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Capitolo Primo.
ORIGINE E FORMAZIONE DEL DIAVOLO.
Tutti conoscono il poetico mito della ribellione e della caduta degli angeli. Questo mito, che inspirò a Dante alcuni tra i più bei versi dell’Inferno, e al Milton un indimenticabile episodio del Paradiso perduto, fu da varii Padri e Dottori della Chiesa variamente foggiato e colorito; ma non ha altro fondamento che la interpretazione di un versetto d’Isaia e di alcuni luoghi, abbastanza oscuri, del Nuovo Testamento. Un altro mito, di carattere molto diverso, ma non meno poetico, accolto da scrittori così ebraici come cristiani, narra di angeli di Dio, che invaghitisi delle figliuole degli uomini, peccarono con esse, e furono in punizione del loro peccato esclusi dal regno dei cieli, e convertiti di angeli in demonii. Questo secondo mito ebbe nei versi del Moore e del Byron consacrazione perpetua. Così l’un mito come l’altro fa dei demonii angeli caduti, e la caduta rannoda a un peccato: superbia o invidia nel primo caso; amor colpevole, nel secondo.
Ma questa è la leggenda, non già la storia di Satana e dei compagni suoi. Le origini di Satana, considerato quale personificazione universa del principio del male, sono meno epiche assai, e in pari tempo assai più remote e profonde. Satana è anteriore, non solo al Dio d’Israello, ma a quanti altri dei, possenti e temuti, lasciarono ricordo di sè nella storia degli uomini; egli non precipitò giù dal cielo, ma balzò fuori dagli abissi dell’anima umana, coevo a quegli oscuri iddii delle antichissime età di cui nemmeno una pietra ricorda i nomi, e a cui gli uomini sopravvissero, dimenticandoli. Coevo ad essi e spesso confuso con essi, Satana comincia embrione, come le cose tutte che vivono, e solo a poco a poco cresce e si fa persona. La legge di evoluzione, che governa gli esseri tutti, governa lui pure. Nessuno, che abbia qualche educazione scientifica, crede oramai che le religioni più rozze sieno nate dalla corruzione e dal disfacimento di una religion più perfetta; ma sa benissimo che le più perfette si sono svelte dalle più rozze, e che in quelle per conseguenza si debbono cercare le origini del tenebroso personaggio che sotto varii nomi rappresenta il male e se ne fa principio. Se quello che si chiama periodo terziario nella storia del nostro pianeta vide già l’uomo, forse il vide tanto simile al bruto da non potersi scernere in lui sentimento religioso propriamente detto. L’uomo quaternario più antico conosce già il fuoco, e sa far uso di armi di pietra; ma abbandona i suoi morti, segno certo che le sue idee religiose, se pur ne ha, sono quanto mai si possa dire scarse e rudimentali. Bisogna giungere a quello che si chiama dai geologi il periodo neolitico per ritrovare le prime tracce sicure di religiosità. Quale si fosse la religione dei nostri antenati in quella età noi non possiamo sapere direttamente, ma possiamo arguirlo, guardando a quella di molte popolazioni selvagge che vivono ancora sopra la terra, e riproducono fedelmente le condizioni della umanità preistorica. Sia che il feticismo preceda l’animismo, sia che questo preceda quello nella evoluzione storica delle religioni, le credenze religiose di quei nostri antenati dovettero essere simili in tutto a quelle che ancora professano i Negri d’Africa, o le Pelli Rosse d’America. La terra, che insieme con le vestigia delle loro abitazioni, con l’armi e gli utensili, ha serbato i loro amuleti, ce ne porge testimonio. Essi immaginarono un mondo ingombro di spiriti, anime delle cose, e anime di morti, e da quelli riconobbero quanto incontrava loro di bene o di male. Il pensiero che alcuni di questi spiriti fossero benefici, altri malefici, alcuni amici, altri nemici, era suggerito dalla esperienza stessa della vita, nella quale profitti e danni si avvicendano costantemente, e si avvicendano in modo che, se non sempre, assai spesso, si riconoscono diverse le cause degli uni e degli altri. Il sole che illumina, il sole che in primavera fa rinverdire e rifiorire la terra, e matura i frutti, doveva essere considerato come una potenza essenzialmente benefica; il turbine, che riempie di tenebre il cielo, schianta le piante, svelle e spazza i mal connessi tugurii, come una potenza essenzialmente malefica. Gli spiriti si raccoglievano in due grandi schiere, secondochè agli uomini pareva di riceverne beneficio o nocumento.
