< Il Re Enrico VIII
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William Shakespeare - Il Re Enrico VIII (1613)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto quinto
Atto quarto Epilogo

ATTO QUINTO


SCENA I.

Una galleria nel palazzo.

Entra Gardiner, vescovo di Winchester; un paggio con una torcia lo precede.

Gar. È un’ora, paggio; non è vero?

Pagg. È suonata adesso.

Gar. Queste ore dorrebbero essere riserbate a doveri indispensabili, e non usurpate dai piaceri. È il tempo di riparar le forze della natura col riposo e non di sperderle in vane frivolezze. — (entra sir Tommaso Lovell) Buona notte, sir Tommaso! Dove andate sì tardi?

Lov. Siete stato dal re, milord?

Gar. Sì, sir Tommaso; e lo lasciai che giuocava col duca di Suffolk.

Lov. Bisogna ch’io pure vada da lui, prima ch’egli si corichi. Con vostra licenza.

Gar. Non ancora, sir Tommaso. Di che è quistione? Parete concitato, e se non fosse indiscretezza, vi pregherei a dirmi il motivo di tanta sollecitudine. I negozi che si discutono nelle ore in cui suol dirsi che errano gli spiriti, sono di un carattere più grave di quelli che si ventilano ai chiarori del dì.

Lov. Milord, io vi amo, ed oso confidare al vostro orecchio un segreto molto più importante della bisogna che ora mi tiene assorto. La regina è fra le doglie del parto, e versa in estremo pericolo: si teme ch’ella non ispiri, dando alla luce il frutto delle sue viscere.

Gar. Innalzo voti sinceri perchè questo prosperi: ma in quanto al tronco, sir Tommaso, desidero ch’egli inaridisca e sia aradicato.

Lov. Mi pare che potrei ben rispondervi amen; e nondimeno la mia coscienza mi dice che è una buona creatura, una vaga signora che merita da noi voti più propizi

Gar. Ma, amico, amico, ascoltatemi. Voi siete un gentiluomo che dividete i miei sentimenti e i miei principii: siete savio e religioso, e perciò vi dichiaro che tutto questo non potrà riescire a bene. No, ciò non finirà bene, sir Tommaso, a meno che Cranmer e Cromwell, le due braccia di quella donna, non dormano con lei nella tomba.

Lov. Sapete, signore, che parlate dei due più illustri personaggi del regno? Cromwell, oltre all’ufficio di gran mastro dei gioielli della corona, è stato fatto guardasigilli e segretario del re, ed è sulla via che conduce a più cospicue dignità ancora, dignità che non possono sfuggirgli, e che il tempo accumulerà sopra di lui. — L’arcivescovo poi è mano e voce del monarca; e chi sarà abbastanza ardito per profferire una parola contro uomini così potenti?

Gar. Sì, sì, sir Tommaso, molti vi saranno che l’oseranno; ed io stesso mi sono arrischiato ad esporre il mio pensiero su quest’ultimo; e in questo medesimo giorno, posso dirvelo, credo essere riescito abbastanza a svegliare l’attenzione dei lórdi del Consiglio, dicendo loro che quell’uomo è un eretico, una peste che insozza il regno. Infiammati da quest’accusa, essi han rotto il silenzio, e han dichiarati i loro sentimenti al re, che ha così bene porto l’orecchio alle loro unanimi querele, che, prevedendo le crude sventure che le nostre rimostranze gli ponevano sott’occhio, ha ordinato che citato ei venga dimani innanzi al Consiglio. È una spina malefica, sir Tommaso, che bisogna sradichiamo. Ma io vi trattengo di troppo; e le vostre cose incalzano. Buona notte, sir Tommaso.

Lov. Buona notte, milord; rimango vostro servitore.

(Gard. col suo paggio esce; e mentre Lovell sta per andarsene da un’altra parte entrano il Re e il duca di Suffolk).

Enr. Carlo, non voglio più giuocare per questa notte: la mia mente è distratta, e siete troppo forte per me.

Suff. Sire, non vi avevo mai vinto prima di questa sera.

Enr. O almeno poche volte; e non mi vincereste, se potessi tener ferma la mia attenzione. — Ebbene, Lovell, quali notizie della regina?

Lov. Io non potei personalmente dirle quello che m’imponeste, ma lo commisi ad una delle sue donne, che mi ha riportati i suoi ringraziamenti colle parole più umili. Essa raccomanda a Vostra Maestà di pregare per lei.

Enr. Che dici? Pregare per lei? È ella nel parto?

Lov. Le sue dame me lo assicurarono, e mi dissero che i suoi dolori erano così violenti, che ognuno d’essi era quasi una morte.

