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Con diligenza di api, se non a dirittura con leggerezza di fate, i quattro Pickwickiani si trovarono insieme il mattino del 22 Dicembre dell’anno di grazia in cui queste avventure fedelmente narrate furono intraprese e compiute. Era prossimo il Natale, in tutta la sua onestà cordiale e gioconda era la stagione dell’ospitalità, dell’allegria, della franchezza di cuore. L’anno vecchio s’andava preparando, come un filosofo dell’antichità, a chiamarsi intorno gli amici, ed a morire dolcemente fra il suono delle feste e dei conviti. Il tempo era lieto e sereno; e lieti e sereni erano almeno quattro degli innumerevoli cuori che l’avvicinarsi di quel giorno facea battere di gioia.
E veramente innumerevoli sono quei cuori cui reca il Natale una breve stagione di gaudio e di felicità. Quante e quante famiglie, sparse e disseminate di qua e di là dalle lotte assidue della vita, si riuniscono in quel giorno, s’incontrano di nuovo in quella cara compagnia, in quella vicendevole affettuosità, che è sorgente di tanta purissima gioia e che così poco s’accorda con le cure e i dolori del mondo, che la credenza religiosa delle più civili nazioni e le rozze tradizioni dei popoli più selvaggi l’annoverano fra le prime delizie di una vita futura, preparata per gli eletti! Quante vecchie memorie, quante simpatie sopite non desta il Natale!
Noi scriviamo ora queste parole, molte miglia lontani dal luogo dove, tutti gli anni, ci troviamo quel giorno in lieta e cara compagnia. Tanti di quei cuori, che battevano allora così giocondi, hanno cessato di battere; tanti di quegli sguardi, che splendevano allora di tanta luce, si sono spenti; le mani che stringevamo son divenute gelide; gli occhi che cercavamo hanno nascosto il loro raggio nel sepolcro; e nondimeno la vecchia casa, la camera, le voci squillanti, le facce sorridenti, i giuochi, il riso, le più minute e volgari circostanze di quei felici ritrovi, ci si affollano alla mente ad ogni ritorno della stagione, come se l’ultimo ritrovo fosse stato ieri. Caro, caro Natale, che hai il potere di ricondurci alle illusioni della fanciullezza, che ricordi al vecchio i piaceri della sua gioventù, che riconduci da mille miglia lontano il viaggiatore e il navigante al suo focolare, fra le pareti tranquille della sua casa!
Ma eccoci intanto così compresi ed assorti dalle buone qualità del Natale, il quale, diciamolo di passata, è un vero gentiluomo campagnuolo della vecchia scuola, che lasciamo aspettare al freddo il signor Pickwick e gli amici suoi sull’imperiale della diligenza di Muggleton, dove appunto si sono istallati bene avvolti in lunghi soprabiti e scialli di lana. Le valigie e le sacche son già a posto e il signor Weller e il conduttore si vanno ingegnando d’insinuare nella cassa davanti uno spropositato merluzzo, ben condizionato in un lungo paniere coperto di paglia, e lasciato ultimo perchè riposasse sulle sei sporte di ostriche, già acconciate in fondo al ricettacolo. Tutto questo è proprietà del signor Pickwick, il quale segue con viva ansietà gli sforzi del signor Weller e del conduttore per inserire il merluzzo nella cassa, prima col capo avanti, e poi con la coda, e poi col fondo del paniere in su, e poi col fondo in giù, e poi di lato, e poi di lungo; a tutti i quali artifizi l’implacabile merluzzo ostinatamente resiste. Alla fine, il conduttore con un colpo dato a caso nel mezzo del paniere fa sì che paniere e merluzzo si sprofondino di botto nella cassa, e vi si sprofonda insieme col capo e con le spalle lo stesso conduttore, il quale non calcolando sopra una così subitanea cessazione della resistenza passiva della bestia, riceve un urto inaspettato con ineffabile diletto di tutti i facchini e gli astanti. A questo il signor Pickwick sorride di gran buon umore, e tratto di tasca uno scellino, invita il conduttore, che si va estraendo dalla cassa, di bere alla sua salute un bicchiere di ponce. Il conduttore sorride anch’egli, e i signori Snodgrass, Winkle e Tupman, sorridono tutti d’accordo. Per cinque minuti spariscono il conduttore e il signor Weller, molto probabilmente per andare a bere il ponce in questione, perchè in effetto sentono forte di ponce al loro ritorno. Il cocchiere monta in serpe, il signor Weller si arrampica di dietro, i Pickwickiani si avvolgono più strettamente le gambe nei soprabiti e i nasi negli scialli, i garzoni di stalla tolgono le coperte ai cavalli, il cocchiere grida allegramente: "Pronti!" e via di carriera.
E dopo aver traversato le vie della città, e balzato sulle lastre, eccoli finalmente nell’aperta campagna. Le ruote scivolano sulla terra dura e gelata; e i cavalli, rompendo al galoppo ad un brioso schioccar della frusta, si tirano dietro carrozza, passeggieri, merluzzo, ostriche e ogni cosa, come se tutto questo peso non fosse che una piuma. Ora hanno discesa una china dolcissima, e sono entrati in un piano, solido e compatto come una lastra di marmo e lungo un par di miglia. Un altro schioccar della frusta, e avanti di carriera; i cavalli scuotono le teste e fanno risuonare i guarnimenti quasi inebriati dalla rapidità della corsa, e il cocchiere tenendo la frusta e le guide con una mano, si cava con l’altra il cappello e posandoselo sulle ginocchia, cava il fazzoletto e si asciuga la fronte, tra perchè è solito di far così, tra perchè l’è una bella cosa far vedere ai passeggieri tutta la sua sicurezza, tutta la facilità che si può avere a guidar quattro cavalli, quando se n’è avuta tanta pratica quanta n’ha avuta lui. Fatto questo con molta disinvoltura (altrimenti l’effetto sarebbe stato materialmente sciupato), si ricaccia in tasca il fazzoletto, si rimette il cappello, si aggiusta i guanti, allarga i gomiti, fa di nuovo schioccar la frusta, ed avanti sempre, più allegramente di prima.
Alcune casette sparse di qua e di là dalla strada annunziano l’avvicinarsi di una città o di un villaggio. Le allegre note della tromba del conduttore squillano nell’aria limpida e fredda, e svegliano il vecchio signore nell’interno della diligenza, il quale abbassando a mezzo con molta cautela il cristallo mette un po’ fuori la punta del naso, e poi richiudendo informa il suo compagno di viaggio che si mutano i cavalli; al che il compagno di viaggio si sveglia anche lui e si decide a riattaccare il suo sonnellino dopo che saranno ripartiti. La tromba squilla di nuovo, e desta la moglie e i bambini del contadino, che fanno capolino dall’uscio di casa e seguono con gli occhi la diligenza fino alla svolta della cantonata, tornando subito ad accoccolarsi intorno alla bella fiammata del caminetto e gettandovi sopra un altro pezzo di legno fino a che non torni il capo di casa. E questi intanto, un miglio lontano, ha appunto scambiato un saluto col cocchiere e s’è voltato indietro a guardare la diligenza che rapidamente si dilegua.
