< Il Re Enrico VIII
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William Shakespeare - Il Re Enrico VIII (1613)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto terzo
Atto secondo Atto quarto

ATTO TERZO



SCENA I.

Il palazzo di Brideswell. — Una stanza nell’appartamento della Regina.

Si vede la Regina e alcune delle sue dame che stanno lavorando.

Cat. Prendimi quel liuto, fanciulla: la mia anima è addolorata e piena d’inquietudini; canta e sollevami se puoi: lascia il tuo lavoro.

Canzone.

«Orfeo toccava la sua lira, e tosto le querele si agitavano, e le montagne commosse per intenderlo piegavano le loro teste agghiacciate: ai divi suoni le piante e i fiori germogliavano, e potente come il sole e le estive rugiade, la sua lira facea nascere un’eterna primavera.

«Tutto si animava a’ suoi accordi; e le onde del mar mugghiante tacevano per udirlo: celeste è il potere dell’armonia che fuga i mesti pensieri, e un balsamo spande sui cuori esulcerati».

(entra un gentiluomo)

Cat. Ebbene?

Gent. Così piaccia a Vostra Grazia, i due cardinali stanno nell’altra stanza.

Cat. Chieggono di parlare con me?

Gent. Chieggono.

Cat. Dite loro d’entrare. (il gent esce) Che possono aver essi da dire a me, povera donna, venuta in tanto infortunio? Non amo questa loro venuta, ora che vi penso. Essi dovrebbero essere uomini probi: il loro ministero è un ministero di virtù: ma il cappuccio non fa il frate.

(entrano Wolsey e Campejus)


Wol. Pace a Vostra Altezza!

Cat. Voi mi trovate qui intenta alle cure di semplice massaia: ben vorrei esserne una a rischio di tutto ciò che può accadermi di più tristo! Che desiderate da me, venerabili prelati?

Wol. Se voleste, signora, ritirarvi nel vostro segreto appartamento, noi vi esporremmo il motivo della nostra visita.

Cat. Dichiaratelo qua. Non ho nulla fatto ancora, la mia coscienza me ne è garante, che richiegga l’ombra e il segreto: vorrei che tutte le altre donne potessero dire ciò, con animo così libero come è il mio! Miei lôrdi, io non temo (così grande è la mia saperiorità sopra molte altre donne) che le mie opere vengano esposte a tutti gli sguardi, o che l’invidia e le vili passioni possano riprenderle! Se il vostro oggetto è di esaminare la mia condotta di sposa, ditelo arditamente. La verità è ingenua.

Wol. Tanta est erga te mentis integritas, regina serenissima.

Cat. Oh! mio degno prelato, non parlate latino: non sono stata così neghittosa da che sono venuta in Inghilterra da non avere appresa la lingua che ho udito risuonarmi d’intorno per tanti anni. Un idioma straniero rende la mia causa più strana più sospetta agli occhi miei. Di grazia, parlate inglese: vi è qui taluno che vi ringrazierà se dite il vero per la sua infelice signora; perocchè, credetemi, ella è stata ben crudelmente trattata! Lord cardinale, il peccato più volontario ch’io abbia mai commesso può assolversi anche in inglese.

Wol. Nobile signora, son dolente che la mia integrità stessa, o il mio zelo per servire Sua Maestà e voi, anzi che guarentire la purezza dei motivi che mi animano, generino in voi così violenti sospetti. Noi non veniamo quali accusatori a cercar di oscurare il vostro onore che tutte le bocche esaltano e benedicono; nè a recarvi proditoriamente qualche dolore, che troppi, anche troppi ne avete, virtuosa regina! Ma veniamo per sapere che cosa avete decretato nell’importante controversia insorta fra voi e il re, onde darvi da uomini onesti e probi i nostri consigli e i mezzi che possono sostenere la vostra causa.

Cam. Onorata regina, milord di York seguendo il suo nobile carattere, e guidato da quello zelo e rispetto da cui fu sempre animato per Vostra Maestà, dimenticando da uomo da bene l’amara riprensione che vi è ultimamente sfuggita contro di lui, e che veramente spingeste troppo lungi, vi offre, come fo io pure, i suoi servigi.

Cat. (a parte) Per tradirmi! — Signori, vi ringrazio entrambi della vostra buona volontà. Voi parlate come gente onesta, e prego Dio che lo siate. Ma come darvi subito una risposta sopra cosa di tanta importanza, che interessa così da vicino il mio onore, e forse anche, ben lo temo, la mia vita, col mio debole giudizio, e ad uomini gravi e sapienti quali siete voi? In verità, nol saprei. Io mi intrattenevo, colle mie dame, di lavori del mio sesso, e non pensavo, Dio lo sa, nè a una tal visita, nè a un tanto affare. In nome di ciò che sono stata (perocchè sento che tocco già agli ultimi momenti della mia grandezza), lasciatemi tempo ed agio per pensare alla mia causa. Oimè! io sono una debole donna senza amici e senza speranze.

Wol. Signora, voi oltraggiate con simili timori la tenerezza del re: le vostre speranze sono infinite, e i vostri amici innumerevoli.

