< Il Marchese di Roccaverdina
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XVIII.


Erano anni che il marchese e suo zio il cavaliere don Tindaro non si guardavano in faccia.

Dal giorno che il marchese non aveva voluto permettergli di metter sossopra i terreni di Casalicchio per scavarvi le antichità che, secondo lui, vi si trovavano sepolte, don Tindaro, soprannominatolo sprezzosamente marchese contadino, gli aveva fin tolto il saluto.

Ora si erano trovati inattesamente faccia a faccia nello stesso albergo, in Catania; il marchese, per un prestito di settantamila lire presso il Banco di Sicilia, il cavalier don Tindaro per la vendita della sua collezione di vasi antichi, di statuette e di monete, a un lord inglese che, egli diceva, buttava via le sterline quasi fossero soldi.

E la gioia per quella vendita era stata tale, che il cavaliere, dimenticata la grave offesa della non permessa esplorazione di Casalicchio, gli aveva steso la mano:

— Infine, sei figlio di mio fratello!... Vieni a vedere.

La collezione si trovava ancora nella sua stanza esposta sui commò e sui tavolini; doveva consegnarla il giorno dopo. Egli non usciva dall’albergo un istante, per farle la guardia, e anche per riempirsene gli occhi l’ultima volta. Non li avrebbe più riveduti quei preziosissimi oggetti che formavano, da trent’anni, la sua consolazione e il suo orgoglio! Si sentiva stringere il cuore ripensandoci. Lo confortava però l’idea che il suo nome si leggerebbe su una targa nel Museo di Londra; questo era il patto. Quel lord comprava per conto del Museo di Londra.

— Trentamila lire, nepote mio!

— Vi sembrano molte? Ne avete speso per lo meno il doppio.

— Fandonie! Dieci lire oggi, venti un altro giorno.... E tornano a casa tutte a una volta.... A questi chiari di luna!

— Me ne rallegro. Ma non dovreste ricominciare; scapperebbero di nuovo.

— Ah, se tu volessi permettermi!... La indicazione è precisa: Casalicchio! Ora là non c’è casale nè grande nè piccolo. Ma in antico doveva esservi; i nomi non si danno a caso. Nè a caso si dice: a Casalicchio c’è il tesoro!

— Se vi facessi una proposta? — lo interruppe il marchese.

— Quale?

— Vi leverei certamente la tentazione di sciupare queste povere trentamila lire. Impiegatene due terzi soltanto nelle costruzioni della Società Agricola fondata da me. Io sono qui per conchiudere un prestito di settantamila lire a tale scopo.

— Ne riparleremo.... Intanto osserva: questo solo vaso, sei mila lire! Della più bell'epoca greca! Sisifo che spinge in alto un masso.... Mitologia!... Prima della venuta di Gesù Cristo!

— Quando penso che avete spiantato le vigne a Porrazzo per scavarvi sepolcreti! Dovreste ripiantarle. Quelli di Porrazzo sono i migliori terreni per vigneto.

— Ne riparleremo, nepote. Tu hai la testa alle vigne, ai vini. Io non bevo vino, lo sai.

— Lo bevono gli altri, e debbono comprarlo per forza.

— Non pianterai vigne anche a Casalicchio! Lasciami, prima, fare almeno qualche saggio. Quando di un posto si dice: “C’è il tesoro„ significa....

— Ebbene, scaverete a Casalicchio!

Il cavaliere don Tindaro gli saltò al collo per abbracciarlo.

— Allora.... tutto quel che vuoi.... Due terzi, no; metà, quindici mila lire.... Non si trovassero là che due soli vasi del valore di questo col Sisifo...!

— E se non si trovano?

— Li veggo da qui; mi pare di averli tra le mani.... Ma, un momento!... C’entra pure quell’empio nella tua Società?

— Oh, zio! Bisogna finirla, oramai è vostro genero.

— Niente! Finchè non avrà sposato in chiesa....

— Sposerà, ve lo assicuro, un giorno o l’altro. Legalmente intanto....

Don Tindaro si trasse indietro, imbroncito.

