< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Giuseppe Cognata Francesco Antonio Mazziotti
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia

Giuseppe Pace.



È nato nel 1826, il 27 gennaio, in Castrovillari da Muzio Pace, ex-deputato al Parlamento napoletano del 1848, e da Maria Baratta.

Percorse gli studi nel collegio italo-greco in Calabria, e nell’università di Napoli ebbe i gradi accademici di belle lettere e di licenza legale.

Ma il fervido suo animo lo faceva di buon’ora mescolarsi alla lotta patriotica che avea per iscopo l’indipendenza d’Italia, sicchè il vediamo nel 1848 alla testa d’un battaglione di volontari calabresi sostenere l’insurrezione calabro-sicula, capitanata dal generale Ribotta, e il dì 26 giugno in ispecie sostenere colle sue genti per ben sei ore il fuoco contro le truppe borboniche, comandate dal generale Busacca, combattendo poscia con pari valore nella valle di S. Martino sui confini della Calabria contro le soldatesche guidate dal generale Lanza.

Vinta finalmente dalle soverchiami armi regie l’insurrezione calabra, il Pace si sostenne anche per vari altri giorni sulle montagne di Lungro, e non fu che dopo un intervallo di diciotto mesi, dopo l’arresto del padre e la minaccia di vedere imprigionata tutta la propria famiglia, che il nostro protagonista, fidando nelle promesse fattegli dal tenente-generale Nunziante, il quale gli garantiva in nome di Ferdinando II il perdono e l’obblio, consentì a darsi prigione.

Ma ognun sa come Ferdinando II tenesse i patti; il nostro protagonista dopo 28 mesi di carcere fu condannato a morire ghigliottinato, e poscia, dopo esser rimasto 49 giorni in un’incertezza mille volte peggior della morte, ebbe commutata la pena in 50 anni di ferri. E qui incomincia il più forte del martirio! Il Pace fu durante sette armi (sette anni!) nel bagno di Procida a sopportare le torture della galera in mezzo ai più tristi malfattori del regno e ai più tristi servi di pena di tutti i bagni, essendo quello di Procida un bagno di punizione.

L’ingegnosa polizia borbonica, che non ristava mai dal turbare anche in quelle orrende dimore la disperata calma dei condannati, nel 1859, sullo pretesto dello scoprimento di una cospirazione in Napoli, a proposito della quale in alcune lettere figurava il nome del Pace, mise questi sotto nuova procedura, rinchiudendolo nelle segrete delle prigioni di Stato di Santa Maria Apparente. Per recarvisi, il nobile giovine dovette attraversare più volte la via Toledo in pieno giorno in abito da galera colle catene ai piedi e alle mani.

Dopo sei mesi d’inutile procedura il Pace fu restituito al suo bagno, ove però la sua posizione si trovò ancora aggravata dietro la sorveglianza continua ed infesta che si esercitava sul di lui conto.

Alla per fine nel 1859 ei fu, insieme al barone Poerio ed altri 65 condannati, esiliato in America; sbarcato insieme ai suoi compagni di sventura in Irlanda, udendo come la guerra fosse imminente in Italia, il Pace si delle premura di accorrere a Torino, ove prese servizio nella divisione Mezzacapo, nella quale entrò come soldato, promosso presto a sott’ufficiale e quindi a tenente.

Date le sue dimissioni non appena intese la notizia della spedizione del generale Garibaldi in Sicilia, si recò colà insieme al corpo guidatovi dal generale Cosenz, e da Palermo passato il 22 agosto in Calabria, alla testa di 1500 volontari calabresi, proclamò in Castrovillari il regno d’Italia sotto lo scettro di re Vittorio Emanuele II e la dittatura di Garibaldi.

Disarmata quindi una compagnia di gendarmi, si accampava a S. Salvatore, altura che domina la vallata di Cosenza ove stavano schierati 2500 soldati borbonici, che indi a poco, visto il contegno energico dei volontari, le disposizioni bellicose e liberali della intera provincia che tutta correva all’armi, mediante anche lo spirito conciliante del generai Calvarelli, capitolò ed uscì tosto dalle Calabrie.

Il nostro protagonista allora, non restando più niente a fare nelle Calabrie, ingrossalo di tre battaglioni si spingeva a marce forzate per ordine del generale Garibaldi su Napoli. Bel atosi poscia sulla (ine del settembre a Caserta, prendeva una brillante parte alla battaglia del Volturno in modo da meritarsi gloriosissime citazioni agli ordini del giorno per parte del generale Milbitz e del generalissimo Garibaldi.

Da quel giorno fino al momento della capitolazione di Capua egli rese i più segnalati servigi sulla linea di Santa Maria di Capua, dimodochè i volontari calabresi da lui capitanati furono creduti degni di ritornare alle loro case con lutto l’armamento loro affidato dal governo dittatoriale.

Ritiratosi, dopo la guerra, il colonnello Pace nel proprio paese natale, vi condusse in moglie la signora Marietta dei baroni Gramazzi, che fino dal 1848 era sua fidanzata.

Il collegio di Cazzano lo ha eletto a suo rappresentante nel Parlamento nazionale.



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