< Il diavolo
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Capitolo 2 Capitolo 4

Capitolo III.


NUMERO, SEDI,

QUALITÀ, ORDINI, GERARCHIA, SCIENZA

E POTENZA DEI DIAVOLI.


Parlar del diavolo, come se il diavolo fosse uno solo, non è esatto: i diavoli erano molti, e quando si dice diavolo, al singolare, s’ha a intendere il principe loro, oppure s’ha a intendere la diabolica razza tutta intera, collettivamente presa, e rappresentata dall’individuo.

I diavoli, non solo erano molti, ma erano innumerevoli. Si ammetteva generalmente dai teologi che degli angeli la decima parte si fosse ribellata a Dio; ma ci fu chi non si contentò di una supputazione così vaga, e sottopose il popolo infernale a regolare censimento. Un teologo più diligente degli altri, approfondito l’esame della cosa, trovò che i diavoli dovevano essere non meno di 10,000 bilioni.

Per tanta gente ci voleva del posto, e perciò le sedi dei diavoli erano due, la sfera dell’aria, e l’inferno; quella perchè avessero agio di tentare e tormentare i vivi, questa per punizione lor propria, e perchè dessero ai morti il meritato castigo. La sede aerea era loro concessa solo fino al dì del giudizio: pronunziata la finale sentenza essi dolevano tutti stiparsi in inferno per non uscirne piú mai.

I diavoli non erano tutti di una qualità e di una condizione. C’erano diavoli acquatici, che si chiamavano Nettuni; ce n’erano di quelli che abitavano nelle spelonche e nelle selve, ed erano detti Dusii; c’erano gl’Incubi, i Succubi, ecc. Inoltre non tutti avevano le stesse attitudini: questo riusciva meglio a far la tal cosa; quello riusciva meglio a far la tal altra. Di qui la divisione del lavoro e la necessità di un certo ordinamento sociale. Parve a taluno che fra i demonii, i quali appunto personificano il disordine e la confusione, un ordinamento così fatto non ci dovesse, nè ci potesse essere; ma tale non è la opinione di san Tommaso e dei teologi più accreditati, i quali vogliono ci sia una gerarchia fra i diavoli, come c’è una gerarchia fra gli angeli rimasti fedeli. Anzi la gerarchia dei diavoli parrebbe più salda e più intera che non quella degli angeli, perchè, mentre quelli hanno un capo che sta sopra tutti, ed a tutti comanda, questi non l’hanno, o l’hanno solamente in Dio, che è monarca universale e non loro soltanto. Principe e monarca dei diavoli è Beelzebub, secondo si afferma negli Evangeli di Matteo e di Luca, e si tiene dai teologi in generale; ma bisogna dire che qualche incertezza regna a tale riguardo. Alcuna volta comparisce capo Satana, alcun’altra Lucifero, e Dante, forse per tòrsi d’impaccio, fa di Satana, di Lucifero, di Beelzebub un solo e medesimo diavolo, contrariamente alla opinione di altri, che ne fanno tre diavoli distinti e non eguali in potenza fra loro.

Di ordini diabolici si parla già nel così detto Libro di Enoc, anteriore al cristianesimo, e se ne parla poi nel Nuovo Testamento. San Tommaso fa espressa menzione di diavoli superiori ed inferiori e di ordini gerarchicamente costituiti, senza entrare per altro in troppi particolari. Ma un tale riserbo, se poteva convenire ai teologi in genere, non conveniva ai demonografi in ispecie, e a quanti attendevano a studio o a pratica di magia. A tutti costoro importava di conoscere esattamente la gerarchia diabolica, e insieme la condizione e le operazioni di ciascun ordine in essa compresa, anzi, quando fosse possibile, di ciascun singolo demonio. Del resto il principio dell’ordinamento non fu da tutti inteso ad un modo, e se alcuni Padri pensarono che gli ordini si distinguessero secondo le varie specie di peccati che i demonii promuovono, altri credettero si distinguessero secondo il grado della potenza e la qualità dell’azione.

