< Il Newtonianismo per le dame
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Dialogo Secondo Dialogo Quarto

DIALOGO TERZO.




Alcune particolarità della vi <fione. Discoperte

nell’Ottica^ e Confutatone del Si-

stema de' Cartefiani.




L’Impazienza che avea la Marchete di fcperne più dellHuygens era grandiflìma. Ella volea ad ogni patto non perder tempo, e continuar la noftra vifione la feguente mattina iftefla, Io le diffi che bifognava prepararli con un po’ più di cirimonia a cosi alto grado di fapere., e eh egli meritava bene, che fi afpetraffe almeno un dopo pranfo. In tanto ella conofeer porca, per non perder tempo, come l’occhip vegga gli oggetti polli al di fuori di lui, ma non poffa m modo niuno veder fe fteffo. Quindi ella era in ìitato di meglio intendere ciò che le dovea effere Itato ripetuto più volte

    Luci beate, e liete,
    Se non che il veder voi fle^e v 1 è tolto;
    Ma quante volte in me vi rivolgete.
    Cono/cete in altrui, quel che voìftete. Ecco tutta l’Ottica,: di’dla potè aver da me te

mattina. Il dopò jpranfbielU afpettava, ch’io incornine l’affi in quella maniera, che farebbe un’Jmzrsto, a cui grandi e nàfcofì miflerj fvelar fi do veliero Alla line non fattili voi contenta, incominciai io, per intender come con due occhi noi vediamo un folo oggetto, di dire, che noi realmente vediamo con un occhio folo, e che l’altro in tanto fta in ozio, e li ripofa? Egli è meglio, difs’elta, che voi ci facciate guerci alla beila puma, e allora non vi farà più di incolta alcuna. io amerei egualmente di dire, che noi" camminiamo con un ibi piede. Voi fiere più diicreta, rifpos’io, di un Poeta Latino,, che dice, die le Dame amere bbono tanto di avere un folocchio, quanto un folo Amante. Ma quella ftrana fpiegazione, che fu però data da qualche grave. Filofolb, e che in gran parte accorda colla prefunzion Cfncfò, figlie amendue dell ignoranza, che tutte le Nazioni, fuorché laloro, veggano con un’occhio folo; vi farà almeno leu tir fa diiScohà, che a feiogiier quelb nodo s’nuoMtiMoo. Fece un’altro de’ nervi ottici due, Ipeetc di liuti a vane corde, che frcorrifpondono nell’uno e nell’altro, talché le due immagini dell’oggetto cadendo in corde egualmente refe, o uniffònc, egli dc^ba vederfi’femplice Ma tutte queste belle’, e ingegnose spiegazioni non vi render ari’ niente più dotu dell’Huygens. Io credo, che la vera ibicgazione di quello diffidi fenomeno, come molte altre cofe nel vedere coìì dia pure dalla iperiemza dipenda. Il senso del tatto, e della vista, si danno insieme la mano, e l'uno ajuta l'altro nella formazione delle nostre idee, non altrimenti, che gli occhi, e gli orecchi nell'imparar che facciamo una nuova hngua il SS un i a gH alm vicendevolmente iocF fn tfueftò fenfo del tatto, che e molto pm corlò. QueUc > lenio a tefflent. c informato SI. Nello itolo modo un «ella.«mera orfana da due.nana«M alla volta, non Hnp ^ ira alla volta n una maniera Uiaoicnaana. que dita ana ui apparirà dopip crocciandole J^gJ^^SiKS lofeo, ci p ia, come dopp, quando ^ ^ &?o emente unir, da lungo abuo con. quei e ilraordinane fenfaz.oni, che noi doboumoa due di elle, l’idead’un folo oggetto congiungere.

Voi credete adunque, ripigliò la Marchesa in atto di maraviglia, che se alcuno li tolte accoitumato per lungo tempo a premere un bottone con le due dita incrociate mheme rebbe più doccio? Nò veramente, rispos'io, per la ragione, che non apparifeemo doppj gii oggetti a quelli, che guardan losco naturalmente. Acquistan costoro nella loro ma ni era di guardare per un lungo ufo quel -medi-fimo abito, che noi nella, noiìra acquisiamo. Vi a a quello propofito una lmgolare, e curiofa ofl’ervazione fopra di uno, a cui per Sventura s’era diporto, e dislocato un’occhio. V edeva quefti fui principio tutti gli oggetti doppj, finche a poco a poco quegli che più familiari gli erano, cioè a dire quelli, fu’quali egli avea più fperienza del tatto, divennero femplici, e poi col tempo lo divennero anco gli altri, benché lo slocamento continuale. Io non dubito, che in virtù di quella fperienza, l’Argo da cent* occhi non vcdefTe la bella Fera, ch’era confidata dalla gelofa Giunone alla fu a cuftodia, e ch’egli cuftodì cosi male, niente più moltiplicata, che faceva Polifemo con un ibi’ occhio la fua Galatea.

Questa sperienza del tatto, disse la Marchesa, vi rende, per quel ch’io veggo, molto animofo. Vi renderà ella ancor tanto, che ofiatc ntraprendere con elfa la fpiegazione di ciò, che pur ieri, vi domandai: come gli oggetti dipinti neh? occhio al rovefeio, fi veggano diritti nel!’ animo? Le sperienze del tatto, rifpos’io, fi eftendono per avventura più in là, che voi non credete. L’idee della viltà fono rifpetto ad elio, ciò che quattro tratti di penna fono, paragonati ad un bel rilievo. Noi abbiamo avuto l’cfempio d’uno Scultore, che benché cieco fcolpiva però palpando de’ ritratti aliai tollerabili. E per le Dame credefi, eh* e’ non volefTe ri trarne la reità fenza il busto. Uno de' più gran Matematici dell’ Inghilterra, paese de’ fenomeni, e che vi potrebbe tuttavia e fx può dir naro cieco; molto più!»*_ SSSS^S^ Dotto Francefc, che fenza ave nè voce, ne orecchio, -intraprefe e lungi avanzo?c più vafte e dilicate ricerche falla Malica. Il tatto eli reca alla fatxtalìa idee molto più chiare SSISi che;non fa agli altri la f)***J* ^cere non avrebbe eglx a darvi ad»t«**4£ coteiìe voitre fonili, e tufellate dita la corner gent o divergenza de’ raggi? D’altra parte e x fanremmo, e che faremmo noi fenza il tatto? intpacTdx giudicar del fito, della dìfUnza e dcU & oggetti, ficcome avea profetizza o il Berkley, che più d’ogni altro a feifc coniUemo la Metafifica della vifione ed à verificato l’efperienza in alcuni, che curatx da catarattc nate con effi, nonne potean recar giudizio alcuno, prima che il ratio venuTc loro infoccorfo; irrita i dalla villa ad un fapere, ed a’ piaceri, a quali.noi non potremmo mai pervenire. Lanotra condizione farebbe peggiore di quella de cuitoferragli deli-Oriente. Le fperienze adunque, che facciam giornalmente col tatto, c miegnano che gli oggetti ifco diritti nella maniera, che c’infegnan, che fon fempHct, in certi (iti, in cene diftanze, e di certe forme. Non v a, cred’io, che il Befcartes, ch’abbia pretefo di dare con una fimilitudine, una fpiegazionc immediata di quefto diffidi fenomeno. Immaginatevi, die’ egli, di avere due canne in mano l’una nella delira - e l’altra nella fmiftra incrocciate insieme, e di camminare ad occhi chiufi per queste stanze con quefte due canne innanzi Non v’à 1 dubbio, ciré quelle cofe, che voi fentirete con quella canna, che avere nelJa man defrra, e che per mezzo di effàvi premeranno la medefima nMto0 ddh ’a, voi direte eiTere a fìniftra, e umilmente quelle, che fcntirere coli’ altra, che avere nella mano finiiha, direte effere a delira. Nella meddima maniera incrocciandofi i raggi che dagli oggetti vengono al fondo dell’occhio W umor enfia lino; quelli che premono la retina dalla parte deftra vi fanno rifenre i punti, dond’effi vengono alla parte fìniftra, e quelli che Ja premono dalla finillra, alla deftra; e così quelli che vengono a premere le parti fuperiori dì ella, vi fanno riferire i fopradetti punti alle parti infenori e quelli delle inferiori, alle fuperiori E per tal modo quell’immagine, che nella voftra retina fi dipinge al rovefeio, vi fa vedere gli oggetti diritti.

In verità, disse la Marchesa, che quella spiegazione e ingegnosa. Perchè non potremmo noi tenerci ad efla, che ci dà una ragione immediata W q netto fenomeno feri za cercarla altrove > La Ipenenza foggiuns’io, ci fa per ifvcnrura vedere,

eh ella non e che ingegnofa. Un fanciullo, ctie ii tenga Mpkfo co’ piedi in alto, vede ogni cofarovcfcio, benché l’immagine degli oggetti efterni Ridipinga rifperio ad effi fullafua retina, n elio ite fio modo appunto, quand’egli è in quefta luuazione, che quando ordinariamente fi uen diritto fu’i piedi. Altra idea non â egli di alto e di basso che rispettivamente a se, e quando egli è co’ piedi in alto, crede che tutto l’Universo lo sia altresì. Senza di che questa medesima spiegazione suppone anteriori idee dell’alto e del basso, dell’a destra e dell’a sinistra, le quali non possiamo avere che dal tatto. 

Egli ci â costantemente insegnato in virtù d’una sperienza in ogni istante replicata, a chiamar bassa la Terra, verso cui noi ci sentiam di continuo dalla gravità portati, in giù quelle cose che ad essa Terra contigue sono, come il piedestallo d’una colonna, o i nostri piedi, e insù, ciò che da essa è lontano, come la cima d’un albero, o il nostro capo. Queste & altre simili idee il senso del tatto nello spirito d’un cieco nato reca con quella precisione con cui il senso della vista può nel nostro recar le idee de’ colori. Ora se noi tutto ad un tratto colla fantasia almeno leviamo a costui dinnanzi quella tela, che il Mondo visibile gli asconde, e consideriamo in qual maniera debba egli della situazione degli oggetti giudicare, noi potremo venire in chiaro per qual modo ne giudichiamo noi stessi, che le idee dell’alto e del basso abbiamo con esso lui comuni. Egli è certo, che da molto maggior maraviglia preso all’aprir degli occhi egli sarebbe, che non fu dopo quel suo sonno di tant’anni il famoso Epimenide dell’antichità, che risvegliato che fu, che che si fosse non riconosceva, e quella medesima terra non ravvisava, dov’egli era nato, e nutrito. Una nuova scena d’idee si spalanca a costui dinnanzi, una folla di novelle sensazioni inonda per questa nuova strada dagli oggetti all’animo aperta, dalle quali soprafatto e percosso, si ritrova, senza saper come, in un’altro Mondo trasportato. Qual rapimento, esclamò la Marchesa, e quale estasi sarebbe mai cotesta! Se tanto piacere a noi cagiona la novità, che si raggira poi sempre intorno a cose delle quali abbiamo idea, e che altro non è infine che una non più vista combinazione di quegli oggetti che già conoschiamo; quanto infinitamente maggior piacere non dovrebbe in un tal uomo cagionare un Mondo di cose realmente nuovo, e una novella combinazione di quelle idee che già d’altronde avea, con quelle che un senso di più in grande abondanza gli somministra? Ma siccome il dolce delle umane cose è purtroppo d’alcun’amaro guasto sempre e corrotto; non potrebbe egli veder ciò, che aperti appena gli occhi alla luce, bramar gli facesse di averli ancor chiusi? Gran ragione avrebbe egli di credere del novello senso amici quegli oggetti, che degli altri lo erano, e che siccome quelli, quello pure piacevolmente ricercar dovettero e lusingare. Mi non potrebbe egli tutto il contrario avvenire, talchè ciò che a toccar dolce, e dolce ad udire sembravagli, disaggradevole alla vista gli riuscisse, onde anzi di accrescergli de’ piaceri il numero, i più sensibili quello novello senso gli levasse, e qualche dolce legame dagli altri stretto scortesemente disciogliesse?

