< Il Marchese di Roccaverdina
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Capitolo XXVII Capitolo XXIX

XXVIII.


Quella notte, neppure il marchese era andato a letto a Margitello. Aveva mandato due uomini a fare la guardia all’impiccato finchè non fosse arrivato qualcuno dei nipoti di lui; e riavutosi dal malessere prodottogli dal repugnante spettacolo, era sceso giù nella stanza terrena dove i garzoni, il massaio e gli altri uomini mangiavano la minestra di fave lesse, discorrendo dell’accaduto.

La presenza del marchese li aveva fatti tacere.

Poi uno degli uomini, presentando il piatto vuoto al massaio perchè glielo riempisse di nuovo, si permise di dire:

— Mandiamo un piatto di fave anche a compare Santi!

E rise per quella facezia; parecchi risero con lui.

Il massaio, rivolgendosi al marchese, notò:

— Era un pezzo che a Ràbbato non s’impiccava nessuno. Anni e anni fa, il Rospo, gessaio, poco dopo tornato dalla galera. Poi mastro Paolo il droghiere, perchè gli era scappata la moglie col campaio dei Pignataro, portandogli via gli ori e i quattrini; e non se ne seppe più nè nova nè novella!

— Compare Santi ha fatto il terzo! Ci vuole coraggio a impiccarsi con le proprie mani! — disse uno dei garzoni.

— E ora spargeranno che si è impiccato per me! — esclamò il marchese.

— O che gliel’ha detto voscenza: Impiccatevi? — rispose il massaio.

— Quasi io gli avessi rubato quei quattro sassi maledetti! È venuto da me coi suoi piedi. Si è preso settant’onze, in tanti bei pezzi di dodici tarì d’argento, uno sopra l’altro! E dopo andava dicendo, a chi voleva saperlo e a chi non voleva saperlo, che io gli avevo fatto violenza, con le liti, quando il vecchio ladro spostava il limite.... Questo però non lo diceva!

— È il destino — disse gravemente il massaio. — Il destino ci chiama. Quando il destino ci sta sopra... Dicevamo del Rospo, gessaio. Me lo raccontava mio padre... Quegli, sì, fece bene a impiccarsi!...

— Perchè? — domandò un giovanotto contadino, continuando a mangiare.

— Aveva rubato il pettorale della Madonna.... Anelli, orecchini, spille, tutti i voti dei fedeli, e la corona d’argento, anche quella del bambino Gesù nella cappella di Sant’Isidoro, e calici e patene nella sacristia.... Erano stati quattro, e vennero scoperti perchè il Rospo si era presa doppia parte, e uno dei compagni cantò. Li avevano condannati alla galera a vita. Allora non si scherzava, trattandosi di cose sacre. Ma nel quarantotto, la rivoluzione mise in libertà tutti i galeotti.... E il gessaio, trovata in casa una figlia di sedici anni, non volle credere che fosse sua, quantunque la moglie giurasse che egli l’avesse lasciata incinta di un mese quando era stato arrestato. Che doveva fare? Ammazzare la moglie pel tradimento e tornarsene in galera? Voscenza si annoia con questa storia.... Già potrebbe raccontarla meglio di me.

— Continuate — rispose il marchese. — L’ho udita accennare una volta, ma non so tutti i particolari.

— Bisognava sentirla raccontare da mio padre.... Il Rospo stava di faccia a casa nostra, dove ora abita don Rosario il farmacista, che vi ha fabbricato su un altro piano, coi balconi, e ha tinto in rosso la facciata. Diceva mio padre che il Rospo era un ometto corto, segaligno, tutto nervi; parlava poco, e dalla galera era tornato con la pelle bianca. Sfido! Era stato all’ombra sedici anni. Chi si aspettava di vederlo tornare? E la moglie e la figlia se lo videro comparire davanti come un morto risuscitato; neppure la moglie lo riconosceva. E quando egli sentì dirsi: — Questa è tua figlia! — guardò la ragazza con tanto d’occhi. — Ringraziamo Iddio! — rispose secco secco. La moglie capì, e si mise a piangere. Il Rospo era diventato verde come l’aglio, raccontava mio padre. Tutti i vicini, che erano accorsi, si posero in mezzo in difesa della moglie. E il Rospo chinava la testa: — Sì, sì; va bene. Che ho detto? Ringraziamo Iddio! — Ma metteva paura, raccontava mio padre... Scusi, voscenza — soggiunse il massaio, rivolgendosi di nuovo al marchese che sembrava ascoltasse distrattamente. — Io non so raccontarla bene questa storia; non c’ero allora, non ero neppur nato; ma la ho udita tante e tante volte da mio padre, che posso ripeterla con le sue stesse parole....