Ed ora la tromba intuona un’allegra cadenza mentre la diligenza balza e rumoreggia per le vie mal lastricate di una cittadetta di provincia, e il cocchiere, sfibbiando le guide, si prepara a gettarle via nel punto della fermata. Il signor Pickwick emerge dal bavero del suo soprabito e guarda intorno con molta curiosità; vedendo la qual cosa, il cocchiere lo informa del nome della città e gli dice che ieri è stato giorno di mercato; informazioni che il signor Pickwick comunica subito ai suoi compagni di viaggio, che emergono anch’essi dai loro baveri e si guardano intorno. Il signor Winkle, seduto all’estremità del sedile con una gamba penzoloni di fuori, vien quasi precipitato nella via nel punto che la diligenza svolta la cantonata davanti alla cascina ed entra nella piazza del mercato, e prima che il signor Snodgrass, che gli siede accanto si sia rimesso dalla subita paura, entrano e si arrestano nel cortile della locanda, dove i cavalli freschi, con indosso le coperte, aspettano da un pezzo. Il cocchiere getta le guide e salta a terra, e gli altri passeggieri dell’imperiale scendono anch’essi, eccetto quelli che, non avendo gran fiducia nella loro sveltezza per rimontare, non si muovono dal loro posto e battono i piedi sul cielo della carrozza per scaldarseli, guardando con occhi bramosi e nasi rubicondi al fuoco allegro della sala da basso e ai rami di bosso dalle bacche rosse che adornano la finestra.
Ma il conduttore ha consegnato alla bottega del granaiolo il pacco di carta grigia tratto dalla sacca che gli pende dalla spalla con una correggia di cuoio, ha badato al buon attacco dei cavalli, ha gettato per terra la sella che ha portato da Londra sull’imperiale, ha assistito al colloquio tra il cocchiere e il mozzo di stalla sulla giumenta grigia che s’era ferita martedì scorso alla gamba destra davanti, ed egli e il signor Weller son già ai loro posti, e il cocchiere al suo, e il vecchio signore dell’interno, che ha tenuto abbassato di due pollici il cristallo, lo ha richiuso, e le coperte son tolte, e tutti sono all’ordine per ripartire, meno "i due signori gravanti" che il cocchiere cerca con un po’ d’impazienza. A questo, il cocchiere, il conduttore, Sam Weller, il signor Winkle, il signor Snodgrass, tutti i garzoni di stalla, e ciascuno degli oziosi che passano in numero tutti gli altri presi insieme, chiamano con quanto n’hanno in gola i due signori smarriti. Una lontana risposta si ode dal fondo del cortile, e i signori Pickwick e Tupman arrivano di gran corsa e col sopraffiato, perchè sono stati a bere un bicchiere di birra a testa, e il signor Pickwick aveva le dita così intirizzite che gli ci son voluti cinque minuti per trovare in tasca la moneta. Il cocchiere grida: "Svelti, signori!" — il conduttore fa eco — il vecchio signore dell’interno trova molto strano che certa gente si permetta di scendere quando sa che non c’è tempo — il signor Pickwick si arrampica da una parte, il signor Tupman dall’altra, il signor Winkle dà la voce "Pronti!" e via da capo. Si tirano su gli scialli, si aggiustano i baveri, il lastricato cessa, le case spariscono; ed eccoli di nuovo sulla strada maestra, col vento gelato che soffia loro in viso e li rallegra fin in fondo al cuore.
Questo fu il viaggio del signor Pickwick e dei suoi amici col Telegrafo di Muggleton alla volta di Dingley Dell; ed alle tre di quello stesso giorno, si trovavano tutti, ritti e asciutti, sani e salvi, forti ed allegri, sulla soglia del Leone turchino, avendo già ingollato lungo la via tanta birra e acquavite da mettersi in grado di sfidare la gelata che copriva il terreno dei suoi strati durissimi e andava sospendendo i suoi bei ricami bianchi agli alberi e alle siepi. Il signor Pickwick era tutto assorto in contare le sporte delle ostriche e in sopraintendere al disseppellimento del merluzzo, quando si sentì dolcemente tirato per le falde del soprabito; si voltò e scoprì che la persona la quale ricorreva a questo mezzo di richiamare la sua attenzione era nè più nè meno che il paggio favorito del signor Wardle, meglio noto ai lettori di questa disadorna istoria sotto l’appellativo del ragazzo grasso.
— Ah, ah! — esclamò il signor Pickwick.
— Ah, ah! — fece il ragazzo grasso.
E accompagnando questa esclamazione con un’occhiata che andava dal merluzzo alle sporte di ostriche, gorgogliò un riso di soddisfazione. Era più grasso che mai.
— Bravo, avete una cera molto rubiconda, — disse il signor Pickwick.
— Sono stato a dormire proprio davanti al fuoco, — rispose il ragazzo grasso, che un’ora di sonno avea scaldato fino alla tinta d’un mattone cotto. — M’ha mandato il padrone con la carretta per portare a casa il vostro bagaglio. Avrebbe anche mandato dei cavalli da sella, ma ha pensato che col freddo che fa avreste preferito farvi il cammino a piedi.
— Sì, sì, — disse subito il signor Pickwick, ricordandosi di un altro famoso viaggio fatto sulla medesima via. — Sì, preferiamo venircene a piedi. Sam!
— Signore?
— Date una mano al domestico del signor Wardle per mettere i bagagli sulla carretta, e montate con lui. Noi c’incamminiamo avanti.
Dato quest’ordine e pagato il cocchiere, il signor Pickwick e i suoi tre amici presero il sentiero attraverso i campi, e si avviarono di buon passo, lasciando a fronte per la prima volta il signor Weller e il ragazzo grasso. Sam guardò con grande stupore al ragazzo, ma senza dire una parola; e incominciò a caricare il bagaglio sulla carretta, mentre il ragazzo grasso se ne stava tranquillamente da parte, pensando forse esser una cosa molto interessante vedere il signor Weller che lavorava da sè.
— Ecco fatto, — disse Sam gettando sulla carretta l’ultima sacca da viaggio.
— Sì, — disse il ragazzo grasso soddisfatto, — ecco fatto.
— Ebbene, piccolo pezzo da cento, — disse Sam, — così come siete, avreste il premio alla fiera.
— Grazie, — rispose il ragazzo grasso.
— Non avete nulla pel capo che vi tormenti? — domandò Sam.
— Non mi pare, — rispose il ragazzo.
— Avrei pensato, a vedervi, che foste consumato di dentro da una passione sorda per qualche bella giovane, — disse Sam.
Il ragazzo grasso crollò il capo.