Pur troppo, rispos’io, costoro il più delle volte non van d’accordo insieme. E a quanti non avviene tutto dì, che giudicando infine non più colla sola immaginazione, che non corrisponde

    A quel ch’appar di fuor quel che s’asconde;

conoscono d’esser giunti troppo presto là, dove avrebbon creduto di non dover mai giunger che troppo tardi. Un cieco, foggtuns’ella, almeno Un che ama, non dovrebbe mai defiderar di vedere. Contento del giudizio di que’ fenfi che amabile un* oggetto gli rapprefeotano, perchè nterrogarne un altro, che può per avventura condannar iobito la iua fcelta, e che fomigliante forfè alla ragione, gli fa vedere il male fenza poi dargli i mezzi di fehi vario? punica confolazione, replicai io che avrebbe quello mi fero nella fu a disgrazia di vederci, è che non farebbe cosi tolto infelice come voi per avventura ve l’immaginate. Come? ripigliò ella. Se il piacer di vedere non lo rendette affatto impulito, non domanderebbe egli di veder per la prima cofa colei, per cui dovea principalmente deliderar di vedere? e veduta che l’avelie, s’accorgerebbe tolto, fe difaggradevol la trovaffe, della fua infelicità; fe pur l’amore riguardo al iie41o non lo rendette cieco un’altra volta. Egli la domanderebbe, rifpos’io, la vedrebbe, e non per quefto la riconofeerebbe. Troppo gran miracolo faria quefto, che l’Amore fteffo non è capace di operare. Udrebbe, fe volete, il fuono di quelle parole, che grate agli orecchi, e più grate al cuore, gli fuonerebbono, e non conofeerebbe la bocca, dond’elle a bearlo ufeiffero. Lo crederete voi? Egli non riconofeerebbe non che altrui, nè pur fe medefimo, i fuoi itela piedi, e le fu e mani per quanto riguarddasse e riguardasse; non fapendo per modonìunoj quali fenfazioni della villa fogliano con tali altre del tatto congiunte andare; il che è pur nece Ilario per riconofeer quegli oggetti, de’ quali egli non a idea che per via di fenfi di natura differeatiffimt dalla villa, e che dipende da una fperienza ch’egli non à ancor fatto. Le proprie mani dovrebbe» no edere il primo oggetto che im par affé a conofeere, e ciò roccandofele e guardandofele re pinatamente nello llelfo tempo, e mettendoli a memoria, che a tale idea del tatto tale altra della villa corrifponde. Apprefa ch’egli avelfe quella corta lezione, Amore lo condurrebbe più agevolmente a quelle fperienze,che alla fu a amo. rofa curiofità, con buono o mal’efito foddisfa potettero; noi a quelle lo condurremo, che la nolira filolofica curiofità pofsano contentare.

Una delle prime farebbe, ch’egli muovesse sù e in giù quella mano, cui egli non dura più fatica alcuna a riconofeere; e ciò facendo, fentirebbe qualche maniera di cangiamento nella fetifazione che di ella avelie per la villa, cagionata dal cangiar di iìto che l’immagine di ella pur fa nella retina, a mi fura che più alta foifc la mano, o più balfa. Noterebbe egli diligentemente dalla JN atura fleflà.guidato, lènza che sforzo alcuno la fua attenzioni gli coltali?, qual maniera di fenfazione folfe da lui percepita, alìor quando alta tenea la mano; e qualunque volta la medelìma fenlazione dallo lìelfo, o da un* altro oggetto gli foflè eccitata, la cui immagine nel medelìmo fico della retina cadeffe, benché a lui ignoto; egli conchiuderebbe, quell’oggetto edere.alto opure nel fico, in cui da prima trovavafi lafoa mano Per cotal modo legando infieine le antiche iciec de arto colle nofelle della villa, dell’alto e del badò di un’oggetto, dell effe* diritto, o rovereto, non ^portando nu la fc l’immagine di lui rovelcia dimta nella retina, o in qualunque altra politura li dttt. OH oggetti etórni fono, a lui dirò cosi ikmfìcati da certe fenfazioni di luce e M colori, come i penfieri dell’animo a noi lo fono, da certi caratteri non già in virtù di alcuna fomiglianza,che v’abbia tra gli uni e gli altri, ma per via di un’arbitraria, collante pero e perpetua [connettane, che abbiamo offervato tra di etTo loro. E fu rome l’effer quelli caratteri ferini da finiftra a delira come noi fogliamo tare, o da de-lira a fmilìra alla maniera degli Orienta 1, o pure d’alto in baffo alla foggia Ginefe, nulla cangerebbe nell’ordine delle idee, che alla mente riiVeetiercbbono,una volta che ad una certa e collante maniera di fcrittura ci fofli.no avvezzi; cosi fetler certi colori, o per un verfo o per i altro nella retina dipinti, non altera in modo niuno il giudìzio che della loro fonazione recato viene.

Il cieco che ci âa fin’ora in quello labermto ficuramente guidato è ciafeun di noi, che a quella luce elee ad occhi chiusi, e non comincia probabilmente a vedere, fe non dopo aver per qualche tempo Pentito.Così voi avrete, o Madama, al predominante feafo del tatto di quella novella fptegazìone ancot l’obbligo, e per poco che ci pentiate, vedrete che ad esso lui ne avete fenza dubbio avuto i maggiori nel corfo della vostra vita. Io veggo bene, dilV ella, che voi fiete più amico del tatto, che del Defcartes, e che non vi iì potrà propor dubbio, che voi non fiate pronto a ri ibi vere con e ilo. Vi degli altri dubbj, rifpos’io, intorno alla viflone, che io vi rifolverò fcnz’eflò, acciò vediate, che io non fono poi cosi fcarfo di fpiegazioni. Uno di quelli potrebbe per avventura ch’ere, cjual mutazione debba far fi nell’occhio per vedere diitintamente gli Oggetti pofH in varie diftanze. Imperciocché ficcomeabbiam detto nella camera ofcura l’unione de’raggi degli oggetti più vicini fai fi a una maggior diitanza dalla lente, che l’unione de’ raggi degli oggetti più lontani; così l’iiteilo fuccede affatto nell’occhio, in cui l’unione de’ raggi, che vengono dalle colonne di quella loggia, fi fa a una maggior diitanza dall’umor criliallino, che l’unione de’ raggi di quegli alberi, che ne fon più. lontani. Qual mutazione adunque bifognerà egli, che fi faccia nell’occhio, acciò guardando noi a quegli alberi dopo aver guardato a quelle colonne, i raggi che vengono da efli si uniscano. folla retina, che vale a dire acciò li veggi amo didimamente? Bifognerà, di fs’ella, far avvicinar la retina all’umor criliallino, ficcome per aver l’immagine diihnta degli oggetti più lontani av vicinar conviene la carta alla lente nella camera oscura. La fpiegazionc, rispos’io, l’avete trovata voi, Dialogo Terzo*. |*5 voi, e a questo effetto di avvicinare, e di allontare’dall'umor cristallino secondo i varj bisogni la retina, dissero alcuni, servire certi muscoli, che circondan l’occhio, oltre al servire ch'essi fanno ad alzarlo, ad abbassarlo, a girarlo a destra, e a sinistra, e a dargli un certo moto obliquo, che Venere principalmente ha la cura di regolare.

Con questi Amore


j Sfóf occhio

Quaft di furto mira, Né mai con dritto guardo i lumi gira.


e con quefti, gli occhi fi dicono moke volte gli uni agii altri ciò, che la lingua non ofa nominare. Alcuni kìkn differo, che la retina {landò immobile, l’umor ernia! li no s’avvicina, e fi allontana di ella, o pure che l’umor criitallmo muta folamente figura, rendendofi più convello per gli oggetti vicini, e meno per li lontani, e tavvi inrìne chi pretefe l’uno, e l’altro farli nel medefimo tempo; le quali cofe tutte preltano il medeiìmo effetto, che fe la retina fi avvicinane ò allontanali da lui; il che voi fuppor potrete come ciò, che è più facile all’immaginazione. Per ogni dittanza adunque fi richiede una novella conformazione neh occhio, la quale perchè non li può fare fenza moto, o fenza un certo sforzo, vogliono alcuni, eh* egli ci avvilì per una certa naturai geometria delle varie diilanze degli oggetti; il qua! modo per altro di giudicare, mainine quando fi tratta di oggetti molto lontani, è aliai assai incerto,, come lo fono quali tutti gli altri che fi fono veduti fin' ora comparir fu Ila fccna della Filofofia.

Ma comecché fia di ciò, vi fono alcuni, che non ponno avvicinar tanto la retina all'umor criftalhno, quanto bi fognerebbe per veder dipintamente gli oggetti lontani, ed all'incontro alcuni altri, che 'non ponno allontanarla tanto, quanto per veder didimamente i vicini faria meftiero. I primi, che il volgo dice aver la villa corta, son chiamati dagli Ottici Miopi, e Presbiti i secondi , che comunemente diconfi aver la vista lunga. Eglino fono come i confini, tra' quali ftà quella villa, che d'ordinario fi dice giù Ila e per fetta. Colloro benché onorati dall'Ottica di denominazioni, che origin traggon dal Greco, si accorfero tuttavia d'efler viziofi negli occhi ; e a tal fine cercarono de' rimedj, i Miopi per poter vedere dìdimamente gli oggetti anco i più lonranl, e i Presbiti i più vicini. Quelli ultimi tro varono per loro confolazione le lenti convelle, le quali porte dinnanzi all'occhio, li guarirono del loro male ; imperciocché quelle facendo divenire convergenti que' raggi, che fenza di esse farebbono arrivati all' umor crifUHino divergenti , egli viene ad unirli ad una minor dillanza che non avrebbe fatto, e l'immagine dell' oggecto pollo dinnanzi alla lente, fi fa nellaretina dipinta. Gli altri trovarono elfi pure le lenti concave, le quali al rovefeio delle convelle, che fanno divenir convergenti i raggi divergenti, li dispergonoe li fanno divergenti più che mai. Queste Queste adunque danno una difpofizione a' raggi, come se Spiffero da un oggetto più v ano, che infatti non vengono, ed applicate all’occhio d un Miope è’a trasportano in certa maniera da vic.no foIJo lontano, coficchè fe ne forma ne la recinedi lui un’immagine dittata, non volendo appunto altro il Miope, che aver l’oggetto vicino, cer vederlo diftintamente.

