< Il Misogallo (Alfieri, 1903)
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Sonetto XXVI
Sonetto XXV Prosa quarta. Dialogo fra un uomo libero ed un liberto

SONETTO XXVI.

18 luglio 1794.

XVI.    Χρὴ δὲ σιγᾷν, μὴ μόνον τῇ γλώττῇ, πολὺ δὲ μᾶλλον τῇ ψυχῇ.

Polibio, lib. IX, cap. 18.

Ed è forza il tacersi, non pur con la lingua, ma vieppiù assai con l’animo.

La militar tirannide Romana
Ch’oltre ogni Re fa i Cesari nefandi,
E quella dei Decemviri esecrandi,
Cui seppe il fier Virginio alfin far vana;
E la pretesca nostra Itala, e Ispana,
Dei mostri inquisitori abominandi;
E quella dei Tedeschi, e Russi brandi,
Che con un voglio ogni ragione appiana;
E quant’altre fur mai, sono, e saranno
Pria che davver la servitù rincresca
All’uomo, illuminato dal suo danno:
Un fior son tutte, una piacevol tresca
Da far gola, ed invidia a quei che stanno
Godendo in Gallia libertà Francesca.

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