Ma non per questo si costituiva un vero e risoluto dualismo. Gli spiriti benefici non erano ancora nemici dichiarati e irreconciliabili dei malefici, e quelli non erano benefici sempre, nè sempre malefici questi. Il credente non era mai sicuro della disposizione degli spiriti che lo avevano in loro balia; temeva di offendere non meno gli amici che i nemici, e con eguali pratiche si studiava di renderseli favorevoli tutti, non troppo fidandosi di nessuno. Tra buoni e cattivi non era contraddizione morale propriamente detta, ma solo contrasto di opere. Essi non potevano avere un carattere morale che mancava ancora ai loro adoratori, usciti appena dalla condizione dell’animalità, e solo in tanto si possono chiamare buoni e cattivi in quanto par bene all’uomo primitivo tutto ciò che gli giova, male tutto ciò che gli nuoce. I selvaggi adoratori li immaginavano in tutto simili a sè, mutabili, vinti dalla passione, quando benevoli, quando crudeli, e non istimavano i buoni più alti e più degni dei tristi.
Certo, nei tristi appare già un’ombra di Satana, si delinea lo spirito del male, ma del male puramente fisico. Male è ciò che nuoce, e spirito malvagio è quello che vibra la folgore, accende i vulcani, sommerge le terre, semina la fame e la malattia. Esso non giunge ancora a rappresentare il male morale, perchè il discernimento del bene e del male morale non s’è ancor fatto nella mente degli uomini: delle due facce di Satana, il distruggitore e il pervertitore, una sola è ritratta da lui. Esso non ha una propria indegnità, non ha chi gli stia sopra e lo domini.
Ma a poco a poco la coscienza morale si qualifica e si determina, e la religione acquista un carattere etico che prima nè aveva, nè poteva avere. Lo spettacolo stesso della natura, dove forze contrastano a forze, e dove l’una distrugge ciò che l’altra produce, suggerisce l’idea di due opposti principii che reciprocamente si neghino e si combattano; poi l’uomo non tarda ad accorgersi che oltre al bene ed al male fisico c’è un bene ed un male morale, e crede riconoscere in sè quello stesso contrasto che vede e sperimenta in natura. Egli si sente buono o cattivo, si concepisce migliore o peggiore; ma la bontà o reità propria non conosce come sua, come l’espressione della sua natura medesima. Uso ad attribuire a potenze divine e demoniche il bene ed il male fisico, egli attribuirà similmente a potenze divine e demoniche il bene e il male morale. Dallo spirito buono verranno allora, non solamente la luce, la sanità, tutto quanto sostenta ed accresce la vita, ma la santità ancora, intesa quale complesso di tutte le virtù: dallo spirito malvagio verranno, non solamente le tenebre, i morbi, la morte, ma ancora il peccato. Così gli uomini, spartendo con giudizio meramente soggettivo la natura in buona e cattiva, e impastando con quel buono e con quel cattivo fisico il buono e il cattivo morale che loro appartiene, foggiano gli dei e i demonii. La coscienza morale già desta, che naturalmente afferma la superiorità del bene sul male, e vagheggia il trionfo di quello su questo, fa sì che il demonio appaja subordinato al dio, e colpito di una indegnità tanto maggiore quanto più quella coscienza è viva e imperiosa. Il demonio, che in origine si confondeva col dio in un ordine di spiriti neutri, capaci così di bene come di male, se ne distingue a poco a poco e se ne stacca in ultimo del tutto. Egli sarà lo spirito delle tenebre e il suo avversario lo spirito della luce; egli lo spirito dell’odio e il suo avversario lo spirito dell’amore; egli lo spirito della morte e il suo avversario lo spirito della vita. Satana abiterà negli abissi, Dio nel regno dei cieli.
Così, si stabilisce e si determina il dualismo; così il concetto di esso si disviluppa per lento lavorio di secoli dal concetto che gli uomini hanno e della natura e di sè stessi. Se non che quella che ho indicata è la storia per così dire schematica ed ideale del dualismo, non la concreta e reale. Il dualismo si trova, o svolto, od in germe, o espresso o sottinteso, in tutte, o quasi tutte le religioni; ma esso corre per diversi gradi, assume varie forme e variamente si specifica a seconda della diversità delle genti e delle civiltà.