Buon per loro, ripigliò ella, che in trovato ai loro male quelle lenti, rimedj, de’ quali non io fe la Medicina trovaffe nè i più Gcuri, ne i più tacili da cfeguirfi. Ma come facean’eglino coltolo prima che trovaffer le lenti? I Miopi dovevano, rifpos’io, innanzi al fecole decimoterzo, in cui fi crede, che gli occhiali fieno flati trovati, avvicinati! agli oggetti lontani per vedeihdiitmtamente, fperando per avventura, che leta avanzata,in cui, fecondo l’opinion comune, la retina fi accolla più all’umor crillallino, li follevafle alquanto da quefto incomodo, rimedio per altro affai peggior del male; e i Presbiti doveano allontanarli fenza fperanza alcuna dagli oggetti vicini fe aveano qualche curiofità di vederli dipintamente, e tormentarli gli occhi non empiailn e collirj fenza per quello migliorar la viltà. Io trovo, replicò la Marcherà, quelli ultimi più degni di compaffione de’ primi, e perchè non avevano fperanza alcuna di migliorare, onde.nutrii li, e perchè vi perdeano nella converfazion delle Darne aliai più de’ Miopi. Qual miferia per un povera Presbita di dover fofpirarc a dieci pertiche lunei dalla fua Bella per vederla distintamente. Eglino non fon canto da compiangere, rifpos’io, poiché il loro difetto per Io più viene in un’età, in cui e le fperanze e la convcrfazion delle Dame naturalmente mancano, etTendo quello un difetto de’ vecchi, fìccome la parola meri e firn a di Presbita lignifica. Ma v’à altri difetti ed altri incomodi nella villa congiunti ad ogni età, i quali perchè fon comuni ed univeifali, non fon polli nel numero degl’incomodi, cosi come la pazzia di penfar fempre più all’avvenire che al prefente,e di trafportare in tal modo di domane io domane la fua felicità, per efler’ella comune, non è polla nel numero delle pazzie. I Filofosi che anno un fenforio particolare per le une, e per gli altri, li feriti rono, e vi cercarono de* rimedj. L’uno fi è, che gli oggetti piccioliffimi per quanto fien vicini all’occhio, non il ponno vedere; l’altro che non fi ponno vedere gli oggetti lontaninomi, per quanto e’fien grandi: incomodi, che,come vedete, non fon fentiti dal reftanre degli uomini, che non fon cosi curiosii come i Filatori. L’uno e l’altro vien da quello, che l’immagine che fi forma nella retina degli oggetti piccioliffimi benché vicini, e de’ lontani più del dovere benché valli, non è così grande che polla fora fentire dall’occhio. 1 rimedj dunque trovati da’ Filofofi, fono tlru menti che altro non fanno, che ingrandir quella immagine, e renderla fenlibile per via di varie combinazioni di lenti, o pure anco di una fula. Quelli, onde fi fervono per veder le cofe lontane, tì chiamano Telefcùpj, o Cannocchiali, e Mie roftopj, quelli, che per discerner le minutissime cose vengono adoperati. A tutti due fum debitori d'una cognizioni, che fenza effi non avremmo raccolta gtammai. Il Cielo è il principale oggetto de Telescopi, donde inno recato cofe affai pm curiale c nuove a' File-lofi , che il Colombo non potè recare dall'America ne' gabinetti de' Naturali. Imperciocché fenza parlare delle cavita e prominenze, che anno {coperto nella Luna, de Satelliti di Giove cotanto utili alla Geografia, di quei di Saturno, e del fuo anello, ànno feoperto delle macchie nel Sole, in Giove, in Marte, neceffanc per fapere i periodi delle loro rivoluzioni intorno a fe medetìmi, e ultimamente fi è fatta, mercè loro, una carta così minuta di Venere , che t fuoi monti fon così noti agli Agronomi nel Cielo, come lo fono agli Anatomici quegli altri fuoi qui in Terra. Anno feoperto in quefto Pianeta, il calare, il crefeere, l'effere ora mezza, ora piena , in foni ma apparenze e fafi ariano fi mi li a quelle della Luna, indovinate già innanzi l'invenzione del Cannocchiale dal famofo Copernico . An dato a' corpi celeili le loro giufte difìanze, e ci ànno informato d'una infinità dì ftelle ignote agli Antichi, trovandone nella via Lattea tante, quante bafterebbono a provederne dieci, o dodeci aitri Mondi fe foffe bifogno . In fine ànno dato un giufto Alterna a quefto noftro Mondo , ampliandone perfino all' infinito i confini t coficchè fe un Poeta difle già per adular una gente, che avea fatto più progredì nel conquiitare il Mondo, che nel conofcerlo: che Giove guardando O a danguardando questa Terra non vi avea da veder niente, che non fofle Romano; fi potrebbe ora dire cori un po’ più di verità, che guardando il Cielo, o almeno il vortice Solare, egli non vi può veder eofa, che non fia la /coperta, e la conquiih de" Tclefcopj.

Voi mi rapprefentate, ripigliò la Marchesa, questi Telefcopj fotto immagini cosi fublimi, che non fo qual figura potran fare i Microfcopj al paragone. Eccovi, rifpos’io, una norabiliffiìna differenza, che v’à tra eflo loro, nella quale io credo che quelli ultimi abbiano il vantaggio. I Tclefcopj collo fcoprire le cavità e le prominenze, o vogHam dire le valli e le montagne, che fon ne’ Pianeti, le diverfe ftagioni, eh* effi imr; o, le loro rivoluzioni intorno arie m ed eli mi, che è quanto il dire la notte, il dì, le Lune onde alcuni fono illuminati in tempo di notte; infomma coll’averceli rapprefentati affatto fimi li alla n olirà Terra, c anno ìbmminiilrato di che popolare que’ vaili ed immenfi corpi, ch’erano deferti altre volte, e trafeurati in un’angolo dell’CJniverfo, e a fulo fine di rallegrarci l’occhio li crcdeano fatti. Ma i Microfcopj c’ànno realmente fatto vedere un" infinità di viventi, che noi non conofeevamo prima, e quelli in cofè, che non fi credevano gran fatto acconcie ad efferne popolate, Jafciando da parte tante feoperte, delle quali fiam loro debitori nella Storia naturale, e nell’Anatomia. Le infufioni aromatiche, una goccia d’aceto, fono popolati d’una quantità così prodigiosa di piccioli animaletti, che l’Elvezia, e la Cina fono deferti e solitudini al paragone. Il Microscopio, difs’ella, e fiato la Botola eie fofi; L’una, e l’altro a condotto a difeopnr nuo vi Mondi, benché quella per diftruggerli, questo per popolarli.

Vedete, continuai io, a quali Mondi abbia penetrato un’Olandefe Piloto colla corra chquefla bullola. Un certo- umore, m cui e iipoita l’origine de’ vivente e per cui fi dì dolcemente la Natura, fi è trovato pejo><tofititi animaletti, o ferpentelh, che yan pe reto guizzando con una incredibile velocita. Alcuni di quelli ricevuti in comoda ed agiata parte, prendo! vigore, e fviluppanfi dalle loro angufte tortecele, e fuori n’efeono efultanti della nuova vita, e crefeendo, altri fi atoefanno al lavoro condannati a un duro giogo; fon defhnati altri a Teatri per fervire al luto, e al fiero piacer delle Nazioni; mentre più fortunati taluni con mani che Amor fece a miglior’ufo fon gentilmente nudati ed accarezziti. E che altro credete voi fieno itati una volta quelli Gefari, quelli Aleffandn, quelli Omeri, e queiU Defcartes, che tanno tanto jumore nel Mondo, fe non alcuni piccioli animaletti, che col favore d’un temperato e dolce uogo fi invilupparono, e ne ufeirono a feon volger gl’Imperi, e le tette degli uomini?

Quello iìitema è fembrato cosi bello ad alcuni, che fi fono immaginati di vedere in alcuno di queiìi animaletti, che per ventura avea rotta la foefcza eiterna, un abbozzo di cofete, di gambe, e di braccia d’un picciol’uomo. La moltiplicità moltiplicità poi, e la picciolezza incredibile di quefli uomiccmi, ed alni animaletti veduti col Microfcopio, de’ quali un folo occhio di farfalla ne conterrebbe da ventiquattro in venticinque milioni, è una cofa che reca infinita maraviglia, e quefta maraviglia fi accrefce ancora, fe fi confiderà l’organizzazione delle dilicate loro e minute parti. Se l’occhio di una mofca, che pare una piccioli prominenza quafi che informe, 6 guarda col Microfcopio, egli apparifce non e (Ter che un comporto di mighaja e migliaja di piccioli occhi, come alcune ftelle nebulofe nel Cielo, fi vedon col cannocchiale efFer un formicaio di migliaja di picciole (Ielle. In alcuni infetti fe ne fono contati perfino a trentaquattro e più mila, ognuno de’ quali nell’eftrema fua picciolezza, un cavallino cosi perfetto, come il nolho, aveva.

