< Il dottor Antonio
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Giovanni Ruffini - Il dottor Antonio (1855)
Traduzione dall'inglese di Bartolomeo Aquarone (1856)
Capitolo III
II IV


CAPITOLO III.

Sir John Davenne.


Il Baronetto sir John Davenne, quinto di questo nome, aveva ereditato, colle sue terre paterne, una cosa del pari posseduta dalla sua famiglia, ed egualmente trasmessa di generazione in generazione con gran cura; dico il ticchio di un orgoglio tracotante ed esageratissimo; orgoglio di razza, che si traducea in una specie di culto per ogni persona, che nel grado il più remoto potesse pretendere parentela coi Davenne; e per ogni cosa appartenente o appartenuta ad essi; e in un corrispondente disprezzo di ogni cosa o creatura meno favorita dalla sorte in linea genealogica, e in memorie storiche.

I Davenne di Davenne, nella contea di ***, pretendevano discendere dal normanno scudiere del nome di D’Avesne, nominato nelle cronache contemporanee come seguace di un De Vere alla battaglia d’Hastings. Sir John asseriva, come suo padre e il padre di suo padre avevano asserito prima di lui, che i Davenne avevano sempre partecipato alle glorie ed ai pericoli dei bellicosi De Vere; i quali, l’istoria ci dice, furono nell’esercito crociato di Riccardo Cuordileone. Emergendo dalla luce acquistata da questi nobili, un Davenne guadagnò i suoi sproni d’oro intorno a questo periodo di tempo; e d’allora in poi l’istoria della loro famiglia s’innestò in quella del loro paese. I Davenne presero parte alle guerre delle due Rose; uno fu ucciso in Bosworth; un altro passò con Essex in Irlanda; e un Davenne, dopo aver virilmente combattuto a Marston Moor e Naseby, fu tra i pochi che accompagnarono Carlo nella sua fuga in Scozia, e restò presso il suo infelice padrone sino all’estremo: — uno dei più ostinati e indomiti dei cavalieri. Quando il potere supremo di Cromwell divenne stabile, Davenne, i cui beni erano stati confiscati, fuggì con la sua famiglia a raggiunger la Corte del Giovine Carlo in Olanda. La sua fedeltà e devozione alla causa regia, ebbe al tempo della ristaurazione un esito più favorevole che non quello di altri cavalieri fedeli e devoti del pari. Egli non solo riebbe le sue terre; ma, essendosi voltate le carte, ebbe a far bottino di quelle di un suo vicino che era, come dicevasi nel gergo di quel tempo, una testa tonda dalle orecchie mozze. Fu altresì in quel tempo che il Davenne di quei dì venne creato Baronetto: titolo che i due baronetti, padre e avo di sir John, non aveano voluto mutato in altro maggiore; perchè il defunto sir Aubrey preferiva di star alla testa dei baronetti, piuttostochè alla coda dei lords.

Dalla ristaurazione alla rivoluzione del 1688, pare che i Davenne si siano dato maggior pensiero di aver cura delle loro terre paterne, che di immischiarsi nelle querele dei re e dei Parlamenti. Certo è che la famiglia restò a Davenne, quando Giacomo II si rifugiò a San Germano. Probabilmente il sir John d’allora aveva giovanili reminiscenze, che lo indussero a scuoter le spalle sulla scelleratezza dei tempi; e contentarsi di mandar al diavolo nella sua propria residenza i vescovi e i deputati refrattari. L’unico segno ch’ei diede del suo attaccamento alla famiglia Stuarda consistette nell’astenersi con tutta la sua famiglia dal mostrarsi alla Corte di Guglielmo e Maria.

