< Il Parlamento del Regno d'Italia
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Giuseppe Ferrari Giovan Battista Nazari
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Silvestro Gherardi.



Nato in Lugo, nella provincia di Ravenna, si ebbe, ventenne, nell’università di Bologna la laurea dottorale della classe degl’ingegneri architetti, e contemporaneamente fu nominato ripetitore di fisica in quella stessa università.

Benchè in età così giovanile, pure con tanto ardore si applicò agli studî da lui prescelti, e sì felicemente si valse del proprio ingegno, che oltre alle lezioni, da lui con molta chiarezza esposte ai suoi discepoli, trovò tempo e modo per pubblicare varî opuscoli, fra cui sono da notarsi quello intitolato: Soluzione di alcuni problemi e teoremi sulle serie doppie; e l’altro: Osservazioni sopra alcune esperienze elettro-magnetiche del sig. cav. L. Nobili; il quale ultimo, pubblicato nel 1827, meritava che il celebre Ampère scrivesse una lettera, edita negli Annales de chimie et de physique, in cui grandemente commendava le considerazioni di meccanica e di calcolo superiore, e le nuove esperienze elettro-magnetiche che in difesa della di lui teorica il Gherardi avea pubblicate.

Un articolo, poi, in cui il nostro protagonista rivendicava ad Ampère l’idea fondamentale dell’invenzione del galvanometro, che il Nobili perfezionò, e la proposta di nuovi galvanometri anche più sensibili del mentovato, pubblicavasi nel Bollettino universale di scienze lettere ed arti lo stesso anno in Bologna, e per le modificazioni proposte allo strumento del Nobili il giovine ripetitore veniva lodato da lui in diversi scritti, dettati mentre Becquerel ed altri proponevano e raccomandavano galvanometri simili a quelli ch’egli già aveva raccomandati.

Creato professore sostituto sul principiare del 1827 di fisica generale e speciale, di meccanica ed idraulica, di ottica ed astronomia, il 20 ottobre dell’anno medesimo succedeva al professore Masetti nella cattedra di meccanica ed idraulica, che esercitò durante i quattro seguenti anni.

Ristaurata l’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, il Gherardi vi fu ascritto tra i soci onorarî nel 1829, e nel 1833 passò alla classe dei pensionati o accademici benedettini. Aggiungiamo subito, per non tornar più su questo argomento, ch’egli fu eletto cinque volte presidente annuale dai suoi colleghi, e che in tal qualità gli fu dato dirigere il 20 giugno del 1848 la solennissima adunanza in cui il Gioberti venne aggregato a quell’Accademia.

Allo scoppiare in Bologna del moto rivoluzionario del 1831, che si propagò con tanta rapidità fino ai limiti del patrimonio di San Pietro, il nostro protagonista, ch’era il più giovine professore dell’università, contando appena ventotto anni, fu da quel governo provvisorio nominato colonnello comandante il battaglione universitario, incarico scabroso che costò al Gherardi affanni, sacrifizî e persecuzioni continue per tutta l’intera durata del lungo pontificato di Gregorio XVI, sebbene gli restasse il compenso d’aver degnamente operato e impedito il male con non comune fermezza.

In quel torno, a cagione dell’allontanamento del professore Orioli, il giovine professore di meccanica e idraulica fu elevato alla cattedra di fisica generale e speciale, cattedra ch’ei conservò fino allo scioglimento delle vicende politiche del 1849.

Preposto eziandio alla direzione del gabinetto di fisica, uno dei più ricchi, e certo il più compiuto per la storia della scienza, attese indefessamente ad accrescerlo e riordinarlo, disponendolo nel 1835 in cinque grandi aule e compilandone un esatto catalogo, preceduto da breve istoria, in cui ne espose l’origine, il lustro in cui venne per le ampie largizioni di Benedetto XIV, e i successivi aggrandimenti.

Nel 1852 comparve nell’Antologia di Firenze un articolo del Gherardi intitolato: Alcune esperienze sopra le nuove correnti e le scintille magneto-elettriche, che fece sensazione nel mondo scientifico, non tanto per le annunciate esperienze ed esposte vedute, allora tutte nuove, sulle scoperte Faradiane, quanto pel fatto, ascritto poscia con lode al Gherardi, della scintilla elettro-magnetica, ottenuta senza indurre a contatto l’àncora, rivestita del filo conduttore, colla calamita, ma con tenerla a distanza di uno o due, e fino a tre centimetri.