Dante chiama Lucifero imperatore del doloroso regno: per lui l’universo si spartisce simmetricamente in tre grandi monarchie, la celeste in alto, l’infernale in basso, l’umana tra le due, nel mezzo. Ma questo concetto di un regno satanico non è un concetto proprio di Dante, e neanche del medio evo, sebbene nel medio evo acquisti il massimo di pienezza e di precisione. Esso già si trova negli Evangeli e negli scritti di alcuni Padri, e di qui venne l’uso di attribuire a Lucifero, quali insegne della sua potestà, scettro, corona e spada. In più di una leggenda ascetica Satana appare seduto in un trono eccelso, cinto di regia pompa, accompagnato da grande stuolo di ministri e di seguaci. E si andò tant’oltre in questa fantasia da immaginare a dirittura una corte satanica, simile in tutto alle corti dei gran principi della terra. Nel libro magico di Giovanni Fausto, di quel Fausto la cui formidabile istoria diede argomento al capolavoro del Goethe, si legge che re dell’inferno è Lucifero, che Belial è vicerè, che Satana, Beelzebub, Astarotte e Plutone sono governatori, che Mefistofele con altri sei sono principi, e che nella corte di Lucifero si trovano cinque ministri, un segretario e dodici spiriti familiari. In altri libri magici e demonologici è fatto ricordo di duchi, di marchesi, di conti infernali, e di ciascuno è detto appuntino quante legioni di diavoli abbia sotto i suoi ordini.

Legioni e capi formano un esercito. I demonii sono di lor natura spiriti militanti, e la milizia loro si contrappone alla milizia del cielo. Qual meraviglia che una tal milizia s’immagini simile in tutto alle milizie terrestri? Nella leggenda della beata Maria di Antiochia si vede, di nottetempo, passar sopra un carro il re dei demonii, circondato e seguito da innumerevole esercito di cavalieri. Pietro il Venerabile (m. 1156) narra di una immensa turba di guerrieri diabolici, armati di tutto punto, che passò una notte attraverso un bosco. E quante volte non si videro le legioni armate trasvolar come nembi per l’aria?

Se l’inferno era un regno, e se Satana aveva, come re, la sua corte, non parrà strano che in tal corte si tenessero consigli e si esaminassero questioni, si pronunziassero giudizii e sentenze, nè che, di tanto in tanto, Satana, desideroso di svago, movesse con parte de’ suoi seguaci a qualche caccia furibonda traverso le foreste della terra, sbarbando nel corso gli alberi secolari, e spargendo all’intorno il terrore e la morte. Con meno impeto, ma non sempre con minor danno, cacciavano in quei tempi i principi d’ossa e di polpe. Come re, Satana pretendeva l’omaggio di chi si dava a lui.

Circa il sapere dei demonii i teologi non vanno troppo d’accordo, sebbene si ammetta da tutti che l’intelletto loro siasi ottenebrato dopo la caduta, di maniera che, se vince ancora, e di molto, l’umano, è di gran lunga inferiore all’angelico. Conoscono le cose passate e le presenti, anche più occulte; ma le presenti Dio può sempre, quando il voglia, celarle loro. Alcuni Padri asserirono che Satana ignorò molte cose attinenti a Cristo e al mistero della sua incarnazione, o, a dirittura, che non riconobbe in Cristo il dio fatto uomo. Tale ignoranza gli costò cara, perchè, procacciando egli la ingiusta morte di lui, diè luogo all’opera della redenzione e compiè la propria rovina. In fatti nell’Evangelo di Matteo, Satana dice a Cristo: “Se sei figliuolo di Dio fa che queste pietre si convertano in pani;„ parole che mostrano come egli non abbia sicura contezza di colui che tenta.

I demonii conoscono tutti i secreti della natura; ma conoscono essi egualmente quelli dell’animo umano? Possono essi penetrare nell’intimo della coscienza, spiare i pensieri e gli affetti nostri? Anche su ciò le opinioni sono divise. Parve a taluno che se tale facoltà fosse loro concessa, l’uomo sarebbe tutto in loro balía e senza possibile difesa contro le suggestioni e le tentazioni. E in vero, fate che io abbia cognizione piena e sicura dell’animo di un uomo, e quell’uomo, per poco che l’ingegno mi ajuti, io potrò governarlo a mio modo. Perciò molti affermarono che i demonii non possono veder l’animo umano, ma solo da segni esteriori argomentano quanto in esso si muove, facendo così, con accorgimento incomparabilmente maggiore, ciò che anche l’uomo può fare. Altri invece pensarono che i demonii leggessero nell’animo nostro come in un libro aperto, e di questa opinione è il principe dei teologi, san Tommaso d’Aquino. Qualcuno prese la via di mezzo.