— Mi è stato detto — riprese, quasi masticando le parole, — che vi siete riconciliati, come se la offesa fosse stata fatta a me solo e non alla parentela tutta. Una Roccaverdina.... concubina! È sua concubina — incalzò — non moglie mia figlia! Per la Chiesa, il matrimonio.... come lo chiamate?

— Civile.

— Incivile dovrebbe esser detto!... Matrimonio da bestie!... Per la Chiesa, non ha nessun valore....

— Coi pregiudizi che avete in testa!

— Pregiudizi? Pregiudizio uno dei sette Sacramenti? Sei dunque diventato protestante come lui? E tu pure, giacchè sposi — so che sposi, dagli altri l’ho saputo, per caso. Non vuol dire! — tu pure non sposerai in chiesa?

— Io.... io farò come fanno tutti.

Il marchese arrossì. Aveva dovuto arrossire e sentirsi imbarazzato parecchie altre volte, con la zia baronessa e con Zòsima specialmente, per la mancanza di sincerità riguardo ai mutati suoi sentimenti religiosi. Ma in quel punto, aveva anche arrossito per l’improvvisa coscienza che, da più di un anno, la sua vita era una continua ipocrisia, una continua menzogna fin con sè stesso. Un attimo era bastato per fargli comprendere che la smania di distrarsi, di stordirsi da cui si sentiva travolgere era un inconsapevole mezzo di addormentare, di far tacere l’intima voce che minacciava di elevarsi tanto più forte, quanto più egli cercava di soffocarla.

— Come fanno tutti? — riprese don Tindaro. — Com’è dovere, ti faccio osservare io. Sei cristiano cattolico apostolico romano?

— Non mi son fatto sbattezzare!

— Neppure quell’empio si è fatto sbattezzare!

— Pensate che il Vangelo comanda di perdonare le offese. E poi certe persone bisogna prenderle pel loro verso. Con le buone si ottengono tante cose che non si riesce a ottenere con le cattive.

— Perdoneresti tu nel caso mio? Ah, tu non sei padre; tu non puoi intendere che cosa voglia dire vedersi strappata di casa una figlia unica! Era maggiorenne? Che importa? Il padre è sempre padre; la sua autorità dura fino alla morte, oltre la morte! E mia figlia (una Roccaverdina!) si è ribellata, si è avvilita fino al punto...! Avrei voluto vederti, se qualcuno fosse venuto a portarti via Agrippina Solmo quando era con te!... E si sarebbe trattato di un’amante. Lo avresti ammazzato, per semplice gelosia, se le volevi bene davvero!... Ma una figlia è ben altro. Carne della nostra carne, sangue del nostro sangue!... Non so come mai, allora, io non abbia commesso un eccidio!

— Avete ragione, zio. Quando però il male è fatto, dobbiamo cercarvi il rimedio.

— Sono un Roccaverdina schietto, io; non mi piego, mi spezzo! Se tu, invece di sangue, hai siero nelle vene.... Quanti anni sono che non ti ho più guardato in viso per l’affare di Casalicchio? Oggi il caso ci ha fatto incontrare in terreno neutrale, in un albergo. Ricorda però che io sono di acciaio; non mi piego, mi spezzo. Frangar non flectar! Nel secolo scorso i Roccaverdina erano soprannominati i Maluomini.... Coi nostri antenati non si scherzava. Ora siamo una razza incarognita; tu, agricoltore; io.... almeno!... Non c’intendiamo. Facciamo conto di non esserci visti.

— Non ritiro la mia parola, no. Scavate pure quanto volete a Casalicchio. Darò ordini che vi lascino fare.

— A qual patto?

— Con nessun patto.

— No, grazie! Non voglio restarti obbligato.

Il marchese stette un po’ a guardare con gratitudine il vecchio parente rimessosi a riempirsi gli occhi di quei suoi preziosi oggetti che non avrebbe riveduti più. Lo vedeva andare da un vaso all’altro, soffiare diligentemente sopra uno per mandar via qualche granellino di polvere che gli pareva lo deturpasse; rivoltare un altro per ammirarne ancora, mentr’era in tempo, le bellissime figure disegnate con contorni neri su fondo rossiccio; e palpare una statuetta, una patera con dolce carezza di amatore.