Abbiam veduto che spiriti malefici compajono già nelle religioni più rozze e manco differenziate; ma definiti malamente e come diffusi nelle cose. Nelle religioni più elevate, mano mano che l’organismo di esse si circoscrive e si compie, gli spiriti malefici si mostrano meglio definiti, vanno acquistando attributi e persona. Tra le grandi religioni storiche la religione dell’antico Egitto è quella di cui abbiamo più remota e più sicura notizia. In essa a Ptah, a Ra, ad Ammone, a Osiride, a Iside, ecc., divinità benefiche, largitrici di vita e di prosperità, si contrappongono il serpente Apep, che personifica l’impurità e le tenebre, il formidabile Set, il devastatore, il perturbatore, padre d’inganno e di menzogna. I fenici opposero a Baal e ad Aschera, Moloc e Astarte; in India, il generatore Indra, il conservatore Varuna, ebbero contrari Vritra e gli Asuri, e il dualismo penetrò nella stessa Trimurti; in Persia Ormuz ebbe a contendere con Arimane per la signoria del mondo; in Grecia e in Roma tutto un popolo di genii e di mostri malefici sorse di fronte alle divinità dell’Olimpo, esse stesse non sempre benefiche, e furono Tifone, Medusa, Gerione, Pitone, demonii malvagi d’ogni fatta, lemuri e larve. Il dualismo appare similmente per entro alla mitologia germanica, alla slava, e, in generale, a tutte le mitologie.
In nessun’altra delle antiche e delle nuove religioni il dualismo raggiunse la forma piena e spiccata che raggiunse nel mazdeismo, o religion dei persiani antichi, quale ce la fa conoscere lo Zend-Avesta; ma in tutte esso si lascia scorgere, e in tutte, per qualche parte almeno, si può rannodare ai grandi fenomeni naturali, alla vicenda del giorno e della notte, all’alternare delle stagioni. I concetti varii, le figurazioni, gli avvenimenti in cui esso prende forma e si esplica, ritraggono, non solo dell’indole e della civiltà del popolo che gli dà luogo nel sistema delle proprie credenze, ma ancora del clima, delle condizioni naturali del suolo, delle vicende storiche. L’abitatore di tale regione calda riconosce l’opera dello spirito maligno nel vento del deserto che affoca l’aria e uccide le biade; l’abitatore delle plaghe settentrionali la riconosce nel freddo che assidera la vita intorno a lui e lui stesso minaccia di morte. Dove la terra è scossa da terremoti frequenti, dove vulcani vomitano cenere e lave devastatrici, l’uomo immagina facilmente demonii sotterranei, giganti malvagi sepolti sotto ai monti, spiracoli dell’inferno: dove frequenti procelle turbano il cielo, immagina demonii trasvolanti e urlanti per l’aria. Se un nemico invade, vince e soggioga, il popolo soggiogato non mancherà di trasferire nello spirito malvagio, o negli spiriti malvagi cui crede, i caratteri più odiosi dell’oppressore. Così la religione è il risultamento composto di una moltiplicità di cause, le quali non sempre, certo, si possono rintracciare e additare. I greci non ebbero propriamente un Satana, come non l’ebbero i romani, e può sembrare strano che questi, i quali divinizzarono una quantità di concetti astratti, come la gioventù, la concordia, la pudicizia, non abbiano immaginata una vera divinità e potestà del male, sebbene abbiano immaginato una dea Robigo, una dea Febris ed altre così fatte. Non mancano tuttavia nelle religioni dei greci e dei romani potestà antagonistiche e figure che presentano come un duplice aspetto, e se per poco si approfondisce l’indole dei due popoli, e le condizioni di vita e la storia, si vede che il dualismo presso di loro non avrebbe potuto prendere forma gran che diversa da quella che prese. Si consideri tra l’altro che in Grecia e in Roma non vi fu un libro sacro di morale, un codice teocratico propriamente detto.
Il dualismo assume forma e caratteri speciali nel giudaismo prima, nel cristianesimo poi, e se in altre religioni, se nelle stesse religioni primitive, si può scorgere come una larva di Satana, o come una forma che, rubando il vocabolo alla chimica, porrebbe dirsi allotropa, diversamente qualificata, e alcuna volta ingrandita, il Satana vero, con le qualità e gli attributi che gli son proprii, e ne formano la persona, non appartiene che a quelle due religioni, e, anzi, più particolarmente alla seconda.
Satana tiene ancora assai poco posto nel mosaismo; direi che esso vi tocca soltanto l’adolescenza o la giovinezza, senza poter raggiungere la maturità. Nel Genesi il serpe non è se non il più accorto ed astuto degli animali, e solo in virtù di una tarda interpretazione si tramuta in demonio. L’Antico Testamento tutto intero, non conosce Beelzebub se non come divinità degli idolatri; al quale proposito è da notare che gli ebrei, prima di negar l’esistenza degli dei delle genti, il che s’indussero a fare solamente assai tardi, credettero che quegli fossero dei davvero, ma meno possenti e meno santi di Jeova, loro dio nazionale. In fatti, il primo comandamento del Decalogo non dice già: io sono il Dio tuo, e tu non devi credere vi sieno altri dei fuori di me; ma bensì: Io sono il Dio tuo, e tu non adorerai altri dei fuori di me. Ora è noto che molte volte gli ebrei si lasciarono trascinare ad adorare altri dei che non era il loro. Azazel, lo spirito immondo a cui abbandonavasi nel deserto il capro emissario, carico dei peccati d’Israele, appartiene assai probabilmente a credenze anteriori a Mosè; ma la figura sua manca di perspicuità e di rilievo, e forse altro non è che un pallido riflesso dell’egizio Set, e un ricordo dei tempi della schiavitù sofferta nella terra dei Faraoni.
