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Jean-Jacques Rousseau - Il contratto sociale (1762)
Traduzione dal francese di anonimo (1850)
Libro secondo - Cap. VI
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Cap. VI

Della legge.

Per mezzo del patto sociale noi abbiamo dato l’esistenza e la vita al corpo politico, ora trattasi di dargli il moto e la volontà per mezzo della legislazione. Imperocchè l’atto primitivo per cui questo corpo si forma e si unisce non determina ancora niente di ciò che deve fare per conservarsi.

Ciò che è buono e conforme all’ordine, è tale per la natura delle cose ed indipendentemente dalle convenzioni umane. Ogni giustizia viene da Dio, Ei solo ne è la sorgente; ma se noi sapessimo riceverla da sì alto, noi non abbisogneremmo nè di governo nè di leggi. Senza dubbio evvi una giustizia universale che emana dalla sola ragione; ma perchè si ammetta questa giustizia tra noi, debb’essere reciproca. A considerare mente le cose, le leggi della giustizia per difetto di sanzion naturale sono vane fra gli uomini; esse fanno il bene del malvagio ed il male del giusto, quando questo le osserva con tutti senza che niuno le osservi con lui. Ci vogliono adunque delle convenzioni e delle leggi per unire i diritti ai doveri e ridurre la giustizia al suo oggetto. Nello stato di natura, in cui tutto è comune, io non debbo niente a quelli ai quali io non promisi nulla; io non acconsento per esistere ad altri se non quello che è inutile a me. Così non avviene nello stato civile in cui tutti i diritti vengono fissati dalla legge.

Ma alla fin fine che è adunqne una legge? Fintantochè si starà contenti di dare a questa parola idee metafisiche, si continuerà a ragionare senza intendersi; e quando si sarà detto ciò che è una legge della natura, non si saprà meglio ciò che sia una legge dello stato.

Io dissi già non esservi volontà generale sovra un oggetto particolare. Infatti questo oggetto particolare è nello stato o fuori dello stato. Se è fuori dello stato, una volontà che gli sia straniera non è generale: riguarda a lui; e se questo oggetto è nello stato, ei ne fa parte: allora formasi tra il tutto e la sua parte una relazione che ne fa due esseri distinti, dei quali l’uno è la parte, e l’altro è il tutto, meno questa parte stessa. Ma il tutto meno una parte non è il tutto, e fintantochè questa relazione sussiste, non vi ha più un tutto ma due parti disuguali; dal che ne viene che la volontà dell’una non è nemmen più generale riguardo all’altra.

Ma quando tutto il popolo statuisce su tutto il popolo, ei non considera se non se stesso; e se formisi allora un rapporto, gli è dell’oggetto intero sotto un punto di vista all’oggetto intero sotto un altro punto di vista, senza niuna distinzione del tutto. Allora la materia su cui si delibera, è generale come la volontà deliberante. Ed io chiamo una legge quest’atto.

Quando io dico che l’oggetto delle leggi è sempre generale, io intendo che la legge considera i soggetti in corpo e le azioni come astratte, non mai un uomo come individuo nè una azione particolare. Così la legge può benissimo statuire che vi saranno dei privilegi, ma non può conferirne nominatamente a’ niuno; la legge può formare parecchie classi di cittadini, anche indicare le qualità che daranno diritto a queste classi, ma non può nominare nè Tizio nè Caio per esservi ammessi; può stabilire un governo regio od una successione ereditaria, ma non può eleggere un ro, nè nominare una famiglia reale: in una parola qualsiasi uffizio che riferiscasi ad un oggetto individuale non è di pertinenza del potere legislativo.

Da ciò si scorge subito che non è più mestieri di chiedere a chi spetti la formazione delle leggi, poichè sono atti della volontà generale, nè se il principe stia al di sopra delle leggi, poichè è membro dello stato, nè se la legge può essere ingiusta, poichè niuno è ingiusto verso di sè, nè come si è liberi e sottomessi alle leggi, poichè queste non sono altro che registri delle nostre volontà.

Oltracciò si scorge ancora, che la legge riunendo l’universalità della volontà e dell’oggetto, gli ordini dispotici d’un uomo qualsiasi non sono una legge; nè legge sono gli ordini del sovrano stesso intorno ad un oggetto particolare, ma bensì un decreto, non sono un atto di sovranità ma di magistratura.

Io chiamo dunque repubblica qualunque stato sia retto da leggi, e ciò sotto qualsiasi forma d’amministrazione: imperocchè allora solamente il pubblico interesse governa, e la cosa pubblica è qualche cosa. Ogni governo legittimo è repubblicano1: spiegherò più sotto che cosa sia governo.

Propriamente le leggi non sono altro, che le condizioni della associazione civile. Il popolo, sottomesso alle leggi, debb’esserne l’autore; il regolare le condizioni della società non ispetta ad altri fuorchè a quelli che si associano. Ma come le regoleranno essi? Avverrà ciò di un comune accordo, o per via di una subitanea ispirazione? Il corpo politico ha egli un organo per esprimere i suoi voleri? Chi gli darà il necessario antivedere per formarne gli atti e pubblicarli anticipatamente? O come li pronuneerà egli nel momento del bisogno? Come mai una moltitadine cieca che spesso non sa che si voglia, perchè di rado sa ciò che gli convenga, compirebbe da sè una impresa così grande e sì difficile qual è un sistema di legislazione? Per sè il popolo vuole sempre il bene, ma non sempre di per sè lo vede. La volontà generale è sempre diritta, ma non sempre chiaro è il giudizio che la scorge. Bisogna farle vedere gli oggetti quali sono, talvolta quali debbono apparirle, insegnarle la buona via che cerca, schermirla dalla seduzione delle volontà particolari, metterle vicino agli occhi i luoghi ed i tempi, equilibrare l’attrattiva dei vantaggi presenti e sensibili col pericolo dei mali lontani e nascosti. I particolari vedono il bene e lo rigettano, il pubblico lo vuole ma non lo vede. Tutti hanno ugualmente bisogno di guida. Bisogna obbligare gli uni a rendere le loro volontà conformi alla loro ragione, bisogna insegnare all’altro a conoscere ciò che vuole. Allora dai pubblici lumi nasce l’unione dell’intelletto e della volontà nel corpo sociale, l’esatto concorso delle parti e finalmente la maggior forza del tutto. Quindi sorge la necessità di un legislatore.

Note

  1. Questa parola per me non significa soltanto una aristocrazia od una democrazia, ma in generale ogni governo guidato dalla volontà generale, che è la legge. Il governo perchè sia legittimo non bisogna che si confonda col sovrano, ma ne sia il ministro: allora la stessa monarchia è repubblica. Ciò diventerà chiaro nel libro seguente.

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