. Lo afferrava, stringendolo con le braccia, e lo teneva indietro. Il vecchio si dibatteva in convulsioni spaventevoli gridava, implorava, per un po’ d’acqua, per una sola goccia d’acqua che gli salvasse la vita. Ma ei lo teneva saldo, e con gli occhi vogliosi si pasceva di quella agonia straziante; e quando il capo del vecchio gli cadeva esanime sulla spalla, ei rotolava il cadavere lungi da sè col piede.

"Quando lo lasciò la febbre e gli fu tornato il sentimento di sè stesso, ei si destò per trovarsi libero e ricco; per udire che il padre, il quale lo avrebbe lasciato morire in prigione — ma che dico avrebbe! quel padre, che avea lasciato morire di miseria e di dolore gli esseri che gli erano tanto più cari della propria esistenza — era stato trovato morto nel suo letto. Aveva bensì l’animo di lasciare il figlio nella miseria ma superbo perfino della sua salute e della sua forza, avea differito il testamento fino a che non era stato troppo tardi ed ora potea ben digrignare i denti nell’altro mondo al pensiero delle ricchezze che la sua noncuranza aveva accumulate pel figlio. Si destò a questo e a qualche cosa di più; si destò per ricordarsi il proposito fiero che lo teneva in vita, e per ricordarsi che il suo nemico era il padre stesso della moglie; l’uomo che lo aveva gettato in prigione, che, quando la figlia col suo bambino gli si erano gettati ai piedi, gli aveano abbracciato le ginocchia implorando grazia, gli avea messi fuori della porta. Oh, come malediceva egli alla debolezza che gli impediva di star su in piedi, forte, attivo, nel suo disegno di vendetta!

"Si fece trasportar fuori dal luogo della sua sciagura e andò a stare in una tranquilla dimora in riva al mare; — non già nella speranza di ricuperar la pace o la felicità, oramai perdute per sempre: ma per rinfrancare le forze prostrate e meditare sull’accarezzato suo proposito. E qui qualche spirito maligno gli portò davanti la buona opportunità per la sua prima orribilissima vendetta.

"Era di estate. Assorto nei suoi tetri pensieri, ei soleva uscire dalla sua casa solitaria a prima sera, e dopo avere un po’ vagato lungo uno stretto sentiero, si avviava ad un posto solitario che gli avea colpito la fantasia, e si metteva a sedere su qualche frammento staccato della roccia. Ivi nascondendo la faccia fra le mani, rimaneva per ore ed ore e qualche volta fino a che la notte veniva, e le ombre lunghe dai ciglioni che gli pendevano sul capo stendevano una tinta nera su tutti gli oggetti che lo circondavano.

"Era seduto lì, come al solito, in una calma sera, alzando gli occhi di tratto in tratto per seguire il volo di una folaga o per contemplare la splendida striscia di fuoco che partendosi dal mezzo dell’oceano pareva metter capo là dove il sole declinava in un glorioso tramonto, quando la quiete profonda di tutta la scena fu rotta da un grido altissimo che chiamava al soccorso. Porse ascolto, dubitando di aver ben udito; il grido si ripetette più forte, più disperato. Balzò in piedi, corse verso il punto donde la voce veniva.

"Intese subito quel che era: dei vestiti erano sparsi sulla spiaggia; un capo umano scernevasi appena sulle onde a breve distanza; e un vecchio, torcendosi angosciosamente le mani, correva di qua e di là, gridando al soccorso. Il convalescente, a cui in buona parte le forze erano tornate, si tolse e gettò via il vestito e si precipitò verso il mare, con l’intenzione di tuffarvisi e di trarre il naufrago a riva.

"— Presto, signore, in nome di Dio! aiuto, aiuto, per amor del cielo! È mio figlio, signore, l’unico mio figlio, — gridò il vecchio delirante correndogli incontro. — L’unico mio figlio, signore, che muore sotto gli occhi di suo padre.

"Alla prima parola pronunciata dal vecchio, egli si arrestò di botto, e piegando le braccia stette immobile.

"— Gran Dio! — esclamò il vecchio indietreggiando; — Heyling!

"L’altro sorrise e non rispose verbo.

"— Heyling! — esclamò fuori di sè il vecchio. — Il figlio mio, Heyling, il mio caro figliuolo; guardate, guardate!