Perchè non abbiamo noi, dille la Marchesa, occhi così finamente lavorati? E'* già fiato rifpoio, replicai io, a quella quifiione per la ragione che noi non fiamo una mofca. Qual’ufo, dicon' essi, di avere un tal occhio Microfcopico, di poter minutamente confiderare e vedere a parte a parte un pulce, ed efTer cieco pel Cielo? Ma il fatto fi è, che con quefli occhi Microfcopici alcune mofchc ponno veder così lungi, come la maggior parte degli uomini. Le Api genere indufinofc di mofche, de’ cui dilicati lavori noi profittiamo tanto, poflono ritornare, e Scuramente indirizzarli al loro alveario, benché a un miglio e più di diltanza, allorché fe ne tornano cariche de’ dolci tefori della Primavera. Egli pare che ciò che la Natura ci ha dato in ragione, ce l'abbia negato in isquitisezza di sensi . Le Colombe , che fono i corrieri dell'Oriente , eom era quella, per tacer di tanf altre nella Storia famofe, ncovrataG " grembo al prò Buglione, che dall'Egitto recava novelle di pronto e valido foccorfo ali aflediata Gerufalemme, o quell'amabile, e cianciera di Anacreonte datagli in dono da Venere per avere in cambio un picciol' Inno, e che mento per aver fovente fu e lettere portato a Battilo, di dormire, e di efler cantata fu quella lira, che non potea nfuonar che Amore ; quelli volanti, dico, Corrieri dell'Oriente lafciati in libertà da colui , che vuol mandare a cafa fu a novelle di fe, afeendono neh aria ad una altezza prodigiofa . Di la poo.no Coprire benché in una grandiflìma diltanza il loro nativo fuolo , e indirizzarvi ficuramente il volo fenza aver bifoeno nè di buffola, nè di itelle. Le talpe paiono eifere il contrario di quelli corrieri Lmcei . La Natura, dille la Marchefa , k avrà forfè ricompenfate in qualche altra cofa . Egli e da credere, ch'ella abbia refo le condizioni degli animali apprettò a poco cosi eguali, come quelle degli uomini . 1 loro occhi, foggiuns'io, non fon certamente da eiler invidiaci , e fono cosi piccioli ed ingombri di peli, che pare la Natura gli abbia dati a quelli abitanti delle tenebre per veder la luce a folo fine di fuggirla . Eglino non fono in veruna maniera tatti per godere delle maraviglie del Microfcopio, per vedere in una goccia que" tanti milioni d'animaletti organizzati anch' e ili con quella dilicatezza , che si richiede per vedere, per muoversi, per generare, per nutrirli, per nutrire altri animaletti, che rendono loro il male che fanno a noi, e per contenere dentro di fe infiniti altri animaletti del loro genere molto più piccioli di tifi, che non afpettano che fvilupparfi per far la loro figura ne* Microfcopj, Quelle olTervazioni adunque vi aprono una nuova fcena d’infiniti altri Mondi di viventi incogniti per l’addietro, i quali neU’eftrema loro e fpaventofa picciolezza non lafcian’elfi pure d’avere il più grande e il più picciolo, i loro elefanti c le loro formiche, Jiccome quello nollro à, le formiche del quale diventano elefanti in comparazione de’ più grandi animali di quelli, o più torto divenran ciò, ch’è l’enorme difranza da Saturno a noi rifpetro ad.un granello di fahbia.

In verità, dille la Marche fa, che quefta nuova fcena di Mondi dirò cosi Pigmei mi dà tanto piacere, quanto mi dava quell’altra imrr.enfa e gigantefea fcena di Vortici, o di Soli fparfi per tutto l’Univerfo quanto egli è. Il picciolo a le Tue bellezze egli pure così come il grande. O più tolìo, rifpos’io, e’ non Va nè grande, nè picciolo che rifpettivamente a noi. Il Gulliver, che potea fehiacciare i Lillipuziani come pulci, era tenuto in gabbia come un’uccellili di Canarie tra i Brobdingnagiani, o pollo per ornamento fopra un cammino come un Pagoda Cmefe. Egli è principalmente il microfeopio, e quell’infinito numero di Mondi Pigmei da lui (copertici, che a. rettificato fopra di ciò le nostre idee, tanto più che io fon persuaso, che la considerazione di quella incredìbile e fpaventofa picciolezza , ch'egli à refe pur fenfibile a' noftri feafi, aboia addolcito e refo più comune e famigliare agl'uomini un' altra confiderazione , che è il capo d'opera dell'ingegno umano, e che al total iovverti mento del grande e del picciolo dirutamente ci conduce. Quefta fi è la confiderazione degl* infinitamente puvtcli, che à fatto tanto Crepito nel Mondo dotto, e che voi avrete forfè ìntefo qualche volta fufurrarvi all'orecchio. Queitt infinitamente piccioli voglìon dire, che nelr eltenfione v'à delle parti e delle quantità cosi terribilmente picciole, che fi poffono riputar per nulla, comparate alle grandezze che noi abbiam per le mani, come la pertica, il piede, l'oncia , ed altre firn ili, per modo che fc una di quelle quantità folle aggiunta all'eftremità d'una linea per efempio d'un piede, ella non ne accrefeerebbe in modo niuno la lunghezza , co^ì come ella non la fcernerebbe,fe ne folle levata. E di quelle quantità infinitamente picciole rifpetto alle noli re ordinarie mifure, chiamate differenze, vogliono i Matematici, che ve ne abbia infiniti ordini gli uni al di lotto degli altri ; coficchè quella quantità , che è infinitamente picciola rifpetto all'ordine delle nollre ordinarie miiure, è infinitamente grande rifpetto ad un altro ordine inferiore d'infinitamente piccioli; e così del reflo. Le noitre medefime grandezze le più fmi furate ponno diventare infinitamente picciole rilpetto ad un ordine infinitamente superiore di grandezze. Che cosa diventa il Colosso di Nerone, o quel di Rodi, rispetto al Monte Atos, tagliato in forma d’uomo, tenente una Città in una mano, e versante un fiume dall’altra, rispetto al Satana di Milton, alla Fama di Virgilio, mostro orribile, e grande, alla formidabil’Ombra di Camovens, Polifemo dell’Oceano, apparsa al Capo, a’ veleggianti Portughesi, che la testa fra le nuvole e le tempeste, e i piedi perdeva nel fondo degl’inscandagliabili abissi del Mare; o rispetto a quell’Angelo visto da Maometto in quella sua misteriosa notte, gli occhi del quale erano settanta mila giorni di viaggio distanti un dall’altro? Si calcola, che s’egli era di forma umana, la sua altezza esser dovea di quattordici mila anni in circa di cammino.

Vi sarà, disse la Marchesa, probabilmente nel Paradiso de’ Turchi gran quantità di cannocchiali, e di trombe parlanti, acciocchè i Maomettani possan vedere e conversare con questi loro Angeli così diabolicamente grandi.

Nella succession del tempo, soggiuns’io, vi sono i medesimi ordini d’infiniti che nell’estensione. Un’ora, un minuto, una seconda sono durate infinite rispetto a’ tempi infinitamente più brevi. Qual’enorme lunghezza di tempo non dee esser la durata dell’Impero Remano a un animale, che nello spazio di cinque o sei ore nasce, ingiovanisce, feconda il suo simile, invecchia, e muore? Ciò che noi chiamiamo la fuga de’ tempi, egli chiamerebbe una eternità. Ma qual cosa sono tutte queste durate d’Imperj, queste lunghe filze di Re, d’Imperadori, e di Confoli, quelli tà ? No, è egU un punto quello m cui v viamo così come quello in cui combattiamo, ci d me man tanto, e facciam tanto fracatTo? Gh Orien SS che Vi un Dio, che governa quello Mondo, il qual muore dopo cento mil i aan , e allora, fecondo che ho udito, un* altro Dio fupenore conca un minuto: e tutti quelli efempi peto non ci dan dell'influito, fé non che idee infinitamente imperfette. Quella confiderazione, U .più gran viaggio della mente umana che noi doobiamo al grande Signor Ifaaco Newton, che rovefeia, come vedete, all'infinito tutte le idee del erande e del picciolo afloluto, fu il fondamento del famofo cafcolo delle fluffionì, o dcgl infinitamente piccioli, che trafpianrò la Geometria in paefe ariano nuovo per lei, dove fece progrelu coé. rapidi e grandi, che tutto ciò eh ella avea fatto per ['addietro, è quali che nulla, e dove con novelle verità germogliò ftrani parodofli che an fatto in certo modo alla Verità veftire 1 aggradtvol maravigliofo della finzione . E ciò che v a di più fingolare in quella nuova Geometria il e , che dal considerare ch'ella fa le proprietà, i rapporti, e i ragguagli che anno fra effe le quantità infinitamente pieciole, ella arriva ad indovinare e feoprire i rapporti delle quantità noltre ordinarie e finite, che fon l'oggetto delle noltre nc e re Iic Se* Io fpirito, difs'ella , che noi ammiriamo tanto, confìtte principalmente nel trovare i rapporti ed avvicinar nella mente cofe, che pajon nella natura loro di (parate e lontane, non vi avrà e-gh voluto nel Signor Newton uno ferito ì࣠meo per trovare i rapporti, ed avvicinare in eerro modo fra effe quantità dugiunte e feparate dagl munenti tratti dell* in fin ito , dove l' immaginazione e la mente umana fi perde ? E quel che pareva, continuai io, che non dovette che imbarazzar la Geometria, come fi era 'la confiderazione di quegì'infinitamenre piccioli, che noi nè vediamo, nè polliamo immaginare, non é fatto che eftremamente facilitarla, riducendola nel nieddimo tempo ad una generalità così ampia, che le venta le più fu Mimi e le più aftrufe delia Geometria, e per le quali vi volea altra volta un Archimede con rutta quella -intenfnne di fpirìto , che G richiede per non font ire il tumulto il una Citta pre* d'aiTalto , e per trova rfi quali ammazzato fenza accorgersne; non fono ora che una delle infinite conseguenze, che fi perde tra la rolli di quelle, -che fi deducono da un tratto • * penna in mezzo ancora, tè fi volesse, alla conversazion delle Dame .

Quella cordìderazione adunque deal' infinitamente piccioli, diile ia Marchia, e le oifervaz»w del Microfcopio, che fanno refa più fami Iure e comune, àmio ben fitto cangiar di faccia alla Geometria. Ella ora rratta quantità, che prima per la loro eitrema piccolezza le erano affatto ignote, e talora non ifdegna di ftar nella converiazion delle Dame, il cui Mondo le era, cred' io, egualmente ignoto di quello desi' infinitamente piccioli,. E" vero, rifpos* io, eh' ella fi è or3 molto addomefticata fino a segno di lasciarsi anco tal volta ricercar da un mano, che abbia tutti i lineamencid quelle della Venere de' Medici; ma è vero altresì, ch'ella talvolta riprende il suo umor fiero e selvaggio, e quando massime si tratta di venire a quel tratto di penna, che io vi diceva così gravido di conseguenze, ritorna al deserto e alla solitudine.