Enr. Oimè! povera signora.

Suff. Dio la sollevi e addolcisca i suoi mali, onde allietare Vostra Maestà col presente di un erede.

Enr. È mezzanotte, Carlo: va a letto, ti prego; e nelle tue orazioni non dimenticare la porera regina. Lasciami solo; perchè debbo pensare a cosa che richiede la più grande attenzione.

Suff. Desidero a Vostra Altezza una buona notte, nè dimenticherò di pregare per la mia buona signora.

Enr. Buona notte, Carlo, (esce Suff. Entra sir Antonio Denny) — Ebbene, che recate?

Den. Sire, ho condotto milord l’arcivescovo come me l’avevate comandato.

Enr. Ah! Canterbury?

Den. Sì, mio buon lord.

Enr. Bene: dove è esso, Denny?

Den. Aspetta i comandi di Vostra Altezza.

Enr. Fallo venire. (Den. esce)

Lov. (a parte) È quistione certo del negozio di cui mi parlò il vescovo; venni in buon tempo. (rientra Denny con Cranmer)

Enr. Sgombrate (a Lovell che sembra voler restare) Ah! dissi che ve ne andaste! (escono Lov. e Den.)

Cran. (fra sè) Ho timore. — Perchè è egli sì livido? Il suo aspetto è terribile. Qui si nasconde un mistero.

Enr. Ebbene, milord? voi vorrete sapere perchè vi facessi chiamare?

Cran. Ho dovere di obbedire ai comandi di Vostra Altezza.

Enr. Vi prego, alzatevi, mio diletto lord di Canterbury. Venite, dobbiam fare una corsa insieme: ho alcune notizie da comunicarvi: datemi la vostra mano. Ah! mio caro lord, sento dolore per quello che debbo dirvi, e sono fieramente commosso pensando alle conseguenze che ne potran derivare. Non è molto che intesi, sebbene non volendolo, alte lagnanze mosse contro di voi, onde fui costretto a chiamarvi dimani dinanzi al Consiglio. So che non potrete discolparvi di quelle accuse senza dar prova di una gran pazienza, e forza vi sarà, mentite dura l’esame, di accettare la Torre per dimora. Essendo voi membro del nostro Consiglio, dobbiamo procedere così, altrimenti nessun testimonio oserebbe prodursi contro di voi.

Cran. Ringrazio umilmente Vostra Maestà, e son lieto di questa occasione che mi dà agio di mostrarmi nella mia vera luce, perocchè so che non vi è alcuno che più di me sia morso dal dente della calunnia.

Enr. Fatevi coraggio, buon prelato. La vostra fedeltà, la vostra integrità, sono profondamente scolpite nel nostro cuore; onde rassicuratevi. Ma pel Cielo! qual carattere è il vostro? Io crederà, milord, che m’avreste addirizzata una supplica per chiedere al vostro sovrano di assumersi la cura dì confrontare dinanzi a lui, voi e i vostri accusatori, e di prendere egli stesso cognizione del vostro processo, senza altri vincoli.

Cran. Temuto sovrano, l’appoggio sul quale io confido, è la mia lealtà, la mia probità. Se esse dovessero soccombere, io stesso mi rallegrerei coi miei nemici del trionfo delle leggi sopra di me, di coi non fìurei più alcun caso quando si fosse giunto a spogliarmi di tali virtù. — Non temo nulla di quello che mi si può apporre.

Enr. Non sapete dunque qual’è la vostra situazione nel mondo? I vostrì nemici son molti, e non son persone di poco conto; le loro trame segrete debbono essere in ragione della loro forza; e la giustizia e la verità d’una buona causa non ottengono sempre favore. Con quale facilità quelle anime corrotte non possono esse procacciarsi alcuni scellerati che falsamente depongano contro di voi? Simili esempi si son visti molte volte. Voi dovete lottare contro avversarii potenti; e contro la malizia unita a una forza terribile. Credete dunque che potrete essere più avventuroso rispetto a’ testimoni, che nol fosse il vostro divino Maestro, di cui siete il ministro, allorchè egli viveva in questa sciagurata terra? Oh! voi mutate un precipizio orrendo in un passaggio senza pericoli, e correte alla vostra ruina.

Cran. Dio e Vostra Maestà proteggano dunque la mia innocenza, resterò preso al laccio che mi fa preparato.

