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Lapaccio di Geri da Montelupo a la Ca’ Salvadega dorme con un morto: caccialo in terra dal letto, non sappiendolo: credelo avere morto, e in fine trovato il vero, mezzo smemorato si va con Dio.
Tanto avea voglia questa contata donna d’andar drieto al morto marito quanto ebbe voglia di coricarsi allato a un morto in questa novella Lapaccio di Geri da Montelupo nel contado di Firenze. Fu a’ miei dí, e io il conobbi, e spesso mi trovava con lui, però che era piacevole e assai semplice uomo. Quando uno gli avesse detto: «Il tale è morto», e avesselo ritocco con la mano, subito volea ritoccare lui; e se colui si fuggía, e non lo potea ritoccare, andava a ritoccare un altro che passasse per la via, e se non avesse potuto ritoccare qualche persona, averebbe ritocco o un cane, o una gatta; e se ciò non avesse trovato, nell’ultimo ritoccava il ferro del coltellino; e tanto ubbioso vivea, che se subito, essendo stato tocco, per la maniera detta non avesse ritocco altrui, avea per certo di far quella morte che colui per cui era stato tocco, e tostamente. E per questa cagione, se un malfattore era menato alla justizia, o se una bara o una croce fosse passata, tanto avea preso forma la cosa che ciascuno correa a ritoccarlo; ed elli correndo or drieto all’uno or drieto all’altro, come uno che uscisse di sé; e per questo quelli che lo ritoccavono, ne pigliavono grandissimo diletto.
Avvenne per caso che, essendo costui per lo comune di Firenze mandato ad eleggere uno podestà ed essendo di quaresima, uscío di Firenze, e tenne verso Bologna e poi a Ferrara, e passando piú oltre, pervenne una sera al tardi in un luogo assai ostico e pantanoso che si chiama la Ca’ Salvadega. E disceso all’albergo, trovato modo d’acconciare i cavalli e male, però che vi erano Ungheri e romei assai, che erano già andati a letto; e trovato modo di cenare, cenato che ebbe, disse all’oste dove dovea dormire. Rispose l’oste:
- Tu starai come tu potrai; entra qui che ci sono quelle letta che io ho, e hacci molti romei; guarda se c’è qualche proda; fa’ e acconciati il meglio che puoi, ché altre letta o altra camera non ho.
Lapaccio n’andò nel detto luogo, e guardando di letto in letto cosí al barlume, tutti li trovò pieni salvo che uno, là dove da l’una proda era un Unghero, il quale il dí dinanzi s’era morto. Lapaccio, non sapiendo questo (ché prima si serebbe coricato in un fuoco che essersi coricato in quel letto), vedendo che dall’altra proda non era persona, entrò a dormire in quella. E come spesso interviene che volgendosi l’uomo per acconciarsi, gli pare che il compagno occupi troppo del suo terreno, disse:
- Fatti un poco in là, buon uomo.
L’amico stava cheto e fermo, ché era nell’altro mondo. Stando un poco, e Lapaccio il tocca, e dice:
- O tu dormi fiso, fammi un poco di luogo, te ne priego.
E ’l buon uomo cheto.
Lapaccio, veggendo che non si movea, il tocca forte:
- Deh, fatti in là con la mala pasqua.
Al muro: ché non era per muoversi. Di che Lapaccio si comincia a versare, dicendo:
- Deh, morto sia tu a ghiado, che tu déi essere uno rubaldo.
E recandosi alla traversa con le gambe verso costui, e poggiate le mani alla lettiera, trae a costui un gran paio di calci, e colselo sí di netto che ’l corpo morto cadde in terra dello letto tanto grave, e con sí gran busso, che Lapaccio cominciò fra sé stesso a dire: «Oimè! che ho io fatto?» e palpando il copertoio si fece alla sponda, appiè della quale l’amico era ito in terra: e comincia a dire pianamente:
- Sta’ su; ha’ ti fatto male? Torna nel letto.
E colui cheto com’olio, e lascia dire Lapaccio quantunche vuole, ché non era né per rispondere, né per tornare nel letto. Avendo sentito Lapaccio la soda caduta di costui, e veggendo che non si dolea, e di terra non si levava, comincia a dire in sé: «Oimè sventurato! che io l’avrò morto». E guata e riguata, quanto piú mirava, piú gli parea averlo morto: e dice: «O Lapaccio doloroso! che farò? dove n’andrò? che almeno me ne potess’io andare! ma io non so donde, ché qui non fu’ io mai piú. Cosí foss’io innanzi morto a Firenze che trovarmi qui ancora! E se io sto, serò mandato a Ferrara, o in altro luogo, e serammi tagliato il capo. Se io il dico all’oste, elli vorrà che io moia in prima ch’elli n’abbia danno». E stando tutta notte in questo affanno e in pena, come colui che ha ricevuto il comandamento dell’anima, la mattina vegnente aspetta la morte.