Cat. Sì, ne ho in Inghilterra, ma ne traggo ben poco fratto. Potete voi credere, miei lórdi, che vi sia alcun inglese che ardisca consigliarmi, o dichiararsi mio amico contro gl’intenti di Sua Maestà, e che, spingendo il coraggio della generosità fino alla disperazione, possa quindi nutrir lusinga di vivere? No, no, miei amici; coloro che debbono sollevarmi dal peso delle mie afflizioni, coloro in cui debbo riporre la mia fiducia non vivono in questo regno: essi sono, così come tutte le mie altre consolazioni, ben lungi da questi luoghi; sono nella mia patria, mìei lórdi.

Cam. Vorrei che Vostra Maestà volesse far tregua co’ suol dolori, ed accettare un mio consiglio.

Cat. Qual consiglio, milord?

Cam. Rimettete la vostra causa alla protezione e alla bontà del re. Egli vi ama ed è generoso: il vostro onore e la vostra causa si avvantaggieranno assai; avvegnachè, se una volta la legge vi condanna, vi separerete da lui più sventurata.

Wol. Il cardinale vi parla con saviezza.

Cat. Voi mi consigliate entrambi quello che desiderate, la mia ruina. É questo il vostro consiglio? Ch’ei ricada su dì voi; rimane ancora il Cielo che è al disopra di tutti. Là siede un giudice che un re non varrà a corrompere.

Cam. La passione vi infiamma e mal ci conoscete.

Cat. Voi non siete che più vergognosamente condannabili. Vi ho creduto due uomini pii, due ministri sacri, due colonne di virtù: ma temo che non siate che l’opposto del quadro. In nome della virtù! emendate i vostri cuori e divenite uomini dabbene, signori. Era questo il consiglio che volevate darmi? Il riparo che suggerir volevate a un’infelice reietta, oltraggiata e coperta di disprezzo? Non vi augurerei la metà dei miei mali; ho più carità: ma rammentate che vi ho ammoniti: pensateci, in nome del Cielo! e guardate che il peso intero de’ miei dolori non ricada sopra di voi.

Wol. Signora, quest’è un vero delirio della vostra mente. Voi volgete in odio e in male il bene che vi offeriamo.

Cat. E voi riducete al nulla la mia esistenza. Sciagura a voi e a tutti gl’ipocriti simulatori di virtù, quali voi siete! Vorreste voi, se aveste qualche sentimento d’equità, qualche commiserazione, se foste altra cosa, fuori che larve di giustizia, vorreste che rimettessi la mia causa disperata fra le mani dell’uomo che mi abborre? Oimè! egli mi ha diggià bandita dal suo letto: e da lungo tempo mi aveva bandita dal suo cuore. Sono vecchia, miei lórdi; e il solo vincolo con cui gli resto congiunta è quello dell’obbedienza. Che può accadermi di peggio di questa calamità? Son le vostre cure e il vostro zelo che mi profondano in questo abisso di miseria.

Cam. I vostri timori non reggono.

Cat. Son io vissuta sì lungo tempo (lasciatemi parlare per me, poichè la virtù non trova amici) da sposa fedele? sono io stata una donna che, oso dirlo senza vanagloria, non fu mai tocca dal più lieve sospetto? ho io sempre accolto il re con cuore pieno di tenerezza? l’ho io, dopo il Cielo, amato sopra ogni altra cosa? gli ho obbedito senza riserva? ho portato per lui l’affetto sino alla superstizione, dimenticando quasi le mie preghiere per soddisfare i suoi desiderii? Ed ecco come ne sono ricompensata! Oh! cotesto trattamento non è giusto, miei lórdi. Trovate una donna sempre costante nell’amore del suo sposo! una donna che non abbia mai avuto neppur in sogno un piacere che non fosse diviso con lui; e al merito di questa donna, allorchè ella avrà fatto tutto ciò che si può, allorchè avrà riempito doveri e sacrifizi, aggiungerò ancora una virtù che corona le altre, una estrema tolleranza.

Wol. Signora, voi deviate nelle vostre idee, e vi togliete al bene al quale s’addrizzavano le nostre intenzioni.

Cat. Milord, non mi renderò colpevole del delitto d’abbandonare volontariamente nobile titolo, che il vostro signore ha unito alla mia persona con un legame indissolubile: no, non vi sarà che la morte che possa operare il divorzio fra me e la mia dignità.

Wol. Di grazia, ascoltatemi.

Cat. Ah! piacesse al Cielo che i miei piedi non avessero mal calcata questa terra inglese, che non avessi mai conosciute le perfide adulazioni che vi abbondano! Voi avete volti da angeli, ma il Cielo conosce i vostri cuori. Che avverrà di me ora, povera abbandonata? Io sono la creatura più infelice di questo mondo. — Oimè! misere amiche (alle sue dame) dove sono adesso le nostre fortune? Naufragata sopra un regno dove non vi è nè pietà, nè amici, nè speranze; niun parente piangerà per me, e neppure una tomba mi sarà forse concessa. Simile al giglio che regnò un dì sui campi fiorenti, piegherò il moribondo capo, e perirò.

