< Il Trecentonovelle
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Novella XXXII
XXXI XXXIII

Uno frate predicatore in una terra toscana, di quaresima predicando, veggendo che a lui udire non andava persona, truova modo con dire che mostrerrà che l’usura non è peccato, che fa concorrere molta gente a lui e abbandonare gli altri.

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Meglio seppe comporre una sua favola uno frate, del quale parlerò in questo capitolo, che non seppono comporre la loro gli ambasciadori di Casentino. Però che in una terra delle grandi di Toscana, predicandosi nel tempo di quaresima, come è d’usanza, in piú luoghi, uno frate predicatore veggendo che agli altri che predicavono, come spesso interviene, andava molta gente, e a lui quasi non andava persona, disse uno mercoledí mattina in pergamo:
- Signori, egli è buona pezza che io ho veduto tutti gli teologhi e predicatori in un grande errore; e questo è ch’egli hanno predicato che ’l prestare sia usura e grandissimo peccato, e che tutti i prestatori vanno a dannazione. E io per quello che io posso comprendere, e che io ho trovato, ho veduto che ’l prestare non è peccato. E acciò che voi non crediate che io dica da beffe, o che io faccia stremi argomenti di loica, io vi dico ch’egli è tutto il contrario di questo, ch’egli hanno sempre predicato. E perché non crediate che io dica favole, perché la materia è grande, se io averò il tempo, io ne predicherò domenica mattina; e se io non avesse il tempo, un altro dí che mi venga a taglio, sí che ne anderete contenti, e fuori d’ogni errore.
La gente udendo questo, chi mormora di qua, e chi borboglia di là. Finita la predica, escono della chiesa; la boce va qua e là; ciascuno pensa: «Che vuol dire questo?» Gli prestatori stanno lieti, e gli accattatori tristi; e tale non avea prestato, che comincia a prestare. Chi dice: «Costui dee essere un valentissimo uomo»; e chi dice che dee essere una pecora; questo non si disse mai piú.
E in brieve tutta la terra aspettava la domenica mattina, la quale, venuta che fu, come li popoli son sempre vaghi di cose nuove, tutti corsono a pigliare luogo, e gli altri predicatori poterono predicare alle panche. Costui avea prima gli uditori sí radi che dall’uno all’altro avea parecchie braccia; ora v’erano sí stretti che affogava l’un l’altro; e questo era quello che elli avea desiderato. Giugnendo il frate in pergamo, e detta l’Avemaria, per non guastare la sua predicazione, propuose sopra l’Evangelio, e disse:
- Io dirò prima certe cose morali; poi dirò la storia dell’Evangelio; e ultimamente alcune parti a nostro ammaestramento, come la materia richiede, e dopo questo dirò dell’usura, come io vi promisi di dire.
E predicando per grande spazio questo valentre frate, mise gran tempo su le parti dell’Evangelio; e venendo a quella dell’usura, era molto tarda l’ora, però che era passata terza, e ciò avea fatto in prova per tranquillare la gente. Di che disse:
- Signori, questo Evangelio mi ha ingannato in questa mattina, però che egli è di grande sustanzia, e la midolla sua è profonda, come avete udito, e sono per questo sí trascorso oltre che in questa mattina non avrei tempo di dire quello che io v’ho promesso; ma abbiate pazienzia, ché in queste mattine che verranno non serà sí lungo il predicare; e quando mi vedrò il tempo, io ve ne predicherò, che mi pare mill’anni, per trarvi di questo errore.
E cosí gli pasceo d’oggi in domane insino all’altra domenica, nella quale concorse maggior populo che prima. Essendo salito in pergamo e avendo predicato, disse:
- Signori, io so che la cagione che tanta moltitudine è qui è solo per udire quello che piú volte v’ho detto, cioè del prestare. Di che io mi vi scuso, ché io sono stato un poco riscaldato di febbre; e pertanto m’abbiate stamane per iscusato; ma il tal dí venite, e se Dio mi farà grazia, ve ne predicherò.
E ora facendo una scusa, e ora un’altra, tutta Quaresima fece venire gente a sé, tenendoli sospesi insino a domenica d’olivo. Allora disse:
- Io vi ho promesso tante volte di dire la tal cosa che io non voglio trapassare questa mattina che io non vi dica ciò che io v’ho promesso. Voi sapete, signori, che la carità è accetta a Dio, quanta altra virtú che sia, o piú. E la carità non è altro che sovvenire al prossimo, e ’l prestare è sovvenimento; adunque, dico che ’l prestare si può fare, e ch’egli è licito; e ancora piú, che chi presta, merita. Ma dove sta il peccato, e dove è? Il peccato è nel riscuotere; e però il prestare, e non riscuotere, non che sia peccato, ma egli è grandissima mercè, ed essere accetto a Dio. E ancora dico piú che ’l riscuotere si può fare con modo, che non che sia peccato, ma è grandissima carità. Verbigrazia, uno presta a un altro fiorini cento, riscuote a certo dí li fiorini cento, e non piú; questo prestare e questo riscuotere è licito, e molto piace a Dio, e ancora piacerebbe piú, se per via d’amore o di carità non si riscotessono, ma liberamente si lasciassono al debitore. Sicché avete che l’usura sta nel riscuotere piú che la vera sorta, però che ’l peccato nel tenimento non sta ne’ fiorini cento, ma sta in quello che si dà piú che la vera sorta; e questa piccola quantità fa perdere tutta la carità che serebbe ne’ fiorini cento, e ancora il servigio e bene che averebbe fatto al buon uomo che gli accattoe, e torna in cosa inlicita e di restituzione. E però conchiudendo, fratelli miei, io vi dico e affermo che ’l prestare non è peccato, ma il gran peccato è il riscuotere oltre la vera sorta; e con questo ve ne andate, e gagliardamente prestate, ché sicuramente potete prestare per lo modo che ho predicato; e guardatevi di riscuotere, e cosí facendo serete figliuoli del vostro padre, qui in coelis est.
E fece la confessione, la quale non fu né intesa né udita per lo grande mormorío e bisbigliare che vi era; e chi facea grandissime risa, dicendo:
- Questi ce n’ha ben fatto una, e tutta quaresima ci siamo venuti per udire questa predica, e istamane ci venimmo che non era dí. Deh morto sie egli a ghiado, che dee essere uno ciurmatore.
Chi stiamazza di qua e chi di là, piú giorni per la terra non si disse altro. Questo frate poté essere uno valentre uomo, però che egli avea mostrato, o voluto mostrare al populo, quanto era leggiero, e che correano piú tosto alle frasche e alle cose nuove che a quelle della Santa Scrittura; e ancora andavano volentieri a udire chi dicesse cose secondo gli appetiti loro.
Corse a questa predica prestatori, e chi avea voglia di prestare; e questi rimasono scherniti come meritavano; come ch’egli hanno preso tanto del campo che da loro hanno fatto un concetto, che Dio non veggia e non intenda, e hanno battezzata l’usura in diversi nomi, come dono di tempo, merito, interesso, cambio, civanza, baroccolo, ritrangola e molti altri nomi: le quali cose sono grandissimo errore, però che l’usura sta nell’opera e non nel nome.

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