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XVII.
Una mattina, quando il marchese meno se lo aspettava, don Aquilante era ricomparso non per parlargli, come al solito, di affari, ma per annunciargli con gravità:
— Finalmente si è smaterializzato!
Il marchese, che non aveva udito bene, guardatolo in viso con stupore, replicò:
— Si è...?
— Smaterializzato! — sillabò don Aquilante.
Quantunque le idee e le credenze del marchese di Roccaverdina fossero compiutamente cangiate, ed egli avesse anzi, più volte, domandato ironicamente all’avvocato: — Che dicono gli Spiriti? Si divertono ancora a tormentarvi? — (don Aquilante gli aveva raccontato, tempo addietro, che Spiriti cattivi, di tanto in tanto, gli riducevano catalettico il braccio destro per impedirgli di scrivere) — lo strano annunzio lo aveva rimescolato, quasi si fosse trattato di un fatto di cui non si potesse dubitare.
— E ora? — domandò, nell’improvviso turbamento.
— Ora sarà più facile interrogarlo con certezza di ottenere precise risposte. Ieri Rocco Criscione mi è apparso, spontaneamente, un minuto secondo. Ha voluto forse dirmi: Eccomi a vostra disposizione.
— Eh, via! — fece il marchese che già riprendeva padronanza di sè.
— La vostra incredulità è irragionevole.
— Ma, innanzi tutto, dovreste convincermi che l’anima umana è immortale.
Don Aquilante rizzò il capo, maravigliato di questo inatteso linguaggio.
— La scienza.... — continuò il marchese.
— Non mi parlate della scienza officiale — lo interruppe l’avvocato. — È la più massiccia ignoranza!
— .... la scienza positiva richiede fatti accertati, che si possano provare e riprovare. La scienza....
Il marchese gli ripeteva, con enfasi, frasi, periodi interi dei libri prestatigli dal cugino, e credeva di chiudergli la bocca.
— Fatti, sissignore! — riprese don Aquilante. — Accertati, sissignore! Solamente, poichè certi fatti non fanno comodo ai materialisti, essi fingono di non vederli. Ma i fatti non per questo non sono veri, non per questo rimangono annullati!
— Quando non si può vedere nè toccare con mano....
— Vedreste, tocchereste con mano, se aveste l’animo di tentare l’esperimento.
— Ah!... Credete, forse, che scaldandomi la fantasia e mettendomi paura, giungerete a farmi vedere quel che non è? Infine, sarebbe un’allucinazione, niente altro!
— E se Rocco ci rivelasse: “Mi ha ucciso il tal dei tali?„
— È impossibile!
— E ci dèsse le prove?
— È impossibile!
— Dovreste fare da medium. Egli vi era persona affezionata e fedele. Nessuno meglio di voi potrebbe servire ad evocarlo.
— Ma io non mi metto a fare certe sciocchezze!
— I vostri famosi scienziati rispondono appunto così.
— Ed hanno ragione.
— Che ci rimettereste, a coadiuvarmi?
— Siete venuto a posta per questo?
— Sì, marchese. Da qualche tempo in qua, un rimorso mi tortura. Ho lungamente riflettuto intorno al processo e alla condanna di Neli Casaccio. Temo che i giurati non siano incorsi in uno di quegli inevitabili errori giudiziari che fanno scontare a un innocente il delitto di un reo rimasto ignoto.
— Perchè?... E che vorreste fare?
— Quel che fareste voi, che farebbe qualunque onesta persona in questo caso: rimettere la giustizia su la giusta via.
— In che modo?... Su quali indizi?
— Ce lo dovrebbe dire lui!