Wol. Se Vostra Grazia volesse lasciarsi convincere che i nostri fini sono onesti, trovereste maggiori consolazioni. Perchè vorreste che intendessimo a nuocervi? A quale scopo? I nostri uffici e il nostro carattere, tutto si oppone a tal pensiero. Noi veniamo per guarire i vostri dolori, non per inasprirli. In nome della bontà! considerate quello che fate, e quanto oltraggiate voi stessa. Voi vi soggettate ad essere divisa interamente dal re con tal condotta. Il cuore dei re si commuove all’obbedienza, ma freme contro gli spiriti ribelli, e la loro collera è terribile come la tempesta. Io so che voi avete una tempra piena di dolcezza, un’anima pura e serena; vi scongiuro! degnate crederci quello che facciamo professione di essere, mediatori cioè di pace, e sinceri vostri amici.

Cam. Signora, convinta ne sarete dalle prove. Voi disonorate le vostre virtù con questi timori di un’anima debole. Uno spirito nobile come il vostro deve rigettare lungi da sè le diffidenze e le inquietudini, come un metallo falso. Il re vi ama; guardate di non perdere tal amore. Quanto a noi, se vi piace di affidarvi alle nostre cure in questo negozio, noi siam pronti a far tutto per ben servirvi.

Cat. Ebbene, fate quello che giudicherete opportuno, signori, e perdonatemi, ve ne supplico, se adoperai con voi troppo ricisamente. Voi sapete ch’io non son tale da potere intrattenere dicevolmente uomini del vostro carattere. Vi prego di portare il mio rispetto a Sua Maestà: egli ha ancora il mio cuore, ed avrà i miei voti e le mie preghiere finchè durerà la mia vita. Andiamo, venerandi prelati, datemi i vostri consigli; ve li chiede oggi colei che non pensava, allorchè mise il piede in questa Corte, di dover comprare sì caro il suo titolo e le sue grandezze.

(escono)


SCENA II.

Un’anticamera nell'appartamento del Re.

Entrano il duca di Norfolk, il duca di Suffolk, il conte di Surrey, e il lord Ciambellano.

Nor. Se voi voleste ora unirvi e persistere con tenacità nelle vostre querele, sarebbe impossibile che il Cardinale si sostenesse. Ma se trasandate l’occasione, non giurerei che non poteste essere soggetti a nuove sventure che accrescerebbero il peso di quelle che già vi opprimono.

Sur. Son lieto di ogni opportunità in cui io possa sovvenirmi del duca mio suocero, e vendicarmi di questo prete.

Suff. Chi v’è fra i pari che sia sfuggito a’ suoi oltraggi, e che provati non abbia i suoi più alti disprezzi? Quand’ha egli mai mostrato qualche rispetto per la dignità d’alcun lord? ei non pensa che alla propria sua grandezza.

Ciam. Signori, voi parlate a vostro senno, e quello che egli merita da voi e da me, io lo so; ma temo le conseguenze dei vostrì passi ad onta dell’occasione che ci si para davanti. Se voi non valete a togliergli l’accesso al re, non tentate nulla contro di lui, perocchè egli ha nella sua lingua un prestigio d’inferno che domina il suo signore.

Nor. Oh! cessate di temerlo: tal prestigio è distrutto. Il re ha trovato contro di lui tali fatti, che tutto il miele del suo seducente linguaggio è scomparso. Egli è caduto in disgrazia tanto da non rialzarsi più.

Sur. Duca, sarebbe una letizia per me l’udire il racconto di queste novelle almeno una volta l’ora.

Nor. Credetemi, son novelle certe. La contraddizione dei suoi doppi intrighi, nella bisogna del divorzio, è scoperta, ed ei vi compie una parte che potrei augurare a un mio nemico.

Sur. E in qual guisa sono state conosciute le sue frodi?

Suff. Per un caso de’ più strani.

Sur. Oh! come, come?

Suff. La lettera che il cardinale scriveva al papa si è smarrita; ella è venuta sotto gli occhi di Sua Maestà, che vi ha letto come il porporato persuadeva il santo Padre a sospendere il giudizio del divorzio. Il re, diceva egli, è innamorato di una donzella della regina, di Anna Bolena.

Sur. Il re ha letto ciò?

Suff. Credetemelo.

Sur. Produrrà questo buon effetto?

Ciam. Con ciò si vede per quali sentieri obliqui e tortuosi il Cardinale segue il suo cammino: ma qui la sua barca ha fatto naufragio, e il riparo è venuto quando l’infermo era spento. Il re ha già sposata Anna.

Sur. Vorrei che ciò fosse.

Suff. Desidero, milord, che tal cosa vi faccia lieto: perocchè posso assicurarvi ch’ella è avvenuta.

Sur. Oh! tutta la mia gioia applaudisca a tal unione.

Suff. Io dico amen.

Nor. E tutti lo dicono.