Enr. Siate fidevole: essi non si estenderanno nelle loro persecuzioni contro di voi, che fin dove permetterò che si stendano. Riprendete il vostro coraggio, e pensate a comparire dimani innanzi ad essi. Se avviene nell’imputazione che vi apparecchiano, che conchiudano col volervi imprigionare, non mancate di far valere tutti i vostri argomenti, i più forti che trovar potrete, e parlate con tutta la veemenza che l’occasione v’ispirerà. Se le vostre rimostranze rimarranno senza effetto, date loro quest’anello, e appellatevi a noi in loro presenza. — (Cranmer s’intenerisce) Quest’uomo dabbene piange! Egli è onesto, sull’anima mia. Beata Vergine! giuro che è fedele, e che non v’è uomo più integro in tutto mio regno. — Fate quanto vi ho detto. — Ei non ha forza di rispondere: le lagrime gli tolgono la voce.

(Cran. esce; entra una vecchia Dama, un Gentiluomo dal di dentro la chiama)

Gent. Tornate indietro: che volete?

Dam. Non ritornerò: le notizie che reco convertiranno la mia andacia in rispetto. — I buoni angeli volino sulla vostra real testa e coprano la vostra persona colle loro sante ali.

Enr. Dai vostri sguardi indovino il vostro messaggio. La regina ha partorito? Dite di sì; e di un fanciullo?

Dam. Sì, sì, mio sovrano, e di un vaghissimo parto: il Dio del Cielo la benedica ora e sempre! È una bambina che vi promette molti maschi per l’avvenire. Sire, la regina desidera di vedervi perchè facciate conoscenza con quella piccola straniera; ella somiglia a voi come una ciliegia a un’altra ciliegia.

Enr. Lovell.... (entra Lovell)

Lov. Sire.

Enr. Datele cento marchi. Io corro dalla regina. (esce)

Dam. Cento marchi! Per questa luce ne voglio di più: tal dono è dicevole in un domestico volgare: vo’ di più o lo farò arrossire. Dissi io per così poco che la fanciulla gli somigliava? Vo’ di più affermerò il contrario: e ora che il ferro è caldo l’indurrò ad appagarmi. (escono)

SCENA II.

Anticamera del Consiglio.

Entrano Cranmer, domestici, un usciere, ecc. ecc.

Cran. Credo di non esser giunto troppo tardi, e nondimeno l’uffiziale che m’è stato mandato dal Consiglio mi ha pregato di venire colla più gran sollecitudine. — È tutto chiuso? A che accenna ciò? Olà! v’è nessuno? Voi mi conoscerete?

Usc. Sì, milord: ma non posso soccorrervi.

Cran. Perchè?

Usc. Bisogna che Vostra Grazia aspetti qui finchè siate chiamato.

Cran. Ebbene, così sia. (entra il dottor Butts)

Butt. Ecco un atto di malignità. Son contento di esser qui venuto. Il re ne sarà tosto istrutto. (esce)

Cran. (a parte) Cotesto Butts è il medico del re: mentre egli passava con quale ardore ha gettati sopra di me gli occhi! Prego il Cielo che ciò non mi arrechi sventura. Perocchè vi è certo una trama ordita da qualcuno che mi odia (Iddio muti i loro cuori! io non feci mai male ad alcuno), per togliermi l’onore: altrimenti arrossirebbero di farmi aspettare in questa sala, io membro del Consiglio come loro, fra valletti, palafrenieri e servitori. Ma la loro volontà deve compiersi, e convien che aspetti pazientemente.

(il Re e Butts compariscono a una finesta di sopra)

Butt. Mostrerò a Vostra Grazia il più strano spettacolo.....

Enr. Quale è esso, Butts?

Butt. Mirate; Vostra Altezza ne avrà veduti di simili molte volte.

Enr, Pel Cielo, ma che cosa?

Butt. Guardate là in fondo, milord, e vedete in qual conto si tiene Sua Grazia l’arcivescovo di Canterbury, che è lasciato fuor della porta fra i lacchè e i domestici.

Enr. Ah è egli veramente! Oh così si onorano gli uni cogli altri? A meraviglia; ma vi è qualcuno al di sopra di loro tutti. Avrei ceduto si rispettassero abbastanza per non permettere che un uomo del suo grado, e tanto innanzi nella nostra grazia dovesse starsene in un’anticamera aspettando il piacere delle loro signorie come l’infimo degli schiavi. Per Santa Maria, Butts, quest’è una infamia: lasciamoli soli, e tiriam la cortina: ne udiremo di più fra poco. (escono)

(La Camera del Consiglio. Entrano il lord Cancelliere, il duca di Suffolk, il conte di Surrey, il lord Ciambellano, Gardiner e Cromwell. Il cancelliere va ad assidersi alla estremità superiore della tavola alla sinistra; e un seggio rimane vuoto ed disopra di lui destinato all’arcivescovo di Canterbury. Gli altri si assidono per ordine nei diversi posti. Cromwell sta dalla parte posteriore della tavola come segretario)

Con. Segretario, annunciate i motivi che tengono radunato il Consiglio.