Cosicché sia però, soggiuns'ella, gli uomini debbono sempre essere obbligati ed ave, dito gratitudine a' Microfcop, di essere stati una delle cagioni di avere un poco addolcito e addomesticato una cosa, il cui solo nome senza conoscerla ispirava cotanto orrore. Gli uomini, rispos' io, non son molto soggetti ad aver questo peccato della gratituidne, e se ne troveran tra loro alcuni, siccome disse quel gentil Filosofo, che vi dee insegnare il moto della Terra, i quali non faranno difficoltà alcuna di trattar per e empio d nu le o Oudio dell' Anatomia, che avrà forse loro salvato la vita. Ora vedete fe vi apparenza, eh effi volito? che la gratitudine colti loro tantenfeni quante ne vorrebbono per fapere, come i Microscopi possano in qualche numera aver Contribuito a render più familiare il calcolo degl'infinitamente piccioli, che cosa sia questo calcolo, e quali usi egli possa avere: cose tutte che sarebbono necessarie ad una gratitudine ben fondata e ragionevole. Un Relligioso Inglese chiamato Roggero Bacone , che nel secolo decimoterzo avea notizia in generale dell'effetto delle rifrazioni per via delle lenti, e d'infinite altre cose, che li dono comunemente i frutti della meditazione de' fecoli più vicini a noi , come farebbe la polvere d'Archibufo , la correzione che bifognava fare al Calendario, la falfa maniera onde allora generalmente fi ftudiava, in fomma quello uomo degno, a cui fi pone fièro ftatuc , e fi facefiero onori immortali, fu maltrattato , perfeguitaro, tenuto prigione per anni contìnui, ed accufato per Mago e Stregone, come colui che avea alleanza , e fe la intendeva col Diavolo per far cofe, per le quali altro non richiedevafi che fuperioricà di fpirito ed ufo libero di ragione ; e rutto l'onore, che allora fi fcce a quelle invenzioni, che noi ora ammiriamo tanto, fu di ffimar degno d'elfer bruciato vivo il loro Inventore . E' vero che prefenic- mentei Dotti non fi faziano d'ammirare la pro- fondità, e l'acutezza d'un' uomo, che in un feco- Jo cosi barbaro, come il decimoterzo era, penfasse in un modo, ia cui pochi (Ti mi del fuo genere penfano in quefto coì,ì illuminato , com'egli è . Ma qual gratitudine iì è mai quefla, vivo perseguitarlo, tenerlo prigione, e volerlo brugiare , e dopo cinque fecoli farne gli elogj, e riflam parlo? Non e egli quello il far la Deificazione d'Omero dopo morte , e lafciarlo in vita perire, e morir di fame ? I Telefcopj effi pure cagione di tante belle notizie, che per effi noi ora abbiamo, non trovarono nel principio del pallato fccolo gli uomini niente più difpolti alla gratitudine . A loro s'imputavano le macchie del Sole, i Satelliti di Giove, le vane apparenze di Ventre, come ranti inganni delia villa , de' quali effi fofler foli colpevoli. voli . Non vi era calunnia così nera, che loro non s addossasse; e colui, che se non vogliam dire gl'inventò, fece almeno con essi dirizzandoli al Cielo belle scoperte, colui,

Che d'arme iflrutto a l'età prifea ignote Ajfalfi il Ciel non più tentato in prima,

non avanzò già per quello la sua fortuna qui in Terra.

Io mi maraviglio, disse la Marchesa , della bizzarria degli uomini . In certe cofe la novità à per lord pres*i tali, che per iftravagante che ha una cofa, ibi ch'ella Ila nuova, è da loro di buona voglia accettata : e quello Io veggiam tutto giorno avvenire nelle mode del veftirli , del ledere, del prender tabacco, e dello Itamutire: m certe altre la novità è un pregiudizio alle cofe anco più utili, e meglio penfate. I nostri giudizi non faranno eglino giammai guidati dalla ragione ?

Noi vediamo, rispos'io , i Sapienti antichi ficcome la Luna quando ella è vicina all' Oriente, e i Moderni ficcome la medefima Luna molto elevata fopra l'Oizonte . L'immagine della Luna, Che fi dipinge falla nofira retina, quand'ella è alt'Orizonte è più picciola di quella che vi lì dipinge quand'ella. ne è molto elevata, come per efempio quand'ella é al Meridiano , così volendd la diitanza della Luna a noi, che è maggiore nel primo cafo, che nel fecondo . Con tutto ciò noi non Ideiamo di giudicare là Luna alt'Orizonte molto molto più grande di quel che facciamo al - Meridiano .^Quefla bizzarria fi vuol che avvenga dalla frapponzioae di tanti oggetti, come alberi, caie, tratti di Terra, e di Mare, del Cielo fìeUo , che fon tra noi e la Luna all'Onzontc, e che non son tra noi e la Luna al Meridiano , che è in quella In fazione abbandonata affatto a fe medefima Quelli ogget ti adunque frappofti tra noi e la Lui na facendola giudicare affai più lontana ali'Orizonte che al Meridiano , ce la fanno anco giudicare aliai più grande 9 poiché la grandezza arrarentc d un'oggetto, dipende dalla grandezza della fua immagine congiunta col giudizio, che fi la della ditfanza di elio , per modo the eflendo 1'immagme fempre del nfleffa grandezza, l'oggetto il debba vedere tanto più grande, quantò più egli e giudicato lontano. Quindi gli Attori allorché vengon dal fondo, del Teatro, ci aprajou come giganti , facendoceli giudicare lontanami la profpettiva e l'artifizio della Scena. Perchè m'interruppe la Marchcfa, gli oggetti , che fon trappolh ira noi e la Luna aU'Orizonte, debbon* eglino farcela giudicar più lontana che quando ella e al Meridiano ? Quelli oggetti non dovrebbon eglino pm rollo ravvicinarcela ? Bgli pare che la Luna : .llora gli tocchi, e in tal modo fembra eh ella dovelTe parer nella diftanza di quelli oggetti medefim: : quando poi ella è molto elevata, ella ci pare affatto in Cielo , e però noi la dovremmo allora giudicar molto lontana. Noi' lappiamo, nfpos'io, la Luna nell'un cafo e neir altro eifcr nel Cielo, o più tolto esso Cielo essere una certa immensa volta, a cui la noftra immagtnazione rifcrifce Tempre, e attacca i corpi «letti. Ma il Cielo iilefTo all’Orizonre ci par molto più lontano di quel che ci paja quando guardiamo su fopra la noftra tetra;coficchè egli I la fctnbianza di una volta fchiacciata. Tra noi e la partedei Cielo, che è fopra la noftra tefta, non abbiati* nulla che pofla regolarci del giudicar delladiftanzadieffo; laddove all’Orizonte la lunga ferie d’oggetti frapporrà ce ne avvifa, e ce lo fa giudicar molto lontano. Donde avvien’egli che nelle pianure le diftanze ci appajon molto più grandi che ne* fui montuofi, fc non che l’uguaglianza della pianura ci lafcia vedere tutte le cofe frappone tra noi e un* oggetto lontano; non cosi le montagne a cagion della loro ineguaglianza? Nel famofo quadro di Parma del Coreggio, così male efpreiro dal bulino del per altro grande Agoftino Caracci un intrecciamento e una ferie artifìziofa di mani, di tette, e di piedi pone tra una mano della S. Caterina e la tefta della Madonna unadiftanza, che pare fi polla mifurare col tatto, e che lo rende, oltre l’altre bellezze e le altre veneri dell’arte, che vi fon tutte, il capo d’opera della Pittura. Ora per finire la noftra Ottica comparazione, noi vediamo gli Antichi attraverfo lunghe ferie di Re, d’Ira perad ori, di Confoli, di Arconti, e di tanti altri oggetti, che ce gl’in* grandifeono; e i Moderni li veggiamo tutto foli, ifolati, ed affatto abbandonati a fe medefimi, come la Luna al Meridiano i E quindi avviene che la maniera dell’affibbiarli le fcarpe degli Antichi sarà l’oggetto dell’ammirazione degli eruditi; laddove non vi faranno che due o tre uomini di buon fermo, che facciati applaufo ad un* invenzione utile d’un Moderno, che à la sfortuna di non aver un nome che termini alla Greca, e di effer nato nel me de fimo fecolo che noi: e quella è pure la maniera di penfare d’una gran parte di coloro, che fi fpaccian l’uno all’altro per Dotti, di cui fin nel tempo d’Augufto fi doleva falfamente Orazio: Tanto è vero che la cattiva maniera di penfare è di tutti i tempi.

I Cinesi, disse la Marchesa, non guadagnerebbono essi pure dalla immenfa distanza, che è tra effi e noi, e molte migliaja di miglia non potrebbon’elleno preftar l’effetto di molte ferie di Arconti’, e di Confoli? Eglino non vi perdono certamente, rifpos’io, ma quegli flefli che idolatrano il più quella Nazione, che in mezzo agli OlTervatorj ed agli Agronomi non aveva un tollerabile Almanacco, non àn pena di convenire in fine, che noi vagliamo più di loro. Forfè che quello è IVffctro d’un amor proprio nazionale. I Cincfi fanno unaNazione affatto feparata e diverfa da noi; laddove gli Antichi fanno come una flella famiglia con elio noi, e fono da noi riguardati come i noiìxi antenati e i nollri maggiori; e in fine alcune miferabili migliaja di miglia non potranno mai valere una lilla di Arconti, o uà pezzo de 1 Falli Confolari. In fomma egli avviene come nelle conapofizioni di Teatro, nelle quali quanto a’ collumi, e alle mode del penfare, e del vetta il popolo si lascia più facilmente ingannare re trattandoci degli amichi Greci , o Romani , che de' Turchi, o Giapponefi.

Un'altra cosa in cui convengono la Luna all'Oriate e gli Antichi , è ch'ella ci par più erande a cagion del fuo poco lume, nfpetto a quello ch'eli' à al Meridiano . Gli oggetti t più lontani Cogliono edere i meno illuminati , e per queao di due oggetti egualmente grandi il meno illuminato farà giudicato il più lontano , c per conferenza il più grande . Quindi gli alberi e le cale appaiono a' viaggiatori più grandi nel erepufcolo che nel giorno, e il Sole ci par maggiore guardato attraverfo la nebbia , e gli oggetti devono generalmente parer più grandi in Inghilterra che in Italia . Se gli Antichi Mero itati osservatori, io non dubito che non c'avellerò informato, il Sole, che dopo la morte di Cefare impallidì per lo spazio quasi d'un' anno, e minaccio, secondo l'efpreffione d'un Poeta Cortigiano , quel Scellerato Cecolo di una notte eterna, eflere ancora apparfb maggior del folito . La nebbia adunque dell'antichità, ripigliò ella, c'mgrandifce gli oggetti . Molti di quei gran FUofofi, 1 cui nomi pattano ora per proverbio, non dovean valer forfè più che un Padre Reggente , o un Lettor d'Univerlità . Coloro, foggiuns'io, che ne fono i più di voti, fono atti più degli altri a vederli ingranditi, poiché è flato detto ne' più belli e più fentati ve* fi del Mondo , che gli (ciocchi ammirano , e gli uomini di buon fenno approvano , e che la Stupidità vede ogni cofa ingrandita , cosi come gli oggetti lo pajono guardati attraverso la nebbia. Io non mi maraviglerei niente fe vi toOc ora qualche Greciih, che preferire h foie gazion della vi fio ne , che diedero gli Epicurei a la fpiegazion de' Moderni per la fola ragione che luna e più antica dell'altra.

Qual' è ella, disse la Marchesa, quella spiegazione, di cui parmi che voi non m'abbiate farro parola ? Ella è quell'ultima, rifpos'io, di cui io vi parlai ieri, parlandovi delle varie spiegazioni degli Antichi, la quale benché fe in orata furiai ragionevole ad alcuni , fupponendo chete! corpi 1 fiacchino i fimulacri o immagmi, per mezzo delle quali noi vediamo, inconrra però a bella prima una gran difficoltà nello fpi egare , come noi dalle tenebre vediamo gli oggetti polli nella Juce, ma dalla luce non vediamo gli ometti polli nehe tenebre; effendochè sì neli'um eSochcnelI' altro li (laccano dagli oggetti i fimulacri, per via de quali fi eccita la vifione . Lucrezio chiama in ajuto una certa aria lucida e sottile, ch'entrando negli occhi posti nelle tenebre gli sgombra dall'aria più grossa e nera, ondo sono occupati, ed apre fa tal modo la grada a' iimulacri , che dagli oggetti polli nella luce vengono all'occmo . All'incontro quando gli oggetti fon nelle tenebre , l'aria grotta e nera non fa che riempire ed ingombrar gli occhi, e chiudere in tal modo il pailaggio a' iimulacri, che dagli oggetti polli nelle tenebre fi lanciano all'occhio.