È opinione comunemente accettata che solo dopo la cattività di Babilonia gli ebrei abbiano avuto circa i demonii concetti chiari e precisi. Trovandosi durante quel tempo, in contatto, se non intimo, almeno continuo, col mazdeismo, gli ebrei ebbero opportunità di conoscerne alcune dottrine e di appropriarsele in parte, e tra queste la dottrina concernente l’origine del male dovette trovar facile accesso negli spiriti loro, preparati e predisposti a riceverla dalle recenti calamità e dalle preoccupazioni di un fosco avvenire. Tale opinione dà luogo a qualche dubbio, e più di una obbiezione le si può fare; ma non è però meno certo che se la nozione, di spiriti malefici, e la credenza nelle opere loro, non mancavano agli ebrei prima dell’esilio, Satana non comincia a rivestir la figura e i caratteri che gli son proprii se non in iscritti posteriori all’esilio stesso. Nel libro di Giobbe, Satana appare tuttavia fra gli angeli in cielo, e non è propriamente un contraddittore di Dio e un perturbatore delle sue opere. Egli dubita della santità e della costanza di Giobbe, e provoca l’esperimento che deve precipitar costui dal sommo della felicità nel più basso fondo della miseria. Non è per anche un fomentator di peccato e un operator di sciagure; ma già egli dubita della santità, e alcuno dei mali che colpiscono il patriarca innocente viene da lui.
A poco a poco Satana cresce e si compie. Zaccaria lo rappresenta quale un nemico e un accusatore del popolo eletto, desideroso di frustrar questo della grazia divina. Nel Libro della Sapienza, Satana è un perturbatore e un corruttore dell’opera divina, colui che instigò per invidia i primi parenti al peccato, e per invidia introdusse la morte nel mondo. Egli è il veleno che guasta e contamina la creazione. Ma nel Libro di Enoc, e propriamente nella parte più antica di esso, i demonii altro non sono che angeli innamoratisi delle figlie degli uomini, e impigliatisi per tal modo nei lacci della materia e del senso, quasi che si voglia con sì fatta finzione evitar di ammettere un ordine di enti originariamente diabolici; mentre in altra parte, più recente, dello stesso libro, i demonii sono i giganti nati da quegli amori.
Nelle dottrine dei rabbini Satana acquista sembianze e caratteri nuovi, ma nell’Antico Testamento la sua figura spicca ancora assai poco, e può dirsi evanescente confrontata con quella che egli ebbe di poi. Le ragioni di ciò possono essere parecchie: tuttavia la principale è da rintracciare senza dubbio nell’indole stessa del monoteismo giudaico, il quale è così fatto che assai difficilmente può dar luogo a una concezione dualistica un po’ risoluta. Jeova è un dio assoluto, un signore despotico, estremamente geloso della potenza e dell’autorità propria. Egli non può soffrire che gli si levino a fronte esseri, sia pure di lui meno possenti, ma che si arroghino di contrastargli, si atteggino ad avversarii suoi, osino attraversare l’opera sua. Il voler suo è unica legge, la quale governa il mondo, e ha obbedienti sotto di sè le potestà tutte, meno forse quelle divinità delle genti di cui non si nega l’esistenza, ma che non entrano come elementi vivi nell’organismo della religione di Jeova. Perciò nel Libro di Giobbe Satana apparisce più che altro come un ministro di Dio, un provocatore di giudizii e di esperimenti divini. Ma c’è di più. Basta por mente alquanto all’indole di Jeova per avvedersi subito che dove è un tal dio, un demonio non ha più troppa ragion di essere. In Jeova le contrarie potenze, gli opposti elementi morali che, distinti e separati, danno luogo al dualismo, sono ancora come confusi insieme, il che certamente non dà un alto concetto della morale degli ebrei primitivi. Jeova è geloso, feroce, inesorabile; le pene che egli infligge son fuori d’ogni proporzione con le colpe commesse, le sue vendette sono spaventose e bestiali, colpiscono senza discernimento rei ed innocenti, uomini e bruti. Egli tormenta i suoi devoti con prescrizioni assurde che li fan vivere in un perpetuo terror di peccato, e impone loro di passare a fil di spada le popolazioni delle città espugnate. Egli dice per bocca di Isaia: “Io formo la luce, e creo le tenebre, faccio la pace, e produco il male: io sono il Signore che faccio tutte queste cose.„ In lui dio e Satana sono ancora congiunti: la separazione che lentamente si va facendo di essi, e l’antagonismo risoluto cui mette capo, sono sintomi di un più squisito senso morale, e segni dell’approssimarsi del cristianesimo.