Crom. Col piacere di Vostra Signoria, la causa principale è quella che concerne Sua Grazia l’arcivescovo di Canterbury.

Gar. Ha egli avuto conoscenza di ciò?

Crom. Sì.

Nor. Chi sta alle porte?

Usc. Dite nell’altra camera?

Gar. Sì.

Usc. Milord l’arcivescovo; è mezz’ora che aspetta.

Can. Entri.

Usc. Vostra Grazia ora può entrare.

(Cranmer entra, e si avvicina alla tavola del Consiglio)

Can. Mio buon lord arcivescovo, io son molto tristo di sedere in questo Consiglio, vedendo il vostro seggio vacante. Ma siam tutti uomini fragili per natura, e finchè questa carne mortale ne riveste, pochi sono angeli. È per una conseguenza di tale fragilità e per difetto di saviezza che voi, che eravate fatto per darci le migliori lezioni, voi pure traviaste, offendendo il re e le leggi, riempiendo il regno delle vostre dottrine, spargendo insieme coi vostri vicarii opinioni nuove, eterodosse e pericolose, che non essendo ammendate potrebbero riescire di gran danno.

Gar. La qual riforma deve compiersi senza indugi, miei nobili lórdi. Perocchè coloro che domano un cavallo focoso non lo addolciscono guidandolo per mano, ma frenandolo con morso invincibile, e pungendolo con lo sperone finchè obbedisca. Se noi soffriamo colla nostra mollezza, e per una puerile pietà per l’onore di un sol uomo, che questo male contagioso si estenda, perduti andranno tutti i rimedi dell’arte: e quali ne saranno le conseguenze? Guerre civili, sollevamenti, e l’infezione generale del regno; come si vide non ha molto presso i nostri vicini nell’alta Alemagna con loro danno gravissimo; cosicchè la ricordanza dei loro mali ci trae ancora lagrime di compassione.

Cran. Miei onorevoli lórdi: fin qui, durante tutto il corso della mia vita e de’ miei uffici, mi sono industriato ed ho fatto tutti gli sforzi perchè la mia dottrina e l’efficacia della mia autorità potessero andar del pari e seguire una strada uniforme e sicura: il mio intento è sempre stato di fare il bene; e non vi è uomo vivo (lo dico con cuor sincero, miei lórdi) che abborra più di me dall’interno della sua coscienza e nell’amministrazione della sua carica, i perturbatori della pace pubblica, o che si sia più costantemente opposto ad essi. Prego il Cielo che il re non trovi mai minore obbedienza o fedeltà in alcun altro cuore. Gli uomini che si nutrono d’invidia e si piacciono negli intrighi della malizia, osano imprimere il dente della loro perfidia sopra quanto v’è di più virtuoso. Io chieggo una grazia alle signorie vostre: è, che in questa causa i miei accusatori, quali che si siano, mi vengano prodotti dinanzi per profferire la loro accusa contro di me.

Suff. No, milord, questo non può farsi. Voi siete membro del Consiglio, e con tale dignità niuno ardirebbe accusarvi.

Gar. Signore, dovendo esaminare cosa di maggiore importanza, saremo solleciti con voi. È intenzione di Sua Maestà, e nostro parere unanime, che siate condotto alla Torre perchè il vostro processo venga meglio studiato. Là, ritornando uomo privato, vedrete che molti ardiranno accusarvi di colpe di cui assai temo non vi possiate giustificare.

Gran. Ah milord di Winchester, vi ringrazio: voi foste sempre un degno amico per me. Se la vostra sentenza è sancita, troverò in voi il mio giudice e il mio accusatore: tanto siete sensibile e compassionevole! Veggo il vostro intento; cioè la mia perdita. La carità, la dolcezza, milord, si addice più a un ministro della Chiesa, che non l’ambizione. Cercate colla moderazione di far rientrare nell’ovile le pecore smarrite, e non ne cacciate alcuna. — Opprimete la mia pazienza con tutto il peso delle accuse che potrete inventare, e dubito tanto poco di potermi scolpare, quanto voi vi fate poco scrupolo in commettere ingiustizie. Potrei dire di più, ma il rispetto che porto al vostro stato mi fa essere prudente.

Gar. Milord, milord, voi siete un settario: quest’è la verità. La bella vernice di cui vi ammantate, non fa che mostrare a coloro che vi conoscono la debolezza de’ vostri argomenti e il vacuo de’ vostri discorsi.