Acciò si dipinga, ditte la Marchcfa , fulla retina l'immagine di un'oggetto, bifogna ch'egli mandi de' raggi all'umor cristallino , così come bifogna che ne mandi alla lente, ^ciocche fa fua immagine fi dipinga fulla carta della ^CameraofcuraSe adunque gli ogge tu fa an .poto «eU* luce, e noi nelle tenebre, fe ne dipingerà V immagine falla retina, e noi li vedremo: non U vedremo poi, fc eiìi faranno nelle tenebre , poiché in quello cafo per mancanza di luce 1 I imrna- afne no fi dipingerà, lo no veggo che cofa fbbìa che far F & grolla e fottile con quefte immagini . i* vero, rifpos' io , eh ella non che far nulla colf immagine, da cui dipende la vinone; ma ella avea bensì che fare fi^n, da quali dipendeva Toner della Filofona di Lucrezio E qual cofa al Mondo non a che fare cori un Filosofo imbarazzato nella fpiegazioo d un fenomeno ? Ma voi avete fpiegato quello cosi b. ne che non dubito di proporvene un altro, che vi farà molte volte accaduto di otfervare, ed e, che «affando da un luogo molto illuminato in un alno, che lo Gi pochini e che fi può dire ofcuro nfpetto al primo, da principio non fi vedono in modo alcuno gli oggetti, che m quel luogo fono: ma fi cominciano poi a vedere a poco a poco, e dopo qualche tempo fi diftinguono, e vedon benifiìmo: il che è cagione talvolta di alcuni incovenienti nella Società, i quali 11 a bea pretto luogo di riconofeere, e di pentirfene 1 uà luccedere per efempio ch'entrando nella itanza d'una Dama, che o perchè fi a ammalata, o perchè fi cerfuada d'efferlo ami l'ofcunta, li prenda una perfona per un' altra, e che un complimento pien di vivezza e di grazia fi a indirizzato mal a propofiro, c che fi ricono fca poi con confufione ; per cui è lift* niello in opera canto fpirito.

Questo fenomeno, diffe la Marchefa forridendo, à delle confluenze molto importanti, e merita tutta l'attenzione. Ma egli mi pare per dir vero un poco più imbarazzato del primo , c non fo quanti gradi di fottigliezza nell' aria richiederebbe Lucrezio per ifpitgarlo. La fpiegazione però, ioggiuns' io, dipende intieramente da un fatto , di cui voi farete Hata mille e mille volte diligente offervarrice . Non avete voi fatto attenzione, che non v'à occhi, fodero anco i voffri , che non fien più beili la notte che il giorno ? Sì bene , diffe la Marchefa , purché i complimenti non guadino le noiìre offeivazioni: ma non avviene egli quefto da ciò, che generalmente la notte m olirà meno i difetti, che fon nel vifo , onde gli occhi Retti debbon venire a guadagnarci ? Egli awien, rifpos' io, da ciò, che la notte la pupilla è più aperta e dilatata , onde gli occhi vengono a parer più neri, e più brillanti, che non apparirono il giorno, in cui ella è più rifletta. Quanti occhi àn trionfato la fera, e fatto conquide, che àn poi perduto il dì feguente aljevar del Sole! La pupilla ne' luoghi illuminatiflìmi è nllretta molto, e ciò per non ammetter nell'occhio loverchia copia di ra^gi, che non potrebbe che offenderla: all' incontro ne' luoghi ofeuri ella è dilatata atfai per ammetterne tanta , quanta ad eccitar la vifione richiedefi ; Alcuni animali, che non efeono da' loro buchi che la fera, non devoti forfè poter riftringer tanto la pupilla, che il lume del giorno non gli orrenda,Quando adunque fi paiTa da un luogo illuminato in un’altro, che fi poffa chiamare nfpetto al primo ofeuro, eiTendo la pupilla in fui principio ty gretta molto, non entra nell’occhio quella copia di’ raggi, che ad eccitar la vinone e ncceffana. La pupilla poi comincia a dilatarli, e noi pure cominciamo a vedere; e perchè quefto dilatarli fi fa a poco a poco e per gradi, cosi noi a poco a poco e per gradi vediamo gli oggetti fempre pm chiaramente fino a tanto che ridando di dilatarli la pupilla a un certo fegno, noi feguitiamo poi fempre a vedere gli oggetti nel medenmo grado di chiarezza.

Voi non mi avete dato tempo, diss'ella, ne men di penfare. Chi sà che non avessi trovato io pure questa spiegazione, che almeno ora non mi par cosi difficile. Balìa bene, rìfpos’10, che voi abbiate trovato la fpiegazion d’un fenomeno, e veduto la difficoltà di un altro. Bella cofa per jnia fe’, foggiunfe la Marchefa quafi m colera, di vedere le difficoltà fenza fcioglierle.. Un Gener tale che a (Te dia una Piazza, e non la prende, e bene ftimabile in vero. Nò, rifpos’10, ma egli lo è di non volerne talvolta intraprender falledio. La prima faviezza, come dicono, è di non efier pazzo, e la prima feienza di non e£Ter troppo arrogante, e di fentire la propria impotenza. Sipete voi quanti, che palfan comunemente per FilofoS per dir male ne’ circoli, e ne’ caffè della Filofona antica, che non conofeono che di nome, per chiamar Ergoilii coloro che la profetano, per aver aver letto qualche Prefazione, o Gazzetta Letteraria non ne farebbono altrettanto ? Coftoro non dubiran mai di non fapere, vi /piegano e decidono d'ogni cofa . E* fon ciechi, che vogliono palleggiare in un giardino colla medefima franchezza degli altri, e alla prima vafca che incontrano, vi Itramazzan dentro. Un detto che più fi efaminerà, e più fi troverà vero, è che la cofa più rara è il feufo comune.

Io vado vedendo, dille ridendo la Marchefa, che io pure mi pollò chiamare con qualche ragione FilofofefTa, Io ho la tefla piena di vortici; con la fola preffione de* Robetti del fecondo elemento formo la luce , e colla loro rotazione i colori . Io ho rinunziato a tante qualità, non ritenendomi che un po' d'eftenGone, e d'infinitamente piccioli. Io non fon ficura, che tutti vediamo il Mondo nella lìefTa maniera. Io fpiego qualche fenomeno, e fento almeno le difficoltà di alcun altro: mi pare di aver affai di difprezzo per la Filofofia antica , e fpero in fine che per tutto quello non fi dirà che io fia divenuta niente più favia. E che altro mi bifogna egli mai per e (Ter FilofofefTa? Forfè, rifpos' io, o l'avere un po' meno di bellezza, che non avete, o il farne un miglior ufo, che non fate. Ma voi non fapete, che quella volt r a Filofofia, di cui voi fiete tanto innamorata, à bi fogno di riforma; e piaccia a Dio che quella riforma fia l' ultima.

Che forse, soggiuns'ella subito, vorreste voi dirmi 9 che la vifione non fi fa più in quel modo, che fin' ora m'avete fpiegato? Questo fa- .... rebrebbe in verità un tradirmi mancamente , tacendomi credere fu la voftra parola cofe, che poi non follerò . Nò nò, rifpos'io , o Madama, non v'inquietate . Io non fono d'un carattere da protervi le cofe diverfamente da quello eh effe fono. La vifione reitera intatta : la rinunzia , che voi avete generosamente fatto del vostro incarnato e del vostro rofeo, farà autentica, e fatta nelle forme; i dubbj, che avete intorno al vedere diversamente il Mondo, che fanno gli uomini, ieguiteranno ad efìer ragionevoli, e la voftra inclinazione più per li Moderni,che per gli Antichi farà, femore compatibile, e fu mille buone ragioni fondata . La Riforma caderà folo Copra i Robetti delia luce, e fopra la maniera, onde fi eccitano in ubi le fenfazioni de' colori, potendo voi a piacer voftro riguardar da ora innanzi il interna de vortici come il più vago e il più bel Poema Filomaco, che flavi, quale appunto io vel propoli da principio . Qucfto li è fempre, rifpofe la Marchesa, uno feoncertare le idee . Io avrei voluto riguardare il fi!tema de' vortici, come qualche cofa di più di Poema, per quanto bello egli pofla effere ; ed io ò pena' di dover cangiar qualche cofa ne* globetti della luce, che con tanta facilità mi davano quel colore, che più mi piaceva . Dio fa quanto [tento mi cofterà da qui innanzi, e quante macchine una fola mezza tinta. l Ella non vi cofterà, rifpos'io, niente più di quello, ch'ella vi coftaffe co' voftri globetti . La Riforma è del Malebranche-, che vale a dire d'uno de' maggiori e de' più illustri Cartesiani, che fìano ftajti giammai . Oltre che ciò , quant' ella folle nect Ilaria, può farvi m ari ifetlamen te vedere: voi potere e iter ftcura , che la fi mp licita , che Tempre a fatto le delizie di quella Setta, noa le può mancare . Egli fi è un* Idolo, a cui facrifieano ogni cofa, talvolta anco la verità medefìma, quella verità, che fu chiamata da un'Antico Cittadina del Cielo , e Conviva degli Dei . Ma prima di venire a quella Riforma , egli è giudo che vi fi proponga la gran difficoltà , che vi dee far rinunziar per Tempre a' vollri globetri . Gravi lotte quello fi (tema , come già l'Ercole della Favola, fin dal fuo nafeimentoa foilener ebbe : ma non forfè con egual bravura né trionfò . Obbiettare no con gran ragione alcuni , che fecondo le leggi de' vortici dal loro Inventore fteffo inabili te, le Stelle non già di materia Tortile , ma dì quella del terzo elemento co m porte , in vece di effe r di luce fcintillanti, di opaca crolla ricoperte farebbono; e quand'anche Iuminofe foiTero , non dovrebbe no per la contraria ed egual prefìionede' vortici effer da noi vedute. ..Per gravi che queìi e obbiezioni fo Uè r o , non i fc oiTe ro però la fede de' buoni Carcefiani: ma quella, che fon per prò porvi', parve anche ai più zelanti e a' più fervorolì tra loro 1 ìndiftolubil nodo. Gordiano . Il nemico lo avete in Cafa , anzi io. quella medefima Galleria, in culliamo , e voi non ve ne accorgete , Quella muraglia dipinla è quella , che fa la guerra al fiitema, che voi vi tenere così caro . Io vi prego , difle la Marchefa , liberarmi prello da quella inquietudine, o che io fo cancellar questa pi t torà. Voi mi volete far’abbonire la mia i me, defìma Gaia, che mi prefenta oggetti cosi odioti. Quello non voglio io già, rifpos’io forrideudo, ma più torto che conoichiate, che ogox angolo da ieri l’altro in qua ne è divenuto Filofofico. Segniamo nell’aria un punto, a cui il volito occhio ed il mio fieno fempre indirizzati nel guardar che faremo nel medefuno tempo le varie parti, e 1 vari colon di quella muraglia. Per efempio voi mettetevi a quello pilartro, e guardate quel rotto della fopravvella d’Achille, io mi metterò a quella fine lira, e guarderò quell’azzurro del Mare, colkchè l’occhio voftro ed il mio fieno fempre direni, nel guardar che voi fate il rotto ed io l’azzurro, al medefimo punto d’aria. Egli è certo che per querto punto panerà un raggio, che viene dalla fopravverta d’AchilIe,e un raggio che viene dal Mare. Querti raggi altro non fono, come già fapete, che due ferie, o filze di globetti, che fitoccano immediatamente l’un l’altro, continuate l’una dalla fopravvefta d’Achille fino al vohYocchio, l’altra dal Mare fino al mio: e quelle due filze di globetti fi tagliano nel punto, che noi abbiara fegnaro nell’aria, e per cenfeguente in quello puntovi farà un globetto comune a tutte e due le filze. V’immaginate voi bene tutte quefle cofe? Io me le immagino beni turno, rjffos’ella, e già comincio a tremare.Acciocché quelle filze di globetti, foggtuns’io, eccitino in noi la vifioue, bi fognerà che i globetti di quella, che viene dalla fopravverta d’Achille premano da querta al vortro occhio, e i globetti di quella filza, che vicn dal Mare, premano da quella al mio . Quel Roberto adunque, che fi trova edere nel punto d'aria da noi fegnato , per cui pallino quelle due filze , e che è comune a tutte e due, bifognerà", che nel medefimo tempo prema e verfo il voflro occhia, e verfo il mio; il che è imponibile, s'egli è duro, come il «affai Defcarres Io fuppone; poiché non potrà giammai un tal corpo per la fhetta unione, che anno le fue parti inficine , premere nel medefirno tempo verfo due differenti lati. E quello non è ancor tutto . E* però quanto balla , dine la Marchefa , per rovinare i miei globetti , Bifogneria, foggiuns'io, che il medefimo globetto, duro com'egli è , avelie anco nel medefimo tempo due differenti moti di rotazione , quella che fi richiede per eccitar l'idea del color rotto in voi, e che fi comunica a tutta la filza, che viene dalla fopravvefla d'Achille al voflro occhio, e quei moto di rotazione che fi richiede per eccitar l'idea del colore azzurro in me, e che fi comunica a tutta la filza , che viene dal Mare all' occhio mio. Che diremo poi fe difponendo altri occhi in quella Galleria, i quali tutti abbiano per punto direttore quel m ed efimo punto, che abbiam fegnato noi due nell'aria , faremo pafTare per questo punto altri raggi, che portino altri calori, come quel dorato della chioma d'Achille , per cui Minerva Io prende, affia di calmare la funella e pròcellofa fua ira* quel verde di quella Campagna, e gli altri infiniti colori, ond' è variata quella pittura? Voi vedete aiunque, che fu p ponendo quelli voltri globetti, egli saria impossibile, che noi vedemmo ciò, che pur vediamo . Io non Io veg- go che troppo bene , replicò ella interrompeadomi ; ma vi prego per l'amor della Filofofia di non nominarmeli da qui innanzi mai più quelli slobctti, a' quali certamente non voglio più penare, poiché cosi vilmente cedono alia prima difficoltà . Eglino mi pajono come quegli Amanti rnefderti e da poco, che al primo fdegno penfano alla ritirata . Ma vediamo in grazia ciò, che il Malebranche, il voftro Cartefiano Riformato io ; ffituìfee in luogo loro, che io mi perfuado dovrà un poco più refiftere alle prove.