— Ebbene, — disse Sam, — mi fa piacere di saperlo. Bevete mai qualche cosa?
— Mi piace meglio mangiare, — rispose il ragazzo.
— Ah, me lo figuravo; ma in somma, lo pigliereste un sorso di qualche cosa, tanto per scaldarvi? Del resto, in quanto a freddo, con codesta ciccia addosso, non credo che ne abbiate idea.
— Qualche volta sì, ed allora mi piace un gocciolo di qualche cosa, quando è buono.
— Ah sì? Bravo! Venite di qua allora.
Arrivarono subito nella sala del Leone turchino, e il ragazzo grasso ingollò un bicchiere di liquore senza batter ciglio, il che gli fece guadagnar molto nella stima del signor Weller, il quale, sbrigata che ebbe per conto proprio la medesima faccenda, tornò alla carretta seguito dal ragazzo e insieme vi montarono.
— Sapete guidare? — domandò il ragazzo grasso.
— Crederei di sì, — rispose Sam.
— A voi dunque, — disse l’altro dandogli le guide e accennando ad un sentiero. — Sempre diritto, non potete sbagliare.
Con queste parole il ragazzo grasso si distese amorosamente a fianco del merluzzo, e fattosi guanciale di una sporta di ostriche, si addormentò istantaneamente.
— Perbacco! — esclamò Sam, — di tutti i ragazzi posapiano che ho conosciuto, questo ch’è qui è il più posapiano di tutti. Su, sveglio, piccolo idropico!
Ma siccome il piccolo idropico non dava segni di vitalità, Sam Weller si sedette davanti alla carretta, e facendo muovere il cavallo con una scossa delle guide, si avviò al piccolo trotto verso la fattoria.
In questo mentre, il signor Pickwick e i suoi amici, rimessosi il sangue in attiva circolazione, andavano avanti di buon passo. I sentieri erano duri, l’erba gelata e bianca, l’aria secca, penetrante, corroborante, e il rapido avvicinarsi del grigio crepuscolo (in tempo di gelo andrebbe meglio detto color di lavagna) faceva loro anticipare col desiderio gli agi che gli aspettavano a casa dell’amico ospitale. Era appunto una certa sera che avrebbe potuto indurre un paio di uomini attempati, in una pianura solitaria, a cavarsi i soprabiti ed a giuocare allegramente al giuoco del cavallo; e noi teniamo per fermo che se in quel momento il signor Tupman si fosse chinato puntando le mani sui ginocchi, il signor Pickwick avrebbe accettato subito il tacito invito.
Il signor Tupman però non si piegò di nessuna maniera, e gli amici seguitarono a camminare chiacchierando di buon umore. Voltando in un sentiero traverso, furono colpiti dal suono di molte voci; e prima che avessero avuto il tempo di riconoscere a chi quelle voci appartenessero, si trovarono proprio nel cuore della brigata che gli aspettava, com’ebbero subito ad accorgersi da un urrà stentoreo uscito dalle labbra del signor Wardle, non sì tosto furono apparsi.
C’era, prima di tutto, lo stesso Wardle che pareva, se pure era possibile, più allegro che mai; c’erano poi Bella e il suo fedele Trundle; e finalmente c’era Emilia con otto o dieci signorine, che erano venute per assistere allo sposalizio che doveva aver luogo il giorno appresso e si trovavano in quello stato di felicità e d’importanza che è proprio delle signorine in tali solenni occasioni; e tutte insieme riempivano l’aria ed i campi delle loro risa e delle voci squillanti.
La presentazione, in tali circostanze, fu presto compiuta senza cerimonie di sorta; e di lì a due minuti il signor Pickwick scherzava con tutta franchezza, come se le conoscesse da bambine, con le signorine che non volevano scavalcar la palizzata mentre egli guardava, o che, avendo di bei piedini con un principio di gamba ammirabile, preferivano tenersi sulla palizzata dichiarando di aver troppa paura e di non volersi muovere niente affatto. È anche degno di nota il fatto che il signor Snodgrass offrì ad Emilia molto maggiore assistenza che i terrori della palizzata non richiedessero (benchè l’altezza fosse di tre piedi e non ci fossero che due pietre per scalini); mentre una signorina dagli occhi neri con un amore di stivaletti guerniti di pelo fu veduta gridar molto forte quando il signor Winkle le offrì la mano per farla saltare.
Tutto ciò era molto piacevole e aggraziato; e quando alla fine furono superate le difficoltà della palizzata, e si fu venuti di nuovo all’aperta campagna, il vecchio Wardle informò il signor Pickwick come fossero tutti discesi in massa per passare in rassegna la mobilia e le comodità della casa, che la giovane coppia avrebbe occupata dopo le feste del Natale; alla quale comunicazione Bella e Trundle si fecero rossi come il ragazzo grasso dopo il sonno davanti al fuoco; e la signorina dagli occhi neri e dagli stivaletti col pelo, bisbigliò qualche parolina nell’orecchio di Emilia, e poi diè un’occhiata piena di furberia al signor Snodgrass, alla quale Emilia rispose ridendo e dandole della scioccherella, ma facendosi nondimeno di bragia; e il signor Snodgrass, modesto come sono generalmente tutti gli uomini di genio, si sentì salire il sangue fino alla cima dei capelli, e cordialmente desiderò negli intimi recessi del cuore che la signorina suddetta, coi suoi occhi neri, e la sua furberia, e i suoi stivaletti col pelo, si trovasse comodamente depositata molte miglia lontano.
Ma se erano, fuori della casa, lieti e discorsivi, quanto fu il calore e quanta la cordialità delle accoglienze quando furono giunti alla Fattoria! Le stesse fantesche sorrisero di piacere alla vista del signor Pickwick; ed Emma volse un’occhiata di riconoscimento tra il timido e impudente, ma bella in tutti i modi, al signor Tupman; una certa occhiata che bastava essa sola a fare aprire le braccia al Napoleone di gesso nel corridoio per afferrare e stringer forte la vispa ragazzotta.
La vecchia signora era seduta secondo il suo solito nel salottino di fronte, ma era piuttosto di malumore e quindi singolarmente dura d’orecchio. Non andava mai fuori; e come tante altre vecchie della stessa fatta, considerava come un domestico tradimento se altri si pigliasse la libertà di fare quel che non poteva far lei. Così, benedetta lei, sedeva più ritta che mai nel suo seggiolone, ed aveva la cera più terribile che potesse avere, la quale in fin dei conti non era che benevola.
— Mamma, — disse Wardle, — il signor Pickwick. Voi ve ne ricordate.
— Bene, bene, — rispose con gran dignità la vecchia signora. — Non disturbate il signor Pickwick per una vecchia come me. Nessuno più si cura di me adesso, ed è naturalissimo.
Qui la vecchia signora crollò il capo, e con le mani tremanti si aggiustò le pieghe della sua veste di seta.