Crom. Signore di Winchester, lasciate ch’io vi dica che vi date a divedere on po’ troppo violento: perocchè uomini del suo carattere e del suo grado, per quanto colpevoli siano, dovrebbero trovare rispetto e riguardi in contemplazione di ciò che sono stati. È una crudeltà opprimere un uomo già caduto.

Gar. Segretario, vi chiamo al vostro dovere. — Voi siete l’ultimo di tutta la Corte, che potesse tenere un tal linguaggio.

Crom. Perchè, milord?

Gar. Non so io che voi pure siete un autore di questa nuova setta? Da insensato vi comportaste.

Crom. Da insensato?

Gar. Ve lo ripeto.

Crom. Foste voi metà così onesto, e vedreste i voti degli uomini accompagnarvi anzichè i loro timori e le loro avversioni.

Gar. Mi ricorderò sì audace linguaggio.

Crom. Fatelo: ma rammentate ancora l’audacia della vostra vita.

Cran. Questo è troppo, tacete per pietà, signori.

Gar. Ho finito.

Crom. Io pure.

Gar. Quanto a voi, milord, è decretato, credo, da tutti, che siate tosto condotto prigioniero alla Torre per restarvi fino che ci siano chiariti gl’intendimenti del re. — Non siete tutti di questo avviso, signori?

Tutti. Sì, sì.

Cran. Non v’è dunque altra via per ottenere giustizia che esser condotto alla Torre, miei lórdi?

Gar. Qual’altra ne vorreste? Voi siete un sedizioso! Si facciano venire le guardie. (entra la guardia)

Cran. Per me? Debbo io dunque essere trascinato come un traditore?

Gar. (alle guardie) Resta a voi affidato: sia condotto con sicurezza alla Torre.

Cran. Fermatevi, miei buoni signori: ho anche una parola da dirvi. Gettate gli occhi su quest’anello: col privilegio di esso io strappo la mia causa dagli artigli d’uomini crudeli, o la rimetto fra le mani del più integro dei giudici, fra quelle del re mio signore.

Can. È l’anello del re?

Sur. Non è falsato?

Suff. È il vero anello, ne attesto il Cielo. Io ben vel dissi a tutti allorchè cominciammo a volgere questa pietra pericolosa, ch’ella alfine sarebbe caduta sulle nostre teste.

Nor. Credete voi, miei lórdi, che il re permetta che si tocchi soltanto un dito a questo uomo?

Can. Ora apparisce quanto sta a cuore di Sua Maestà la costui salute! Vorrei non essermi immischiato in questo negozio.

Crom. Cercando di raccogliere vani propositi e informazioni contro quest’uomo la di cui probità non può avere altri invidiosi che Satana e i suoi addetti, la mia anima mi diceva che accendevate la scintilla che vi abbrucia. Pensate ora a difendervi.

(entra il Re lanciando intorno sguardi sdegnosi e va ad assidersi sul suo trono).

Gar. Temuto sovrano, quanto debbo ringraziare il Cielo che ei ha dato un sì gran principe, un re sì savio, sì buono, sì religioso, che degli onori della santa Chiesa fa la sua precipua gloria, e che per afforzare questo suo dovere coll’esempio del più tenero rispetto viene egli stesso in persona a sedere in questo Consiglio per udirvi la causa che si dibatte fra lei e il suo grande e colpevole nemico.

Enr. Vescovo di Winchester, voi foste sempre esimio nel tessere lodi improvvise. Ma vi sia noto che non vengo qui oggi per udirmi addirizzare tali adulazioni: è un velo troppo turpe e d’altra parte troppo lieve per nascondere le opere die mi offendono. Il vostro artifizio non giunge fino a me: voi compite la parte del vile ipocrita, e sperate di sedurmi: ma in qualunque guisa adopriate, son certo d’una cosa, che voi siete cioè d’una tempra crudele e sanguinaria. — Uomo onesto, (a Cran.) assidetevi. Vediamo ora se il più superbo di costoro oserà muovere un dito contro di voi. Per tutto ciò che v’è di più sacro, meglio sarebbe per lui morir di miseria, che aver soltanto il pensiero che questo seggio non v’appartenga.

Sur. Se piacesse a Vostra Grazia...

Enr. No, signore, ciò non mi piace. — Crederò arere nel mio Consiglio uomini saggi e illibati; ma veggo che errai. Era ella cosa onesta, signori, il lasciar quest’uomo, quest’uomo dabbene (ve ne son pochi fra voi che meritino tal titolo), questo virtuoso prelato confuso nell’anticamera fra gl’infimi valletti? Un cittadino cospicuo e grande al par di voi! Qual vergogna fargli tale oltraggio! Il mio comando esigeva forse che obbliaste tanto voi stessi? Vi ho dato i poteri per giudicarlo come membro del Consiglio, non come un vile schiavo. Però veggo che v’è qualcuno fra di voi, che animato dall’odio piuttosto che da un sentimento d’integrità, non domanderebbe meglio che di trattarlo con estremo rigore, se ne avesse il potere; ma questo non l’avrà mai, finchè io respiri.