Lo spirito bellicoso dei vecchi Davenne scintillò d’improvviso nuovamente nel figlio primogenito di questo padre prudente. Egli combattè e si distinse sotto Marlborough, e giunse al grado di generale. Il suo successore, sir Aubrey, pagò il tributo alle militari esigenze del suo padre servendo nel tempo della guerra dell’indipendenza americana. Tenendo bene a mente lo spirito di corpo di sir Aubrey, e i suoi principii di tory, trasmessi per secoli di Davenne in Davenne, è facile immaginare il dispetto con cui vide i successi degli Americani, e la loro indipendenza riconosciuta. Ma in quei tempi bisognerebbe esser vissuti, o aver sentito dalla bocca di quelli che erano stati attori in quella scena, la descrizione del cittadino inglese, e specialmente del nobile delle contee, per potersi fare un’idea della violenza, dell’odio e dell’orrore che s’impadronì di sir Aubrey quando scoppiò in Francia la rivoluzione del 1789. La sua passione talvolta si tramutava quasi in frenesia, leggendo nei giornali i discorsi di quegli oratori inglesi, i quali, all’iroso tory parevano esprimessero nel seno stesso del Parlamento della Gran Bretagna, sentimenti poco migliori di quelli dei repubblicani francesi.

Il regnante sir John, nato nel 1783, era stato per conseguenza educato, ed erasi fatto uomo, tra la violenza di passioni eccitate nel paese oltre la Manica dallo stato degli affari in Francia, e da vent’anni di guerra continua. Dal giorno che ancor fanciullo stava a lato del seggio paterno, e beveva il brindisi quotidiano: «Alla confusione dei Francesi,» fino all’attuale momento, le opinioni, le simpatie e le antipatie di sir John, tutto partecipava della tinta dell’atmosfera di passioni attraverso le quali erano passate, e nelle quali erano cresciute. Un’ammirazione illimitata ed esclusiva per tutto quanto fosse inglese, e un abborrimento estremo di ciò che nol fosse, avevano chiuso la sua mente e le sue idee come dentro una muraglia cinese.

Sir John si era ammogliato nel 1811, due anni dopo la morte di suo padre, alla figlia del visconte Deloraine, nipote dal lato materno del duca di ***. Per buona fortuna questo matrimonio univa in sè e la certezza quanto al «sangue bleu» della stirpe, e la soddisfazione del suo genio; perchè sir John non era uomo da farsi violenza. E per doppia ragione: primo, perchè odiava la contraddizione sotto qualunque aspetto; secondo, perchè credeva tale essere lo splendore della sua famiglia, da poter supplire ad ogni difetto — nello stemma della sposa di sua scelta — quand’anche egli avesse sposato la figlia di un ciabattino. Nella primavera dell’anno che seguì questo matrimonio, nacque il suo figlio ed erede; il quale divenne il punto in cui e il suo orgoglio e i suoi affetti si concentrarono: essendo venuta, solo nel 1820, quando cioè il piccol Aubrey aveva ott’anni, una bambina a far valere anch’ella i suoi diritti alla parte delle cure e dell’amor paterno.

Nel 1815, quando il continente fu riaperto ai viaggiatori inglesi, sir John, impedito nella sua gioventù dal fare il giro d’Europa, pensò essere conveniente di supplire, benchè tardi, a questa mancanza della sua educazione aristocratica; e colla moglie e il bambino spese alcuni mesi a visitar la Francia, la Germania e l’Italia. È quasi inutile dirlo, che la dimora all’estero di sir John lasciò intatta la ragnatela di pregiudizii sparsa sopra la sua mente, che ritenea tenace tutte le mosche morte delle sue nozioni giovanili. Il conversar con gente e ritrovarsi fra costumi stranieri — . quel conversare almeno che potea permettergli la sua alterigia fastidiosa; e il perpetuo timore di derogare ad essa; più che altro rinforzò quello che sir John riputava suo patriottismo, il quale patriottismo limitava tutto quanto l’onore, il merito e la bontà, dentro lo stretto circolo nel quale egli era nato, viveva e muovevasi.

