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XXIX.
Aveva trovato la casa piena di gente. La signora Mugnos, Cristina, il cavalier Pergola, don Aquilante erano accorsi alle prime notizie sparsesi per Ràbbato del suicidio del vecchio Dimauro. Correvano stranissime voci.
“Il vecchio, preparato il cappio, atteso al passaggio il marchese, gli aveva imprecato addosso tutte le maledizioni del cielo e si era impiccato sotto gli occhi di lui. Il marchese, dallo spavento, cascato come morto per terra, trasportato alla Casina, era rinvenuto dopo due ore!...„
“Il vecchio si era presentato al marchese con la corda in mano:
“— Vi restituisco le settant’onze; datemi il mio fondo o, quanto è vero Iddio, m’impicco a un albero, là!
“— Impiccatevi, se vi fa piacere. Volete un po’ di sapone per la corda?
“E alla dura risposta del marchese, il povero compare Santi era andato davvero a impiccarsi. Il marchese lo aveva guardato dalla finestra, senza commuoversi e senza mandare nessuno ad impedire quella pazzia!...„
“Il vecchio aveva detto a un nepote:
“— Domani il marchese troverà un frutto nuovo a un ramo del mandorlo nel mio fondo di Margitello. Gli farà stranguglioni!
“Il nepote:
“— Che frutto nuovo?
“— Vedrai.
“E la mattina era andato via senza dire altro. Il nepote lo credeva a messa... Invece, povero diavolo, era corso a impiccarsi!...„
Titta, ripartito di buon’ora col pretore e coi carabinieri, aveva lasciato la marchesa in grande agitazione.
Alla vista della madre, Zòsima le si era gettata tra le braccia singhiozzando:
— Che disgrazia, mamma, che disgrazia!
Ma era sopraggiunto quasi subito il cavalier Pergola:
— Eh, via, cugina!... Che colpa ne ha il marchese?
Don Aquilante l’aveva poi confortata un po’, raccontando minutamente com’era andata la cosa; nessuno poteva saperlo meglio di lui che aveva chiuso l’affare. Il marchese aveva tutt’altro pel capo, in quei giorni, che il terreno di compare Santi!
— Il vecchio venne da me: — Signor avvocato, finiamola! — Io alla prima non avevo capito. — Che dobbiamo finire? — Questa storia del mio fondo di Margitello. — Vi siete deciso finalmente?...
— Ma dunque perchè?... — aveva esclamato all’ultimo la marchesa strizzandosi le mani. — Ma dunque perchè?
— Perchè il vecchio avaro avrebbe voluto insieme e fondo e denari. Tutti i contadini sono così; uno più ladro dell’altro. Bruti! Anime di animali in corpo umano.
E pronunziava queste parole con aria misteriosa scrollando la testa, socchiudendo gli occhi, quasi nascondessero un concetto profondo che sarebbe stato inutile spiegare; nè la signora nè il cavalier Pergola lo avrebbero capito.
All’apparire del marchese su l’uscio del salotto, nessuno aveva osato di dire una parola.
— Che cosa c’è? Fate il lutto? — egli esclamò bruscamente. Gli era parso proprio di entrare in una di quelle stanze dove i parenti di un morto vi ricevono silenziosamente le persone più intime, con costume forse orientale tuttora vivo in Sicilia.
— Come state? — gli domandò la marchesa.
— Io?... Benissimo!...
Era pallido invece e rivelava una profonda irritazione nel tono della voce.
— Benissimo, vi dico! — egli replicò a un gesto dubitativo della marchesa.
— Non ci mancherebbe altro — intervenne il cavalier Pergola, — che il cugino dovesse star male perchè un imbecille si è impiccato!
— Mi dispiace soltanto di non aver potuto dormire la notte scorsa — soggiunse il marchese. — Vado subito a letto, per un paio di ore.
La marchesa lo seguì in camera.
— Grazie, non ho bisogno di niente — egli disse.
— Prendete almeno un torlo d’uovo col caffè.
— Niente. Lasciatemi dormire un paio d’ore.
— So che vi siete sentito male....
— Male, perchè? Sono un bambino forse?
— Lo hanno portato via? — domandò la marchesa dopo un istante di pausa.
— Sì, il diavolo se lo è portato via!... Ma non capite che non voglio parlarne?... Che voglio.... dormire?
La marchesa lo guardò stupita e uscì di camera mortificatissima, quasi si fosse sentita scacciata. Chiuso l’uscio, e tenendo una mano sul pomo di rame della serratura, stette là alcuni secondi, per ricomporsi prima di tornare in salotto.
— È già andato a letto? — le domandò lo zio don Tindaro, arrivato in quell’intervallo. — Peccato!... Volevo mostrargli....
E tolse di mano al cavalier Pergola uno strano idoletto di argento, il suo più bello acquisto di quell’anno, egli diceva.