Suff. Gli ordini son dati per la sua coronazione: ma questa nuova è anche fresca, e non importa versarla in tutte le orocchie. Però, miei lórdi, è quella in verità una leggiadra creatura, perfetta d’anima e di corpo. Credo che il suo seno sarà fecondo a quest’isola di qualche benedizione che la farà gloriosa1.

Sur. Ma il re tollererà egli la lettera del cardinale? Il Cielo nol voglia.

Suff. No, no: altre mosche importune ronzano ancora intorno al suo volto, che non faranno che render più profondo il sentimento di quella prima puntura. Il cardinale Campejus e ripartito furtivamente per Roma senza prender congedo da alcuno: egli ha lasciata la causa del re interrotta, ed è andato a prendere il suo posto come agente del cardinale per sostenere il suo intrigo. Sono in grado di assicurarvi che il re ha gettato un grido di meraviglia a tal novella.

Ciam. Dio voglia infiammare ognor più il suo cruccio, onde egli esali un grido di sdegno anche più forte.

Nor. Ma quando ritorna Cranmer?

Suff. É già tornato munito delle sue consulte, le quali hanno appagato il re sul suo divorzio: egli ha recata la decisione di quasi tutti i collegi celebri della cristianità. Credo che questo secondo matrimonio non tarderà ad essere dichiarato, e che la incoronazione della nuova sposa sarà vicina. Caterina non avrà più il titolo di regina, ma soltanto quello di principessa vedova di Arturo.

Nor. Questo Cranmer è un degno prelato, e assai si affanna per le cose del re.

Suff. Sì, e lo vedremo quindi arcivescovo.

Nor. Così odo.

Suff. Non ne dubitate. Il cardinale.... (entrano Wolsit e Cromwell)

Nor. Osservatelo, osservate come è di tristo umore.

Wol. Il piego, Cromwell, lo deste al re?

Crom. Lo rimisi fra le sue mani nella sua camera da letto.

Wol. Diede egli un’occhiata a ciò che conteneva?

Crom. Lo aprì tosto, e la prima carta che trovò la lesse con aria grave: l'attenzione stava dipinta nel suo viso; e mi ha commesso di dirvi di aspettarlo qui questa mattina.

Wol. Sta per escire?

Crom. Credo di sì.

Wol. Lasciatemi per un istante. (Crom. esce) Sarà la duchessa d’Alençon, la sorella del re di Francia ch’ei deve sposare. — Anna Bolena? No. Non vo’ Anne Bolene per lui. Vi sono ragioni più solide di un bel volto. — Bolena? No, no. — Desidero ardentemente aver notizie di Roma. — La marchesa di Pembroke!.... (resta pensoso)

Nor. È malcontento.

Suff. Forse sa che il re arrota contro di lui la sua vendetta.

Sur. Sia ella tremenda, mio Dio, per provare la tua giustizia.

Wol. Una donzella d’onore della regina, figlia di un baronetto, divenir signora della sua signorai regina della regina! Codesto lume non arde chiaro: converrà ch’io lo spenga; meglio le tenebre che il crepuscolo. — Che vale ch’io la sappia virtuosa e piena di merito? So ben anche che è un’ardente luterana, e non è salutare pei nostri interessi ch’ella riposi sul seno del nostro re, già tanto difficile a reggere. Ecco poi un eretico uscito dal nulla, un Cranmer, un uomo che si è insinuato, strisciando, nella grazia del monarca, e che è già divenuto il suo consigliere.....

Nor. Qualche cura lo travaglia.

Sur. Vorrei fosse tale da rodergli la più cospicua fibra del cuore. {{Ids|(entra il Re leggendo alcune carte, e Lovell)

Suff. Il re, il re.

Enr. Quali ricchezze egli ha accumulate per sè, e quant’oro versato è ad ogni istante dalle sue mani! A qual fine si fe’ egli così dovizioso? (avanzandosi) Signori, vedeste il cardinale?

Nor. Eravamo qui ad osservarlo, mio sovrano: qualche strana commozione è nel suo cervello: ei si morde le labbra, rabbrividisce, poi guarda la terra e si tocca la fronte. Ora va a passi concitati, ora si ferma e si batte con violenza il petto. Un istante dopo alza lo sguardo al cielo e muta ad ogni momento di positura.

Enr. Sarà commosso, ben lo credo. Questa mane ei mi ha mandato certe carte di Stato che gli avevo chiesto, e sapete cosa ho trovato? Oh! strana inavvertenza in lui! Ho trovato un documento che conteneva l’inventario della sua argenteria, del suo tesoro, de’ mobili di sua casa; e vidi che ascendeva ad un eccesso d’opulenza e di fasto, che passa di molto i limiti della fortuna di un suddito.

Nor. Fu senza dubbio il Cielo: la mano invisibile di qualche angelo pose quel foglio entro il piego per farlo cadere sotto i vostri occhi.

Enr. (guardando Wokey sempre assorto nelle sue contemplazioni) Se potessimo credere che i suoi pensieri si levassero al disopra della terra, e fossero fissati sopra qualche oggetto spirituale, lo lascierei immerso in essi: ma temo forte che le sue meditazioni non cadano al disotto del firmamento, e non meritino tanta assiduità. (si asside, e parla sottomesso a Lovell che va da Wolsey)

Wol. Il Cielo mi perdoni! Iddio benedica sempre Vostra Altezza!