Crom. Mio temuto sovrano, Vostra Maestà si degni permettermi di farvi le scuse per questi lórdi. Se era stata proposta la sua prigionia, ciò era (se pur può credersi alla buona fede degli uomini) per facilitare la sua giustificazione, e i mezzi di far apparire pubblicamente la sua innocenza, piuttostochè per alcun disegno di nuocergli: per me almeno io dichiaro questi sentimenti.

Enr. A meraviglia. — Or dunque, miei’ lórdi, rispettatelo: ribevetelo fra di voi, e trattatelo con onore, perocchè egli n’è degno. Direi anche che, se un re può essere obbligato ad un suo suddito, io lo sono a lui per la sua tenera affezione e i suoi fedeli servigi. Non mi date altre inquietudini! Abbracciatelo tutti, e in nome dell’onore siate amici, miei lórdi. — Milord di Canterbury, debbo pregarvi d’una cosa che non dovete rifiutare. V’è qui nel palazzo una fanciulletta che non ebbe ancora il battesimo: bisogna che voi le diveniate padrino, e che rispondiate per lei.

Cran. Il più gran monarca che regni oggi in Europa si glorierebbe di tale ufficio: come posso io meritarlo, io che non sono che uno dei vostri più umili sudditi?

Enr. Via, via, milord: voi potete esimervi dai doni della cerimonia. Avrete con voi due nobili compagne, la venerabile duchessa di Norfolk e la marchesa di Dorset. Queste signore vi piacciono per matrine? — Anche una parola, milord di Winchester; vi comando d’abbracciare e d’amare quest’uomo dabbene.

Gar. Col cuor più sincero, e coll’amore d’un fratello.

Cran. Il Cielo mi sia testimonio quanto quest’assicurazione per parte vostra m’è cara.

Enr. Buon uomo, le tue lagrime mostrano la dolcezza del tuo cuore, e mi fanno trovar vero quel detto volgare che intorno a te corre: offendete milord di Canterbury, ed ei vi diverrà amico per sempre. — Venite, signori, non sperdiamo altro tempo. Desidero di vedere quella fanciulletta divenuta cristiana. Restate uniti, signori, com’io v’ho uniti: così io sarò più forte, voi più onorati. (escono)

SCENA III.

Il Cortile del Palazzo.

Romore al di dentro. Entra il Portiere e il suo Valletto.

Port. Vi farò ben desistere da tal romore, plebaglia. Credete voi che la Corte sia fatta una taverna? Recate altrove le vostre grida, gente malnata. (una voce al di dentro dice: Buon portiere, io appartengo alla dispensa).

Port. Va al patibolo, se vuoi, e là rimani appeso. È questo un luogo da farvi tanto strepito? Portatemi una dozzina di bastoni di pomo selvatico, e ben forti: cotesti non sarebbero che canne per le larghe spalle di coloro. Solleticherò loro la testa. — Ah! volete vedere il battesimo? Credete di trovar qui ala e cacio, furfanti da strada?

Val. Vi prego, signore, d’essere paziente: è così impossibile il cacciarli, se pur non si adoprasse il cannone, com’è di farli dormire la mattina del primo giorno di maggio; cosa che non si vedrà mai. Sarebbe più facile far muovere la chiesa di san Paolo che costoro.

Port. Come entrarono? possa essere tu pure appiccato!

Val. Oimè, nol so. Come entra la marea? Ho menate botte finchè ho potuto, valendomi d’un buon bacolo, e vedete cosa me ne rimane.

Port. Voi non avete fatto nulla, mariuolo.

Val. Non sono certo nè Sansone, nè sir Guido, nè Colbrand, per atterrarli dinanzi a me: ma se ne risparmiai qualcuno, fosse giovine vecchio, uomo o donna, fanciullo o adulto, adultero o adulterato, ch’io non mangi mai più bue: sebbene non vorrei mangiar vacca per tutto l’oro del mondo. (la voce dal di dentro: Ci udite, portiere?)

Port. Fra poco sarò da voi, imbelle. — Tien chiuse le porte, malandrino.

Val. Che debbo io fare?

Port'. Che vuoi tu fare, fuorchè fiaccarli a dozzine? È questa la pianura di Morfieltz per venirsi a schierare in rassegna? o abbiamo noi qualche Indiano selvaggio dalla gran coda, perchè le donne ci assediino così? Buon Dio, quali occasioni di scandalo fra quella pressa! Sulla mia coscienza cristiana, quest’un battesimo ne produrrà mille; e costoro troveranno il padre, il padrino e tutto il resto.