Così Onorio Augustodunense (m. dopo il 1130) pretende che i demonii conoscano le male cogitazioni degli uomini, ma non già le buone. Fatto sta che più di un povero esorcista, mentre si affaticava a cacciare il diavolo fuori del corpo di un indemoniato, ebbe la mortificazione di sentirsi recitare coram populo dal maledetto la lista de’ peccati suoi più secreti, compresi quelli di pensiero.

Sanno i diavoli il futuro? Altra ingarbugliata questione. I più dei teologi dissero che no, e con ragione, sembra; giacchè, se sanno il futuro, come sanno il presente e il passato, in che mai la scienza loro è diversa dalla scienza di Dio? E come può Dio patire che i diavoli conoscano anticipatamente quant’egli sarà per fare nei secoli dei secoli? Una tal cognizione non dovevano essi avere nemmeno prima della loro cacciata dai cieli, perchè se l’avessero avuta, sapendo come la cosa doveva andare a finire, non si sarebbero ribellati. In fatti si dice che gli angeli buoni non hanno neppur essi cognizione diretta del futuro, ma in tanto riconoscono in quanto lo leggono nella mente di Dio, e in quanto Dio concede loro sì fatta lettura. Anche in ciò del resto si trova modo di conciliare le opposte ragioni. Origene voleva che i demonii argomentassero il futuro dagli aspetti e dai movimenti degli astri, opinione non troppo conciliabile, parmi, con quella di Lattanzio, che dell’astrologia faceva appunto una invenzion dei demonii. Sant’Agostino credeva che i diavoli non conoscessero per vision diretta il futuro, ma in grazia della facoltà ch’essi hanno di tramutarsi da luogo a luogo con più che fulminea velocità, e in grazia ancora dell’acume dei loro sensi e del loro intelletto, potessero argomentarlo, immaginarlo, indovinarlo. San Bonaventura afferma che non conoscono le cose future contingenti, ma bensì quelle che obbediscono a leggi certe, avendo essi pienissima notizia del corso della natura.

I diavoli avevano a mente dunque tutte le scienze, e gli è probabilmente per ciò che la Chiesa non mancò mai, ogniqualvolta un uomo di scienza fece manifesta a’ suoi simili qualche gran verità, di gridare: Dálli al diavolo! e di bruciarlo vivo potendo. Tuttavia Dante nega che i demonii possano filosofare, perocchè amore è in loro del tutto spento, e a filosofare... è necessario amore. Ciò non toglie che lo stesso Dante faccia argomentare in assai buona forma il diavolo che se ne porta l’anima di Guido da Montefeltro, indebitamente assolto da papa Bonifacio VIII, e gli permetta di chiamarsi da sè stesso un loico, non altrimenti che se fosse un dottor di Sorbona. Dicesi (e il famoso Giovanni Bodin lo scrive nella sua Demonomachia) che il celeberrimo Ermolao Barbaro, patriarca di Aquileja (m. 1493), evocò una volta un diavolo per sapere da lui che cosa Aristotile avesse inteso di dire con la sua entelechia. Ad ogni modo, se ignaro della buona filosofia, il demonio doveva essere assai versato nella sofistica, anzi maestro d’essa; al quale proposito va ricordata la spaventevole storia di quello scolare di Parigi, che morto, e, andato a perdizione, apparve all’esterrefatto maestro con indosso una cappa ricamata di sofismi, storia narrata dal buon Passavanti ad ammonimento ed a confusione di quanti non fanno buon uso del sillogismo.

