< Il Trecentonovelle
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XL XLII

Molte novellette, e detti del detto messer Ridolfo piacevoli, e con gran sustanza.

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E’ mi conviene in questa novella, poi che io sono entrato a dire di questo valentre uomo, dire certi suoi detti; però che, al mio parere, e’ fu filosofo naturale di pochissime parole. Dico adunque che un suo amico, che era stato gran tempo che non l’avea veduto, disse:
- Messer Ridolfo, voi siete ringiovenito dieci anni, poi che io non vi vidi.
E messer Ridolfo guarda costui con la coda dell’occhio, dicendo:
- Di quello che dici, ne prendo conforto, ma saccio che non ci dici lo vero.
Dicea il detto messer Ridolfo che non volea ch’e’ servi suoi del suo avessono meglio di lui. Quando era il freddo grande, dicea:
- Andate accendere il fuoco, e là vi scaldate, e quando egli ha fatta la bracia, mi chiamate.
Volea ch’e’ fanti avessono il fummo e non lo volea elli.
Essendo il detto messer Ridolfo al servigio del re Luigi di Cicilia, andando con certa gente d’arme, fu assalito; di che convenne che tutti si fuggissono a sproni battuti, e camporono. Tornato poi messer Ridolfo nel cospetto del re, e lo re gli disse:
- Ridolfo, per quanto aresti dato quelli sproni?
E quelli rispose:
- Di cotesto non saccio: ma ben saccio per quanto ci sarei rattenuto a fare lo patto.
Le candele della cera facea volgere alla mensa sua capo piede, mettendo di sopra il lato piú grosso della cera verde, dicendo che alli servi suoi volea che toccasse poi il sottile e non a lui; e da questo si cominciorono a fare delle candele mozze.
Essendo a Bologna il detto messer Ridolfo capitano di guerra per li Fiorentini, quando ebbono guerra con la Chiesa, gli fu detto che ’l papa avea venduto o impegnato Vignone per voler far gran guerra; ed egli disse:
- Molto c’è savio lo papa nostro; vuol vendere quello ch’egli ha, per acquistar quello che non sa.
Quando messer Ridolfo fu con la reina e con gli altri a dare ordine che fosse fatto il papa da Fondi, tornando a casa sua, trovò messer Galeotto suo genero, il quale dicendoli quanto era contra a Dio e all’anima sua quello ch’egli avea fatto, rispose:
- Aiolo fatto perché abbiano tanto a fare de’ fatti loro ch’e’ nostri lascino stare.
Essendo il detto messer Ridolfo andato a vicitare messer Gian Auguth, che era con lo esercito suo fuori di Perogia, e andando poi a vicitare l’abate di Mon maiore che per lo papa signoreggiava Perogia, e in quelli dí era fatto cardinale, gli disse:
- Avendoci fatto male, se’ fatto cardinale; se ci avessi fatto peggio, saresti fatto papa.
Avendo maritata una sua figliuola giovane a messer Galeotto, che era già vecchio, molti suoi prossimani e uomeni e donne gli diceano:
- Doh, messer Ridolfo, che avete voi fatto a dare una giovane a un vecchio?
Rispondea:
- Hoccelo fatto per noi, e non per lei.
Fu dipinto a Firenze, quando venne in disgrazia del comune, per farli vergogna; essendoli detto, disse:
- E’ si dipingono li santi: sonci fatto santo.
Ancora per questa cosí fatta cosa essendo a una sua terra, e trovando un suo suddito che tornava d’acconciare sue vigne e suoi terreni, lo domandò onde venía; disse che venía d’acconciare vigne e altri suoi fatti.
Disse a certi che erano con lui:
- Pigliate costui, e andatelo ad impiccare pe’ piedi
Costoro ed elli domandano:
- Signore, perché?
Ed elli rispose:
- Perché li Fiorentini m’hanno fatto impiccare pe’ piedi perché io ci ho fatto i fatti miei; secondo quella ragione e quella legge (ché si dee credere ch’e’ Fiorentini ne veggano assai) costui dee essere impiccato; andate e impiccatelo.
E stante un poco lo licenziò; e per questo scusava sé, e accusava altrui.