Satana è già in parte formato, ma non raggiunge la pienezza dell’esser suo se non nel cristianesimo, nella religione che dice di voler compiere il giudaismo, ond’è uscito, e che per tanta parte lo nega. Qui noi ci troviamo dinanzi un intreccio e un viluppo di cause morali e di cause storiche, le quali han tutte per effetto di rilevar sempre più, colorire, ingrandire la sinistra figura di Satana. Anzi tutto Jeova si trasforma in un dio incomparabilmente più sereno e più benigno, in un dio d’amore, che necessariamente respinge da sè, come elemento non assimilabile, ogni elemento satanico; e quando Cristo sarà ancor egli assunto alla divinità, la mite e radiosa figura del nume che per amor degli uomini si fece uomo, che per essi versò il suo sangue e patì la morte ignominiosa, farà per ragion di contrasto spiccare in modo al tutto nuovo la truce e tenebrosa figura dell’avversario. La tragedia umana, fusa con la tragedia divina, rivelerà le intime ragioni del suo meraviglioso processo, suscitando negli animi nuovi concetti morali, nuove immagini delle cose, nuova pittura del cielo e della terra. Gli è dunque vero che Satana indusse i primi parenti a peccare, e che in virtù della colpa provocata da lui, tolse a Dio l’umana famiglia, ed il mondo in cui questa vive. Quale non deve essere la potenza di lui, la saldezza dell’usurpato dominio, se a riscattare i perduti è forza che lo stesso figliuol di Dio si sacrifichi, si dia in preda a quella morte che per fatto appunto del nemico penetrò nel mondo! Prima che Dio desse mano all’opera della redenzione Satana poteva posare nella sicurezza del possesso; ma ora che la redenzione si compie, anzi è già compiuta, non dovrà egli far l’estremo d’ogni sua possa per contendere al vincitore il frutto della vittoria, e racquistare, almeno in parte, il perduto? Ecco; egli osa di tentare il redentore medesimo, e l’apostolo lo dipinge quale un leone ruggente, in traccia di preda da divorare.
Ma se le condizioni del riscatto, se la qualità di colui che l’aveva a compiere, davano a Satana una grandezza e un valore che non avrebbe avuto altrimenti, la redenzione stessa non toglieva a costui tanta preda quant’egli ne aveva fatta e quanta ancora era per farne, e la vittoria di Cristo non prostrava così la potenza di lui come il desiderio dei riscattati poteva sperare. San Giovanni dice che il mondo aveva ad essere giudicato e discacciato il suo principe; San Paolo afferma che la vittoria di Cristo era stata piena ed intera, e con la sua morte aveva distrutto il re della morte: ma il principe di questo mondo veramente non fu spodestato; ma il re della morte non fu ucciso, anzi seguitò come prima a spargere intorno la morte, non meno l’eterna che la temporale. Cristo frange le porte dell’inferno, irrompe nel regno delle tenebre, spopola l’abisso; ma dietro di lui le porte si risaldano, le tenebre si ricongiungono, l’abisso si ripopola. Strano a dire! mai fra gli uomini fu tanto parlato di Satana, mai Satana fu tanto temuto quanto dopo la vittoria di Cristo, dopo la redenzione compiuta.
Nè ciò avveniva per un semplice error di giudizio, per una contraddizione logica. Il male è con sì fatti caratteri impresso nel libro di nostra vita che non basta una dottrina religiosa, non basta un sogno di fede e di amore a cancellarnelo. Lo spettacolo desolante di un mondo in dissoluzione si offriva da ogni banda agli sguardi dei nuovi credenti: il fior delicato e odoroso della dottrina di Cristo spuntava di mezzo al fimo di Satana. Non era opera dell’eterno prevaricatore quel politeismo variopinto che aveva affascinati e sedotti gli spiriti? Non erano Giove e Minerva, Venere e Marte, e gli dei tutti che popolavano l’Olimpo, incarnazioni di lui, o ministri del suo volere, esecutori de’ suoi disegni? Quella civiltà rigogliosa e gioconda del paganesimo, quelle arti fiorite, quella filosofia temeraria, quelle ricchezze e quegli onori, quegli amori e quegli ozii, e quelle infinite lascivie, non erano trovati suoi, inganni suoi, forme e strumenti della sua tirannide? Non era l’impero di Roma l’impero di Satana? Sì, veramente; Satana era adorato nei templi, celebrato nelle pubbliche feste; Satana sedeva in trono con Cesare, Satana saliva coi trionfatori in Campidoglio. Chi sa quante volte i pii fedeli, raccolti nelle catacombe, udendosi passar sopra il capo il fremito e il mugghio di quella vita, paventarono non fosse la procella diabolica per sommergere in tutto la navicella di Cristo, e fra le braccia stesse della croce si sentirono minacciati e premuti.