Ma se i demonii non avevano a sapere di filosofia, parrà strano a taluno ch’ei potessero saper di teologia, e avere a mente le Scritture, e disputar dei misteri con quella stessa chiarezza e precision di concetti che si ammira nei teologi di professione. E pure è così. Infinite volte, per bocca degli indemoniati del cui corpo s’erano fatti padroni, essi citarono luoghi dell’Antico e del Nuovo Testamento, recarono in mezzo opinioni e sentenze di Padri e di Dottori della Chiesa, proposero quesiti imbarazzanti, con non piccola vergogna di chi standoli a udire, o pretendendo di scongiurarli, si avvedeva di saperne assai meno di loro. In una delle Visioni di San Furseo, i demonii disputano assai dottamente con gli angeli di peccati e di penitenza, citano le Scritture, e non si mostrano men buoni dialettici che teologi amplissimi. Altri esempii simili non mancano: si sa che il diavolo disputava assai acremente di teologia con Lutero.

Del resto non bisogna credere che tutti i diavoli avessero lo stesso sapere e fossero tutti d’una levatura. C’erano anche tra loro i più e i meno dotti, come c’erano i più e i meno avveduti. A suo luogo c’imbatteremo nel diavolo sciocco ed ignorante, concetto non così irragionevole come parrebbe a prima giunta. Se a un diavolo un certo sapere riusciva più gradito di un altro poteva, sembra, approfondirsi in quello. Cesario narra di un diavolo consigliere, per nome Oliviero, il quale era assai buon causidico. Altri diavoli si dilettavano più delle cose naturali, e questi ajutavano a cuocer filtri, a trasmutar metalli e a compier altre così fatte bisogne.


Chi dice scienza dice potenza, e però non deve far meraviglia che i diavoli potessero grandi cose. Certo, anche la loro potenza aveva dei limiti; ma dov’eran essi? difficile il dirlo con esattezza. Matteo chiama Satana uno spirito potente, e, in verità, non a torto. La sua potenza non è paragonabile alla onnipotenza di Dio, ma è pur grande e formidabile. Ribelle, è vinto, e la vittoria non gli sorriderà più mai; ma tuttochè vinto, risorge e si vendica. Egli penetra nella felice dimora dei primi parenti e v’introduce il peccato; turba l’armonia dell’opera divina e v’introduce la morte. Egli attossica il mondo e lo fa apostatare da Dio; egli diventa il signore e l’arbitro di questo mondo pervertito, princeps hujus sæculi. Si dice, è vero, che egli tanto solo può quanto Dio gli permette; ma bisogna riconoscere che molto Dio gli permette, e che quanto egli opera, opera in virtù di una forza che è in lui, che è connaturata con lui. Quanto è di male al mondo viene in principio da lui e l’eccesso del male fa ingigantire il concetto della sua potenza. E questa sua potenza, l’opera della redenzione che doveva fiaccarla, non l’ha fiaccata. Si narra che il diavolo apparve una volta a sant’Antonio e gli disse essere ingiuste le maledizioni che senza fine gli uomini scagliavano contro di lui, poichè, regnando Cristo, egli non poteva più nulla. Ma il diavolo che così diceva mentiva. Col paganesimo cessava forse il suo pieno dominio sopra la terra, non cessava già la potenza. Cristo l’ha vinto, ma non l’ha disarmato, ed egli rappicca incontanente la zuffa, e corre novamente la terra per sua, disputando anima per anima al vittorioso avversario questa misera umanità. Egli popola di schiavi il suo regno, e passati più e più secoli dalla morte del redentore chi mai, guardando questo povero e tribolato mondo direbbe di trovarsi in un mondo redento?

La potenza dei demonii è grande, così sulle cose della natura, come su quelle della umanità, e l’esercizio di tale potenza è loro agevolato facoltà portentose. Essi possono, in un baleno, volare da un termine del mondo all’altro, profondarsi nell’acqua e nella terra, compenetrar gli elementi.

La natura corporea è ad essi in particolar modo soggetta. Non si dimentichi che parecchie sètte di eretici considerarono la materia quale fattura di Satana, e che come più, nell’idea religiosa, si faceva vivo il contrasto fra materia e spirito, e la materia veniva in concetto di vile o di corrotta, più le fantasie dovevano inchinare a vedere nella natura il gran laboratorio, il regno proprio di Satana. Le ragioni per cui pajono sì rari e sì esigui nel medio evo i segni di quel particolare sentimento che noi chiamiamo ora sentimento della natura, sono certamente parecchie; ma non può mancare fra esse il sospetto e il terrore che della natura si aveva come di cosa, se non prodotta da Satana, almeno contaminata da lui. Il peccato che corruppe i primi parenti pervertì, nel tempo medesimo, la natura, e se l’umanità fu redenta da Cristo, la natura non fu redenta.