— Eh nepote?... Un tesoro!... Cosa egiziana!... Un Anubi, il Dio Cane.... Come è venuto qui?... Da quanti secoli? Era a un metro sotterra.... Lo ha scavato, per caso, un contadino e me lo ha portato.... — Ti dò due piastre, sei contento? — E non ne avevo ancora capito l’importanza, lo confesso. Dopo, osservandolo meglio.... Argento.... non c’è dubbio.... Ma quand’anche non fosse?... Il valore non consiste ne la materia, ma nella cosa rappresentata.... Pensate, nepote mia, che voi avete tra le dita un oggetto di parecchie migliaia di secoli!... Ero venuto a posta per farglielo vedere.... E anche per sapere che c’è di vero in quel che mi è stato detto. Si è impiccato sotto gli occhi del marchese?... Ma nessuno ha pensato a tagliare la corda? Dovevano fare così....
— Ma vi pare, papà! — lo interruppe il cavalier Pergola.
— È quel che ho risposto io: ma vi pare!
— Potrebbe accadere anche a voi. Figuriamoci che qualche maligno dicesse al contadino che vi ha venduto questo idoletto: “Sciocco! Ti sei lasciato cavar di mano una fortuna. Quel cosettino valeva più di mille onze....„ E che costui dal dispiacere....
— Ma io glie l’ho già detto prima: — Guarda; ti dò due piastre. Se intanto c’è qualcuno che volesse dartene di più.... Mostralo a chi ti pare; solamente io vorrei la preferenza. C’è chi te ne dà dieci? Ed io ti darò dieci piastre e mezza — Se costui però venisse a dirmi.... (sono così ignoranti i contadini! Si credono sempre rubati dai galantuomini!...) Ma io gli risponderei: “Tieni! Restituiscimi le mie due piastre.„ E mi costerebbe un grande sforzo. Mio nepote il marchese è di altro parere. I negozi sono negozi; non si fanno per disfarli. Ha ragione. Ma quando si combatte con ignoranti che poi sono anche sospettosi e maligni? Il meglio è non avere che spartire con essi. Tanto, possedere o non possedere quella spanna di terreno che dovrebbe importargli? Visto che il vecchio si era pentito della vendita, e che andava là a piangere su le zolle — a un contadino potete prendergli la moglie, la figlia... sta zitto, chiude gli occhi; ma un pizzico di terra no! è come strappargli un brano di cuore — visto che il vecchio si era pentito della vendita, io gli avrei subito proposto: sciogliamo il contratto; ecco il vostro fondo, qua le mie settant’onze.... e sputiamoci su, come suol dirsi. Gliel’avevo consigliato, poche settimane fa: — Nepote mio, lèvatelo di torno questo compare Santi Dimauro! — Tuo marito, scusa, nepote mia.... ha una testa!... La testa dei Roccaverdina! Se mi avesse dato retta, quel che è accaduto non sarebbe accaduto, e tu non staresti ora spaventata spaventata, con quegli occhi che guardano e non vedono... Lo hai osservato bene il mio idoletto? Non ti sei neppure accorta che ha la testa di un cane!
Era proprio spaventata spaventata, come diceva lo zio Tindaro. Le rombava nell’orecchio il tono aspro, quasi villano, della voce del marchese, quale fin’allora non le era accaduto di udirlo in parole rivolte a lei. Per giungere a questo punto, ella rifletteva, il turbamento del marchese doveva essere grandissimo; rimorso più che turbamento, se lo zio gli aveva consigliato: — Levati di torno quel compare Santi! — ed egli non aveva voluto dargli retta perchè un affare quando è concluso... è concluso!
In un angolo del salotto, il cavalier Pergola discuteva ad alta voce con don Aquilante intorno ai primi capitoli della Genesi. Di tratto in tratto si udiva la voce severa di don Aquilante che ripeteva: — Parole il cui senso non è stato ancora compreso! — E la replica del cavaliere: — Bisognava appunto attendere voi per sentirselo spiegare! — Come fossero arrivati fino alla Genesi parlando del suicidio di compare Santi, nessuno dei due avrebbe saputo dirlo; certamente avevano fatto presto. Lo zio don Tindaro che si era avvicinato ad essi, udito di che si trattava, guardato in faccia suo genero e crollata la testa, si era allontanato borbottando:
— E poi si ricorre alle reliquie dei santi!
Passando davanti a la signora Mugnos e Cristina che cercavano di confortare la marchesa, il cavaliere don Tindaro fece il gesto di chi non vuol disturbare un intimo colloquio; ma la signora Mugnos lo richiamava:
— Diteglielo anche voi, cavaliere; non è un’imprudenza pretendere che il marchese renda quel fondo agli eredi?