"E lo sciagurato padre stendeva la mano tremante verso quel punto dove il giovane lottava con la morte.

"— Udite! — riprese il vecchio. — Grida ancora. È vivo. Salvatelo, Heyling, salvatelo!

"Heyling sorrise di nuovo e rimase immobile come una statua.

"— Io sono colpevole verso di voi, sì, è vero, — esclamò il vecchio, cadendo ginocchioni e stringendo insieme le mani. — Ebbene, vendicatevi; prendete tutto quel che posseggo, prendetevi la mia vita; gettatemi qui nell’acqua, e se la natura umana può reprimere i suoi istinti, io morirò senza muovere mano o piede. Uccidetemi, Heyling, uccidetemi, ma salvate il figlio mio; è così giovane, Heyling, così giovane per morire!

"— Sentite! — disse Heyling, fieramente afferrando il polso del vecchio. ¾ A me mi bisogna vita per vita, ed eccone una, ecco la prima. Mio figlio morì sotto gli occhi di suo padre di una morte assai più penosa e straziante di quella che colpisce in questo momento quel giovane calunniatore della propria sorella. Voi rideste — rideste sulla faccia di vostra figlia sulla quale avea già stampato le sue impronte la morte, — voi rideste allora dei nostri dolori. Che ne pensate ora? che vi pare che siano quei dolori? Guardate là, guardate là!

"E così parlando, accennò verso il mare. Un grido fioco andò morendo sulla superficie delle acque; gli ultimi sforzi disperati del giovane morente agitarono per pochi istanti le onde increspate; e poi egli stesso scomparve, e le acque gli si richiusero sul capo, e quella sua tomba precoce non si distinse più dalla tranquilla distesa del mare.

    "Erano passati tre anni, quando un signore, smontando da una carrozza privata alla porta di un avvocato di Londra, che non godeva gran fama di delicatezza nel suo esercizio professionale, domandò di abboccarsi secolui per affare di molta importanza. Benchè si scorgesse chiaro, al primo vederlo che non avea oltrepassato il fiore dell’età, avea la faccia pallida, disfatta, abbattuta, e non ci voleva la penetrazione dell’uomo di affari per discernere, con una semplice occhiata che le infermità o i dolori aveano in lui potuto molto più che non avrebbe fatto la sola mano del tempo per due volte l’intera sua vita.

    "— Desidero affidarvi un mio affare legale, — disse il forestiero.

    "L’avvocato s’inchinò ossequiosamente, e sbirciò un grosso pacco che il signore portava in mano. Questi notò la rapida occhiata e proseguì:

    "— Non è un affare ordinario; nè senza grande spesa e fatica son giunto ad aver queste carte in mio potere.

    "L’avvocato diè al pacco una seconda occhiata piena di curiosità e di aspettazione; e l’altro, sfibbiando la correggia che lo teneva stretto, tirò fuori una quantità di obbligazioni, con alcune copie di atti ed altri documenti.

    "— Su queste carte, — disse il cliente, — l’uomo di cui esse portano la firma, ha prelevato, come vedrete da voi stesso, delle somme ingenti per vari anni. C’era una tacita convenzione tra lui e i primitivi possessori di esse — dai quali io le ho mano mano riscattate pel triplo e il quadruplo del loro valore nominale — che di tempo in tempo si rinnovassero questi prestiti fino a che non fosse scorso un dato periodo. Questa convenzione non si trova espressa in nessuna parte. Ultimamente egli ha sofferto molte perdite; e queste obbligazioni accumulandosi in una volta sopra di lui, lo schiaccerebbero, lo ridurrebbero al nulla.

    "— Il totale ammonta a qualche migliaio di sterline, — notò l’avvocato, dando un’occhiata alle carte.

    "— Appunto, — rispose il cliente.

    "— Che dobbiamo fare? — domandò l’uomo d’affari.

    "— Fare! — esclamò il cliente con subita veemenza. — Mettere in moto ogni congegno legale, ogni artifizio, ogni cavillo, ogni soperchieria; ogni sorta di mezzi, leali e bassi; l’oppressione aperta della legge, aiutata da tutta l’astuzia dei più ingegnosi causidici. Farlo morire di una morte lenta e penosa. Rovinarlo, sequestrare e vendere tutte le sue terre e i suoi beni, scacciarlo dalla sua casa, ridurlo a mendicare nella vecchiezza, a morire in una prigione.