Val. Ve ne stanno di tutte le fatta dietro la porta, padrone. — Ne veggo uno che sembra un calderaio, avvegnachè, sull’onor mio, tutti i fuochi di venti giorni di canicola bruciano sopra il suo naso, e quelli che gli stan presso ne devono essere tanto infiammati da non aver bisogno d’altra punizione. Ho battuto tre volte quel drago nella testa, e tre volte il suo naso ha fatto una scarica di fuoco contro di me: ei se ne sta là come un mortaio per bombardarci. Aveva vicino la moglie di un rivendugliolo che mi scherniva finchè il suo pettine è andato in pezzi in punizione d’aver acceso una così violenta combustione nello stato. Ho fallata la meteora, e il colpo è caduto su di lei, che ha cominciato a gridare: soccorso, soccorso; in quel momento ho veduto venire da lungi col bastone in mano quaranta furfanti, fiore e speranza dello Strand, ov’ella alloggia: essi mi si son scagliati addosso, ma seppi difendere il mio terreno: poi son tornati verso di me con manichi di scopa, e gli ho di nuovo sfidati: ma repentinamente una schiera di garzoni posta dietro di loro, veri arnesi da galera, mi ha avventata una pioggia di selci, perchè fui costretto a ritirare il mio onore al di dentro, e a lasciarli vincitori. Credo, sulla mia fede, che il diavolo stesse dalla loro parte.

Port. Saran quei medesimi che fan strepito al teatro, che laudano i pomi cotti, ciurmaglia maledetta, che niun altro uditorio può tollerare fuor quello della tribolazione, della Torre o di Limehouse1, dove stanno altri loro cari confratelli. Ne ho fatto discender qualcuno in Limbo patrum, e là danzeranno questi tre giorni di festa rinfrescati d’ora in ora a colpi di scudiscio.

(entra il lord Ciambellano)

Ciam. Pel Cielo, qual moltitudine è questa? Essa cresce sempre, e accorre da tutte le parti, come se vi fosse una fiera. Dove sono i portieri? — Vili neghittosi, avete radunato una bella assemblea! Son coloro i vostri amici dei sobborghi? Rimarrà un bel posto per le dame e pel corteggio, allorchè tornerà dal battesimo!

Port. Supplico Vostro Onore di ricordarsi che noi non siamo che uomini; e che tutto ciò che far possono uomini (al cui numero apparteniamo) senz’essere lacerati, l’abbiamo fatto. Un esercito intero non li conterrebbe.

Ciam. Quant’è vero che vivo, se il re me ne tien broncio, vi caccierò tutti, e farò cadere su di voi grosse ammende per punirvi della vostra trascuraggine. Voi siete infingardi mariuoli die ve ne stavate qui a vuotare barili di birra, anzichè adempiere al vostro servizio. — Udite: le trombe squillano, essi già tornano. — Aprite la folla, e vi si schiuda un varco, onde passi il corteo, o farò venire qualche ufficiale che vi metterà prigione per più d’un mese.

Port. (avventandosi tra la folla) Fate posto, posto alla principessa.

Val. (imitandolo) Indietro, indietro, maledetto, o ti romperò le ossa.

Port. Abito di cambellotto, ritratti, o ti impalo senz’altro.

(la scena si chiude)


SCENA IV.

Il palazzo.

Entrano i trombetti sonando; poi dite Aldermanni, il lord Prefetto, Giarrettiera, Cranmer, il duca di Norfolk col suo bastone da maresciallo, il duca di Suffolk, due nobili con due grandi tazze, doni del battesimo; quindi quattro nobili portanti un baldacchino, sotto di cui sta la duchessa di Norfolk matrina, colla neonata in braccio splendente d’oro e di gemme, ecc. Una Lady le sostiene la coda dell’abito; vien quindi la marchesa di Dorset altra matrina con molte signore. Il corteo passa sulla scena, e Giarrettiera parla.

Giar. Cielo, nella tua bontà infinita accorda lunghi giorni ricolmi di felicità all’alta e potente principessa d’Inghilterra Elisabetta! (squillo di trombe. Entra il Re col suo seguito)

Cran. (inginocchiandosi) Ecco la preghiera che indirizzano al Cielo i miei illustri compagni ed io per la felicità della Vostra Real Maestà e della vostra buona regina. Tutte le grazie e tutti i beni che Iddio ha prodigato ai figli per gioia dei loro parenti, vi siano concessi ad ogni istante, mercè questa vaga bambina.