Il fuoco, che ebbe in India antichissimi adoratori, e che il mito ellenico immaginò rubato a Giove dall’audacia di Prometeo, il fuoco è il proprio elemento dei demonii. Ma noi abbiam veduto che i demonii hanno una delle lor sedi nell’aria; perciò ragion vuole che anche sull’aria essi esercitino il loro formidabile dominio. I teologi sono generalmente concordi nell’ammettere che essi possono a lor piacimento (salvo sempre il voler divino) suscitar venti impetuosi, addensar le nubi, vibrar le folgori, rovesciar sulla terra a torrenti le acque del cielo. L’urlo della bufera è fatto di grida di demonii inviperiti. San Tommaso dice, gli è vero, che tali sconvolgimenti son da essi prodotti soltanto artificialiter, e non naturali cursu; ma in pratica viene ad esser lo stesso. Nell’Antipurgatorio Dante fa raccontare a Buonconte da Montefeltro, morto a Campaldino, come il corpo suo, che dopo la battaglia non si trovò, fosse travolto dalle acque di una ruinosa procella suscitata dal diavolo. Ai demonii fu attribuita facoltà di provocare tutti in genere i fenomeni atmosferici, e Tommaso Cantipratense credeva opera loro le illusioni della Fata Morgana.

Non minore potestà avevano i demonii sopra la terra, ed è cosa ragionevole se si pensa che nel centro della terra appunto si poneva l’inferno. I terremoti erano, o potevano essere, opera loro, e così ancora le eruzioni vulcaniche, e i vulcani si credeva generalmente fossero bocche e spiragli dell’inferno. Quando un diavolo frettoloso voleva prendere la via più diritta per far ritorno alla sua buja magione, ordinava alla terra di aprirsi, e spariva nella voragine spalancata come in un trabocchetto di teatro.

Ma non tutte le cose in natura erano egualmente soggette alla potestà dei demonii: ce n’erano alcune le quali obbedivano loro interamente, e si facevano, senza contrasto, strumento e ricettacolo della loro malvagia potenza; ce n’erano altre le quali mostravansi loro risolutamente contrarie. La fantasia e la superstizione trovarono in così fatte credenze abbondantissimo pascolo. I demonii prediligevano i luoghi solitarii e spaventosi, i monti dirupati, le foreste dense e tenebrose, le spelonche, i precipizii, e ciò perchè in cotali luoghi la potenza loro era più intera ed irresistibile. Già gli ebrei consideravano il deserto come la propria stanza degli spiriti malefici, e tutti sanno a quali e quante angherie e vessazioni diaboliche soggiacessero nel deserto gli anacoreti. Alcune piante, come per esempio, il noce e la mandragora, si può dire che appartenessero al diavolo, mentre altre, come l’aglio, gli erano del tutto nemiche. Il carbone, la cenere gli conferivano, ma il sale gli toglieva ogni vigore, e lo stesso dicasi di alcune gemme. Gli animali anch’essi non si comportavano con lui tutti ad un modo: il rospo era un suo buon servitore, e il gallo un suo grande avversario.

Ho detto che molto poteva Satana sulle cose della umanità, e a persuadersene basta ricordare che la perdizione del genere umano fu opera sua. Ma anche in ciò bisogna distinguere. La potestà sua sopra l’umana natura, depravata dopo il peccato, era assai grande, ma non isconfinata, non assoluta. C’è l’uomo fisico e c’è l’uomo morale; c’è il corpo e c’è l’anima; e la potenza di Satana non si estendeva sopra entrambi egualmente. Il corpo, altrimenti detto la bestia, è in certo modo un amico, un vassallo di Satana, e ci furono degli eretici i quali dissero chiaro e tondo che esso è fattura di lui e non di Dio. Il corpo, che è la prigione dell’anima, e un perpetuo fomentator di peccati, si piega docilmente ai voleri di chi non tende ad altro che a corromper l’anima. Se tra l’anima e il corpo c’è la discordia che tutti sanno, ne viene di conseguenza che il corpo è il naturale alleato del diavolo. E il diavolo ne profitta. Il diavolo blandisce il corpo e lo fa prosperare affinchè sempre più s’inorgoglisca contro quella meschinella dell’anima, e le cresca addosso; egli ne aguzza gli appetiti, ne inasprisce gli stimoli, ne corrobora le energie, ne moltiplica le sfacciate richieste, tanto che l’anima perde la bussola e si lascia trascinare a rimorchio. Ma può anche tenere il modo contrario. Per far rinnegare all’anima ogni pazienza, per farla invelenire e disperare, Satana può infestare il corpo di morbi, può tribolarlo con mille accidenti, come fece a quel pover’uomo di Giobbe. Le epidemie si credeva da molti fossero opera sua, e così ancora le epizoozie.