— Via, via, signora, — disse il signor Pickwick. — Non posso permettere che trattiate così un vecchio amico. Son venuto a posta per farmi una lunga chiacchierata con voi e un’altra partitina in quattro; e noi faremo vedere a questi giovanotti e a queste ragazze come si balla un minuetto, prima che invecchino d’altre quarantott’ore.
La vecchia signora andava man mano cedendo, ma non le piaceva di cedere tutt’in una volta; sicchè disse soltanto:
— Ah! non sento nulla!
— Orsù, mamma, non facciamo ragazzate, — disse Wardle, — siate buona, andiamo! Ricordatevi di Bella; bisogna che le diate un po’ d’animo, povera ragazza!
La buona vecchia udì questa parola del figlio, perchè le si vide tremare il labbro. Ma l’età ha le sue piccole infermità di temperamento, e non ancora si riusciva a vincere quella fanciullesca ostinazione. Tornò a lisciarsi la veste, e voltandosi al signor Pickwick:
— Ah, signor Pickwick, — disse, — erano tutt’altra cosa i giovani quand’io era ragazza.
— Senza il minimo dubbio, signora mia, — rispose il signor Pickwick, — ed è per questo ch’io fo gran caso di quei pochi che serbano qualche traccia del vecchio tronco.
E così dicendo il signor Pickwick attirò a sè gentilmente la vezzosa Bella, e datole un bacio in fronte, la pregò di sedere sullo sgabelletto ai piedi della nonna. Sia che l’espressione di quel viso giovanile, che si alzava verso la vecchia signora, ridestasse in questa un’antica rimembranza, sia che la vecchia fosse toccata dalla bontà del signor Pickwick, sia altro, certo è ch’ella non seppe altrimenti resistere; si gettò al collo della nipotina e tutto il piccolo malumore si sciolse in un’onda di lagrime silenziose.
Passarono una bella e lieta serata. Erano solenni e tranquille le partite alle quali il signor Pickwick e la vecchia signora prendevano parte, per quanto tumultuosa era l’allegria intorno alla tavola di mezzo. Per un bel pezzo, dopo che le signore si furono ritirate, il vecchio vino caldo acconciato con acquavite e spezie fece più e più volte il giro della tavola; e profondo fu il sonno che ne seguì, ed i sogni furono gradevoli. È notevole il fatto che quelli del signor Snodgrass si riferirono costantemente ad Emilia Wardle; e che la figura principale nelle visioni del signor Winkle era una signorina dagli occhi neri, dal sorriso pieno di furberia, e con un paio di graziosissimi stivaletti ornati di pelo.
Il signor Pickwick fu svegliato di buon mattino da un rumor di voci e un pestar di piedi, sufficienti a scuotere perfino il ragazzo grasso dai suoi sonni pesanti. Si pose a sedere nel letto e tese l’orecchio. Le fantesche e le signorine correvano senza posa di qua e di là, e s’udivano tante richieste di acqua calda, tante grida che domandavano ago e filo, tante preghiere soffocate: "Oh, venite qua ad allacciarmi il busto, venite!" che il signor Pickwick nella sua innocenza si figurò un momento che qualche terribile disastro fosse avvenuto. A poco a poco andò tornando in sè, e si ricordò degli sponsali. L’occasione era solenne, ed ei si vestì con particolare accuratezza e discese nella camera della colazione.
Tutta la servitù femminile vestita di una nuova uniforme di mussola color di rosa, e con le cuffie ornate di coccarde bianche, correva di qua e di là per la casa in uno stato di eccitamento e di agitazione che sarebbe impossibile descrivere. La vecchia signora portava uno sfarzoso abito di broccato, che per venti anni di fila non avea visto la luce del giorno, meno qualche raggio vagabondo che s’era ficcato a tempo perso per le fessure del cassettone che la conteneva. Il signor Trundle era tutto in festa di dentro e di fuori, ma anche un po’ nervoso. L’ospite cordiale faceva ogni sforzo per parere allegro e disinvolto, ma con successo molto discutibile. Tutte le ragazze erano in lagrime e in mussola bianca, eccetto due o tre privilegiate, alle quali veniva concesso di star di sopra in compagnia della sposa e delle damigelle d’onore. Tutti i Pickwickiani sfoggiavano la più vistosa eleganza; e si alzava un rumore assordante dal prato sul davanti della casa, dove tutti gli uomini, i giovanotti e i ragazzi addetti alla fattoria, ciascuno con la coccarda bianca all’occhiello, facevano un diavoleto da veri diavoli scatenati; ed a questo gli incitava e stimolava, col precetto e con l’esempio, il signor Samuele Weller, il quale aveva già acquistato una grande popolarità, e se ne stava con tanta confidenza e libertà come se fosse nato e cresciuto nella casa stessa.
Uno sposalizio è tale argomento che permette molto bene lo scherzo, ma in fatto non pare che ci sia molto da scherzare; parliamo soltanto della cerimonia e ci preme far bene intendere che non ci facciamo lecito alcun sarcasmo sottinteso sulla vita matrimoniale. Al piacere e alla gioia dell’occasione s’accoppiano il rammarico di lasciar la casa paterna, le lagrime della separazione, la coscienza dolorosa di staccarsi dai più cari ed affettuosi amici della parte più felice della vita umana, per andare incontro alle cure e alle lotte in compagnia di altri amici non ancora sperimentati, poco conosciuti: sentimenti naturali la cui descrizione non verrà certo a rattristare questo capitolo, e che per nulla al mondo saremmo capaci di mettere in ridicolo.
Diciamo dunque brevemente che la cerimonia fu compiuta dal vecchio ecclesiastico, nella chiesa parrocchiale di Dingley Dell e che il nome del signor Pickwick si trova nel registro tuttora conservato nella sagrestia; che la signorina dagli occhi neri firmò con mano tremula e frettolosa, e che la firma di Emilia e quella dell’altra damigella di onore sono quasi indecifrabili; che tutto procedette egregiamente; che le signorine in generale pensarono non esser la cosa così terribile come si figuravano; e che, sebbene la proprietaria degli occhi neri e del sorriso birichino informasse il signor Winkle di esser sicurissima che non avrebbe potuto mai assoggettarvisi, noi abbiamo le migliori ragioni del mondo per credere assolutamente il contrario. A tutto questo possiamo aggiungere che il primo a salutar la sposa fu il signor Pickwick: e che, così facendo, le pose al collo una ricca catena d’oro con orologio, che nessun occhio mortale meno quello del gioielliere aveano mai visto prima. Poi, la vecchia campana della chiesa suonò il più allegramente che seppe, e tutti tornarono a colazione.
— Dov’è il posto dei pasticcini, piccolo mangiatore doppio? — domandò il signor Weller al ragazzo grasso, aggiustando sulla tavola quegli articoli di consumazione che non erano stati disposti a dovere la sera innanzi.
Il ragazzo grasso gli mostrò il posto dei pasticcini.