— E s’impiccò pel tradimento? — domandò un altro contadino.

— Ma che! Tutti credevano: — Ora ammazza la moglie! — Niente. Dal giorno dopo, egli riprese il suo mestiere di gessaio. E con la moglie non una parola, non un gesto; se non che, di tratto in tratto, conduceva via la figlia alla fornace dove cuoceva il gesso. E la moglie tremava: — Che farà? Scannerà quella povera creatura? — Non osava di fiatare però. E i vicini, zitti; avevano paura di lui, tornato dalla galera, con quel viso smorto smorto che inverdiva sempre peggio dell’aglio, come se il sole e l’aria non riuscissero ad abbronzarlo. Per farla breve.... Vergine benedetta! Pare impossibile!... Ormai egli era convinto che quella non fosse sua figlia; anche la disgraziata se ne era convinta, indotta da lui; e cominciò ad odiare la madre. Ogni giorno, bisticci, parolacce, quando non andava alla fornace col padre.... Finalmente, la madre se n’accorse. Piangeva da mattina a sera nei giorni che restava sola. Le vicine: — Che avete, comare? — — Ho la maledizione di Dio in casa! — Non si spiegava. Poi, la cosa diventò palese a tutti.... Bisognava esser ciechi per non capire. Quella sfacciata non si conteneva.... Insomma la povera madre doveva vedere e tacere. Fosse stata un’altra donna.... sia! Ma la propria figlia! Uno scandalo immenso! E i vicini facevano finta di non avvedersi di niente, per paura del galeotto.

— Cristo! Fece bene, giacchè non era sua figlia!

— Non parlate così, compare Cola — riprese il massaio. — Era proprio figlia sua! Un giorno la moglie cade malata, arriva in punto di morte, e prima di ricevere i sacramenti, glielo giura davanti al sacerdote con l’ostia consacrata in mano, davanti a tutti. — Sto per presentarmi al cospetto di Dio! — Oh! In punto di morte non si mentisce. E due giorni dopo.... Mio padre raccontava: — Avevo bisogno di un carico di gesso, e domando alla figlia: “Dov’è tuo padre?„ Risponde: “Nella stalla; dà la paglia agli asini„. Aveva sei asini per trasportare il gesso. E vo nella stalla, una porta accanto. Chiamo; nessuno mi risponde. Spingo la porta, entro.... — Mio padre qui si faceva sempre il segno della santa croce.... — Il Rospo s’era impiccato a uno degli anelli della mangiatoia con la cavezza d’un asino.... I sei asini mangiavano tranquillamente la paglia.... Si era fatto giustizia con le sue proprie mani! E la gente disse che era stato il castigo di Dio perchè il Rospo aveva rubato gli ori della Madonna e i calici e le patene!... Fu il primo a Ràbbato. Nessuno si ricordava che un rabbatàno si fosse ammazzato da sè fino a quel giorno.

— Il Rospo ha aperto la strada e gli altri gli vanno dietro! — disse compare Cola. — Io intanto me ne vado a dormire.

— Anch’io! Anch’io! È tardi. Santa notte!

Tre rimasero, col massaio e il marchese.

— Pure voscenza ha sonno.

— No, massaio.

— E ora, chi passerà più di notte per la carraia? — disse uno dei contadini accendendo la pipa.

— Hai paura dello Spirito! Ah! Ah!

— Voi ridete, compare. Ma chi ha visto coi suoi occhi, come in questo momento vedo il padrone e voi....

— Eri ubbriaco quella volta.

— Eh sì, col vino che danno i Crisanti! Aceto battezzato. Credetemi, per strada pensavo a mia madre che avevo lasciato malata, poveretta. C’era un fil di luna. Il cielo, sereno, con le stelle che ammiccavano; e il cane dei Sidoti uggiolava lassù davanti a la casa con la porta aperta, e gli uomini che discorrevano. Si udivano le voci, non le parole.... Questo per dirvi che non era tardi; un’ora di notte, forse, poco più....

— E così? — disse il marchese, vedendo che il contadino si era fermato per riaccendere la pipa.