L’anima era di solito meno soggetta, ma non però sottratta alla potenza e agli influssi del diavolo. I teologi sono tutti d’accordo nel dire che egli non può far forza alla volontà, che il libero arbitrio non può essere manomesso da lui. Ma se era questa la regola, la regola pativa eccezione. In fatti gl’indemoniati sono interamente in balía di Satana, il quale fa loro dire e fare ciò che a lui piace; e secondo una opinione molta diffusa sin dai primi secoli della Chiesa, erano similmente in potestà di Satana gli scomunicati e tutti coloro che non erano stati riscattati mediante il battesimo. Quanto agli indemoniati la cosa può intendersi agevolmente, perchè il demonio non solo si cacciava nei corpi, ma penetrava ancora le anime. Più difficile a intendere è per contro come avvenisse questa specie di ipostasi o di endosmosi diabolica.

Ma molto poteva il demonio anche sulle anime di coloro che non erano, come gl’indemoniati, in sua potestà; al qual proposito bisogna aver presente che ogni peccato commesso è come una porta aperta al nemico. Il demonio suscita nelle anime pensieri riottosi, immaginazioni scomposte, affetti disordinati, mille larve e cogitazioni di peccato; egli le assalta nel sonno, quando il giudizio è offuscato, quando la volontà è assiderata, e le insidia e le oppugna con visioni e con sogni che si lasciano dietro turbamenti e sollevamenti pericolosi. Le anime stesse dei santi non vanno immuni dal suo influsso; egli soffia sopr’esse e le fa vacillare come fiaccole al vento.

La vita di ogni singolo uomo era per non picciola parte governata da Satana; ma così ancora era quella delle nazioni e della intera umanità. Dato che la storia sia opera della Provvidenza, bisogna concedere che essa è pure opera di Satana; e veduto qual essa fu nel corso dei secoli, è forza riconoscere che la parte di Satana è rilevante e cospicua. E per vero i Padri e i Dottori tutti si danno l’intesa per dire che le false religioni sono inventate da lui, le scienze occulte (e le non occulte?) trovate da lui, le eresie suscitate da lui; egli getta i semi di tutte le discordie, suggerisce le congiure, matura le ribellioni, prepara le carestie, promuove le guerre, mette in trono i malvagi principi, consacra gli antipapi, detta i cattivi libri, e negl’interstizii che lasciano tra loro le maggiori calamità, semina incendii, ruine, naufragi, uccisioni, rapine, scandali e subissamenti. Notisi che egli conosce ed ha in sua potestà tutti i tesori nascosti nelle viscere della terra, ed è espressamente detto che l’Anticristo, suo figliuolo e vicario generale, se ne servirà per farsi, quando sia tempo, signore del mondo. Ora, tutti sanno che l’oro è un nerbo, non soltanto della guerra, ma della storia in genere, ed è probabilmente per torlo di mano al nemico che i papi cercarono sempre di arraffarne quanto più fu loro possibile.

