< Il Tesoretto (Assenzio, 1817)
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XX
XIX XXI

XX.


Dicoti apertamente,

  Che tu non sie corrente
In far, nè dir follia:
  Che per la fede mia
Non ha per se mia arte
  Chi segue folle parte:
E chi briga mattezza
  Non fia di tal’altezza,
Che non rovini a fondo;
  Non ha grazia nel mondo.
E guardati ad ogn’ura,
  Che tu non facci ingiura,
Nè forza ad uom vivente.
  Quanto se’ poi potente,
Cotanto più ti guarda:
  Che la gente non tarda

Di portar mala boce

  Ad uom, che sempre noce.
Di tanto ti conforto:
  Che se t’è fatto torto,
Arditamente, e bene
  La tua ragion mantiene.
Ben ti consiglio quisto,
  Che se con lo Legisto
Atar te ne potessi,
  Vorria, che lo facessi:
Ch’egli è maggior prodezza
  Rifrenar la mattezza
Con dolci motti, e piani,
  Che venir a le mani.
E non mi piace grido:
  Pur con senno mi guido.
Ma se ’l senno non vale,
  Metti mal contro a male;
Nè già per suo romore
  Non bassar tuo onore.
Ma s’è di te più forte,
  Fai senno, se ’l comporte:
E dà lato a la mischia;
  Che foll’è chi s’arrischia,
Quando non è potente.
  Però cortesemente
Ti parti da romore;
  Ma se per suo furore
Non ti lascia partire,
  Volendoti fedire;
Consiglioti, e comando,
  Che non ne vad’a bando.
Abbi le mani accorte,
  Non temer de la morte.
Che tu sai per lo fermo

  Che già di nullo schermo
Si puote l’uom coprire,
  Che non deggia morire
Quando lo punto viene.
  Però fa grande bene
Chi s’arrischia a morire,
  Anzi, che fofferire
Vergogna, nè grav’onta.
  Che ’l maestro ne conta,
Che l’uom teme sovente
  Tal cosa, che neente
Li farà nocimento.
  Nè non mostrar pavento
Ad uom, ch’è molto folle:
  Che se ti trova molle,
Piglieranne baldanza.
  Ma tu abbi membranza
Di farli un mal riguardo;
  Sì sarà più codardo.
Se tu hai fatta offesa
  Altrui, che sia ripresa
In grave nimistanza
  Sì abbie pur usanza
Di guardarti da esso:
  Et abbi sempre appresso
Et arme, e compagnia,
  A casa, e per la via.
E se tu vai attorno,
  Sì va per alto giorno
Mirando d’ogne parte:
  Che non ci ha miglior’arte
Per far guardia sicura,
  Che buona guardatura.
L’occhio ti guidi, e porti,

  E lo cor ti conforti.
Et ancora ti dico,
  Se questo tuo nimico
Fosse di basso affare,
  Non ci t’assicurare;
Perchè sie più gentile
  Non lo tenere a vile;
Ch’ogn’uomo ha qualche ajuto.
  E tu hai già veduto
Ben fare una vengianza,
  Che quasi rimembranza
Non n’era fra la gente.
  Però cortesemente
Del nemico ti porta:
  Et abbie usanza accorta,
Se ’l trovi in alcun lato
  Paje l’abbie trovato.
Se ’l trovi in alcun luoco,
  Per ira, nè per giuoco
Non li mostrare asprezza,
  Nè villana fermezza;
Dalli tutta la via,
  Però che maestria
Affina più l’ardire,
  Che non fa più ferine.
Chi siede ben ardito
  Può bene esser ferito.
E se tu hai coltello,
  Altri l’ha buono, e bello.
Ma maestria conchiude
  La forza, e la vertude,
E fa ’ndugiar vendetta,
  E fa allungar la fretta,
E mettere ’n obblia,

  Et affuta follia.
E tu sie ben atteso:
  Che se tu fossi offeso
Di parole, o di detto,
  Non aizzar lo tuo petto
Nè non sie più corrente,
  Che porti 'l convenente.
Al postutto non voglio,
  Ch'alcun per suo orgoglio
Dica, nè faccia tanto,
  Che 'l giuoco torni 'n pianto.
Nè che già per parola,
  Si tagli mano, o gola.
Et i' ho già veduto
  Uomo, che par seduto,
Non facendo mostranza,
  Far ben dura vengianza.
S'ha offeso te di fatto,
  Dicoti ad ogne patto
Che tu non sie musorno;
  Ma di notte, e di giorno
Pensa de la vendetta:
  E non aver tal fretta,
Che tu ne peggiori onta.
  Che 'l maestro ne conta,
Che fretta porta ’nganno,
  E indugia par di danno.
La cosa lenta, o ratta
  Sia la vendetta fatta.
E se 'l tuo buon amico
  Ha guerra di nimico;
Tu ne fa' quanto puoi,
  E guardati da poi
Non metter tal burbanza,

  Ched elli a tua baldanza
Cominciasse tal cosa,
  Che mai non abbia posa.
E ancora non ti caglia
  D’oste, nè di battaglia;
Nè non sie trovatore
  Di guerra, e di romore.
Ma se pur avvenesse,
  Che ’l tuo Comun facesse
Oste, nè cavalcata:
  Voglio, che ’n quell’andata
Ti porti con Barnaggio;
  E dimostrati maggio,
Che non porta tuo stato.
  E déi in ogne lato
Mostrar viva franchezza,
  E far buona prodezza.
Non sie lento, nè tardo:
  Che già uomo codardo
Non conquistò onore,
  Nè divenne maggiore.
E tu per nulla sorte
  Non dubitar di morte:
Ch’assai è più piacente
  Morir orratamente,
Ch’esser vituperato,
  Vivendo, in ogne lato.
Or torna ’n tuo paese,
  E sie prode, e cortese:
Non sie lanier, nè molle,
  Nè corrente, nè folle.
Così noi due stranieri
  Ci ritornammo a Tieri.
Colui n’andò ’n sua terra

  Ben appreso di guerra;
Et i’ presi carriera
  Per andar la, dov’era
Tutto mio ’ntendimento,
  E ’l final pensamento;
Per esser veditore
  Di Ventura, e d’Amore.

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