Enr. Mio buon lord, voi siete pieno di grazie celesti, e nell’anima vostra portate i più grandi tesori. Di questi senza dubbio vi intrattenevate anche ora; e in essi siete assorto in guisa da non poter dar un momento ai negozi di questa terra. Certo voi siete un molto cattivo massaio, e godo di vedere che in ciò mi somigliate.

Wol. Sire, io ho distribuito il mio tempo una parte nei santi uffici del mio ministero, un’altra per attendere alle cure dello Stato: la natura reclama pure le sue ore per conservarsi, ed io, suo debole e fragile figlio, son costretto a soddisfare a’ suoi bisogni.

Enr. Parlaste a meraviglia.

Wol. E desidero che Vostra Maestà, siccome spero meritare da lei tal giustizia, non separi mai per me l’elogio del ben dire da quello del ben fare.

Enr. Ottimamente; ed è infatti una specie di buona azione il dir bene. Nondimeno le parole sole non bastano. Mio padre, che vi amava, confermava l’amor suo con belle opere in favor vostro. Dacchè io possiedo la mia dignità vi ho sempre tenuto presso di me, e non mi sono contentato soltanto di mettervi negli uffici da cui poteste ritrarre gran profitto, ma ho anche fatto uso dei miei redditi particolari per versare sopra di voi i miei benefizi.

Wol. A che intende tutto ciò?

Sur. (a parte) Iddio conduca a buon termine questo esordio.

Enr. Non ho io fatto di voi il primo uomo dello Stato? Ditemi se è vero, e, se ciò consentite, dichiarate che dovete essermi affezionato. Che rispondete?

Wol. Mio sovrano, confesso che le vostre reali grazie sparse sopra di me ogni giorno hanno superato di molto quello che poteva meritare il mio zelo, che nondimeno andava ben oltre le forze dell’uomo. Le mie opere, quantunque rimaste molto al di sotto de’ miei desiderii, hanno eguagliata tutta l’estensione della mia potenza e delle mie facoltà. Le mie mire personali son sempre state dirette in modo da attendere al bene della vostra augusta persona, e alla prosperità dello Stato. Quanto ai gran favori che avete accumulati sopra il mio capo, molto al di là del mio deboia merito, non posso che offrirvi umili azioni di grazia e preghiere, e una fedeltà che si è sempre accresciuta, e che non cesserà se non quando il freddo della morte venga ad agghiacciarne il fervore.

Enr. Sempre meglio. Un suddito leale e sottomesso si fa bello della sua fedeltà; l’onore della sua affezione ne è la più degna ricompensa, come l’infamia, se è traditore, ne è la punizione. Suppongo che, come la mia mano si è sempre aperta per colmarvi di beni, che, come il mio cuore vi ha prodigato il suo affetto, e la mia potenza ha versato gli onori sul vostro capo in maggior copia che sopra quello di ogni altro de’ miei sudditi; così in ricompensa le vostre mani, il vostro cuore, la vostra intelligenza e tutte le facoltà della vostr’anima dovrebbero, oltre il vincolo comune della fedeltà e dell’obbedienza, esser più particolarmente legate a me, vostro amico, che ad alcun altro.

Wol. Affermo che mi son sempre adoperato per gl’interessi di Vostra Maestà molto più che pei miei; che vi sono affezionato, che lo fui sempre e sempre lo sarò, quand’anche tutti gli altri rompessero i vincoli del dovere che gli unisce a voi, ed espellessero dai loro cuori ogni sentimento di fedeltà. Sì, ove pure i pericoli mi circondassero così numerosi come il pensiero può imaginarli, e mi minacciassero sotto le forme più orribili, anche in tal caso il mio dovere e la mia affezione per voi rimarrebbero inconcussi, come la roccia contro il furore delle onde.

Enr. È parlar nobilmente. — Siate convinti, miei lórdi, che egli ha un cuore leale: voi lo avete udito rivelarlo dinanzi a voi. — Leggete questi scritti (dando a Wolsey le carte), e poscia colla fame che proverete andate ad asciolvere. (esce gettando uno sguardo sdegnoso sul cardinale; i nobili gli si affollano dietro, bisbigliando fra di loro e sorridendo)

Wol. A che accenna ciò? Da che procede questo cruccio subitano? Come me lo sono io meritato? Egli mi ha lasciato con uno sguardo minaccioso, quasi avesse voluto annientarmi. Era lo sguardo che il leone in furore getta, prima di divorarlo, sul temerario cacciatore che l’ha ferito. Leggiamo questo scrìtto... Temo non mi manifesti il soggetto della sua collera. — Ah! ecco il foglio fatale che mi ha perduto! Ecco l’inventario di tutte le masserìzie che ho accumulate pei fini miei, per comprarmi il papato soldando i miei amici di Roma. Oh! trascuranza fatale, che permessa non era che a un insensato! Qual demonio nemico mi ha fatto introdurre questo scrìtto nel piego ch’io mandavo al re? Non v’è dunque riparo a tale imprudenza? Niun espediente rimane per togliergli questo pensiero? Conosco ch’esso deve agitarlo potentemente. Nondimeno parmi mi rimanga una via, in onta della fortuna, per ritornare in grazia. A chi va quest’altro foglio? Al papa? La lettera, quant’è vero ch’io vivo, con tutte le ambagi ch’io esposi a Sua Santità! Tutto è ora finito; toccato ho la cima delle mie grandezze, e da quello splendente meriggio di gloria precipiterò nelle più dense tenebre: cadrò come una fulgida esalazione della sera, e niun uomo mai più mi rivedrà.