Ma non finisce qui il discorso della potenza di Satana: non ho ancor detto nulla di quella che si potrebbe chiamare la sua abilità tecnica. Il diavolo sa fare tutti i mestieri; ma naturalmente, sdegna gli umili, e solo in cose grandi si piace di misurare la sua forza e la sua destrezza. Egli ha una passione, quella delle fabbriche. La vecchia Europa è piena di ponti, di torri, di muraglie, di acquedotti, di edifizii d’ogni maniera costruiti da lui. La famosa muraglia eretta per ordine di Adriano tra l’Inghilterra e la Scozia fu creduta opera sua, e lo stesso fu creduto di altre muraglie e difese. Il ponte di Schellenen in Isvizzera, il ponte sul Danubio a Regensburg, il ponte sul Rodano ad Avignone, e cent’altri, si credettero fabbricati da lui, e molti portano ancora il suo nome e si chiamano ponti del diavolo. In tempi di barbarie e di povertà le ingenti costruzioni romane, comprese le strade, parvero eccedere la potenza degli uomini, e facilmente furono attribuite all’artefice maledetto. Più strano parrà che il diavolo con le proprie sue mani si mettesse a fabbricar chiese e conventi; ma egli poteva ciò fare, o per suoi fini occulti, o sforzato da potestà superiore. Le piante e gli altri disegni delle chiese di Colonia e di Acquisgrana furono, dicesi, fatti da lui; anzi quest’ultima chiesa fu, almeno in parte, da lui fabbricata. L’abbazia di Crowland in Inghilterra è opera sua. E da tanto egli si teneva in quest’arte che una volta ardì sfidare l’arcangelo Michele, l’antico suo vincitore, a chi fabbricherebbe sopra un monte di Normandia, che appunto è detto di San Michele, la più bella chiesa. L’arcangelo vinse, come di ragione; ma anche il diavolo si fece onore. Nè il miracolo era, di solito tanto nell’opera compiuta, quanto nella misura del tempo accordatogli a compierla. Spesso una notte doveva bastare, e bastava nel fatto, se non c’entrava di mezzo l’inganno, un inganno, intendiamoci, fatto non da lui, ma a lui. Nello spazio di una notte, se, per esempio, trattavasi di una chiesa, il diavolo portava, di regioni talvolta lontanissime, i materiali tutti necessarii alla fabbrica, i gran quarti di granito, le lastre e i cubi dei marmi variopinti, magari le colonne enormi rubate a qualche antico tempio pagano, le roveri poderose, gli sperticati abeti, le ferramenta, e senza mai prender fiato tagliava, scalpellava, puliva, scortecciava, riquadrava, impostava, commetteva, dipingeva, scolpiva, tanto che, sopraggiunto il giorno, il primo raggio del sole accendeva in cima alle guglie le palle di bell’oro brunito, e faceva balenare i gran vetri dipinti dei finestroni. E non c’era pericolo che dopo un anno o due le mura si scrostassero, o venisse giù il soffitto.

Tutto ciò richiedeva non solamente ingegno e destrezza e alacrità somma; richiedeva ancora una forza, dirò così, muscolare, veramente portentosa. Di cotal forza io non ho detto nulla; ma le prove di essa sono senza numero, sparse nelle storie e per il mondo. Non è regione d’Europa dove non si veda qualche smisurato macigno, portato a braccia dal diavolo in mezzo a una pianura, da un monte lontano, e le buone genti dei campi, interrogate in proposito, sanno dirvi per filo e per segno come andò la cosa. Qua era in antico un romitorio, abitato da un uomo di santissima vita, il quale passava in preghiera i giorni intieri e le intiere nottate: il diavolo, indispettito, tentò di schiacciar lui e la sua cella sotto quel masso che vedete, ma non tolse bene la mira, e il sant’uomo se la cavò con un po’ di paura. Laggiù, quel gran buco nel monte, fu fatto dal diavolo, un giorno che, pazzo di rabbia, scaraventò per l’aria il maglio enorme della sua fucina. Per tutto, i gran massi erratici che i ghiacciai delle età preistoriche trascinarono a miglia e miglia lungi dai monti loro, si credette fossero stati lanciati o rotolati dal diavolo, e così pure si credette delle pietre druidiche.

Ma la forza strabocchevole non esclude in Satana l’agilità e la destrezza, che anche queste sono in lui meravigliose. Egli possiede le arti tutte del giocoliere e del funambolo, e non è operazione così delicata da cui non sappia levare destramente le mani. Tertulliano afferma che fu veduto il diavolo portar acqua in un crivello.

