< Il Trecentonovelle
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Novella XLVII (frammento)
XLIII XLVIII

... Tasso se la guerisse. Però che io sono stato con lei quarantatré maladett’anni, e ora dice che mi vuol venir drieto. Non sia, per l’amor di Dio. Arrogete ancora al maestro Giovan dal Tasso il maestro Tommaso del Garbo, e a loro due per egual parte lascio li fiorini duecento in quanto la guariscano.
Li parenti furono tutti suso, e spezialmente li fratelli della donna.
- O Jacopo, che volete voi fare? volete voi lasciare a’ medici il vostro? ove rimarrebbe la vostra fama? ché ciascuno dirà: «Jacopo ha voluto lasciare piú tosto a due medici, che l’hanno forse sí mal curato che se n’è morto, che lasciare a una sua moglie che l’ha servito quarantatré anni, che non gli tocca per anno, lasciandole fiorini ducento, fiorini cinque». Or pensate bene.
E quelli rispose, che appena si potea intendere:
- O che so io chi m’ha piú tosto morto, o’ medici, o ella?
E brievemente tanto fu combattuto che quasi come vinto, o col dire «sí» con parole o con cenni, il testamento ritornò che lasciasse alla donna fiorini duecento, e questo fece a grandissima pena: e poco stante si morí. E la donna fece il pianto grandissimo, come tutte fanno, perché costa loro poco; e sotterrato il marito, e rasciutto le lacrime, se avea difetto, si fece curare gagliardamente, e poi intese ad acconciarsi per sí fatta maniera che, con la dota sua e col lascio, in meno di due mesi uscío de’ panni vedovili e rimaritossi.
Se la donna fece dello infingardo, molto gli stava bene, che gli andasse drieto: ma io credo ch’ella concepea nella sua mente di mostrarsi nelle parole e negli atti che ’l marito li lasciasse acciò che, morto lui, si potesse meglio rimaritare com’ella fece.
Niuna cosa si passa e dimentica, quanto la morte; e la femmina che piú si percuote e nel pianto e nel lamento è quella creatura che piú tosto la dimentica; e questa ne fa la prova, ché appena era sotterrato il marito che pensò d’averne un altro; e ’l marito andò forse a torre una moglie in inferno, per aver fatti lasci che espettavano piú al corpo che all’anima; e quella ch’egli avea lasciata, non accese mai una candela per l’anima sua.
Per questa donna si può notare leggiermente questi tre versetti:

Donna non è, che non adori Venere
Tal in sua deità, e qual è vedova
Non si cura di quel ch’è fatto cenere.

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