Nuove opere di maggior lena tennero dietro a queste e non possiamo tralasciare di ricordare tra esse una dissertazione encomiata dall’abate Del Negro e da Nobili, sopra varie esperienze riguardanti la scoperta allora recente del Faraday, e sopra alcune importanti proprietà delle correnti voltiane; una memoria contenente la descrizione di un proprio apparato per tutte le esperienze magneto-elettriche, il quale fu poi adattato alla grande calamita a ferro da cavallo del gabinetto fisico dell’università di Bologna, e poscia, perfezionalo da lui, applicavasi ai grandi cilindri magneto-elettro-tellurici che in quel tempo vennero montati nel museo di Firenze; una relazione ragionata sui fatti e cognizioni più rare ed interessanti che si possedevano intorno alla singolare virtù dei pesci elettrici, prima del galvanismo e della pila del Volta; altra nota intorno alla scoperta dell’azione induttiva delle correnti voltiane sopra sè stesse, intesa a rivendicare ad alcuni fisici italiani, e specialmente al Nobili, che aveva cessato d’esistere, la giusta parte che loro spetta in quella scoperta, il cui principal merito è tuttavia da attribuirsi al Faraday; infine la raccolta delle opere edite ed inedite del Galvani, preceduta da elaboratissimo rapporto, e seguita da un’aggiunta in cui il nostro protagonista tratta molto opportunamente dei principali scritti del Beccaria sull’elettricità.

Tutti questi insigni lavori, frutto di lunghi studî e diuturne fatiche, valsero al chiaro autore una meritata fama e le lodi così dei dotti d’oltre alpe come degli Italiani, fra i quali son da citarsi Macedonio Melloni, Gabrio Piola, Majocchi, Zambelli e Matteucci; gli valsero pure d’essere ascritto a tutte le principali accademie scientifiche italiane, quali la Pontoniana di Napoli, la Medico-Statistica di Milano, quella di Roma, d’Arezzo ecc.

Ma l’operosa vita scientifica del nostro protagonista non ispegneva nè menomava certo in lui i sensi di patria carità e le ardenti aspirazioni a conseguire l’indipendenza italiana; sicchè quando sorse il 1848 il Gherardi si ebbe in quel movimento rigeneratore, che qual elettrica scintilla percorse rapido da Palermo a Milano le incantate regioni dell’intera nostra penisola, una parte notevolissima, e che è pregio dell'opera il ricordare.

Nominato fin dal 1847 dalla segreteria di Stato del nuovo pontefice Pio IX a maggiore della milizia nazionale di Bologna, fu poscia nell’anno successivo eletto, come dissi, a colonnello comandante il battaglione universitario dell’illustre città.

Nell’agosto del medesimo anno (1848) il Gherardi può a ragione gloriarsi di aver fatto parte di quel comitato di salute pubblica, dietro i cui energici ordini i Bolognesi, con uno slancio ed intrepidezza senza pari, attaccarono e scacciarono gli Austriaci lungi dalle loro mura: comitato che valse pure più tardi a contenere lo straordinario eccitamento popolare che succedette a quella cittadina vittoria, ed impedì non degenerasse in aperta anarchia.

Nel settembre il Gherardi fu dal suo paese nativo, come pure da altri paesi delle Romagne, scelto a rappresentante in seno al Parlamento dello Stato Romano e, giunto a Roma a tale oggetto, mentre n’era già partito il pontefice per ricoverarsi a Gaeta, sedette nell’Assemblea nazionale fino all’ultimo istante in cui ella rimase unita, partecipando a tutte le solenni e legali risoluzioni che vi si decretarono, ed allo stabilimento del governo provvisorio.

Nominato nel 1849 deputato all’Assemblea costituente, cedendo alle istanze del Muzzarelli, si prestò ad essere sostituto al ministro della pubblica istruzione, e quindi negli ultimi tempi della repubblica ministro interino.