Le fabbriche del diavolo, dicevo, sono solide e degne di tanto artefice; ma si capisce che debbano risentirsi in qualche modo dell’origine loro, ed avere in sè alcun che di soprannaturale. Generalmente parlando, se il diavolo le lascia incompiute, non è dato ad altri di compierle. Con pensiero analogo a questo fu creduto in molti luoghi che se il diavolo recava a un edifizio alcun danno, il danno non poteva più essere riparato.


In uno dei canti che compongono la Légende des siècles, Vittore Hugo racconta una gara che il diavolo ebbe con Dio, a chi facesse la cosa più bella. Il diavolo chiese al suo avversario una gran quantità d’ingredienti, di cui aveva bisogno, e avutili si mise all’opera.

Et grondant et râlant comme un boeuf qu’on égorge,
Le démon se remit a battre dans sa forge;
Il frappait du ciseau, du pilon, du maillet,
Et toute la caverne horrible tressaillait;
Les éclairs des marteaux faisaient une tempête;
Ses yeux ardents semblaient deux braises dans sa tête;
Il rugissait; le feu lui sortait des naseaux,
Avec un bruit pareil au bruit des grandes eaux
Dans la saison livide où la cigogne émigre.

Tanta forza e tanta fatica non riescono ad altro che a produrre una cavalletta, mentre Dio, con solo guardarlo, fa di un ragno il sole. Ma il poeta ha torto. Ben maggiori cose, e senza punto affannarsi, poteva fare il diavolo, e la potenza di lui era veramente grande e terribile.

Ciò nondimeno quella potenza aveva pure i suoi limiti, e spesso assai più angusti che non parrebbe. Come vedremo in seguito, non solo c’erano contr’essa ripari e difese, ma, cosa ben più importante, c’era anche modo di assoggettarla e dirigerla. Ciò che mi preme far notare sin da ora si è che, secondo un’opinione divulgatissima, il diavolo non può esercitare la sua potenza se non la notte, o, se la esercita durante il giorno, non la esercita più con la stessa efficacia. I primi albori che imperlino il cielo, la squillante chicchiriata del gallo, volgono il diavolo in fuga, o, almeno, gli dimezzan le forze. Del resto non è punto irragionevole che il re delle tenebre abbia vigor dalle tenebre, e che in mezzo ad esse la potenza sua riesca più intera e più formidabile.


Ma non si creda che Satana, sebbene assai volentieri faccia mal uso del suo potere, sia assolutamente e sempre un campione della violenza, il principale seguitator della massima che ha tanti altri seguaci: la forza vince il diritto. S’egli è ciò che fa, se con portamenti da despota scorrazza la terra, se tratta gli uomini come nemici o come schiavi; ha pure il diritto di far tutto ciò, o, se non lo ha più, lo ebbe. Ireneo, il santo vescovo di Lione, fu il primo, già nel secondo secolo della Chiesa, a porre in chiaro cotal diritto. Il peccato diede legittimamente gli uomini in mano a Satana, e gli è per legittimamente ricomperarli, senz’uso di violenza, che Cristo versò il suo sangue. Satana, procacciando ingiustamente la morte di un giusto, perdette ogni diritto precedentemente acquistato. Tale dottrina incontrò molto favore, e, sino al principiare del medio evo, tutti gli scrittori ecclesiastici ammisero, più o meno, l’antico diritto di Satana, cancellato da Cristo. Satana, dal canto suo, non volle riconoscere cancellazione di sorta, e seguitò ad esercitare il diritto suo quanto e come meglio potè; e noi dobbiamo confessare che se lo esercitò illegalmente, non lo esercitò senza frutto. Per meglio far trionfare il suo, vuoi legittimo, vuoi usurpato diritto, Satana ebbe cura di ordinare il suo regno e le sue milizie, e di imitare, per quanto gli fu concesso, le istituzioni e gli ordinamenti divini, imitazione che gli valse il nome vilificativo di scimia di Dio. Alla Chiesa di Cristo egli contrappose la propria sua Chiesa, ed ebbe sacerdoti, culto, e, affermava già Tertulliano, sacramenti.

Abbiam veduto qual fosse il diavolo, quale la sua potenza ed industria; vediamo ora come egli combattesse contro gli uomini, e contro Dio, cotidiana battaglia, vediamolo nell’opera sua principale.

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