Così Satana ingigantiva di tutta la grandezza del mondo pagano raccolta in lui. In ogni parvenza di quella vita che la stringeva tutto allo intorno il cristiano ravvisava una sembianza del forte armato che Cristo era venuto a vincere, e che, vinto, era fatto più audace e più impetuoso di prima. E l’anima sua si riempiva di costernazione e di terrore; giacchè come guardarsi dalle insidie, come difendersi dagli assalti di un nemico più velenoso dell’Idra, più moltiforme di Proteo? Tertulliano ammonirà, ed altri ammoniranno, di non frequentare pagani, di non partecipare alle feste e ai giuochi loro, di non esercitar professione alcuna che possa, direttamente o indirettamente, servire al culto degli idoli; ma come osservare tale divieto e vivere? o come, osservatolo, assicurarsi di serbar puro il cuore, se la terra che si calca, se l’aria che si respira è fatta d’impurità e di peccato?
E Satana non si contenta del lenocinio e della insidia; con altre armi ancora egli tenta di riconquistare il perduto. Egli assalta d’ogni parte la Chiesa appena fondata, e come un ariete dal capo di bronzo, ne percote giorno e notte e ne sfalda le mura. Suscita le persecuzioni spaventose, e la nuova fede cerca di annegare nel terrore e nel sangue. Promuove le grandi eresie e sbranca innumerevoli agnelle dal gregge di Cristo. Tristi tempi, vita piena di periglio e di dolore! No, il regno di Cristo non è giunto ancora; ma gli spiriti contristati cui dà le sue ali la fede, credono di scorgerne da lungi, nei sogni apocalittici, i rutilanti bagliori, e annunciano la seconda venuta del redentore, e la finale sconfitta dell’antico serpente.
Sogni vani, deluse speranze! Il redentore non viene, e l’antico serpente, fatto più velenoso che mai, moltiplica le sue spire, avvolge più sempre il mondo. Una prova tra l’altre se ne può avere dalla dottrina di alcune sètte che travagliarono la Chiesa, più particolarmente nei primi tre secoli, e che tutte s’industriarono d’introdurre nel cristianesimo un dualismo poco diverso da quel dei persiani. Quelle dottrine formano nel loro complesso ciò che si chiama lo gnosticismo, e le più eccessive hanno per comune tendenza di attribuire a Satana assai più importanza che non avesse innanzi, di considerar Satana quale creatore della natura corporea, di far del male un principio originario e indipendente, non sorto da defezione o scadimento, ma coeterno al bene e in lotta con esso. Per tal modo cresceva la potenza di Satana, e l’opera della redenzione si faceva più difficile, la salute più incerta. Clemente Alessandrino e Origene avevano sostenuto che tutte le creature tornerebbero a Dio, loro comune principio; ma Sant’Agostino pensò che Dio salverebbe solo alcuni eletti, e che la massima parte del genere umano sarebbe preda del diavolo.
Non è punto agevole, nel cozzo delle opposte dottrine e nella contrarietà degli influssi, traverso le speculazioni della filosofia, specie neoplatonica e cabalistica, le brillanti fantasie della gnosi, il dogma ortodosso ancor vacillante, farsi un chiaro ed esatto concetto delle variazioni e degli accrescimenti di Satana nei primi secoli della Chiesa. Chi sa a quale sincretismo strano e mostruoso fosse giunta la religione di Roma, facilmente immagina che da quell’indefinibile miscuglio di credenze assurde e di pratiche pazze Satana dovesse derivare più d’uno degli elementi della sua rinnovata persona. Veramente il Satana cristiano esce dallo scontro, dal mutuo penetrarsi di svariate civiltà, di filosofie repugnanti, di religioni nemiche, e quando la Chiesa trionfa, quando il dogma è fermato, egli stende sul mondo uno spaventoso dominio.