— Bravissimo, — disse Sam, — metteteci in mezzo un po’ d’erba di Natale. L’altro piatto dirimpetto, così. Bel colpo d’occhio, come disse il padre quando tagliò la testa al bambino per curarlo dalla guardatura losca.
E nel fare questo brillante paragone, il signor Weller indietreggiò di un passo o due per aver l’effetto complessivo della tavola imbandita, e se ne mostrò soddisfattissimo.
— Wardle, — disse il signor Pickwick non appena si furono messi a sedere, — un bicchier di vino in onore di questa lieta occasione!
— Con tutto il cuore, amico mio, — rispose Wardle, — Joe, maledetto ragazzo, è andato a dormire!
— No, son qua, signore, — rispose il ragazzo grasso, sbucando da un remoto cantuccio, dove come il santo patrono dei ragazzi grassi — l’immortale Horner — se n’era stato a divorare un pasticcio natalizio, benchè non vi mettesse quella freddezza e quella deliberazione che caratterizzavano gli atti di quel giovane gentiluomo.
— Empite il bicchiere del signor Pickwick.
— Signor sì.
Il ragazzo grasso empì il bicchiere del signor Pickwick, e si ritirò poi dietro la seggiola del padrone, donde stette ad osservare il lavorìo dei coltelli e delle forchette, e il passaggio dei bocconi prelibati dai piatti alle bocche dei convitati, con una specie di gioia lugubre e tetra che faceva, a vedere, una profonda impressione.
— Alla vostra salute, mio vecchio amico, — disse il signor Pickwick.
— Lo stesso a voi, ragazzo mio, — rispose Wardle.
E cordialmente toccarono i bicchieri e li vuotarono.
— Signora Wardle, — disse il signor Pickwick, — noi altri vecchi s’ha da bere un bicchiere di vino insieme, in onore del lieto evento.
La vecchia signora si trovava appunto in gran pompa, perchè stava seduta a capotavola nel suo abito di broccato, ed aveva da una parte la novella sposa, e dall’altra il signor Pickwick incaricato di scalcare e far le porzioni. Il signor Pickwick non avea parlato a voce molto forte, ma ella lo intese subito, e bevve un gran bicchiere di vino alla lunga vita e alla felicità di lui; dopo di che la buona e cara vecchia si cacciò in una relazione minuta e particolareggiata delle proprie nozze, con una dissertazione sulla moda di portar gli stivaletti col tacco alto, ed alcuni dettagli sulla vita e le avventure della bella lady Tollimglower, buon’anima sua; a tutte le quali cose la stessa vecchia signora rise di tutto cuore, e così pure le signorine, perchè si andavano domandando fra di loro di che cosa mai parlasse la nonna. E a vederle ridere, la vecchia signora rideva tanto più di cuore, e diceva che quelle storie lì erano sempre state considerate come storie di prim’ordine; al che tutte quante tornavano a ridere, mettendo la vecchia signora di ottimo umore. Si affettò poi la focaccia e fece il giro della tavola; e le signorine ne serbarono dei pezzettini per metterseli sotto il guanciale e sognare del futuro marito; donde molti rossori e una grande allegria.
— Signor Miller, — disse il signor Pickwick al signore testardo, sua vecchia conoscenza, — un bicchiere di vino?
— Molto volentieri, signor Pickwick, — rispose solennemente il signor Miller.
— Ci volete mettere anche me? — domandò il buon vecchio ecclesiastico.
— E me? — venne su la moglie.
— E me pure, e me pure! — gridarono dal fondo della tavola i due parenti poveri, che avevano mangiato e bevuto di gusto, ed aveano riso a ogni cosa.
Il signor Pickwick espresse la sua profonda soddisfazione ad ogni novella richiesta; e i suoi occhi brillarono di giocondità e allegria.
— Signore e signori! — disse il signor Pickwick, levandosi ad un tratto.
— Udite, udite! Udite, udite! Udite, udite! — gridò il signor Weller nella foga dei suoi sentimenti.
— Fate entrare la servitù, — ordinò il vecchio Wardle, frapponendosi per distogliere la sgridata che il signor Weller avrebbe certamente ricevuta dal suo padrone.
— Date un bicchiere di vino a tutti per fare il brindisi. A voi, Pickwick.
In mezzo al silenzio generale, il bisbiglio delle fantesche, e l’imbarazzo della servitù mascolina, il signor Pickwick riprese:
— Signore e signori, — no, non dirò signore e signori, vi chiamerò amici miei, miei cari amici, se le signore mi permettono una tanta libertà...
Qui il signor Pickwick fu interrotto da un applauso fragoroso delle signore, a cui fecero eco gli uomini, e durante il quale la proprietaria degli occhi neri fu udita dire distintamente che gli avrebbe dato un bacio a quel caro signor Pickwick; al che il signor Winkle domandò se fosse possibile di far la cosa per procura, avendone per risposta dalla signorina dagli occhi neri un: "Andate via!" molto aggraziato con un’occhiata che diceva chiaramente, per quanto un’occhiata può parlare: "Se vi riesce!"
— Miei cari amici, — riprese il signor Pickwick, — propongo un brindisi alla salute della sposa e dello sposo. Che il cielo li benedica! (Applausi e lagrime). Tengo per un giovane eccellente, per un giovane di proposito, il mio amico Trundle; e conosco la sposa per una cara ed amabile ragazza, dotata di tutte le qualità per trasferire in un’altra sfera di azione quella felicità che per venti anni ha diffuso dintorno a lei, nella casa paterna. (Qui, il ragazzo grasso scoppiò in violenti singhiozzi, e fu trascinato fuori pel collo dal signor Weller). Io vorrei, — aggiunse il signor Pickwick, — io vorrei essere abbastanza giovane per essere il marito di sua sorella (applausi), ma, in difetto di questo, son lieto di essere abbastanza vecchio da considerarla come mia figlia; perchè, a questo modo, non sarò mica sospettato di segreti disegni quando dico che ammiro, stimo e l’una e l’altra (applausi e singhiozzi). Il padre della sposa, il nostro buon amico qui, è un cuor nobile, ed io sono orgoglioso di conoscerlo (grandi acclamazioni). Egli è un uomo affettuoso, eccellente, spirito indipendente, cuor d’oro, ospitale, liberalissimo (applausi entusiastici da parte dei parenti poveri, a tutti gli aggettivi e specialmente ai due ultimi). Che la sua figliuola possa godere di tutta la felicità ch’egli le augura; ch’egli possa ricavare dalla contemplazione di quella felicità tutta la gioia e la pace che si merita, è questo, ne son persuaso, il desiderio di noi tutti. Beviamo dunque alla loro salute, augurando loro vita lunga ed ogni sorta di felicità".