— E senza chiedere la restituzione del prezzo, aggiungerei io! Settant’onze non fanno nè ricco nè povero il marchese di Roccaverdina; con quella spanna di terreno o senza di esso, Margitello sarà sempre Margitello. Margitello ha fatto come il pesce grande che ingoia il pesce piccolo; si è mangiato Roccaverdina. Roccaverdina, che è il titolo di famiglia, è sparito in Margitello, dopo l’abolizione dei fidecommessi. Un pezzo tu, un pezzo io, un pezzo quegli... come le spoglie di Gesù Cristo, che i crocifissori si giocarono ai dadi. Dico così per modo di esprimermi... Il marchese, d’altra parte, non ha torto. — Perchè debbo avere quella soggezione in casa mia? Per questo ho comprato qua, ho comprato là, sbarazzandomi di tutti i vicini. — Ora Margitello è un gran rettangolo, chiuso dai quattro lati dallo stradone provinciale e dalle carraie comunali, perfettamente isolato. Ma quel vecchio testardo voleva star conficcato là per far dispetto al marchese...
— Ah!... Non posso pensarci!... Mi sembra che ci sia la maledizione su quel terreno!...
— Chi può dirti il contrario, cara nepote?
— La mamma ha paura che il marchese....
— In questo momento non vi sembra imprudente prenderlo di fronte?... — la interruppe la signora Mugnos. — Più tardi, forse.... Ma sarebbe sempre meglio lasciarlo fare a modo suo.
— Ed è capace di continuare a fare a modo suo, anche per picca! — concluse ridendo don Tindaro.
— Sì, mamma; vo’ vedere se m’ama! — esclamò Zòsima poco dopo, appena rimasta sola con la signora Mugnos e Cristina. — Vo’ metterlo a questa prova!
— E poi? — disse Cristina guardando con profonda espressione di disinganno la sorella.
— E poi?... Almeno avrò la certezza.
— Io non la cercherei.
— Perchè?
— Perchè.... La penso così.
Ella pensava diversamente.
Era entrata con molta cautela in camera, non volendo svegliare il marchese, se per caso dormisse ancora. Vistolo supino, con gli occhi aperti, immobile, come se non si fosse accorto della presenza di lei, la marchesa lo chiamò con un grido:
— Antonio!... Oh, Dio!... Mi avete fatto paura! Vi sentite ancora male?
Si era accostata, ansiosa, tremante, e lo aveva preso per una mano.
— Ma che cosa immaginate dunque? — egli disse con voce che mal nascondeva l’irritazione. — Che vi hanno riferito? Che vi hanno insinuato nell’animo?...
— Ah!... Sentite: — ella riprese, giungendo le mani in atto supplichevole — ve lo chiedo per grazia!... Se mi volete veramente bene.... . — Avete bisogno di altre prove? Dopo quel che ho fatto?
— Di altre prove no.... Mi sono espressa male. Per la nostra tranquillità, per disperdere qualunque mal augurio — che volete? Io sono superstiziosa come tutte le donne. Voialtri uomini forse non potete credere che certi sentimenti sieno spesso previsioni, ammonizioni del cuore — per la nostra tranquillità, sentite...!
Esitava, non osava di esprimere con parole più schiette e più semplici il suo vivo desiderio, di imporglielo anzi con la tenerezza che in quel momento le vibrava per tutta la persona e che ella avrebbe voluto almeno indovinata se non scorta da lui. Esitava, aspettando che le accorresse spontaneamente in soccorso e che la prevenisse accordandole, quasi in regalo, quel che ella gli richiedeva con timido gesto di preghiera. Appena però si avvide che il marchese la guardava diffidente e in atto di difesa e di resistenza, si sentì invadere da un impeto di coraggio e di forza e con accento risoluto riprese:
— Sentite: dovreste rendere quel fondo agli eredi, come vi ha consigliato lo zio don Tindaro, e senza volerne restituito il prezzo.... Vi prego di fare così, per amor mio!
— E con ciò confermare che il vecchio si è impiccato per colpa del marchese di Roccaverdina!
Saltò giù dal letto, buttando da lato le coperte sotto cui si era ficcato vestito.
— Mio zio non capisce niente, con le sue antichità! — soggiunse.
— Ve lo chiedo come dono.... come sacrificio; non vorrete rifiutarmelo. Non sarò mai tranquilla finchè quel fondo di malaugurio farà parte di Margitello....
— Che sospettate? Che vi hanno detto? Parlate!
— Che cosa potrebbero dirmi?... Che potrei sospettare?... — ella domandò lentamente, indietreggiando un po’ davanti a quella domanda scoppiata con un urlo di collera.
— Non mi dite più niente, non mi parlate più di questo! — fece il marchese.
C’erano nell’espressione della faccia e nel tono della voce così evidenti segni di terrore e di angoscia, che la marchesa potè significargli soltanto con un dolce gesto delle due mani:
— Farò come volete!
E uscì di camera.