< Il Trecentonovelle
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Novella LXXVII
LXXVI LXXVIII

Due hanno una quistione dinanzi a certi officiali, e l’uno ha dato all’un di loro un bue, e l’altro gli ha dato una vacca, e l’uno e l’altro s’ha perduta la spesa.

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In una città di Toscana, la quale per onestà non dirò qual fusse né ancora dirò quali officiali, né in tutto né in parte, fu già, e forse ancor dura, un grande officio di valenti cittadini, i quali aveano grandissima balía e di ragione e di fatto a terminar le questioni che interveniano e tra’ cittadini, e tra’ contadini; avvenne per caso che due ricchi uomini mercatanti di bestie aveano quistione di lire trecento o piú tra loro; e venne la quistione dinanzi a questo officio: e non terminandosi tosto a modo che l’uno di loro volea, e avendo paura non gli fusse fatto torto, pensò fare qualche dono a uno di quelli del detto officio, il quale fusse da piú e meglio il potesse aiutare. Ebbe considerato quello che egli immaginava. Aveva una possessione, la quale era bella e buona, ma l’uomo non era addanaiato sí che di buoi la tenesse ben fornita; e pensò di scoprirglisi, e andare a lui, e raccomandandosi perché lo mantenesse e favellasse nelle sue ragioni, e donargli un bue, ché molti n’avea; e come ebbe pensato, cosí fece. E l’amico non si fece molto dire, che si tolse il detto bue.
L’altro, che avea la quistione con questo che avea donato il bue, non sapiendone alcuna cosa, gli fu venuto un medesimo pensiero, dicendo: «Il tale è il maggior uomo dell’officio; io gli vorrei fare qualche bel dono, acciò che mi sostenesse nelle mie ragioni»; e pensò lo stato suo, e ch’egli avea un luogo bello da tener bestie grosse; e per non essere abbiente di danari, non ve le tenea. E però andò a raccomandarsi a lui, e donògli una vacca, dicendo:
- Io voglio che voi la tenghiate per mio amore nel vostro luogo.
Costui se la tolse, e ha avuto il bue e la vacca, e niuno non sa dell’altro alcuna cosa: se non che da ivi a pochi dí essendo li due boattieri con la quistione dinanzi al detto officio, e rovesciandosi quasi la cosa addosso a quello che avea donato il bue; e li compagni diceano a quello da piú dell’officio:
- Ciò che te ne pare, quello parrà a noi.
E quelli stava cheto, e non facea parola. Colui che avea dato il bue a costui, che stava mutolo, aspettando da lui avere soccorso, e vedea che non dicea parola, esce fuori con la voce, e dice:
- O che non favelli, bue?
E quei risponde:
- Perché la vacca non mi lascia.
L’uno si volge di qua e l’altro di là.
- Che vuol dire quello che costui ha detto?
E domandandolo, e’ diede loro a credere che dicea a sé medesimo; e l’officiale, che avea detto della vacca, disse loro che gli era uno proverbio, che sempre questi mercatanti di bestie usavano quando aveano quistione, ponendo nome a chi avea il migliore della quistione, bue, e a chi avea il peggiore, vacca.
Avvenne poi, come che s’andasse, che quello della vacca vinse il piato; forse ne fu cagione che la vacca, quando fu donata, era pregna, e in quel tempo che si diede la sentenzia, fece un vitello.
Ora cosí spesse volte gli animali inrazionali sottopongono quelli che sono razionali, a confusione di molti comuni, dove non si può aver ragioni, se lepri, o capriuoli, o porci salvatichi non compariscono. E io per me, veggendo questa gelosa consuetudine, farei innanzi un mio figliuolo cacciatore, che legista. E non dirò quello che seguita, per vantarmi d’averlo detto per grandissima virtú, ma averlo detto come uomo, aiutato da maggiore signore; ché la parola non fu mia, ma sua. Io era podestà d’una terra dov’io descrissi le predette novelle; e venendo uno terrazano di quella a domandare di grazia alcuna cosa, la quale, avendola fatta, era e mia disgrazia e mia vergogna, io gliela negai, e non la feci.
Partitosi costui da me, disse alcuno:
- Messer lo Podestà, voi avete perduta una lepre; però che colui che non avete servito in quella sua domanda, è uno buon cacciatore, e avea disposto di mandarve una lepre, se voi l’aveste servito.
E io risposi:
- Se mi avesse data la lepre, io l’arei mangiata e patita; ma la vergogna non si sarebbe mai patita.
E cosí è veramente, come che io mi confesso essere in ciò peccatore come gli altri; ma egli è una gran miseria che una piccola cosa, che all’appetito diletti e dura un attimo, e subito è corrotta, sottoponga e vinca la ragione d’onore, che dura sempre. Ora ne cogliesse e incontrasse a tutti, come incontrò a quel mercatante che donò il bue: e a chi o per avarizia o per gola sottopone la ragione, giú pel palato fusse saziato con quello fu saziato Crasso.

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