Rimasto per tre mesi in Roma, dopo l’ingresso dei Francesi, rientrò quindi in Bologna, ove si stette occultamente per più d’un mese, e poscia con passaporto sardo, fattogli rilasciare dal marchese d’Azeglio, traversò i ducati e si rifugiò in Piemonte, questo grande e generoso asilo de’ compromessi politici di tutta Italia.

Scelta Genova a sua dimora, venne tosto da quel municipio eletto professore di fisica nel ginnasio civico, ove non tardò a formare il gabinetto delle macchine; e dirigendo egli stesso la provvista e la costruzione d’ogni apparato, potè in brevissimo tempo con mezzi mediocri rendere quel gabinetto atto a servire convenientemente alla scuola.

Ammalò in quel tempo il cavalier Peyrone, professore di chimica applicata alle arti nelle scuole tecniche, e venne chiamalo il Gherardi a supplirgli; come riuscisse a gradire al pubblico nelle lezioni ch’ei fece nei due primi mesi del corso, lo attestò senza più il nuovo incarico che gli venne affidato l’anno dopo di sostituire cioè il professore Ansaldo, impedito da pubblico servizio, nella cattedra di meccanica applicata, che tenne per tutto quell’anno.

Eletto professore di fisica e chimica, fin dallo scorcio del 1851, alla regia scuola di marina, nella direzione del gabinetto, come già nel creare quello del ginnasio, potè introdurre in un certo numero di macchine di maggior uso per utili modificazioni, altre ne fece eseguire di propria invenzione, e quel ch’è più, vi creò il gabinetto e la scuola dell’ottica che vi facevan difetto.

Mancato ai vivi, or sono tre anni, il professore di fisica nell’università di Torino, G. D. Botto, il commendatore Lanza, ministro in quel torno dell’istruzione pubblica, chiamò con regia nomina il nostro protagonista alla cattedra di fisica generale e particolare nella regia università della capitale italiana, e a direttore del respettivo cospicuo gabinetto.

Scoppiato, lo scorso anno, dietro le vittorie delle liberatrici armate alleate, il moto rivoluzionario delle Romagne, Bologna, la città nativa, e le altre di quel nobile paese, non dimentiche dei servizi già resi nelle due critiche epoche del 1831 e del 1848 dal loro Gherardi, gli confidarono l’onorevolissimo incarico di far parte della deputazione spedita da quelle provincie alle LL. MM. l’Imperatore Napoleone III e Re Vittorio Emmanuele.

E qui non possiamo passare sotto silenzio, che ricevuta questa cortesemente al campo di Calcinato e di Montechiaro dal futuro sovrano d’Italia e dall’imperator dei Francesi trentasei ore prima delle splendide vittorie di Solferino e di Sammartino, il Gherardi richiamò sopra di sè in modo speciale l’attenzione del magnanimo alleato del nostro monarca, ricordandogli con molto a proposito, come quegli infelici paesi, caduti sì basso dopo il 1815 e oppressi per sì lunghi anni tanto crudamente e con tirannie d’ogni maniera, avessero dato all’eccelso fondatore della di lui dinastia i migliori ministri e più leali amici, quali Marescalchi, Caprara e Aldini di Bologna, Costabili e Contarini di Ferrara, Felici di Rimini, ed anco valorosi generali e ufficiali superiori come Severoli, Sercognani, Boccaccini ecc.; ed insistè sul conto del Sercognani, il quale, come niuno italiano potrà mai dimenticare, si ebbe nel moto del 1831 sotto i proprî ordini l’Imperatore e il di lui compianto fratello, soggiaciuto indi a Forlì alle fatiche e ai disagi della spedizione.

Napoleone III a queste calde parole del Gherardi rispondeva, sorridendo di quel suo sorriso profondo, e assentendo col capo: Je le sais, je le sais, je le sais!

Decorato per ispontanea mozione del ministro attuale dell’istruzione pubblica, conte Mamiani, della croce di cavaliere Mauriziano, il professore Gherardi è stato da’ suoi antichi elettori delle Romagne inviato a loro rappresentante in seno al primo Parlamento del regno italiano.



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