(rientrano i duchi di Norfolk, di Suffolk, il conte di Surret, e il lord Ciambellano)

Nor. Cardinale, udite gli ordini del re: ei vi comanda di consegnarci tosto il gran suggello, e di ritirarvi nel castello di Ashr, di milord di Winchester, finchè vi faccia significare le sue ultime risoluzioni.

Wol. Fermatevi: dov’è il vostro mandato, milord? Semplici parole non possono avere tanta autorità.

Suff. Chi oserà contraddirle, allorchè esse esprimono la volontà del re, significata dalla sua bocca?

Wol. Fino che non mi si mostri qualcosa di più che una volontà e crudeli parole, vo’ dire che la volontà e le parole del vostro odio geloso, sappiate, signori, che ardirò contraddirle e mi opporrò a tal dimissione. Veggo ora tutta la viltà della vostr’anima, e gli ignobili elementi di cui siete composti. Con quale ardore voi infierite contro la mia disgrazia, come una preda di cui foste affamati! Con qual’instabilità e abbandono abbracciate le cose che possono affrettare la mia ruina! Seguite il corso dei vostri invidiosi desiderii, uomini gelosi e malvagi; l’apologia l’avrete nella religione e nella carità; nè dubitate che un giorno non riceviate la vostra giusta ricompensa. Cotesto suggello, che mi richiedete con tanta violenza, il re vostro signore e mio me lo diede di sua mano, e mi ordinò di valermene così come degli onori che vi sono congiunti per tutto il corso della mia vita. Or chi oserà di ritogliermelo?

Sur. Il re che ve lo diede.

Wol. Venga dunque egli stesso.

Sur. Tu sei un perverso traditore.

Wol. Superbo lord, menti: non son due giorni ancora che Surrey avrebbe preferito di vedersi bruciare la lingua, prima che parlarmi così.

Sur. Fu la tua ambizione, vizio vestito di virtù, che tolse da questa terra il nobile Buckingham mio suocero; la testa tua e di tutti i tuoi confratelli non varrebbero un capello della sua. Maledizione su di te! Tu mi mandasti con arte infernale in Irlanda, col titolo di Deputato, lungi dai luoghi in cui avrei potuto soccorrerlo, lungi dal re, lungi da tutti coloro che avevano modo di ottenere la sua grazia pel delitto che gl’imputasti; intantochè la tua suprema beneficenza, la tua santa pietà si affrettava ad aasolvemelo colla mannaia.

Wol. La mia risposta a tal rimprovero e a tutto quello ch’ei potesse dire contro il mio onore, è che nulla è più falso. Fu dalla legge che il duca ebbe la sorte che meritava. Quanto io fossi innocente e puro d’ogni intenzione maligna contro i di suoi, è ciò che possono attestare e l’assemblea de’ suoi nobili Pari e l’infamia della sua causa. Se mi piacessi nei vani e lunghi discorsi, milord, vi direi che avete poca delicatezza e poco onore, e che in fatto di lealtà e di fedeltà verso il re, lotterei con emulo più grave e più degno che non possa esserlo Surrey e tutti quelli che amano le sue follie e le sue stravaganze.

Sur. Sull’anima mia! odioso prete, la tua lunga veste ti difende: se ciò non fosse, sentiresti il ferro della mia spada nelle tue più recondite fibre. — Milord!, potete voi tollerare tanta improntitudine? e in un tal uomo? Se ci comportiamo con sì molle debolezza e ci lasciam guidare da un mantello scarlatto, smarriremo ogni nobiltà: ei ci perseguiterà e spaventerà col suo cappello rosso, come si spaventano gli uccelli.

Wol. Tutto ciò che è bontà, divien per te veleno.

Sur. Sì, la tua bontà che assorbe le ricchezze intere di un regno con odiose taglie; la tua bontà che ti fa scrivere al papa contro il re lettere di sdegno: oh! ma tutta la tua bontà, non temerne, verrà in piena luce. — Milord di Norfolk, se siete veramente nobile, se amate il ben pubblico, lo Stato, le prerogative dei nostri disprezzati gentiluomini, producete innanzi a tutti la somma dei vizii di costui e tutti i falli della sua colpevole vita. — Vo’ atterrirti più che la sacra squilla annunziante la presenza di Dio, allorchè ti giaci tra le braccia di una vile prostituta, indegno cardinale.

Wol. Oh! di qual profondo disprezzo mi sentirei infiammato per quest’uomo odioso, se la carità cristiana non mi vietasse di abbandonarmivi?