— Pensate di farmi impazzire con le vostre stregonerie?... Domandate piuttosto agli Spiriti se avremo presto la pioggia. Non possono far piovere cotesti signori?... Mi stupisco che un uomo intelligente e dotto come voi si perda dietro a tali fandonie. Volete una spiegazione? — soggiunse. — Ve la darò io, che sono un ignorante a petto vostro. Ora che siete stato preso dagli scrupoli intorno a quel processo, pensa e ripensa, vi si è esaltata la fantasia.... Ed ecco in che modo vi è parso di vedervi apparire dinanzi....
Non volle neppure nominare Rocco Criscione.
Come mai don Aquilante si era messo a riflettere, per l’appunto, intorno al processo di Neli Casaccio?... Che sospetti aveva dunque? E contro di chi? Era venuto per tastar terreno?... L’apparizione poteva essere una storiella inventata a bella posta per notare che impressione gli avrebbe prodotto su l’animo. Fortunatamente, egli era rimasto tranquillo.... Perchè mostrargli di aver paura delle pretese possibili rivelazioni? Chi doveva poi farle, in realtà? Quando si è morti, è per sempre!
Aveva anche pensato a tutto questo parlando.
E quantunque gli titubasse in fondo al cuore lo sgomento delle cose misteriose che invade, in certi momenti, fin gli uomini più intrepidi, non aspettò che don Aquilante gli rispondesse.
— Intanto, — riprese subito, — per farvi vedere che non sono, come dite, irragionevole, mi dichiaro pronto a contentarvi. Vedere e toccare con mano, s’intende! E così non ne riparleremo più.... Purchè non ci siano pratiche difficili e troppo lunghe; non ho tempo da perdere. E spero di rendervi il gran servizio di togliervi di testa queste corbellerie.
— Lo fate per curiosità, o con animo ostile?
— Mettete le mani avanti? Agisco in buona fede, ve lo assicuro; più per voi che per me. Vedrete. Vi passeranno pure gli scrupoli, i rimorsi.
— Eccolo! — esclamò don Aquilante. — Non ha atteso la chiamata.
Istintivamente, il marchese girò gli occhi attorno. Il cuore gli batteva forte, la lingua gli si era tutt’a un tratto inaridita.
— State in orecchio! — La voce di don Aquilante era diventata cavernosa. — Darà un segnale della sua presenza.
Il pallore, il lieve trèmito che gli agitava la testa e le mani, la voce alterata mostravano che don Aquilante non era davvero nello stato ordinario.
E il marchese tendeva l’orecchio, trattenendo il respiro.
— Avete sentito? — domandò don Aquilante.
— No.
— Eppure ha picchiato forte sul tavolino!
— Non abbastanza forte, pare.
Dopo questo primo insuccesso, il marchese cominciava a rassicurarsi; continuava però a trattenere il respiro, a stare in orecchio.
— Avete sentito ora?
— No.
— Udite? Picchia più forte.
— Non credo di esser sordo!
— Vi prendo una mano, — disse don Aquilante dopo qualche istante di pausa, — per assorbire altro fluido vostro e poter produrre il fenomeno in modo che possiate percepirlo anche voi.... Prestatevi, cedete.
Il marchese ebbe un brivido ghiaccio per tutta la persona. Don Aquilante lo guardava negli occhi con ansiosa intensità.
— Niente! — esclamò il marchese.
L’avvocato corrugò la fronte e stette un pezzetto a capo chino, agitando le labbra quasi parlasse da sè.
— Insomma?... — domandò il marchese impaziente.
— Non vuol dirmelo!
— Ah!
— Vuol dirlo soltanto a voi. Promette che verrà a dirvelo in sogno.
— Lo sapevo! — esclamò il marchese emettendo un gran respiro di soddisfazione. — Lo sapevo che la cosa doveva terminare in burletta!
— Verrà, certamente. Ecco, va via!... È sparito!
— E questo lo chiamate vedere e toccare con mano?
Il marchese rideva, si muoveva per la stanza, stirando le braccia, tendendo le gambe, quasi per sgranchirsi e scuotersi d’addosso quel senso di faticosa aspettativa che lo aveva fatto stare immobile più di tre quarti d’ora.