E intanto che lo guardava, si sentiva rinascere in cuore tutto l’orgoglio della razza dei Maluomini, e la compiacenza di non riconoscersi degenere, come il vecchio lo giudicava.

Il rincrescimento della continua ipocrisia, della continua menzogna, da cui poco prima era stato turbato, già gli pareva debolezza indegna di un Roccaverdina.

— Avrei voluto vederti!... Lo avresti ammazzato!

Non erano parole di approvazione, di giustificazione? Non si scherzava neppure con lui, come coi suoi antenati, che certamente avevano ricevuto quel soprannome perchè forti e potenti!... I tempi però erano cangiati, e la razza si adattava ai tempi. La Società Agricola gli sembrava un atto di potenza e di forza; oggi non era possibile mostrarsi Maluomini altrimenti.

A Margitello, dopo tanti mesi di trista inerzia, cagionata dalla insistente siccità, e interrotta soltanto dall’occupazione di curare i pochi bovi rimasti, e di bruciare e seppellire i cadaveri di quelli che il tifo continuava ancora ad ammazzare, il massaio e i garzoni avevano visto arrivare il marchese, l’ingegnere e parecchi azionisti della Società Agricola; i quali erano rimasti colà una settimana per assistere agli studi e alle prime operazioni di sbarazzamento del terreno su cui l’edificio ideato dal marchese doveva sorgere.

Più di una cinquantina di contadini, tra uomini e ragazzi, scavavano le fondamenta, trasportavano il terriccio, felici di guadagnare pochi soldi al giorno che almeno servivano a non farli morire di fame, loro e le loro famiglie.

Qualche socio aveva, timidamente, fatto osservare al marchese che la spesa sarebbe stata, forse, eccessiva per un tentativo....

— Dovremo poi rifarci da capo? Tra due anni ci troveremo ristretti; vedrete!... E se sopraggiunge la pioggia, addio! Occorrerà di scappellarci alla gente, perchè ci faccia la grazia di venire a lavorare qui.

Nessuno aveva più osato di fiatare dopo questa strillata.

Si sarebbe detto che i denari presi in prestito dal Banco di Sicilia, gli scottassero le mani, ed egli avesse fretta di buttarli tutti via, in legname, in mattoni, in tegole, in calce, in gesso, in ferramenta di ogni sorta.

L’atrio era già ridotto un arsenale con un brulichìo, simile a quello di un formicaio affaccendato, di uomini che in certi momenti perdevano la testa, storditi dalle sfuriate del marchese, dagli ordini e dai contr’ordini, quand’egli mutava tutt’a un tratto di parere intorno alla costruzione di un muro, all’impostatura di una porta o d’una finestra che non gli garbavano più, quantunque stabilite da lui stesso e segnate nella pianta eseguita, col suo consenso, dall’ingegnere.

Allorchè questi, ogni due o tre giorni, arrivava a Margitello, trovava sempre qualche novità.

— Ma, signor marchese!...

— Mi meraviglio anzi che non ci abbiate pensato prima voi!

E spiegava la ragione del mutamento; e il torto doveva essere sempre dell’ingegnere, non di lui.

Era preso interamente da quelle costruzioni; avrebbe voluto vederle già in piedi, col tetto, con le imposte e tutto il resto; e gli sembrava che venissero su lentamente, quasi per ostile esitanza.

Appena le domeniche si rammentava di fare una visita in casa della zia, dove sapeva di trovare Zòsima con la madre e la sorella. Alla signora Mugnos non era parso conveniente che il marchese andasse a casa loro:

— Per evitare pettegolezzi, — ella aveva detto alla baronessa.

Ma, in realtà, perchè voleva evitare a sè e alle figlie l’umiliazione dello spettacolo di quelle squallide stanze dove esse nascondevano la loro misera condizione, e dove le figlie passavano le giornate, e spesso le nottate, lavorando di cucito o di ricamo; e lei, che non s’era mai sporcate le mani quando la famiglia era in auge, vi s’incalliva le signorili dita tirando il pennecchio della rocca e girando il fuso per conto di altri.

