< Il Trecentonovelle
Questo testo è completo.
Novella CCIII
CCII CCIV

Barone di Spartano, dovendo ricevere un suo castello dal Papa, molto tempo con istento è tenuto in corte; di che con un notabil detto, mordendo il Papa, è spacciato.

*

E questa che seguita ancora fu bella astuzia a destare chi molto avea dormito in farli ragione. E’ non sono molti anni passati che là verso l’isola di Cipri nacque una gran questione tra certi castellani, li quali addomandavono a uno barone di Spartano alcune castella che tenea, dovere essere loro. Di che, ingrossando la questione, l’una parte ricorse al Papa, il quale era Gregorio XI, e l’altra parte ricorse a’ Genovesi, e in loro commettendo la detta questione, si misono le castella nelle mani del Papa, e che nella fine desse le castella a colui di cui elle erano. Al tutto si vide che quelli castellani alcuna ragione non aveano nelle castella del detto barone di Spartano, e cosí si diffiní. Sentendo ciò il detto barone, che per questo era andato a Vignone, attese con ogni sollecitudine e spèndio di riavere la tenuta di quelle castella, delle quali era stato fuori durante la detta questione. Il Papa, tra che la corte avea in quelli tempi assai che fare, e anco perché chi ha preso sa mal lasciare; tenne questa cosa tanto per lunga che questo buon uomo, avendo speso assai denari che avea portato, vi stette ben tre anni innanzi che potesse riavere le sue castella. Onde un dí per disperato s’andò al Papa, e disse:
- Padre santo, io sono stato qui circa tre anni per la tale questione delle mie castella, delle quali me ne spodestai, e sotto la vostra clemenza le commisi, e ancora cosí sono. Avete veduto e terminato che a me debbono ritornare, e io ho consumato tanto tempo e ancora non le posso riavere; di che io vi dico cosí, che quando io venni qui, io ci recai un sacco pieno di denari, e uno pieno di verità, e un altro pieno di bugie: quello de’ danari ci ho tutto speso, e altresí quello de’ veri ho tutto e speso e consumato, restami quello delle bugie, non ho altro a che por mano. Io prego caramente la vostra benignità che mi vogliate restituire le mie castella, altrimente io comincerò a spendere il sacco delle bugie, e non avrò con che tornare a casa. Vogliate adunque farmi ragione, se la domando, e a me serà somma grazia; e non vogliate che io consumi e spenda il terzo sacco, com’io ho speso quelli due, e che io mi ritorni a casa con qualche cosa.
Il Papa, udendo costui, e sentendosi trafiggere e ancora comprendendo che non avea piú che spendere, diede sorridendo certe scuse, e l’altro dí spacciò e scrisse la lettera che le castella del barone Spartano gli fossono rendute. Ed egli, tolta la lettera e preso commiato dal santo Padre, si ritornò a casa e riebbe la tenuta delle sue castella.
Grande e lunghissime sono le corti, come ch’ell’abbiano nome corti; ma maggiore è l’avarizia che le fa essere lunghe, e spezialmente quella de’ cherici che mai non ispacciano, infino ch’e’ danari durano, pelando i cattivelli, come credo fosse pelato costui: ché è venuto a tanto il mondo che tutte le cose che si fanno, chi ben considera, non hanno riguardo se non a’ danari, a tirare a sé.
E assai cose se ne potrebbono dire, le quali serebbono tutte parole al vento; e però non voglio piú stendermi sopra la presente materia.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.