La insanabile corruzione pagana dà nuovo rilievo all’idea del male e fa giganteggiare colui che personifica quell’idea. I cristiani credevano il mondo pagano fattura di Satana; invece gli è il mondo pagano che foggia in gran parte Satana nella fantasia dei cristiani. Senza l’impero di Roma Satana sarebbe riuscito molto diverso da quello che egli è, o fu. Tutto il turpe e tutto il diabolico diffuso per entro la civiltà pagana, si raccoglie in lui, si condensa in lui; egli diventa il natural richiamo di quanto appar peccato alla timorata e ritrosa coscienza cristiana, cioè una varietà infinita di pensieri, di costumanze, di opere. I numi che avevano avuto altari e templi non muojono, non dileguano, ma si trasformano in demonii, perdendo alcuni l’antica formosità seduttrice, serbando tutti la pravità antica, accrescendola. Giove, Giunone, Diana, Apollo, Mercurio, Nettuno, Vulcano, Cerbero, e fauni e satiri, sopravvivono al culto che loro era reso, ricompajono fra le tenebre dell’inferno cristiano, ingombrano di strani terrori le menti, provocano fantasie e leggende paurose. Diana, mutata in demonio meridiano, invaderà i disaccorti troppo obbliosi di lor salute, e la notte, pei silenzii dei cieli stellati, si trarrà dietro a volo le squadre delle maliarde, instruite da lei. Venere sempre accesa d’amore, non meno bella demonio che dea, userà negli uomini l’arti antiche, inspirerà ardori inestinguibili, usurperà il letto alle spose, si trarrà fra le braccia, sotterra, il cavaliere Tanhäuser, ebbro di desiderio, non più curante di Cristo, avido di dannazione. Un pontefice, Giovanni XII, reo, diranno i suoi accusatori, di aver bevuto alla salute del diavolo, invocherà, giocando a dadi, l’ajuto di Giove, di Venere e degli altri demonii. Satana sarà spesso rappresentato in figura di fauno, di satiro, di sirena.
Quando la Chiesa trionfa, la storia di Satana par cognita in ogni sua parte, e piena la figura di lui. Si conoscono, cioè si crede di conoscere, le sue origini, le prime e le posteriori vicende, i procedimenti e le opere. I Padri l’hanno narrato e descritto. Satana fu creato buono, e si fece perverso; cadde per suo peccato, trascinando nella ruina un innumerevole popolo di seguaci. Si dirà più tardi che la decima parte della milizia celeste fu precipitata quaggiù, sommersa negli abissi, e s’immaginerà una schiera di angeli neutrali, non ribelli a Dio, non avversi a Satana, spettatori della pugna combattuta fra quello e questo; angeli, che san Brandano incontrerà nel corso delle sue avventurose peregrinazioni; che Parzival udirà ricordare laggiù nell’ultimo Oriente, dove si custodisce la santa reliquia del Graal; che Dante porrà nel vestibolo dell’inferno insieme con gli sciagurati vigliacchi che mai non fûr vivi.
Ma Satana non ha ancora finito di crescere, la sua persona non è per anche perfetta; lunga è la storia di lui, e quando un’era ne è chiusa, un’altra incomincia. Gli asceti, che avevano creduto fuggirlo fuggendo il mondo, e nel deserto l’avevano ritrovato, più maligno e più possente che mai, e avevano sperimentate le sue innumerevoli insidie, sostenuti gli insulti feroci, non lo conoscevano ancora sotto tutti i suoi aspetti.
Alle antiche calamità altre successero; a una età di corruzione profonda tenne dietro una età di dissoluzione violenta, che parve schiantare dai cardini il mondo. Giù dal settentrione caliginoso, i barbari irrompono come un mare che abbia travolte le dighe, e l’impero di Roma al loro urto si sfascia con fragorosa rovina. La rea e maledetta civiltà pagana si spegne, ma per dar luogo a una tenebra disperata di barbarie, per entro a cui non è possibile scorgere lume di salvezza. Par che il regno umano sia per finire, sia invece per cominciare sulla terra un regno ferino. L’immane sciagura, quale da Salviano fu narrata con eloquenza focosa, fece dubitar della provvidenza; e offrendo spettacolo di mali incogniti prima, innumerevoli, incommensurabili, diede, com’era naturale, nuovo rilievo alla figura di colui che è di tutti i mali principio e promotore. Satana cresceva dell’opera dei barbari, ma in pari tempo cresceva di molte loro credenze, attirando a sè quanto, e non era poco, nella loro religione, trovava conforme e omogeneo al suo essere. A contatto con la vita greca e romana, egli, in una certa misura, si grecizzò e romanizzò; a contatto con la barbarie settentrionale si germanizzò. Numerose figure della mitologia germanica, il dio Loki, il lupo Fenris, ed elfi, e silfi, e gnomi, si trasfondono in lui, e gli conferiscono nuovi aspetti, nuovi caratteri e nuove movenze. Così Satana si costruisce e si forma, quando con accrescimenti rapidi, quando con lenti, in virtù di stratificazioni successive, d’infiltrazioni continue, variando senza posa, passando pei gradi di una evoluzione faticosa e lunga. Semplice potenza elementare in origine, egli acquista a poco a poco il carattere morale che gli appartiene, e quando lo si guarda cresciuto, quando si scruta dentro il suo essere, si rimane stupiti e sopraffatti vedendo la sua grandezza, vedendo la moltiplicità e diversità degli elementi che lo compongono. Non solo le forze della natura, non solo gli dei di varie mitologie diventano Satana, ma gli uomini ancora. In poemi e leggende del medio evo Pilato, Nerone, Maometto, si convertono in diavoli.