Poco dopo questo viaggio all’estero, essendo vacato un posto nella deputazione di *** shire, ove Davenne era situato, sir John fu istigato a rappresentar la contea: ma rinunziò a quell’onore, come di fatti aveva rifiutato costantemente di essere eletto dal circondario della sua famiglia. Sir John aveva sufficiente buon senso per conoscere che non era nato fatto per risplendere come oratore, nè come uomo di Stato; e aveva troppa alterigia per figurar solo fra i muti «sì o no» della Camera. Ma quest’ambizione che non aveva per sè, l’accarezzava, e credeva avere ampia ragione di accarezzarla per suo figlio. Aubrey era un bell’Ercole di fanciullo, pieno della dissipatezza e arroganza della infrenata gioventù dei ricchi. I suoi istinti elevati, il vivace ardire, e le indomite risposte, erano agli occhi del padre tanti pegni di ingegno precoce. Uomini di mente assai più fine dì quella di sir John, sono in questo acciecati dalla parzialità paterna e dall’orgoglio della progenitura. Aubrey dunque, destinato evidentemente a divenire un grand’uomo, era fin dalle fasce designato per il Parlamento a per gli affari di Stato; e appena uscito d’infanzia, fu posto nelle mani di un aio, il quale doveva condurlo di gran galoppo alla prima tappa del suo viaggio, Oxford. Ma il piccolo William Pitt in erba, oppose ad ogni innesto scientifico o letterario una forza d’inerzia degna d’una causa migliore; la quale, a lungo andare, conosciuta anche dall’infatuato padre, questi mandò il suo figlio in Eton: ove infatti il giovine gentiluomo si distinse presto, non in sapienza classica, ma nell’arte natia dei pugni e del bastone.

A diciassette anni Aubrey, divenuto già un petit-maître e un audace rompicollo, diede un addio a Eton e alla vita di studente. Aveva già tutta l’apparenza di un uomo, essendo il suo fisico sviluppo in ragione inversa dello sviluppo della mente. Quando fu da suo padre avvisato che doveva andare a Oxford, e che fin dall’infanzia era destinato al sacerdozio di Downing Street, Aubrey chiese permesso di far notare distintamente che odiava la politica, e reputava i libri tutti una seccatura solenne, e che era sicuro, com’egli andasse in Oxford, di essere sospeso se non espulso; ch’egli aveva da gran tempo fissato in mente di non servir altra Dea o Dio, fuorchè Marte; e che la miglior cosa che suo padre potesse far per lui, era di comprargli immediatamente il diritto di difender la bandiera di Sua Maestà. Tutto questo fu da lui detto con una scioltezza di lingua così petulante, che ferì mortalmente la prediletta ambizione del padre. Sir John provò le ragioni, le carezze, le preghiere, e fin le minacce; ma Aubrey era figlio di suo padre: scosse il suo bel capo, mandò al diavolo il circondario di sua famiglia e la Camera dei Comuni; e dette per suo ultimatum, che qualora suo padre non consentisse a lasciarlo entrar nell’esercito da gentiluomo, si arruolerebbe soldato semplice.

I capelli si rizzarono in capo a sir John nel sentire la dichiarazione del giovane ser scapestrato; e gli balenò in mente il sospetto che il ragazzo manterrebbe la parola. Sir John conosceva un po’ il sangue dei Davenne; e avea luminose reminiscenze della ostinazione puerile di M.r Aubrey. La battaglia fu sostenuta qualche tempo, ma finì, naturalmente, colla vittoria di Aubrey; poichè sotto quel manto di dignità che faceva di sir John una persona molto notevole, si occultavano, come abbiamo accennato, un’infinità di debolezze; — e fra esse, la più naturale di tutte, la paterna condiscendenza. Ora Aubrey, colla sua viril turbolenza e il suo bell’aspetto appariscente, era nato per essere il felice oppositore, anzi il tiranno di suo padre. Agli occhi del Baronetto, l’arroganza ch’era la base del carattere di suo figlio — arroganza tanto grande che parea tutto l’orgoglio dei morti Davenne scorresse in sangue nelle sue vene, — era una grazia di più. Fino le scappate fanciullesche di Aubrey in Eton, le quali, raccontate com’eran da lui stesso, mostravano esser provenute da insofferibile arroganza sua, lo avevano fatto sempre più caro a sir John; che riconosceva in quel carattere sopportante a malincuore un eguale, l’alterigia conveniente a un rampollo dei Davenne. E la cosa andò a finire che, sei mesi dopo lasciato Eton, si lesse nelle gazzette la nomina di Aubrey ad alfiere in un reggimento di dragoni, e dentro l’anno fece vela col *** per l’India; avendo indotto suo padre, non solo a consentire che entrasse nell’esercito, ma — cosa ancor più difficile, perchè in questo la sua idolatria per il figlio combatteva i desiderii del figlio stesso — a contrattare per lui il cambio in un reggimento di partenza per Calcutta. I sogni di Aubrey, desto e dormente, erano stati da lunghi anni, caccie di tigri e di elefanti, e l’India la sua terra di Canaan. Così l’esecuzione dei desiderii del figlio aveva distrutto quelli del padre.