— Ah zia!... Dovreste venire a vedere, tutte e quattro. Una scarrozzata di poche ore.

— Il mal del calcinaccio è ereditario in casa nostra!

— Ma di che si tratta? Non ho capito bene, D’un palmento? D’un fattoio? — domandava la signora Mugnos.

E al marchese non sembrava vero di riparlarne, di dare ampie spiegazioni, di fare descrizioni particolareggiate; di condurre, quasi, le quattro signore per mano a traverso i tini, i tinelli, le botti e i bottaccini che ancora non erano al lor posto, ma che si sarebbero trovati là tra non molto; a traverso i frantoi, gli strettoi, i coppi pieni di olio, che non c’erano neppure vuoti, ma che erano stati ordinati, tutti di una misura e di unico modello, uguali a quello in uso nel Lucchese e a Nizza, verniciati dentro e fuori, e non di semplice terracotta che comunicava agli oli il rancido e ne alterava il colore!

Zòsima stava ad ascoltarlo con soave aria di rassegnazione, sorridendogli ogni volta che egli si rivolgeva specialmente a lei per dimostrarle che la stimava di maggiore intelligenza delle altre, e che la sua approvazione gli riusciva gradita assai più di quella di ogni altra persona.

Ma le sole parole di tenerezza che il marchese le rivolgeva accomiatandosi erano sempre queste:

— Non piove! Vedete?... Non piove!

— C’è forse fretta? — rispose Zòsima una volta. — Margitello intanto non vi lascia tempo di pensare ad altro.

— Lo dite per rimproverarmi?

— Non saprei rimproverarvi neppure se avessi ragione di farlo... Quando sarò davvero marchesa di Roccaverdina...

— Siete già tale, Zòsima, almeno per me.

— Quando sarò davvero marchesa di Roccaverdina, — lo ripeteva con accento scherzoso, — avrò certamente più agio di vedervi e di darvi qualche preghiera.

— Perchè dite così?

— Perchè dovrei parlarvi di una poveretta venuta l’altro giorno da noi....

— È vero — disse la signora Mugnos. — Voleva la signora marchesa. — Ma qui non c’è nessuna marchesa, figlia mia! Eccellenza sì, la marchesa di Roccaverdina! — Non ancora, figlia mia. — Eccellenza sì, la marchesa di Roccaverdina; debbo gettarmele ai piedi, per questa creatura qui, per quest’orfanello.... Il signor marchese ha fatto tanto! Gli dobbiamo la vita. Senza di lui, saremmo morti tutti di fame anche prima della disgrazia di mio marito.... — E bisognò farla parlare — la signora Mugnos sorrideva — con la marchesa di Roccaverdina!

— Per quel figliuolo di dieci anni, — riprese Zòsima.

— Che cosa voleva?... Chi era costei?

— La povera vedova di Neli Casaccio.

— Ma.... — fece il marchese.

— E insisteva: — Per niente, pel solo pane e vestiti; con quattro cenci lo ricopre.... O pure, se lo prenda voscenza, per ragazzo da mandare qua e là. È svelto di mente e lesto di gamba. — Che potevo risponderle? Non ha voluto persuadersi che non sono marchesa di Roccaverdina!

— E su questo punto ha fatto bene — egli rispose. — In quanto al ragazzo, no, non è possibile che lo prendiamo in casa nostra. La sua presenza mi rammenterebbe continuamente troppe cose tristi; no, no!

— Povera donna! — esclamò la baronessa.

— Zia mia, se si dovesse beneficare tutte le persone nel modo che esse richiedono!... Ognuno fa quel che può.

— Osservo solamente — riprese la baronessa — che gli uomini di una volta erano più cortesi di quelli del giorno d’oggi. Alla prima preghiera di una signorina — e calcò su le parole prima e signorina, — non avrebbero mai risposto con una negativa. Per lo meno, avrebbero promesso; e poi.... Si sa, le circostanze....

— Zòsima — disse il marchese, — scommetto che voi preferite la mia.... scortesia.

— Sì — ella rispose.

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