Satana tocca il sommo grado di esplicazione e di potenza nel medio evo, nella torbida e travagliosa età in cui più vigoreggia il cristianesimo. Egli perviene a maturità insieme con le istituzioni varie e con le forme proprie di quella vita; e quando l’arte gotica fiorisce nei templi cuspidati, anche il mito di lui fiorisce, tetro e meraviglioso, nella coscienza delle genti cristiane. Chiuso il secolo XIII, egli declina e disviene, come declinano e disvengono il papato, la scolastica, lo spirito feudale, lo spirito ascetico. Satana è figlio della tristezza. In una religione come la greca, tutta serena, tutta irradiata di luce e di colore, egli non avrebbe potuto metter persona; a farlo crescere e prosperare son necessarie le ombre, son necessarii i misteri di peccato e di dolore, che, simili a un velo funereo, avvolgono la religione del Golgota. Satana è figlio del terrore, e il medio evo è l’età del terrore. Presi d’invincibil ribrezzo, gli animi temono la natura gravida di portenti e di mostri, il mondo corporeo opposto al mondo dello spirito e suo irreconciliabile nemico; temono la vita, perpetuo fomite e periglio di peccato; temono la morte, dietro a cui si spalanca dubbiosa l’eternità. Sogni e farnetichi turbano le menti. L’eremita estatico, da lunghe ore ginocchioni in preghiera dinanzi all’uscio della sua cella, vede trasvolar per l’aria eserciti spaventosi, tregende di mostri apocalittici: le notti si illuminano di segni fiammeggianti, gli astri si sfigurano e si bagnan di sangue, tristi presagi di sciagure imminenti. In occasione di morbi che falciano gli uomini come spiche mature si vedono saette, vibrate da mani invisibili, fendere l’aria, sparir sibilando: e ogni po’ corre traverso la cristianità esterrefatta come un brivido di finimondo, e la sinistra novella che l’Anticristo è già nato, e sta per cominciare il formidabile dramma annunziato dall’Apocalisse.
Satana cresce nella mestizia e nell’ombra delle cattedrali spaziose, dietro i massicci pilastri, nei recessi del coro; Satana cresce nel silenzio dei chiostri, invasi dallo stupor della morte; Satana cresce nel castello merlato, dove un occulto rimorso rode l’anima al torvo barone; nella cella recondita dove l’alchimista tenta i metalli; nel bosco solitario, dove il mago, la notte, ordisce le sue malie; nel solco, dove il servo affamato getta imprecando il seme che dovrà nutrire il signore. Satana è in ogni luogo: infiniti l’hanno veduto, infiniti hanno favellato con lui.
La credenza era ben radicata, e la Chiesa non mancò di darle favore, di accrescerle forza. La Chiesa si giovò di Satana, fece di lui uno strumento efficacissimo di politica, e quanto più potè gli crebbe credito, giacchè ciò che gli uomini non facevano per amor di Dio, o per ispirito d’obbedienza, facevano per paura del diavolo. Satana fu offerto sotto tutti gli aspetti, dipinto e scolpito, alla sgomenta contemplazion dei devoti; Satana venne in coda a ogni frase di predicatore, a ogni ammonizione di confessore; Satana diventò l’eroe di una leggenda senza fine, che ebbe riscontri ed esempii per tutti i casi della vita, per ogni azione, per ogni pensiero. Non poche Visioni del medio evo mostrano quale applicazione si sapesse fare del diavolo alla politica in genere: certo alla politica ecclesiastica il diavolo servì assai più della inquisizione e dei roghi, sebbene e quella e questi l’abbiano servita abbastanza. Sino dall’anno 811 Carlo Magno accusava in un suo capitolare i chierici di abusar del diavolo e dell’inferno per truffar denari e carpir possessioni.
Se grande era la paura che si aveva di Satana, l’odio che si nutriva contro di lui non era punto minore. Tale odio non era certo ingiustificato, giacchè odiando lui si odiava l’autor di ogni male, e quanto più si amava Cristo tanto più si doveva odiare il suo nemico. Ma anche in questo caso la paura e l’odio produssero gli effetti consueti, stravaganza di opinioni, ed esagerazon di giudizii. La figura di Satana ebbe a risentirne le conseguenze, e l’eccesso avvertito da alcuno di mente più temperata, diede origine al proverbio che dice: Il diavolo non è poi così brutto come si dipinge.