< Il Trecentonovelle
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Novella CXLVII
CXLVI CXLVIII

Volendo frodare un ricco di danari la gabella, s’empie le brache d’uova; essendo detto a’ gabellieri, quando passa il fanno sedere, e tutte l’uova rompe, impiastrandosi tutto di sotto; e pagando il frodo, rimane vituperato.

*

La novella detta di sopra mi fa ricordare d’un’altra novella d’un ricco fiorentino, ma piú misero e piú avaro che Mida, il quale, per frodare una gabella di meno di sei danari, ne pagò, con danno e con vergogna, maggior quantità, benché s’armasse il culo con una corazza di guscia d’uova.
Fu adunque uno tristo ricco di ben ventimila fiorini, il quale ebbe nome Antonio (il soprannome non voglio dire, per onore de’ suoi parenti) il quale, trovandosi in contado, e volendo mandare a Firenze ventiquattro o trenta uova, disse il fante:
- E’ si vuole dare la gabella, però che le quattro pagono uno denaio di gabella.
Quando questi ode dire questo, piglia il canestro, e chiama il fante, e vassene in camera, e dice:
- A ogni tempo è buona la masserizia; io voglio risparmiare questi danari.
E detto questo, e prese a quattro a quattro l’uova, alzandosi il lembo dinanzi, cominciasele a mettere nelle brache. Dice il fante:
- O ove le mettete voi? o voi non potrete andar per la via.
Dice Antonio:
- Nòe! ell’hanno un fondo in giuso queste mie brache che ci capirrebbono le galline che l’hanno fatte, non che l’uova.
Il fante si volse, e fecesi il segno della Santa Croce per maraviglia. E Antonio, intascato che ebbe l’uova, si mette in cammino, e andava largo, come s’egli avesse aúto nelle brache due pettini da stoppa; e quando fu presso alla porta, disse al fante:
- Vattene innanzi, e di’ a’ gabellieri sostenghino un poco la porta.
E ’l fante cosí fece; ma non si poté tenere che a uno gabelliere non dicesse in grandissimo segreto il fatto; il quale gabelliere disse agli altri:
- E’ ci è la piú bella novella che voi udisse mai, ché ’l tale passerà testè qui, che viene dal luogo suo e hassi piene le brache d’uova.
Dice alcuno:
- Doh, lasciate fare a me, e vederete bel giuoco.
Dissono gli altri:
- Fa’ come ti piace.
E cosí giunse Antonio:
- Buona sera, brigata, ecc.
Dice quel gabelliere:
- Antonio, deh vieni qua un poco, e assaggerai un buon vino.
Quelli dicea non volea bere.
- Per certo sí farai -; e tiralo per lo mantello, e condottolo dove volea, dice: - Siedi un poco.
Colui risponde:
- Non bisogna -; e per niun modo vuole.
Il gabelliere dice:
- Io posso pur sforzare uno, volendoli fare onore -; e pignelo a sedere su una panca.
E come si pone, e’ parve si ponessi a sedere su un sacco di vetri.
Dicono i gabellieri:
- Che hai tu sotto, che fece cosí grande scrosciata? sta’ un poco su.
Dice il maggiore:
- Antonio, tu déi volere che noi facciamo l’officio nostro; noi vogliamo vedere quello che tu hai sotto, e che fece cosí grande romore.
Dice Antonio:
- Io non ho sotto nulla -; e alzò il mantello, dicendo: - E’ sarà questa panca che avrà cigolato.
- Che panca? non fu busso di panca quello; tu alzi il mantello, la cosa dee essere altrove -; e fannolo alzare a poco a poco, e brievemente, veggono certo giallore venire giú per le calze, e dicono: - Questo che è? noi vogliamo vedere le brache, donde pare che venga questa influenza.
Quelli si scuote un poco; un altro alza subito e dice:
- Egli ha piene le calze d’uova. Antonio dice:
- Deh, state cheti, che le sono tutte rotte, io non sapea altrove dove metterle; e questa è piccola cosa, quanto alla gabella.
Dicono i gabellieri:
- Elle dovettono essere parecchie serque.
Dice Antonio:
- In realtà, ch’elle non furono se non trenta.
Dicono i gabellieri:
- Voi parete un buon uomo, e giurate in lealtà; come vi dobbiamo noi dare fede? quando voi frodate il Comune vostro d’una piccola cosa, ben lo faresti d’una grande; e sapete ch’e’ dice: «Can che lecchi cenere, non gli affidar farina». Or bene, lasciateci una ricordanza, e domattina ci conviene andare a’ maestri a dire questo fatto.