    "— Ma le spese, mio caro signore, le spese di tutto questo, — fece osservare l’avvocato, quando si fu rimesso dalla sua momentanea sorpresa. — Se il convenuto è rovinato, chi pagherà le spese, caro signore?

    "— Dite qualunque somma, — disse il cliente, tremando così forte dall’emozione da potere a stento reggere la penna che aveva afferrato. — Qualunque somma, ed è vostra. Non temete, non vi spaventate di pronunciarla. Non mi parrà caro se raggiungo il mio intento.

    "L’avvocato disse una somma ingente, a caso, come anticipazione che gli dovesse toccare per garentirsi contro la possibilità della perdita; ma più con la mira di accertare fino a che punto fosse disposto ad andare il suo cliente che con qualsiasi idea ch’ei volesse aderire alla domanda. Il cliente scrisse un biglietto all’ordine del suo banchiere per la somma indicata, ed uscì.

    "Il biglietto fu debitamente onorato, e l’avvocato, trovando che sul suo strano cliente si poteva fare assegnamento, si diè a tutt’uomo al suo lavoro. Per più di due anni, il signor Heyling passò tanti e tanti giorni di fila nello studio dell’avvocato, chino sulle carte che s’ammontavano, e leggendo e rileggendo, col fuoco della gioia negli occhi, le lettere di rimostranza, le suppliche per una breve dilazione, le dimostrazioni della rovina certa nella quale la parte avversa sarebbe stata involta, che venivano una dietro l’altra, senza tregua, dopo che un atto seguiva un altro atto, un processo sottentrava ad un altro processo. A tutte le domande di una breve dilazione non c’era che una risposta sola: pagare. Terre, case, mobili, una cosa alla volta, caddero sotto i numerosi sequestri che furono spiccati; e lo stesso vecchio sarebbe stato messo in prigione, se non avesse saputo eludere la vigilanza degli uscieri e non fosse scappato.

    "L’animosità implacabile di Heyling, lungi dall’esser sazia pel successo della accanita persecuzione, crebbe a cento doppi con la rovina inflitta al vecchio abborrito. Informato della fuga del vecchio, non conobbe limiti l’ira sua. Digrignò i denti spumante di rabbia, si strappò i capelli, scagliò le più orride imprecazioni contro gli uomini cui il mandato d’arresto era stato affidato. Tornò soltanto in una calma relativa, quando per ripetute assicurazioni ebbe la quasi certezza che il fuggitivo sarebbe stato scoperto. Furono spiccati agenti sulle sue tracce in tutte le direzioni; ogni sorta di stratagemma fu posto in atto per scoprire il luogo del suo rifugio, ma tutto fu vano. Sei mesi erano passati, e il vecchio non era ancora scoperto.

    "Finalmente, una sera ad ora tarda, Heyling, del quale nulla si sapeva da varie settimane, si presentò a casa dell’avvocato e gli fece dire che un signore desiderava abboccarsi subito con lui. E prima che l’avvocato, il quale avea di sopra riconosciuto la voce del suo cliente, dicesse al servo di farlo passare, egli avea montato precipitosamente le scale ed era entrato pallido e affannoso nello studio. Chiuse la porta, per impedire che altri udisse, si gettò a sedere in una poltrona e disse con voce soffocata:

    "— Silenzio! L’ho trovato alla fine.

    "— Proprio! — esclamò l’avvocato in tono dubitativo. — Bene, mio caro signore, molto bene.

    "— Sta nascosto in un miserabile alloggio in Camden Town, — disse Heyling. — Forse è stato meglio l’averlo perduto di vista, perchè ha vissuto là, solo tutto questo tempo, nella più abbietta miseria; ed è povero, molto povero.

    "— Benissimo, — approvò l’avvocato. — Volete naturalmente che domani stesso il mandato di cattura venga spiccato?

    "— Sì, — rispose Heyling. — Un momento! No, no! Doman l’altro. Voi vi meravigliate ch’io voglia posporre la cosa, — aggiunse poi con un tetro sorriso; — ma avevo dimenticato un particolare. Doman l’altro è un anniversario nella sua vita; sia dunque per doman l’altro.

    "— Benissimo, — conchiuse l’avvocato. — Volete mettere in iscritto le vostre istruzioni per l’agente della legge?