Apparendo l’alba del dí, li romei si cominciano a levare e uscir fuori. Lapaccio, che parea piú morto che ’l morto, si comincia a levare anco elli, e studiossi d’uscir fuori piú tosto che poteo per due cagioni che non so quale gli desse maggior tormento: la prima era per fuggire il pericolo e andarsene anzi che l’oste se ne avvedesse; la seconda per dilungarsi dal morto, e fuggire l’ubbía che sempre si recava de’ morti.
Uscito fuori Lapaccio, studia il fante che selli le bestie; e truova l’oste, e fatta ragione con lui, il pagava, e annoverando li danari, le mane gli tremavono come verga. Dice l’oste:
- O fatti freddo?
Lapaccio appena poté dire che credea che fosse per la nebbia che era levata in quel padule.
Mentre che l’oste e Lapaccio erano a questo punto, e un romeo giunge, e dice all’oste che non truova una sua bisaccia nel luogo dove avea dormito; di che l’oste con uno lume acceso che avea in mano, subito va nella camera, e cercando e ricercando, e Lapaccio con gli occhi sospettosi stando dalla lunga, abbattendosi l’albergatore al letto dove Lapaccio avea dormito, guardando per terra col detto lume, vidde l’Unghero morto appiè del letto. Come ciò vede, comincia a dire:
- Che diavolo è questo? chi dormí in questo letto?
Lapaccio, che tremando stava in ascolto, non sapea s’era morto o vivo, e uno romeo, e forsi quello che avea perduto la bisaccia, dice:
- Dormívi colui, - accennando verso Lapaccio.
Lapaccio ciò veggendo, come colui a cui parea già aver la mannaia sul collo, chiamò l’oste da parte dicendo:
- Io mi ti raccomando per l’amor di Dio, che io dormii in quel letto, e non potei mai fare che colui mi facessi luogo, e stesse nella sua proda; onde io, pignendolo con li calci, cadde in terra; io non credetti ucciderlo: questa è stata una sventura, e non malizia.
Disse l’oste:
- Come hai tu nome?
E colui glilo disse. Di che, seguendo oltre, l’oste disse:
- Che vuoi tu che ti costi, e camperotti?
Disse Lapaccio:
- Fratel mio, acconciami come ti piace e cavami di qui. Io ho a Firenze tanto di valuta, io te ne fo carta.
Veggendo l’oste quanto costui era semplice, dice:
- Doh, sventurato! che Dio ti dia gramezza; non vedestú lume iersera? o tu ti mettesti a giacere con un Unghero che morí ieri dopo vespro.
Quando Lapaccio udí questo, gli parve stare un poco meglio, ma non troppo; però che poca difficultà fece da essergli tagliato il capo ad esser dormito con un corpo morto; e preso un poco di spirito e di sicurtà, cominciò a dire all’oste:
- In buona fé che tu se’ un piacevol uomo; o che non mi dicevi tu iersera: egli è un morto in uno di quelli letti? Se tu me l’avessi detto, non che io ci fosse albergato, ma io sarei camminato piú oltre parecchie miglia, se io dovessi essere rimaso nelle valli tra le cannucci; ché m’hai dato sí fatta battisoffia che io non sarò mai lieto, e forse me ne morrò.
L’albergatore, che avea chiesto premio se lo campasse, udendo le parole di Lapaccio, ebbe paura di non averlo a fare a lui; e con le migliori parole che poteo si riconciliò insieme col detto Lapaccio. E ’l detto Lapaccio si partí, andando tosto quanto potea, guardandosi spesso in drieto per paura che la Ca’ Salvadega nol seguisse, portandone uno viso assai piú spunto che l’Unghero morto, il quale gittò a terra del letto; e andonne con questa pena nell’animo, che non gli fu piccola, per un messer Andreasgio Rosso da Parma che aveva meno un occhio, il quale venne podestà di Firenze; e Lapaccio si tornò, rapportando aver fatta elezione al detto podestà, ed esso l’avea accettata. Tornato che fu il detto Lapaccio a Firenze, ebbe una malattia che ne venne presso a morte.
Io credo che la fortuna, udendo costui essere cosí obbioso e recarsi cosí il ritoccare de’ morti in augurio, volesse avere diletto di lui per lo modo narrato di sopra, che per certo e’ fu nuovo caso, avvenendo in costui: in un altro non serebbe stato caso nuovo. Ma quanto sono differenti le nature degli uomeni! ché seranno molti che non che temino gli augurii, ma elli non vi daranno alcuna cosa di giacere e di stare tra’ corpi morti; e altri seranno che non si cureranno di stare nel letto dove siano serpenti, dove siano botte, scorpioni, e ogni veleno e bruttura e altri sono che fuggono di non vestirsi di verde, che è il piú vago colore che sia; altri non principierebbono alcun fatto in venerdí, che è quello dí nel quale fu la nostra salute; e cosí di molte altre cose fantastice e di poco senno, che sono tante che non capirebbono in questo libro.