— Mi sento accapponare la pelle ogni volta che ne parlo. Prima, rispondevo anche io: — Sciocchezze! Fantasia alterata! — quando udivo parlare di queste cose; ma ora mi farei mozzare il collo, eccellenza, perchè è la verità, se volessero costringermi a dire che non è vero.... Ero arrivato a metà della carraia qui, di Margitello, e davanti a me non c’era nessuno. Ci si vedeva bene.... Via, si fosse trattato di uno a piedi, forse non avrei potuto accorgermene... Ma di uno a cavallo! Avrei dovuto almeno sentire il rumore delle zampe della mula.... Tutt’a un tratto!... Come se la mula e l’uomo che la cavalcava fossero sbucati di sotto terra! La mula faceva salti, girava a destra, a sinistra.... A una ventina di passi, eccellenza, gridai: — Ohè! Badate! — Temevo che non mi venisse addosso.... Coi fichi d’India della siepe non potevo scansarmi, e mi fermai. E la mula saltò e girò, imbizzita, sbruffando dalle narici. Vidi vacillare quell’omo e sentii il suo tonfo per terra.... Volevo accorrere.... Gesù sacramentato! Omo e mula se li era inghiottiti il terreno dond’erano sbucati!... Se in quel momento mi avessero salassato, non avrei dato una stilla di sangue!... Proprio nel punto dove ammazzarono compare Rocco Criscione, eccellenza.... Pensavo a mia madre malata, non pensavo al morto!... Ho visto con quest’occhi, ho udito con queste orecchie; e non ripasserei di là, a notte avanzata, neppure se mi dicessero: “Ti diamo mille onze!...„ non mi crede, voscenza?

Il marchese si era alzato da sedere, pallido, con la lingua inaridita, e un tremito dai piedi alla testa ch’egli cercava di nascondere mettendosi a passeggiare su e giù per la stanza, voltando le spalle al massaio e ai tre contadini.

— Degli uomini io ho paura, non delle anime dei morti! — esclamò il massaio. — Una volta tornavo dalla campagna verso la mezzanotte. C’era un lume di luna che ci si vedeva come di giorno. E nel piano di Sant’Antonio ecco un fantasma, avvolto in un lenzuolo, e in testa un arcolaio che girava, girava! Mi fermo.... e lui si ferma; l’arcolaio però girava sempre. Lì per lì, si capisce, mi sentii gelare il sangue! ma siccome mi pareva che il fantasma volesse impedirmi di passare, — Per la Madonna! — grido.... Con la chiave di casa, e un coltelluccio dal manico di ferro, da due soldi, avevo fatto un rumore come quando viene alzato il grilletto d’una pistola... e mi ero slanciato con impeto ad afferrare un lembo del lenzuolo. “Compare Nunzio, che fate!...„ Era quel gran boia di Testasecca! “Voi, compare? — Zitto non avete visto niente!...„ E quel che vidi infatti non l’ho mai detto a nessuno... Una persona che scendeva da un certo balcone con la scala di corda...

— Un ladro?...

— Già, di quelli che fanno spuntare qualcosa su la testa dei mariti.... Chiunque altro sarebbe tornato indietro, e ora racconterebbe, come voi, la storiella del fantasma col lenzuolo e l’arcolaio in testa.

— Ma la mula e l’uomo a cavallo, che sparirono in un batter d’occhio, inghiottiti dal terreno? — riprese il contadino che aveva finito di fumare e vuotava la pipa sul palmo della mano.

— Che ne dice, voscenza? — domandò il massaio.

Il marchese non rispose, e continuò un bel pezzo ad andare su e giù per lo stanzone, a testa bassa, con le mani dietro la schiena, contraendo a intervalli le labbra, quasi per trattenere le parole che gli si agitavano su la lingua, scrollando spesso le spalle, assorto in un ragionamento interiore che sembrava gli facesse fin dimenticare il luogo in cui si trovava.

— Andiamo a dormire anche noi! — disse uno dei contadini.

Anche gli altri due si alzarono da sedere.

— Buona notte, voscenza!

Il marchese accennò col capo una risposta al saluto, e si fermò in mezzo allo stanzone.

— Destino! — esclamò il massaio. — Che vuol farci, eccellenza? Pietre dell’aria, che ci cascano addosso quando non ce le aspettiamo! Se permette, mi butterò sul letto di Titta, caso voscenza avesse bisogno di qualche cosa.

E prese in mano il lume per accompagnarlo.

— Sì — rispose il marchese.

Il cortile era inondato dal lume di luna. Nella gran pace notturna si sentiva, in lontananza, una voce che cantava.

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