— E questo lo chiamate vedere e toccare con mano?
Voleva prendersi la rivincita su don Aquilante che gli aveva messo una bella paura, non ostante ch’egli non avesse mai creduto, e molto meno ora, a quelle magherie.
In sogno?... Va bene! E sorrideva internamente.
Raccontò la scena al cugino Pergola e ne risero insieme; la raccontò anche alla zia baronessa, a cui nessuno poteva levar di testa che nella brutta faccenda non ci fosse entrato lo zampino di quella donnaccia! E così facendo, gli sembrava di acquistare maggiore coscienza della sua sicurezza.
Pure, per più notti di sèguito, andò a letto con l’indefinito terrore di rivedere in sogno la sua vittima. Se Rocco avesse mantenuto la parola, sarebbe significato che davvero.... Ma non la mantenne nè allora, nè dopo!
Il marchese però non sapeva spiegarsi quella smania di attività che da qualche tempo in qua lo urgeva, spingendolo troppo fuori dalle sue vecchie abitudini.
Il cugino, il dottor Meccio e parecchi altri, picchia e ripicchia, avevano un po’ scosso la sua risoluzione di mantenersi assolutamente estraneo alle fiere lotte municipali. Resisteva ancora, ma con visibile fiacchezza:
— Dove volete condurmi? A che pro? Tanto, non mi persuaderete che vi sia da fare un po’ di bene nell’arruffata amministrazione comunale che si regge appena a furia di tasse!
— Il Comune ha tesori, marchese! Ma bisogna strapparli di mano a coloro che se li posseggono tranquillamente perchè non si è mai ardito di disturbarli. Affari del comune, affari di nessuno! È la bella massima che prevale.
— E pretendereste che mi metta all’opera io, dottore?
— Lei non ha interessi particolari. Cioè, ne ha: è debitore del Comune anche lei, per Margitello, dopo lo scioglimento dei diritti promiscui. Dovrebbe dare l’esempio con un’onesta transazione.
— E i sequestri dei creditori? Non me li levate di addosso voi.
— Si convochino, tutti; s’invitino a transigere anche loro. Sarebbe come invitarli a nozze. Non vedono, da mezzo secolo, il becco d’un quattrino! Se lei potesse dire agli altri debitori: Fate come ho fatto io....
— Penserebbero: “Il marchese di Roccaverdina è proprio ammattito!„ E dovrei stuzzicare il vespaio io? Perchè tutti mi diano addosso? Perchè io perda quel po’ di pace che i miei affari mi lasciano?
— Non dobbiamo essere egoisti, cugino!
— E voialtri? Ve ne state con le mani in mano voialtri.
— Io predico al deserto, da anni ed anni! Sono un povero medico, non ho autorità....
— Eppure ho sentito dire che una volta, per tapparvi la bocca, non so qual sindaco vi disse: Fate. Avete carta bianca.
— A parole!... Non mi costringete a vuotare il sacco, marchese!
Lo attiravano in un angolo del salone del Casino, insistenti, parlando sottovoce come se stessero a macchinare una tenebrosa congiura, dando occhiate di traverso a coloro che passeggiavano in su e in giù, e che, fingendo di discorrere insieme, tendevano l’orecchio, spie del sindaco e degli assessori.
— Vedete quel don Pietro Salvo? Non si muove mai di qui. Si direbbe tutt’assorto nella lettura dei giornali. Invece, non perde una sillaba di quel che qui dentro si dice; la sera va da suo compare l’assessore, ad referendum!
Il marchese non si decideva a rispondere sì o no:
— Vedremo. Sono cose da pensarci bene. Quando uno prende un impegno, si trova poi legato mani e piedi. Non voglio impegnarmi alla cieca.
— S’intende! S’intende!