Il signor Pickwick concluse in mezzo ad un turbine di applausi, e ancora una volta i polmoni della minutaglia, sotto i comandi del signor Weller, furono messi in attivo ed efficacissimo servizio. Il signor Wardle bevve alla salute del signor Pickwick e il signor Pickwick a quella della vecchia signora. Il signor Snodgrass bevve al signor Wardle e il signor Wardle al signor Snodgrass. Uno dei parenti poveri portò un brindisi al signor Tupman, e l’altro parente povero al signor Winkle; e tutto era gioia ed allegria, fino a che la misteriosa sparizione dei due parenti poveri sotto la tavola fece accorta la brigata che era omai tempo di ritirarsi.
S’incontrarono di nuovo a pranzo, dopo una passeggiata di venticinque miglia compiuta dagli uomini, dietro raccomandazione di Wardle, per mitigare gli effetti del vino bevuto a colazione; i parenti poveri erano stati a letto tutto il giorno, con la mira di ottenere il medesimo effetto; ma, non essendovi riusciti, se ne stettero lì senza tentare altro. Il signor Weller mantenne la servitù in uno stato di continua ilarità; e il ragazzo grasso ripartì il suo tempo in piccoli ed alternati periodi di nutrizione e di sonno.
Il pranzo, non meno cordiale della colazione, fu tumultuoso del pari, senza le lagrime. Alle frutta, vi furono altri brindisi. Poi venne il tè e il caffè; e poi finalmente il ballo.
Il miglior salotto della Fattoria era una stanza alta, lunga, dai parati scuri, con una cappa di camino gigantesca, sotto o sopra la quale avreste potuto far muovere comodamente una delle vetture di piazza di nuovo modello, ruote e tutto. In capo alla stanza, seduti sotto una pergola verde, stavano i due migliori violini e l’unica arpa di Muggleton. In tutti gli angoli, sopra ogni sorta di mensole si ergevano dei ricchi candelieri d’argento a quattro braccia. Era stato tolto il tappeto, le candele ardevano, il fuoco fiammeggiava e scoppiettava; e voci allegre e risa argentine correvano attraverso la stanza. Se alcuni vecchi yeomen inglesi si mutarono in folletti dopo morti, avrebbero appunto scelto questo posto per tenervi le loro feste.
Ad una scena così piacevole ed interessante venne ad aggiungere interesse il fatto notevolissimo del presentarsi che fece il signor Pickwick senza le uosa, e ciò per la prima volta a memoria dei suoi più vecchi amici.
— Avete intenzione di ballare? — domandò Wardle.
— Ma si capisce, — rispose il signor Pickwick. — Non lo vedete dal vestito?
Ed il signor Pickwick fece notare le sue calze di seta arabescata e gli stivaletti scollati.
— Voi in calze di seta! — esclamò scherzosamente il signor Tupman.
— E perchè no, signore? perchè no? — domandò il signor Pickwick, voltandosi con calore.
— Oh, naturalmente non c’è ragione per cui non dovreste portarle, — rispose il signor Tupman.
— Non mi pare, signore, non mi pare, — disse il signor Pickwick in tono molto perentorio.
Il signor Tupman, che avea preso la cosa leggermente, si accorse che non c’era mica da scherzare; sicchè, assumendo subito un’aria grave, osservò che il disegno era graziosissimo.
— Credo di sì, — disse il signor Pickwick fissandogli gli occhi addosso. — Spero, signore, che non ci vedrete nulla di straordinario in queste calze?
— Oh no, no di certo! — rispose il signor Tupman. Poi si allontanò e la fisonomia del signor Pickwick riprese la sua solita espressione benigna.
— Siamo tutti pronti, credo, — disse il signor Pickwick, che avea preso posto di faccia alla vecchia signora in capo alla controdanza, ed avea già fatto quattro uscite fuori di tempo nella sua viva ansietà d’incominciare.
— Cominciate dunque, — disse Wardle. — Andiamo!
L’arpa e i due violini dettero dentro, e il signor Pickwick si slanciò diagonalmente, quando uno sbatter di mani suonò ed un grido generale di ferma, ferma!
— Che è stato? — esclamò il signor Pickwick che il chetarsi dei violini e dell’arpa aveano ricondotto al posto, ma che nessun potere al mondo avrebbe più arrestato, nemmeno l’incendio di tutta la casa.
— Dov’è Arabella Allen? — dissero a coro una dozzina di voci.
— E Winkle? — aggiunse il signor Tupman.
— Eccoci, eccoci! — esclamò Winkle emergendo da un cantuccio con la sua vezzosa compagna; e, nel far questo, sarebbe stato difficile accertare chi dei due fosse più rosso in viso, egli o la signorina dagli occhi neri.
— È strano davvero, Winkle, — disse il signor Pickwick con un po’ di dispetto, — che non abbiate preso prima il vostro posto.
— Niente affatto strano, — rispose Winkle.
— Bene, bene, — soggiunse il signor Pickwick con un sorriso eloquente e guardando ad Arabella, — capisco che non c’era gran che di strano, in fin dei conti.
Del resto, non c’era tempo da pensarci sopra, perchè l’arpa e i violini incominciarono per davvero. Il signor Pickwick si slanciò di nuovo — avanti per tutta la diagonale della stanza verso il camino, indietro di nuovo verso la porta — spinta su tutta la linea — forte sbatter di piedi — alla coppia appresso — avanti — di nuovo tutta la figura — un altro sbatter di piedi per portare il tempo — alla coppia appresso, all’altra ed all’altra — con un brio, un’anima senza pari; e finalmente dopo aver esaurito tutte le quattordici coppie e dopo che la vecchia signora si fu ritirata per la stanchezza cedendo il posto alla moglie dell’ecclesiastico, questi, senza che alcuno ne lo pregasse, si diè a ballare per conto suo nel posto dove si trovava, seguendo il tempo della musica e sorridendo costantemente alla sua metà con una dolcezza che sfida ogni più abile descrizione.
Molto prima che il signor Pickwick fosse stanco di ballare, la giovane coppia degli sposi s’era ritirata dalla scena. Ci fu però una sontuosa cena da basso, e dopo la cena un lungo ed animato chiacchierare intorno alla tavola; e quando il signor Pickwick si destò il giorno appresso non di troppo buon’ora, ebbe una confusa ricordanza di avere, singolarmente e confidenzialmente, invitato in qualche parte un quarantacinque persone a desinare con lui al Giorgio ed Avvoltoio, per la prima volta che arrivavano a Londra; la qual cosa parve al signor Pickwick indizio abbastanza sicuro di aver preso qualche altra cosa, la sera innanzi, oltre il semplice esercizio delle gambe.
— Sicchè si fa il chiasso stasera in cucina, eh? — domandò Sam ad Emma.
— Sì, signor Weller, — rispose Emma; — sempre così la notte di Natale. Per nulla al mondo il padrone permetterebbe che non le si tenessero su le antiche costumanze.