Nor. La nota dei falli suoi, milord, sta fra le mani del re, e quand’anche non vi fosse altro, essi sarebbero bene spaventosi.

Wol. La mia innocenza non ne escirà che più para e pia onorata, allorchè il re conoscerà la mia fedeltà.

Sur. Cotesto non vi gioverà: ringrazio la mia memoria che mi tien presenti cose che saranno prodotte contro di voi. Allora, se potrete arrossire e gridare dal fondo della vostra coscienza sono colpevole mostrerete almeno un resto di pudore.

Wol. Continuate le invettive: io disprezzo tutte le vostre imputazioni. Meraviglio solo veggendo un nobile che obblia tanto i rispetti ed ogni delicatezza.

Sur. Meglio mancar di modi, che avventurare il proprio capo. Ditemi, non siete voi giunto senza l’assentimento del re a farvi nominare legato, per abusare di questo potere, tarpando la giurìsdizione di tutti i vescovi?

Nor. In tutte le lettere che avete scrìtte a Roma e ai principi forestieri, la vostra formola esordiente non è sempre stata: ego et rex meus, quasi il re fosse stato vostro servitore?

Suff. Allorchè siete andato come ambasciatore in Fiandra, non avete senza cognizione del re o del consiglio recato con voi il gran sigillo?

Sur. Non avete spediti i più ampi poteri a Gregorio di Cassanis per conchiudere, senza l’assentimento del monarca o dello Stato, una lega fra Sua Altezza e Ferrara?

Suff. Per una folle ambizione non voleste voi veder inciso il vostro cappello cardinalizio sulle monete del re?

Sur. Non avete spedite a Roma immense somme (e con qual mezzo le abbiate acquistate è ciò che lascio dire alla vostra coscienza) per assoldarvi amici e aprirvi il cammino alle dignità, alla ruina del regno, e ad altre cose che arrossirei nominando?

Ciam. Ah! signori, non opprimete di troppo un uomo vicino a cadere: virtù è l’essergli miti. I suoi falli son sottomessi alle leggi, e spetta alle leggi, non a voi, il punirlo. Il mio cuore geme vedendolo caduto sì basso dall’altezza in cui stava.

Sur. Io gli perdono.

Suff. Lord cardinale, siccome tutti gli atti che avete fatto ultimamente come legato in questo regno richiedono un praemunire, la intenzione del re è che s’implori contro di voi un decreto che confischi i vostri beni, le vostre terre, i vostri domini!, i vostri castelli, tutto ciò che vi appartiene, e vi metta fuori della protezione del sovrano. Tale era il mio incarico.

Nor. Ora vi abbandoniamo alle vostre meditazioni sul modo di viver meglio per l’avvenire. Quanto alla vostra ribelle resistenza in rimetterci il gran sigillo, il re ne sarà istruito, e senza dubbio saprà esservene grato. Addio, mio buon lord cardinale.

(tutti escono tranne Wolsey)

Wol. Addio al poco bene che mi volevate! Addio, addio per sempre a tutte le mie grandezze! tale è il destino dell’uomo: fragile arboscello! Oggi germogliano le tenere foglie della speranza, dimani spuntano i bottoni e i fiori, ed ei si copre di tutta la sua lietezza di primavera: ma al terzo mattino sorviene una brezza omicida, un gelo ingrato, e allorchè nella sua credula semplicità imagina aver fermata la sua grandezza e toccare a maturazione, il freddo s’insinua e rapisce ogni vita alle radici, talchè gli è forza cadere, come oggi io cado. — Simile a quegli imprudenti fanciulli che nuotano sopra otri pieni d’aria, rischiato mi sono nei bei giorni del mio estate sopra un oceano di gloria in guisa da perdere il fondo, obblievole della mia altezza naturale. Che n’è seguito? Il mio orgoglio gonfio di vento è scoppiato, e mi ha lasciato oppresso di fatiche, in balìa d’una corrente impetuosa che mi ingoierà. Pompe vane, frivole grandezze di questo mondo, io vi abborro! Sento che il mio cuore si è da poco aperto alla luce e alla verità! Oh! quanto è misero l’uomo che si riposa sul furore dei re! Fra il sorriso al quale aspiriamo, fra il dolce sguardo di un monarca e la nostra rovina, stanno più palpiti e terrore che non ne cagioni la guerra, più dolori e mali che non ne provino le deboli donne; e allorchè lo sfortunato precipita, ei precipita come Lucifero, senza speranza e per sempre. (entra Cromwel costernato) Ebbene, Cromwell?

Crom. Non ho forza di parlare, signore.

Wol. Oh! allibbisci tu alla vista de’ miei infortuni? Puoi tu tanto meravigliarti, se un potente cade? Ah! se tu piangi, io son perduto senza riscatto.

Crom. Come vi sentite?