Ma se imprendeva a parlare dei suoi progetti agrari, subito si accalorava. Allora tutti facevano circolo attorno a lui, spalancavano tanto di orecchi, sgranavano gli occhi, quasi stessero per afferrare, là, con avide mani, la loro parte delle immense ricchezze che il marchese faceva rigurgitare, con un colpo di bacchetta fatata, davanti alle immaginazioni che la miseria di quelle tristi annate lasciava sovreccitare facilmente.
E ogni vite si trasmutava in un ceppo di oro! E ogni chicco d’uva in un brillante! Filari interminabili! La vasta pianura, laggiù, doveva diventare, in poco tempo, un unico meraviglioso vigneto! E le colline con quei boschi di ulivi! Bisognava costringerli a produrre annualmente, potandoli bene, non diramandoli troppo, non mortificandoli con la barbarica bacchiatura che ne troncava i nuovi polloni ancora teneri e disperdeva il futuro raccolto!
Soltanto una forte Società poteva produrre questo miracolo!
Nemmeno un sol grappolo di uva di tutto il territorio di Ràbbato doveva essere pigiato nei palmenti privati! Nemmeno una stilla di vino doveva entrar in botti che non fossero quelle del loro stabilimento!
E le ulive, colte a mano a una a una, fresche fresche, di filato alla macina, senza che vedessero neppur da lontano quei fetidi camini, quelle stufe che le concocevano e le facevano rancidire!
E nemmeno una goccia d’olio fuori dei coppi della Società!
— E i quattrini, marchese?
— Si trovano, si debbono trovare. Si va a una Banca: — Ecco qua l’intera nostra produzione; noi vogliamo attendere, per la vendita, che i prezzi si rialzino; intanto, dateci il denaro che ci occorre. — E subito: — Tanto a te! Tanto a me! Tanto per la coltivazione; tanto per fondo di riserva.... — Si fa così dappertutto. Soltanto noi dormiamo come ghiri; e svegliandoci, vorremmo trovare la tavola apparecchiata e metterci a mangiare e a scialare!
Gli ascoltanti avevano l’acquolina in bocca, assaporavano la imbandigione, storditi anche dalla voce del marchese che si era elevata a poco a poco, ai toni più acuti.
— Ma io mi sfiato inutilmente, — egli aveva conchiuso una volta (e infatti si era arrochito). — Basterebbe, per cominciare, che fossimo soltanto una diecina. Gli altri accorrerebbero dopo, dovrebbero pregarci in ginocchio per essere ammessi nella nostra Società.... Fatti però, non parole. Contratto in piena regola con firma e bollo notarile; se no, lo so bene come si andrebbe a finire. Si dice: — Tric-trac di Ràbbato — È proprio vangelo. Prendiamo fuoco, facciamo un po’ di rumore, un po’ di fumo.... e festa! Chi si è visto si è visto.
— Io sono pronto a redigere gratis il contratto, — disse il notaio Mazza. — Chi vuol dare l’assenso sa dove trovarmi.
E il tric-trac, quel giorno, prese fuoco; e la Società Agricola fu fondata, con otto soci appena, pur di cominciare!
— E voi, don Pietro? Con le vostre vigne della Torretta, coi vostri ulivi di Rossignolo?
Don Pietro Salvo che entrava in quel momento e aveva capito di che si trattava, rispose con una spallucciata, e soggiunse:
— Volete sapere una notizia? Neli Casaccio è morto nel carcere; me l’ha detto il sindaco or ora
Il marchese trasalì.
— Belle notizie ci apportate! — esclamò per nascondere il turbamento.
Per alcuni minuti non si parlò di altro.
E quando il notaio Mazza, tratto in disparte don Pietro, cercò d’indurre anche lui ad entrare assieme con gli altri nella Società, don Pietro rispose:
— I Roccaverdina sono stati sempre uno più matto dell’altro; e il marchese non dirazza. Ha scelto bene il momento! Si muore di fame; e, se non piove, chi sa dove andremo a finire tutti quanti!