Dice Antonio:
- Oimè! per Dio, io sarei vituperato; togliete ciò che voi volete.
Dice uno di loro:
- Deh, non facciamo vergogna a’ cittadini: paga per ogni danaro, tredici.
Antonio mette mano alla borsa, e paga soldi otto; e poi dà loro un grosso, e dice:
- Togliete, bevetegli domattina; ma d’una cosa vi prego, che non ne diciate alcuna cosa a persona -; e cosí dissono di fare; ed egli si partí col culo nello intriso e bene impiastrato.
E giunto a casa, dice la moglie:
- Io credea che tu fossi rimaso di fuori; che ha’ tu tanto fatto?
- Gnaffe! - dice costui, - non so io -; e mettevasi le man sotto, e andava largo com’uno crepato.
Dice la donna:
- Se’ tu caduto?
E quelli dice ciò che intervenuto gli era. Come la donna l’ode, comincia a dire:
- Doh! tristo sventurato, trovossi mai piú questo o in favola, o in canzone? benedetti sieno gli gabellieri che ti hanno vituperato, come eri degno.
Ed egli dicea:
- Deh, sta’ cheta.
Ed ella dice:
- Che sto cheta? che maladetta sia la ricchezza che tu hai, quando tu ti conduci a tanta miseria! volevi tu covar l’uova, come le galline quando nascono i pulcini? non ti vergogni tu, che anderà questa novella per tutta Firenze, e sempre ne serai vituperato?
Dice Antonio:
- Li gabellieri m’hanno promesso non dirlo.
Dice la donna:
- O questo è l’altro tuo senno, che non fia domane sera che ne sarà ripiena tutta questa terra -; e cosí fu come la donna disse.
E Antonio rispondea:
- Or ecco, donna, io ho errato; de’ si mai restare? errasti tu mai tu?
Disse la donna:
- Maisí, ch’io posso avere errato, ma non di mettermi l’uova nelle brache.
E quelli dicea:
- O tu non le porti.
E la donna dice:
- Mal e danno s’io non le porto; e se io le portasse, vorrei prima esser cieca che aver fatto quello che tu; e ancora non apparirei mai tra persona: quanto piú vi penso, tanto piú mi smemoro, che per due dinari tu se’ vituperato per sempre mai: tu non doverresti mai esser lieto, se tu avessi conoscimento; ché pur io non apparirò mai tra donne ch’io non me ne vergogni; credendo che tuttavia mi sia detto: «Vedi la moglie di colui che portò l’uova nelle brache».
Antonio dicea:
- Deh, non dir piú; gli altri se ne stanno cheti, e tu par che ’l vogli bandire.
Dice la donna:
- Io me starò ben cheta, ma e’ non se ne staranno cheti gli altri che ’l sanno. Io ti dico, marito mio, tu eri tenuto prima dappoco, e ora serai tenuto quello che tu serai. Io fui data a una gran ricchezza, ma e’ si potea dire, a una gran tristezza.
Antonio, che già avea studiato e letto l’abicí in sul mellone, si venne pur ripensando aver fatto gran tristizia di sé, e che la donna dicea molto bene il vero; e pregò umilmente la donna di questo fatto si desse pace, e ancora, s’egli avesse fallato, ella stessa sopra lui pigliasse la vendetta. La donna un poco si cominciò a rattemperare, e disse:
- Va’ pur con tuo senno a mercato, che io me ne camperò il meglio che potrò -; e cosí si rimasono.
Direm noi che le donne non siano spesse volte in molte virtú avvedute piú che gli uomeni? Questa valentre donna in quante maniere ritrovò il marito! Ella era ben cosí d’assai tra le donne, come elli dappoco tra gli uomeni. Le novelle vennono pur al fine meno; ma non per Firenze, dove di questo sempre si disse con diletto d’altrui, e con vituperio del bell’amico. Il quale, cavatesi le brache perché la fante non se ne accorgesse, disse che la mattina scaldasse uno orciuolo di ranno, e déssignelo nel bacino a buon’ora, e la sera se ne fece dare un altro, con che si lavò il culo, ma non sí che non ingiallasse le lenzuole, prima che avesse parecchie rannate; le quali li furono di necessità, tanto erano le torla, con li albumi e con li gusci, incrosticate e appiccate nel sedere. Or cosí guadagnò questo tapino la gabella di trenta uova, ch’elli ne fu si vituperato, che sempre di questo se ne disse, e ancora oggi se ne dice piú che mai.

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