— Il vostro padrone, cara mia, ha una bella idea di tener su ogni cosa, — disse il signor Weller; — non ho mai veduto una così buona pasta d’uomo nè un signore così perfetto.
— Altro che! — disse il ragazzo grasso, prendendo parte alla conversazione: — non ingrassa forse i maiali?
E il ragazzo grasso volse un sorriso semicannibalesco al signor Weller, pensando ai piedi arrostiti ed al lardo.
— Oh, oh! vi siete svegliato finalmente? — disse Sam.
Il ragazzo grasso accennò di sì col capo.
— Vi dirò io come sta la cosa, piccolo boa costruttore, — disse il signor Weller gravemente; — se non dormite un po’ meno e non fate un po’ più di moto, quando sarete divenuto un uomo vi troverete esposto a quella stessa specie d’inconveniente personale che fu inflitto al vecchio signore che portava il codino.
— E che cosa gli fecero? — domandò il ragazzo grasso con voce tremante.
— Ve lo dico subito, — rispose il signor Weller; — era uno dei più grassi campioni che si videro mai; un pancione che non era riuscito a vedersi la punta delle scarpe per quarantaquattro anni di fila.
— Gesummio! — esclamò Emma.
— Già, non c’era riuscito, cara mia, — disse il signor Weller, — e se gli aveste posto davanti sulla tavola da pranzo un modello preciso delle proprie gambe, ei l’avrebbe prese per le gambe di un altro. Bè, fatto sta che se ne va sempre al suo ufficio con una bella catena d’oro che gli sbatte sulla pancia e un orologio d’oro nel taschino, che può valere... non voglio dir troppo, ma in somma il più che un orologio possa valere... un pezzo di cilindro largo, peso, con tanto di faccione, così grosso per un orologio come era grosso il padrone per un uomo. "Fareste meglio a non portarlo cotesto orologio" gli dicono gli amici; "ve lo ruberanno" dicono. "Davvero?" dice lui. "Sul serio" rispondono. "Bè" dice lui "vorrei proprio vederlo il ladro che riuscisse a cavarmelo di tasca, perchè finora non ci riesco nemmeno io; sta così stretto" dice "che quando ho da veder l’ora, debbo guardare nella bottega del panettiere" dice. Si mette poi a ridere come se volesse scoppiare, e va fuori di nuovo, col capo incipriato e il suo bravo codino, e passeggia per lo Strand con la catena che sbatte più che mai e il grosso orologio d’oro che gli fa un bitorzolo nei calzoni e pare che ne voglia schizzar fuori. Non c’era un borsaiuolo in tutta Londra che non avesse dato la sua brava strappata a quella catena; ma la catena non si voleva rompere, e l’orologio non voleva venire; sicchè si stancarono subito di far questo lavoro, ed ei se ne tornava sempre a casa e se la rideva fino a che il codino gli batteva sulla nuca come il pendolo di un orologio. Un giorno finalmente questo mio signore se n’andava a spasso e col naso in aria, quando ecco che ti vede un borsaiuolo ch’ei conosce di vista venirsene dalla parte sua a braccetto di un ragazzo con un testone tanto fatto. "Ora rideremo" dice da sè a sè il pancione; "vogliono fare un’altra prova, ma non ne caveranno nulla". Sicchè comincia a godersela di tutto cuore, quando, tutto ad un tratto, il ragazzo si svincola dal braccio del borsaiuolo, si precipita a capofitto nello stomaco del pancione, e per un momento lo fa piegare in due dal dolore. "All’assassino!" grida il pancione. "Niente paura, signore" gli dice all’orecchio il borsaiuolo. E quando gli vien fatto di rizzarsi e di palparsi, catena e orologio erano spariti, e quel ch’era peggio, la digestione del pancione non andò più pel suo verso dopo quella famosa capata fino agli ultimi giorni della sua vita. Sicchè, badate ai casi vostri, piccolo elefante, e non ingrassate troppo.
Conchiuso che ebbe il signor Weller questo racconto morale, che sembrò produrre una profonda impressione sul ragazzo grasso, se ne scesero tutti e tre nella vasta cucina, dove tutta la famiglia era già raccolta per solennizzare il Natale, secondo il costume di tutti gli anni, osservato da tempo immemorabile dagli antenati del vecchio Wardle. Nel mezzo del soffitto di questa cucina aveva appunto il vecchio Wardle sospeso con le proprie mani un grosso ramo di mistletoe, il quale diè subito occasione ad una battaglia campale e ad una scena della più graziosa confusione. Il signor Pickwick, stando nel mezzo, con una galanteria che avrebbe fatto onore ad un discendente della stessa lady Tollimglower, prese per mano la vecchia signora, la menò sotto il mistico ramo, e con tutto il decoro e la cortesia la baciò. La vecchia signora si assoggettò a questa parte di galanteria pratica con tutta la dignità che si conveniva ad una solennità così seria ed importante; ma le signorine, non essendo pienamente imbevute di una superstiziosa venerazione per l’antica usanza, e figurandosi forse che il valore di un saluto vien accresciuto di molto dalla fatica che si fa per ottenerlo, strillavano, e si difendevano, e si rincantucciavano, e minacciavano, e protestavano, e tutto facevano fuorchè lasciar la camera, fino a che qualcuno dei meno avventurati cavalieri era sul punto di desistere, ed esse allora tutt’ad un tratto trovarono inutile ogni sorta di resistenza e consentirono di buonissima grazia a farsi baciare. Il signor Winkle baciò la signorina dagli occhi neri, e il signor Snodgrass baciò Emilia e il signor Weller, non tenendo precisamente a trovarsi più o meno sotto al mistletoe, baciò Emma e tutte le altre fantesche come gli veniva fatto di acchiapparle. I due parenti poveri poi baciavano tutte, nemmeno eccettuate le signorine più semplici e alla buona, le quali, nella eccessiva loro confusione, corsero diritte sotto al mistletoe non appena fu attaccato al soffitto, senza sapere di che si trattasse. Wardle se ne stava con le spalle al fuoco, guardando con la massima soddisfazione a questa bella scena; e il ragazzo grasso colse il buon destro per appropriarsi e divorare sommariamente uno squisito pasticcino, che era stato messo da parte per qualcun altro.
Le grida s’erano man mano chetate, i visi erano in fiamma, le chiome in un grande arruffio, e il signor Pickwick dopo aver baciato, come abbiam detto, la vecchia signora, se ne stava sotto il mistletoe contemplando con aria beata tutto ciò che gli passava dintorno; quando la signorina dagli occhi neri, dopo avere un po’ bisbigliato con le altre signorine, fece un improvviso balzo in avanti, e cingendo con un braccio il collo del signor Pickwick, gli appiccò un bacio affettuoso sull’una e l’altra guancia; e prima che il signor Pickwick potesse capire di che si trattasse, si vide circondato da tutta la frotta delle signorine e baciato da tutte, una per una.