Il Mallebranche, rifpos' io, ripudiando aifato quelli globeiti duri, che io non doyea nominarvi, follituifce loro vorticetti piccioltiìunt , e fluidi/limi, comporti di materia fottihlFima ed eterea, de' quali ogni particolar vortice è ripieno, ficcome l'Univerfo tutto è ripieno e popolato de' gran vortici, feggi di luce e di Stelle. Quelli piccioli vorticetti per la forza, che anno di dilatarli , fi equilibran tra loro ne' loro riflettivi vortici, nella maniera che fanno i grandi neh' Univerfo. L'ondeggiamento, o la vibrazione de* vorticetti cagionata dalla vibrazione del corpo lunari ofo, che è rifpinto in ogni momento, che fpinge, è in quello fiftema la luce, la cui maggiore o minor forza dipende dalla maggiore o minor forza di quelle vibrazioni; cosi come il colore dipende dalla maggiore o minor prontezza loro ; per modo che fe nella retina, o nel nervo ottico in un determinato tempo faranno eccitare da quelli vortice tri, per efempio cinquanta vibrazioni, noi vedremo un cerco colore’; fe nel medefinìo tempo ve ne faranno {blamente eccitate quaranta, o pur feluata,- noi ne vedremo un altro; coni’c iTando per altro ingenuamente il Malie branche non poterti eletta mente alfegnare quai detcrminati gradi di prontezza fi richiedano per la produzione de’ divertì colori in particolare: la qual confernone quanto più è ingenua, tanto più è rimarcabile in un Filofofo. in fornirla il fiìlema della luce e dei colori, fi riduce al flitema del fuono colla differenza, che il veicolo o canale di quello è l’aria, e il canale di quelli è la materia eterea, o i picciohGìmi vorticetti, che dì ella materia fon com polli, E quella conformità non vi fo dire, quanto vago renda ad un Filofofo quello penfamento. Le vibrazioni che fi eccitano da un corpo fonoro, quando egli è percoffo, nell’aria, e da quella nel nervo dell’orecchio, eccitano in noi la lenfazionc del fuono. Nella medefima maniera le vibrazioni, che lì eccitano dal corpo luminofo nella materia eterea, e da quella nel nervo ottico eccitano in noi l’idea della luce; coficchè chi potelTe levare affato quella materia da un qualche fpazio, cosi come fe ne leva l’aria per mezzo d’una macchina detta pneumatica, un corpo luminofo che in quello fpazio foffe, rifplender non fi vedrebbe nel modo,che Tuonar non s’ode un corpo fonoro, che in quello fpazio fu, da cui per mezzo della macchina fi è levata l’aria. La maggiore o minor forza delle vibrazioni nell’aria, o nel nervo dell’orecchio produce la maggiore o minore intensione intensione del mono . Nella niedcfim a maniera la maggiore o minor forza delle vibrazioni nella materia 'eterea o nel nervo ottico produce la maggiore o minore intenfìone della luce. La differenza della prontezza delle vibrazioni nell'aria o nel nervo dell'orecchio produce la differenza de' toni , iorae il baffo, l'acuto, e 1 loro differenti gradi ; e la differenza della' prontezza delle vibrazioni nella materia eterea o nel nervo ottico, non produce ella la differenza de' colori, come il rollò-, -il -giallo, e gli altri, che fi panno in certa maniera confiderare come i toni della luce?

Io non credo, dille la Marchefa , che giammai fimilit udine, nè men da' noltri Predicatori , fia fiata portata più lungi di quella. Ella Io è ? riipos' io, ancor più. Siccome varie e differenti vibrazioni s* incrocciano, e fi tagliano infieme , fenia diftruggerfi l'una l'altra, anzi lenza nè men turbarli, ficcome reggiamo tutto giorno avvenire ne' concerti di Malica, in cui te' vibrazioni delle corde cfun violino non turbano quelle d'un ba0o, o d'altro finimento; eo&V le differenti vibrazioni, che vengono all' occhio nolìro dà tfarj colori, non de^iò ttHbarfi, benché fi taglino tra di loro, e s* incroccino inde me. Quelli vorticeni per la loro fluidità -pò tran crafmettere le differenti vibrazioni di di veri! colori a varie parti, il che non potean fare per la loro durezza ì globetti; heUa -'miniera che l'aria per la fua fluidità trafmette a vàrie parti i Afferenti Tuoni d'un concerto di Mufica : il che parve al Malebranche cosi ^difficile da poterli spiegare , che disse quel sistema, dover elle re alla' Verità conforme l cui baftaffe l'animo di farlo.

Quello Tuono e quella luce, ripigliò la Marchefa, mi pajono cos'i fedelmente copiati gli unì dagli airri, com' erano i ritrarti di Apelle dalla, Natura, dal l'offe rvar i quali dicefi, che un'Aftrologo indovinava tutto ciò, che dovea avvenire alla perfona, ch'era ritratta .


Che vorreste voi di più ? foggiuns* io . Un' oggetto poflo tra due fpecchj, che fieno uno in faccia all'altro, è ripetuto mille e mille volte :


Una flanza è cangiata m Galleria

Per miracol dell'Ottica Magia.


Una candela fi cangia in mille, c richiama all' animo la famofa annua fella degli Egizj della illuminazione delle candele, da cui credono alcuni, i Cinefi aver prefe quella loro delle Lanterne. E una fimil cofa non avvien'clla al fuono nel famofo Eco della Simonetta, poco lungi di Milano? Un colpo di pillola vi fi conta ripetuto per fino a quaranta e più volte, e la Mufica vi forma un ripieno, che invano cercherebbefi nel più numerofo Concerto . Due grandi ale di fabbrica Tuna dirimpetto all'altra colle fmeftrc tutte finte fuorché una fola, e d'una materia oltre modo pronta a vibrarfi, fervono di due gran laftre di fpecchio alla rifteflìon del fuono . Il gran Bacone di Verulamio Precurforc della buona Filofofia , che tra le infinite cofe, che propofe a' Filofori da efammare, propofe ancora il trovar le parentele tra il fuono, e la luce, non avrebbe de fi de raro forfè trovarne di più ftrctte . Ma la differenza grand Ufi ma , che v'à tra l'uno e l'altra; poiché egli à voluto ancora che fe ne efaminaflero le discrepanze, fi è, come io diceva da principio, che il canale dell'uno è l'aria, e dell'altra la materia eterea; il che 'fa che il fuono debba propagarfi dal corpo fonoro in tempo, bifognando in &td un po* di tempo prima che il moto fi comunichi da una particella dell' aria all' altra, per avervi tra effe degli fpazietti, e degl'intervalli, e la luce all'incontro, per e (Ter tutto pieno di yorticetti, e di materia eterea, debba propagarfi in un i (laute, o almeno in pochiffìmo tempo. La luce e il fuono anno quella fomiglianza tra loro, che avvi nelle Metamorfofi tra le Nereidi fcolpite da Vulcano full' argentee porte della Reggia del Sole. 1 lineamenti del volto non fono in tutte gl'iiìeffi, ma non fon però nè meno cosi divelli , che non fi ravvifino agevolmente per forelle .