Wol. Assai bene; non mai fui così felice, mio caro Cromwell. Ora io ben mi conosco, e provo al di dentro di me una pace che è al di sopra di tutte le dignità della terra, una coscienza placida e tranquilla. Il re mi ha guarito; umilmente lo ringrazio, e sento questi omeri, colonne rovinate dagli anni, alleggiate di un peso che avrebbe fatto crollare tutto l’edifizio. Gli onori sono un carico troppo grave per un uomo che aspiri al Cielo!

Crom. Sono ben lieto di vedere che Vostra Grazia abbia saputa volgere in così buon uso le sue sventure.

Wol. Almeno lo spero. Ora parmi, dal coraggio che sento in me, di poter sopportare mali assai più gravi, mali assai maggiori di quelli che i miei vili nemici potran farmi. — Quali notizie pel mondo?

Crom. La più trista e la più fatale è il sapervi disgraziato di Sua Maestà.

Wol. Iddio lo benedica!

Crom. Poi che sir Tommaso Moro è scelto lord cancelliere in vostra vece.

Wol. Un po’ troppo in fretta: ma è un uomo dotto. Possa egli godere lungo tempo dei favori del sovrano, e ministrare la giustizia per amore del bene e per riposo della sua coscienza; onde le sue ceneri, allorchè avrà terminata la vita e si addormenterà in seno alla felicità, vengano bagnate dalle lagrime degli orfanelli. Vi è altro?

Crom. Cranmer è tornato, è stato graziosamente accolto, ed ò «nominato lord arcivescovo di Canterbury.

Wol. Cotesto sono infatti grandi notizie.

Crom. Poi vi è lady Anna, che il re ha da lungo tempo sposata segretamente, la quale è stata veduta oggi in pubblico mentre andava alla cappella, in apparato da regina: ora non si parla che del suo prossimo coronamento.

Wol. Ecco chi mi fe’ precipitare. Oh! Cromwell, il re si è discostato da me per sempre; e mercè questa donna ogni mia fortuna è perduta. Nessun sole farà più risplendere la grandezza di Wolsey, nè illuminerà più colla sua luce le torme di cortigiani che anelavano al suo sorriso. — Va, lasciami, Cromwell, io non son più che un infelice venuto in disgrazia, e indegno di essere il tuo protettore e il tuo signore. Va dal re astro che prego il Cielo non si eclissi mai!); io gli ho detto qual uomo sei, quanto onesto e fedele: ed ei ti farà salire. Un residuo di ricordanza per me (conosco la tua generosa tempra) l’indurrà a valersi de’ tuoi servigi. Buon Cromwell, amalo: giovati del mio consiglio: e provvedi alla tua sicurezza e alla tua fortuna avvenire.

Crom. Oh! milord, debbo io dunque lasciarvi? Debbo io abbandonare un sì buono, sì generoso, sì nobile signore? Siate testimonii voi tutti, che non avete un cuore di roccia, con qual dolore Cromwell si separa dal suo protettore. Il re avrà i miei servigi; ma le mie preghiere saran sempre per voi.

Wol. Cromwell, io credevo che non avrei versato una lagrima per tutte le mie sventure; ma tu mi astringi colla tua bontà a piangere come una donna. Asciughiamo i nostri occhi, ed ascoltami. Allorchè io sarò dimenticato, come avverrà presto, e giacente sotto un marmo freddo, insensibile, e quando niuno farà più menzione di me in questo mondo, di’ che ti ho dato un’utile lezione; di’ che Wolsey, che procedè un tempo pei sentieri fulgidi della gloria, che scrutò tutti gli abissi, tutti gli scogli delle dignità, ti ha aperto nel suo naufragio una via per innalzarti, e una via sicura e infallibile, sebben da essa si sia ei medesimo allontanato. Pensa alla mia caduta, e a ciò che ha causato la mina mia, e scaccia dal tuo cuore ogni ambizione. Fu per questo peccato che gli angeli precipitarono; e come mai l’uomo, imagine del suo Creatore, potrebbe con esso prosperare? Non intendere al tuo bene che dopo quello degli altri. Ama chi ti odia: il vizio e la corruzione non si cattivano un maggior numero di cuori, che l’onestà e la virtù. Reca sempre la pace nella tua mano destra per far tacere l’invidia. Sii giusto, e non temer nulla: i fini a cui muovi siano ognora il bene del tuo paese, la gloria di Dio e della verità. Se allora cadi, Cromwell, perirai martire avventurato. Servi sempre il tuo re, e comincia dal farlo, venendo nel mio palagio per prendervi nota di tutto quello che io posseggo fino all’ultimo obolo: tutto appartiene al re: la mia veste sacra, e la mia fede dinanzi al Cielo son quanto oso dire che mi rimane. Oh! Cromwell, Cromwell, se avessi servito il mio Dio colla metà soltanto dello zelo con cui ho servito il mio re, ei non mi avrebbe nella mia vecchiezza lasciato nudo al furore de’ miei nemici.

Crom. Buon signore; racconsolatevi!...

Wol. Sì, sì, lo farò. Addio intanto, speranze di Corte! le mie speranze sono rivolte omai solo al Cielo.

(escono)



  1. Altro complimento a Elisabetta, che si ripete più giù, ove è discorso di Anna Bolena.

Note

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