Enr. Grazie, mio buon lord arcivescovo. Qual’è il suo nome?

Cran. Elisabetta.

Enr, Alzatevi, signore, (a Cran, poi bacia la bambina) Con questo bacio abbia la mia benedizione. Iddio ti protegga! È alle sue mani che raccomando la tua vita.

Cran. Così sia.

Enr. Mie nobili matrìne, siete state troppo prodighe. Ve ne ringrazio di tutto cuore, e questa fanciulla ancora ve ne ringrazierà, appena saprà balbettare una parola di riconoscenza.

Cran. Sire, lasciatemi parlare, perocchè è il Cielo che me lo impone e che mi ispira in questo momento: niuno abbia per adulazione quello che sto per dire: avvegnachè l’avvenimento lo giustificherà. — Questa fanciulla (il Cielo vegli ognora sopra di lei!), sebbene nata appena, promette già a quest’isola mille e mille frutti fortunati, che il tempo porterà a maturazione. Ella sarà (ma pochi fra noi vedranno quei tempi felici) un modello per tutti i principi suoi contemporanei, e per quelli che loro succederanno. Non mai l’illustre Saba ricercò con più ardore la saviezza e la virtù, che far noi potrà quest’anima innocente e candida. Tutte le grazie sovrane che concorrono a formare un essere così augusto e tutte le doti dei buoni principi staranno in lei. Ella sarà nutrita e educata per la verità; santi e celesti pensieri l’inspireranno: sarà cara e temuta: il suo popolo la benedirà; i suoi nemici tremeranno dinanzi a lei come un campo di spiche percosse, e piegheranno le teste umiliate nel terrore, il bene germoglierà con lei: sotto il suo regno ognuno raccoglierà e godrà con sicurezza all’ombra della sua vigna i frutti che avrà piantati, e solleverà cantici di pace e d’allegrezza coi suoi vicini. Dio sarà conosciuto e adorato con un culto più puro; e quelli che formeranno la sua Corte impareranno da lei la vita della perfezione e dell’onore; nell’onore essi porranno la loro vera grandezza, non nella nobiltà del sangue e degli avi. Poi a simiglianza della maravigliosa fenice sempre vergine, che, quando spira, lascia nelle sue ceneri un altro erede ammirabile al par di lei, così allorchè piacerà al Cielo di chiamarla a sè da questa valle di tenebre, ella trasmetterà le sue doti a un successore che, nascendo dalle ceneri sacre della sua memoria, s’innalzerà come astro novello, si fisserà nella medesima sfera, spandendo da lungi una fama eguale alla sua. La pace, l’abbondanza, l’amore, la carità, il rispetto che saran stati i ministri di quest’egregia fanciulla, si collocheranno del pari accanto all’erede suo, e si conlegheranno al suo trono, come una vigna all’olmo. La gloria del nome di lui invaderà il mondo e creerà nuove nazioni dapertutto dove il sole reca la sua luce, sicch’ei fiorirà come il cedro delle montagne, stendendo i suoi rami sopra le pianure che Io circondano. — I figli dei nostri figli vedranno quei tempi felici, e benediranno il Cielo nella loro riconoscenza.

Enr. Voi ci annunziate alti prodigi.

Cran. Ella avrà per bene dell’Inghilterra lunga vita: molti giorni vedran regnare questa principessa, e uno non ne passerà, che non sia coronato da qualche opera memorabile. Oimè! piacesse a Dio che la mia previdenza non andasse più lungi nell’avvenire! Ma ella deve morire, è forza; è forza che gli angeli la posseggano a loro volta. Ma vergine lascierà la terra, come un giglio puro e intemerato, e l’universo ne sarà mesto.

Enr.. Oh, lord arcivescovo, è per te che io comincio ad esistere: non mai prima della nascita di questa fanciulla io aveva fruito d’alcun bene. Questi oracoli consolatori mi han cod allietato, che allorchè sarò in Cielo sentirò ancora il bisogno di guardare alle opere di questa principessa sulla terra per benedire con doppia effusione l’autore dell’esser mio. — Ricevete tutti i miei ringraziamenti. — Ho grandi obbligazioni a voi, lord Prefetto, e a voi degni colleghi: io mi reputo molto onorato della vostra presenza, e ve ne sarò riconoscente. — Lord, riconducete il corteggio. — Voi dovete visitare la regina che debbo del pari ringraziarvi, e che se non vi vedesse infermerebbe. In questo giorno alcuno di voi non pensi alle opere di sua casa: restar dovete tutti con me. Quest’amabile fanciulla richiede che questo dì vada feriato.

(escono)

  1. Nomi di teatri del popolo minuto.

Note

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