Diventiamo adunque , dille la Marchefa , Cartefiani riformati, accettando una Riforma, che fpiega tutto ciò, che fpiegavano i globetri , e qualche cofa d'importante molto, eh' effi non impiegavano. Adottiamo quella luce del Maliebranche, e quello fuono nuovi fratelli in Pitica . Egli non è da difperare, foggiuns'io, che il Cembalo de' colori, e la Mufica degli occhi, che llabilifce e conferma più che mai quella nuova fratellanza, non faccia un giorno fortuna con voi.

Che volete voi dire, replicò la Marchesa, con quella vofira Mulìca , e con quello voftro Ceni baio di nuova invenzione? Volere voi forfè con quello mettete in ridicolo la fìlofofica fimilitudìne, che mi avete £ìn ora e f pollo '< Il Ciel non voglia, rìfpos' io, che mi venga mai tentazione di mettere in ridicolo ciò, che voi avete adottato in luogo de' volt ri globetti. Quello fi è un Cembalo di nuova invenzione in verità, ma non per quello niente meno reale e vero, in cui al muover de' talli in luogo di udir d.e' fuoni , voi vedrete comparir colori, e mezze tinte, che faran tra effe la medefima Armonia , che fanno i fuoni . Le fonate di Rameaux, o del Saffo ne ve* duce fu quello Cembalo faranno il medetìmo piacere agii occhi, ch'elle fanno udite ne' Cembali ordinar} agli orecchi. L'amore, la pietà, la baldanza, o l'ira faran molle ne' nofìri animi dalle confonanze d'un pezzo di moerre e di fcarlatto : quello maraviglilo tiramento li (là ora facendo di là da' monti, donde voi altre avrete da orainnanzi le feti uccie, le 11 effe, e le -re 11 re nallriere in mufica. il pad aggi ero piacer degli orecchi farà filfato negli occhi, e fi potranno continuamente goder tefluti in una tappezzeria i palleggi di Farinello.

L'abito dell* Arrichì no, ripres'ella a dire, ne avrà probabilmente dato la prima idea all'Inventore. Ma buon per noi, che non avrem più almeno di qui innanzi a romperci il capo per accordar inde me i colori de'nolìri vefìiti. Noi non avremo che a consultar le terze, e le ottave di quefto Cembalo per effer ficure di non metterne infame di quegli, che poi {"cordino e fi facciati guerra Tua l'altro. Le malattie de' Pittori, foggi uns' io., potrebbon forfè guarirfi coti quella nuova Mufica, come già dicefi c (ferii coli' ordinaria guanti de' Mufici, e de* Ballerini.

Perchè volete voi, dìfs'ella, riftringere ne* foli Pittori l'effetto d'una eofa cosi Angolare. La Medicina troverà in lei di che accrefeer le fu e ricetre, e prolungare i fuoi Confulti. Farà però meftieri, replicai io, che in certi mali ella adoperi, come ì Coinpofìtori di Muiìea colle voci de* mediocri cantanti . Bifogna fchivar per coltoro certe note, di cui non fon troppo amici , e in alcuni mali, come nella Tarantola, rattenerfi farà duopo dallo preferiver cerri colori, per li quali il malato, che dee rifanarfi col piacere, à troppo grande abborrimento. Ma i Medici- vi penferan' effi a divertire i lor malati anco in quella nuova maniera ; noi potremo con quello nuovo frumento dar la prova alla gìuftczza di una vaga comparazione, che fu, non à molto, fatta da un leggiadro Poeta tra lo feemarfi a grado a grado e il cader della voce del non favolofo Orfeo, e il difperderfi, e mancare a poco a poco de' colori nel l'Iride. Chi fa, foggi uns'el la, fe noi non potremo ancora un giorno fare un pranfo per via d'un cembalo, e aver la Mufica delle salse?

Dette quelle cofe eifendo noi entrati nel Giardino per prender un po' d'aria, oh Dio, esclamò la Marchefa, che io veggo da lontano entrare quel Gentiluomo noiho vicino, che mi fa la grazia di recitarmi, ogni vifka che mi fa, i Sonetti per centurie, e trova. poi anco fempre il luogo per qualche Canzone. Come faremo noi mai per liberarcene? Vi farà egli qualche pietofo voi ice, che fel rapifea, e Io levi dal noltro fiftema? Noi faremo, rifros* io, in mancanza del vortice con luì, ciò che io feci non i guari con un Matematico, il quale à un vizio non molto familiare per altro a quella forca di gente d’efler loquacifllmo, e di volervi trattenere delle più aftrufe cofe della Geometrìa, quando voi patteggiate co’ voflri amici, difeorrendo della Patria di Koulican, o d’altra firn il cofa, che poco importa. Avendomi un giorno collui affai ito con alcuni altri, ch’erano meco in un Giardino, fi preparava già, fìccome dirnoflxava la fua aria, di farne l’ultimo ftrazio colle fue dimollrazioni, eco’fuoi corollari. Io e gli altri, che lo conofeevamo perfettamente, a forza di parlar di Poefia, e di citar pam" de’ Poeti, linguaggio ch’egli non intendeva, fenza lafciargli giammai aprir bocca, ri ufeimrr.o in una delle più difficili ìntraprefe, com’era quella, di non efler. infastiditi, e d’infallidire anzi uno de* più failidiofi del Mondo. Ora noi noti abbiamo che a feguitare a parlar di Filofofia, e vi a (Tic uro, che il vollro Sonettajo avrà la forte del mio Matematico. Cosi fu fhbilito di fare: cosi fu fatto. Ne’ primi complimenti il Gentiluomo, che non sapea la noflra congiura, prefeoc catione da un come ita ella? di dirci, che le Mufe Io maltrattavano da un tempo in qua, e ch’egli era rifoluto di voler loro rinunziare per femore Avendogli noi civilmente contradetto, celi rifpofe, efler pronto a provarcelo con non pochi Sonetti, ch’egli avea ultimamente fatto, da’ quali noi avremmo potuto argomentare, quanto poco del loro favore allora gli preflailero. La Marchefa prendendolo fulla parola, quando cosi veramente ila, foggiunfe, bHbgna abbandonarle affatto quelle ritrofe, e non penfarvi ma! più. Noi parlavamo ora di Filofofia, e diOttica, quella farà, cred" io, una licura te^di vendicaTfene l’entrare cioè ne’ noitri difeorfi cosi lontani dalla Poefu. Egli fi feusò dicendo, non aver talento aliai per entrare in A alte maictie^ colfi Mufe bifognava bensì far talvolta lo sdegnato; ma bifognava altresì guardarli dal farlo troppo, e di difgulhrle. Senza che un poco di Mufe ci avrebbe follevato dalla feventa de difeorfi filofofici, apportandoci l’autorità e l’eiempio di 1 latone, che con quella (Iella mano, con cut fenile il Timeo, e le Ulituzioni della Repubblica, non ifdeanò di feri ver ver fi amorofi ad Agatide, di Tuonare, e di fcolpir le tre Grazie nella Rocca di Atene, alternando in tal modo la Filofoha colle arti di Apollo. Neffuna cofa gli valfepero per recitarci i fuoi Sonetti, ch’erano l’utimo fine della fua vifua, e delle fue crudizioni.

La Marchesa mi fece varie domande, che il nostro Poeta non trovava niente a proposito,e tra le altre, s’ella potea acquietarsi sulla spiegazion della luce e de' colori del Malebranche ; poiché la forre, che aveano avuto ì globetci, la facea ormai remere d'ogni cofa , e iì nuovo cembalo terribilmente accrefceva il suo sospetto . Io le rifpolì , che pur troppo il deitin delle cofe umane era , che nulla quaggiù doverle efler durevole , che il noflro Gentiluomo glielo avria potuto confermare con molti bei palìaggi de' Poeti , e forfè ancora co' fuoi, e che mi piaceva ftnza fine, che l'efempio de* globetti l'avefle fgomentata a fegno di non fidarli troppo alla Riforma . Ma che ciò , ch'era più fatale a quefia opinione, egli era l'elTer collretto di abbandonarla per quella medefirna analogia e corri fpondenza tra il fuono , e la luce, che par da principio darle tanto luftro e tanto rifallo . Quella Analogia manca, continuai io , in una delle parti, in cui pure fi richiederebbe maggiormente ch'ella folle, ed è quanto balta perdiitruggere la Riforma . Tanti altri bei rapporti , che voi avete enervato con ammirazione, non le giovano nulla per falvarla . Ogni moto di undu1 azione, fe nel fuo cammino viene ad incontrarti in qualche oftacolo , non fi arrefta già egli per quello; ma piegando da tutti i lati fegue tuttavia a propagarfi al difpetto dell' ottacolo , che gli fi attraverfa . Un' efempio familiarimmo vi farà comprendere ciò, che io voglio dire . Se noi fofiìmo al piede di quefia collina , e che dall' altra pai te oppolla di ella alcuno fuonafle un corno da caccia , per dare feftivamente il fu ne Ilo legnale della diluzione di qualche innocente abitator delle felve, la cui fola colpa è il piacere, che noi troviamo a diilruggerlo con ragione, e con arte, noi non liberemmo 'di fenrirne il Tuono; benché era il corno da cacciale il noiiro orecchio folte fra p polla tutta quelli collina . Ciò avviene perchè le undulazioni, che fono eccitate nell'aria dal corno da caccia , allor quando incontrano la collina , non fi arretrano già per quello, ma piegando da' lari, e tutto intorno di ella, comunicano ali' aria oppolla fomiglianti undulazioni, in queha maniera che, fe voì gettafte in quella vafea un picciol fatto, quelle undulazioni, che lì formerebbon nell'acqua, non fi arrefterebbon già , quando inconirafTero il cannone del getto, mapiegandodà lati di elio fi comunicherebbono indifferentemente a tutta l'acqua , ficchè riferitile bbefi tutta la vafea, e ne ondeggierebbe . Voi vedete adunque, che fe la luce altro non fode che un' undulazione della materia eterea , comunicatale dalle vibrazioni del corpo lucido , non vi farebbe corpo frappollo, che ci potè ile impedire la villa del Sole , odi qualunque altro corpo lucido , o ciò che è lo Ite db , noi non avremmo mai ombra ; il che non lafcerebbc m affi me in quella Ilagionc di e (Te re un grande incomodo, che quello fillema ci recherebbe, e nulla più la preflìone del Defcartes a coprirci varrebbe , e a darci maggior frefeura . In cotal modo il Signor Newton l'inimico iurato degl' immaginar] fillcmi , e a cui l'idea della vera Filofofia dovrete , i recifo con un fol colpo le due principali tette della rinafeente Idra Cartesiana, Benché la Marchefa fentilTe la forza di quello difcorfo, non mofh’ò però ch’egli le faceffe gran difpiacere; poiché s’ella avea potuto rinunziare a’ globetti, potea bene ancora rinunziare alla Riforma; non già così il Gentiluomo da Sonetti, il quale non potendo mai trovar luogo di sfogar la fua rabbia Poetica, fu orretto di andarfene altrove per procacciarti uditori ad una Satira, ch’egli avea forfè cominciato contro la Filosofia.

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