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Uno buffone di Casentino morde uno avaro con una nuova risposta, e fàllo ricredente della sua miseria.
Agnolo Moronti, vocato Agnolo Doglioso, fu uno piacevole uomo di corte di Casentino, il quale essendo per una pasqua di Natale a pasquare col conte Ruberto, ed essendovi ancora uno fiorentino assai ricco, il quale molto avea avuto diletto de’ modi e de’ costumi del detto Agnolo; al partirsi dietro alla pasqua, ciascuno accomiatandosi l’uno dall’altro, Agnolo pigliò per le mani il ricco fiorentino e ’l fiorentino lui, forse per aver il detto Agnolo da lui qualche cosa, come è d’usanza de’ suoi pari; il fiorentino disse:
- Agnolo mio, io sono molto contento d’averti conosciuto, però che mai non vidi tanto piacevole uomo quanto tu se’, e volentieri farei cosa che ti piacesse; ma non posso qui altramente essere fornito che io mi sia, però che ho poca vesta e men danari con meco; ma se tu vieni a Firenze a questi tempi, io non t’avrò mai per amico, se non te ne vieni diritto a casa; e allora ti potrò donare, non quello che tu meriti, ma quello che sarà caparra della tua amicizia, ad essere tua sempre la mia casa.
Agnolo, che non disdegnava le profferte, se non come tutti i suoi pari fanno, accettò graziosamente le profferte del fiorentino, e ancora, come uomo di buona memoria, per la festa di Santo Giovanni Battista seguente pensò d’andare a Firenze, e a casa di costui, e cosí fece. E giunto in Firenze, subito n’andò a cavallo a casa di colui che tutto il mondo dovea essere salsa. E domandando di lui, e la moglie disse che non v’era, ma che dovea essere là al canto a un ridotto. Agnolo, udendo questo, scende da cavallo, e appiccalo a un arpione di fuori, e vassene a quel luogo dove la donna disse, e trovò l’amico sedere; e Agnolo con lieta faccia, andando verso lui che sedea, non parve che ’l fiorentino l’avesse mai veduto; e Agnolo di ciò avveggendosi, fra suo cuore disse: «Io avrò fatto cattivo sogno»; e dice:
- Io sono venuto a vedere la festa, e ho voluto attenerti la promessa; io sono stato a casa tua, e ho appiccato il ronzino di fuori; io il vorrei mettere nella stalla.
Dice quel fiorentino:
- Or vedi ben sciagura, che la stalla mia è tutta impacciata, che certi lavoratori mi vennono dinanzi con some e hannola piena d’asini, per forma che non vi capirrebbe un cane, non che uno ronzino.
Agnolo presto presto dice:
- O tu che fai costí?
E quelli disse:
- Stommi, come tu vedi.
E quelli disse:
- Cosí non ti stessi tu, che tu ne seresti forsi di meglio cinquecento fiorini.
Dice costui:
- Come?
Dice Agnolo:
- Ben lo so io.
- Deh dimmi, deh dimmi.
Egli lo lasciò con questa gozzaia in quell’ora, e in quel punto, che costui non levò mai il pensiero di questi fiorini cinquecento che si dovea avere peggiorati, e da ivi a meno di due mesi si morí, e Agnolo l’avea detto per motti e per dargli che pensare. Serebbe stato il meglio, che ’l fiorentino gli avesse fatto cortesia, e non avesse ritenuto gli asini de’ lavoratori, che forse non ve n’avea alcuno.
E cosí Agnolo si tornò in Casentino, e non trovò la festa come credette, ma forse la diede peggiore a colui che ne fu cagione.