    "— No; fatemelo trovar qui, alle otto di sera, che lo accompagnerò io stesso.

    "La sera fissata si trovarono, e presa una vettura da nolo, la fecero fermare a quella cantonata della vecchia strada di Pancras, dove si trova l’ospizio della parrocchia. Vi giunsero che già la sera era caduta, e avanzandosi lungo il muro di faccia all’Ospedale Veterinario, entrarono in un vicoletto; che si chiama, o si chiamava allora, il Vicoletto del collegio, e che era in quel tempo un posto desolato, circondato da campi e da fossi.

    "Tiratosi sulla faccia il cappello da viaggio ed avvoltosi tutto nel suo mantello, Heyling si fermò davanti alla casa più miserabile di tutto il vicolo, e discretamente bussò. Venne subito ad aprire una donna, che riconobbe e salutò i visitatori, e si ritirò da parte per lasciarli passare. Heyling disse all’orecchio dell’ufficiale che stesse lì ad aspettarlo, — andò su per le scale, e spingendo l’uscio della camera che gli veniva di faccia entrò.

    "L’oggetto delle sue ricerche e della sua animosità implacata — divenuto oramai un vecchio decrepito — stava seduto davanti a una tavola di legno grezzo, sulla quale ardeva una meschina candela. Trasalì all’apparire dello sconosciuto e si alzò debolmente in piedi.

    "— Che c’è? che c’è? — esclamò il vecchio. — Che nuovo malanno è questo? che volete voi qui?

    "— Dirvi una sola parola, — rispose Heyling. E così dicendo, si mise a sedere all’altra estremità della tavola, e gettando via mantello e cappello, si diè a conoscere.

    "Il vecchio parve subitamente privato dell’uso della parola. Cadde rovescioni nella sua seggiola, e stringendo insieme le mani, fissò sulla strana apparizione uno sguardo misto di abborrimento e di paura.

    "— Fanno oggi appunto sei anni, — disse Heyling, — che io implorai da voi la vita che mi dovevate pel mio bambino. Davanti al cadavere di vostra figlia, io giurai, vecchio, di non vivere più che per la vendetta. Non un solo istante ho deviato dal mio proposito; ma se pure ciò fosse accaduto, il solo pensiero del suo ultimo sguardo sofferente e rassegnato, o del viso affamato del nostro bambino innocente, mi avrebbe infuso novello vigore per giungere al mio scopo. Vi ricorderete il primo atto della mia vendetta: ora questo è l’ultimo.

    "Il vecchio tremava a verga a verga, e le mani gli caddero inerti ai fianchi.

    "— Domani, — disse Heyling dopo un momento, — lascio l’Inghilterra. Stasera vi consegno a quella morte di tutta la vita cui dannaste lei, ad una prigione senza speranza...

    "Alzò gli occhi sul vecchio. Si arrestò. Gli accostò la candela alla faccia, la posò di nuovo sulla tavola ed uscì dalla camera.

    "— Farete bene a veder lassù il vecchio, — disse alla donna, nell’aprir la porta d’uscita e far cenno all’ufficiale che lo seguisse — credo che si senta male.

    "La donna richiuse la porta, corse di sopra, lo trovò cadavere. Era morto di un colpo.

      "Sotto una modesta pietra sepolcrale, in uno dei cimiteri più tranquilli e solitari in quel di Kent, dove all’erba verdeggiante si mescolano i fiori selvaggi e il dolce paesaggio tutt’intorno forma il più bel punto del giardino d’Inghilterra, riposano le ossa della giovane madre e del suo caro bambino. Ma le ceneri del padre non si uniscono alle loro; nè, da quella notte, ebbe mai più l’avvocato alcun sentore della storia successiva del suo strano cliente."

      Conchiuso così il suo racconto, il vecchietto giallo si accostò ad un attaccapanni in un angolo della sala, ne spiccò il cappello e il mantello, se li pose indosso, e senza pronunciare altre parole, lentamente si allontanò. Siccome il signore dai bottoni di mosaico s’era addormentato, e la maggior parte della brigata era tutta intenta alla faceta occupazione di far colare il sego liquefatto nell’acqua e acquavite, il signor Pickwick se n’andò insalutato ed inavvertito, e pagato ch’ebbe il suo conto e quello del signor Weller, uscì all’aperto in compagnia di questo egregio signore dalla porta della Pica e il Ceppo.

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