Dicea che de’ santi si facea come del porco: quando il porco muore, tutta la casa e ciascuno ne fa festa, e cosí per la morte de’ santi tutto il mondo e tutti i cristiani ne fanno festa.
Ancora spesso dicea: «Tristo a quel figlio, che l’anima del suo padre ne va in paradiso».
Quando li Fiorentini nel MCCCLXII ebbono guerra co’ Pisani, essendo elli capitano di guerra, e avendo posto il campo in Valdera, avendo due consiglieri fiorentini, forse mercatanti o lanaiuoli, li quali una notte pensarono che ’l campo non stava bene in quel luogo e che egli starebbe meglio su uno monte ivi vicino; e levatisi la mattina con questo pensiero, tirorono messer Ridolfo da parte e dissono che parea loro che ’l campo stesse molto meglio nel tal luogo; messer Ridolfo, come gli ebbe uditi, ghignando e guardandogli disse:
- Iate, iate, iate sí alle botteghe a vennere i panni.
Se dicea il vero ogni uomo il pensi, quello che ha a fare la mercatanzia o l’arte meccanica con la industria militare.
Non tenendosi quelli del reggimento di Fiorenza contenti di lui nella fine della guerra della Chiesa, lo feciono dipignere, come a drieto è detto. Di che, dappoi a certo tempo, essendo stato spinto, furono mandati a lui certi ambasciadori fiorentini a’ quali fece due cose. La prima, che essendo a tavola del mese di luglio da lui convitati, era di drieto a loro a uno camino cosí acceso un gran fuoco, come se fosse stato del mese di gennaio. Gli ambasciadori, sentendo alle spalle il fuoco penace per lo sollione, domandorono messer Ridolfo che cagione era il perché di luglio tenesse il fuoco acceso alla mensa. Messer Ridolfo rispose che ciò facea perché quando i Fiorentini l’aveano dipinto, l’aveano dipinto sanza calze in gamba; di che per quello avea sí infrigidite le gambe, che mai da là in qua non l’avea possute riscaldare, e però gli convenía tenere il fuoco presso per riscaldarle. Gli ambasciadori sorrisono un poco, ma quasi ammutolorone. Poi seguendo alle vivande vennono capponi lessi, e le lasagne, le quali messer Ridolfo ordinò che la sua scodella fosse minestrata tanto innanzi ch’ella fosse tiepida, e quelle degli ambasciadori venissono bollenti e caldissime in tavola. E cosí alla tavola gionte, messer Ridolfo comincia sicuramente pigliarne pieno il cusoliere. Gli ambasciadori, cosí veggendo, ebbono per fermo poterle pigliare altresí sicuramente; onde al primo boccone tutto il palato si cossono, sí che l’uno cominciò a lagrimare, e l’altro cominciò a guatare il tetto, e a singhiozzare.
Messer Ridolfo dice:
- Che miri?
E quelli dice:
- Guardo questo tetto, che fu cosí ben fatto: chi lo fece?
Dice messer Ridolfo:
- Fecelo maestro Súffiaci; nol conosci tu?
Gli ambasciadori intesono il tedesco, e lasciorono affreddare le lasagne; e fra loro poi dissono:
- E’ ci sta molto bene, che corriamo subito a dipignere gli signori come fossono portatori ed elli ci ha ben dimostrato quel che ben ci sta.
E cosí quasi scornati si tornorono a Firenze, dove saputa la novella, fu tenuto messer Ridolfo avere renduto pan per focaccia.
Avea mandato un fante con lettere, e preso da un suo nimico, gli fa tagliare le mani. E tornando al detto messer Ridolfo con le mani mozze, disse:
- Signor mio, questo ho aúto per voi.
Ed elli rispose:
- All’abbottonar te n’avvedrai, se l’avrai aúto o per te o per me.
Essendo ripreso da Messer Galeotto ch’egli era vecchio sanza figliuoli maschi... maritare e tenea certe terre altrui, rispose:
- Saccio che ognora...
E lo re Carlo mandò a dolersi di lui, che avea dato aiuto al duca... per venirli addosso. Rispose:
- Hogli messo il calderugio nella gabbia; ora sta, se lo sa pigliare.

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