Era una gran bella cosa vedere il signor Pickwick nel centro del gruppo, ora tirato di qua, ora di là, e prima baciato sul mento, e poi sul naso, e poi sugli occhiali, e udire gli scoppi di risa che suonavano da tutte le parti; ma molto più bello fu poi il vedere in seguito il signor Pickwick, bendato con un fazzoletto di seta, correre e sbattere contro il muro, cacciarsi negli angoli, scalmanarsi, e in somma attraversare tutti i misteri della moscacieca, col massimo gusto di questo mondo, fino a che gli venne fatto di mettere la mano addosso ad uno dei parenti poveri; e allora ebbe egli stesso a sfuggire alla caccia dell’uomo bendato, e ciò fece con una sveltezza e una agilità che provocarono l’ammirazione e l’applauso di tutti gli astanti. I parenti poveri afferravano appunto quelle persone cui la cosa, secondo loro, poteva far piacere; e quando il giuoco languiva, si facevano subito afferrare da sè. Quando si furono un po’ seccati della moscacieca, si fece un altro gran chiasso allo snapdragon, e quando le dita vi si furono abbruciate abbastanza, e tutti i chicchi d’uva furono portati via, si posero a sedere ad una cena sostanziosa, mentre sulla gran fiammata del camino stava sospeso un enorme calderone, nel quale le mele cotte cigolavano e gorgogliavano con un suono pieno di allegria assolutamente irresistibile.
— Questo, — disse il signor Pickwick guardandosi intorno, — questo sì che significa star bene.
— Sempre il medesimo costume, — rispose Wardle. — Tutti, la sera di Natale, sediamo, come vedete ora, alla stessa tavola, — servi e padroni ed aspettiamo qui che l’orologio batta le dodici per annunziarci il Natale, ingannando il tempo con giuochi e vecchie storielle. Trundle, attizzate un po’ il fuoco.
Miriadi di faville si levarono a sprazzi luminosi dalle legna smosse, e la fiamma guizzante fece rosseggiare tutta la stanza fino negli angoli più riposti, e pose su tutti i visi il suo allegro colore.
— Orsù, — disse Wardle, — una canzone, — una canzone di Natale. In mancanza di meglio, ve ne dirò una io.
— Bravo!— esclamò il signor Pickwick.
— Empite i bicchieri, — ordinò Wardle. — Ci vorranno due ore buone per vedere il fondo del calderone. Empite tutti, ed ecco qua la canzone.
Così dicendo, il giocondo vecchio incominciò subito con voce robusta e sonora:
La canzone di Natale.
Non amo la mite stagione de’ fiori
Dai prati ridenti, dai molli tepori
Feconda e distrugge; il fior pur mo nato
Abbrucia col dardo del raggio infocato.
Volubile e strana, lo stesso momento,
D’aspetto, di voglie, si muta col vento;
Or ride, or carezza la speme che nasce,
E prima che sbocci, la soffoca in fasce.
Non amo d’estate il sol rifulgente
Il capo ricinto di luce rovente
Se un giorno per caso mi guarda un po’ scuro
Di dietro alle nuvole, ne rido e nol curo.
Adora la figlia selvatica e ria
La febbre d’amore, che ha nome follìa.
E amor troppo forte non dura mezz’anno,
Lo sanno pur troppo gli amanti, lo sanno!
Seguita a un bel giorno di messe ben piena
È bella d’autunno la notte serena
Col raggio lunare modesto, pacato,
Più bella del pieno meriggio sfacciato.
Mi piace il susurro dell’umida brezza
Che pare in un punto sospiro e carezza
Pur triste è la foglia che cade dal ramo
Per questo l’autunno tranquillo non amo.
Saluta il mio canto l’amico Natale,
L’amico più vecchio, più schietto e leale
Evviva il Natale! con tutto il potere
Tre volte gridando, vuotiamo il bicchiere
Tocchiamo, beviamo! sussulta di brio
Il cor del buon vecchio al bel tintinnio.
E qui col suo riso rallegri la festa
Fintanto che un solo boccone ci resta.
Onesto e superbo, non cela a niun patto
I segni che il tempo sul viso gli ha fatto
Il bravo marino così l’onorato
Solleva orgoglioso suo volto sfregiato.
E dunque s’intuoni con voce gioconda
E l’eco alla gaia canzone risponda
A coro e di core s’intuoni con me:
Ben venga dei dodici mesi il gran re!
Questa canzone fu coperta da un tumulto d’applausi, perchè si sa bene che quello degli amici e dei dipendenti è sempre un eccellente uditorio; e i due parenti in ispecie erano a dirittura rapiti in estasi. Si attizzò di nuovo il fuoco, e di nuovo i bicchieri furono vuotati.
— Come neviga! — disse a bassa voce uno degli uomini.
— Neviga? — domandò Wardle.
— Una nottata fredda co’ fiocchi, — rispose l’uomo; — tira un vento gelato che la va soffiando e spargendo per la campagna come una gran nuvola bianca.
— Che dice Jem? — domandò la vecchia signora. — Non è mica accaduto nulla, eh?
— No, mamma, no, — rispose Wardle. — Dice che neviga e che il vento taglia la faccia. Lo avevo già indovinato dal rumore che fa nel camino.
— Ah! — disse la vecchia signora, — mi ricordo appunto che c’era un vento come questo e che nevigava, tanti anni fa, giusto cinque anni prima che vostro padre morisse. S’era anche di Natale; e mi ricordo che proprio in quella notte ei ci raccontò la storia dei folletti che si portarono via il vecchio Gabriele Grub.
— La storia di che? — domandò il signor Pickwick.
— Oh, niente, niente! — rispose Wardle. — Si tratta di un vecchio sagrestano, che la gentucola di qua crede fosse stato portato via dai folletti.
— Crede! — esclamò la vecchia signora. — E c’è forse qualcuno che abbia il coraggio di non crederci? Crede! E non l’avete inteso fin da bambino che i folletti se lo portarono, e non sapete forse che la cosa è vera?
— Bene, bene, mamma, come volete voi: è verissimo, — disse Wardle ridendo. — Se lo portarono i folletti, caro Pickwick, ecco fatto; e non se ne parli più.
— No, no, — disse il signor Pickwick, — parliamone anzi, ve ne prego; perchè io voglio sapere il come e il quando e il perchè di tutta la storia.
Wardle sorrise, mentre tutte le facce si protendevano verso di lui; e riempiendo con mano ferma il bicchiere, ne bevve un sorso alla salute del signor Pickwick, e incominciò nei termini seguenti...
Ma benedetti noi e il nostro gran cuore editoriale, in che lungaggine di capitolo ci siamo cacciati! Avevamo affatto dimenticato queste meschine restrizioni che si chiamano capitoli. Sicchè strozziamolo qui, per cedere ai folletti tutto lo spazio di un capitolo nuovo. Posto libero ai folletti e nessuna preferenza a loro discapito, signore e signori, se non vi dispiace.