Mentre ancor pungevalo questa grave contrarietà, la prima di qualche importanza nella sua vita fin’allora intatta ed intera, sir John guardandosi intorno per cercar consolazione, si accorse, per la prima volta, di avere alla mano un balsamo per le pene del cuore, nel pallido amabile angioletto che sollevava a lui le braccia sue delicate, e parea domandargli la sua parte di amore: parte che presto fu tutta sua. La ferita fatta dall’egoistica ostinazione di Aubrey, era appena cicatrizzata, quando la morte di lady Davenne gittò ancora un profondo squallore sulla casa del Baronetto. La salute di lady Davenne da lungo tempo era andata decadendo; e dalla partenza di suo figlio in poi, con sempre maggior rapidità. Il colpo, per essere anticipato, non fu sentito meno da lui. Il dolore di sir John fu estremo, quantunque fosse tacito e non mostrato: chè l’altero baronetto credeva ogni esterna dimostrazione di forti affetti indegna della sua dignità. Avea di più un’altra miglior ragione di predominare la sua commozione: il timore di accrescer col suo il cordoglio della figlia.

Sir John si ritirò alla sua casa in campagna, e visse quivi comparativamente in solitudine, curandosi solo della figlia, divenuta ora l’unica sua occupazione, — l’unico suo piacere. Lucy era una fanciulla debole, intelligente, sensibile, avente veramente bisogno di tutta la protettrice cura di un padre; uno di quei fiori delicati e amabili, che ispirano egualmente tenera ansietà e passionata speranza. L’aria di campagna, le ore regolate, e una prudente vicenda vicenda di esercizio e riposo, di studio e divertimento, sotto la direzione di una giudiziosa governante, rafforzarono tuttavia con tal successo la salute di lei, che a diciassette anni miss Davenne, benchè pur alquanto delicata, era divenuta un’alta e florida e gaia fanciulla, estremamente bella per di più.

Ora, dinanzi a lei, stava la vita di una dama di Londra: che sir John non aveva neppur sognato di distorla dalle abitudini della sua casta. Doveva essere presentata alla Corte: e però furono di bel nuovo aperte le chiuse porte della casa in *** Square; e risplendette in quelle nobili sale tanto sole e tanta luce, quanta se ne può trovare nella metropoli della Gran Bretagna. Sir John e sua figlia si recarono pertanto in città nella primavera del 1837; e lanciata una volta nella lieta corrente di Londra, Lucy presto cominciò a girare volubilissima ne’ suoi vortici. Al fluire della sua prima stagione, si trovò pallide le gote e abbattuta d’animo; ma l’ansietà che sir John ne aveva sentito fu agevolmente dimenticata, vedendo che alcuni mesi di comparativa quiete a Davenne pareva l’avessero rimessa in piedi. La gioventù è un potente ausiliare di convalescenza: così quando la primavera tornò, di nuovo ritrovò il padre e la figlia in Londra. Ma il dar feste, e l’andare a feste, le sale riscaldate, e le ore tarde, non istettero molto a distruggere i benefici effetti della natura. Il capo di Lucy si piegò prima che il mezzo della stagione fosse giunto; e il padre inquieto sentì di nuovo la tosse corta e secca — nunzia di un nemico che aveva dimenticato.

Il povero sir John chiamò un medico dapprima; e poi un altro; uno stette per l’aria di campagna e la dieta al latte; un altro per i bagni freddi e gli esercizi di cavalcare; un terzo per i bagni di mare e il vin di Oporto: — ma tutti furono d’accordo quanto alla necessità di un’intera astinenza da ogni sorta di eccitamento o di gioia. Tutto fu provato; ma niuno dei tanti rimedii valse a cacciare gli attacchi di tosse etica, che si ripercuotevano nel cuore del padre spaventato; niente potè vincere quel languore morboso che parve vicino ad arrestare il corso della vita di sua figlia. Lucy continuò per alcuni mesi, finchè i medici dettero questo parere, che ad orecchie esperte suona come campana di agonia. «Provate una mutazione di clima, fate passare a miss Davenne il prossimo inverno in Roma;» e fu il «fiat» decisivo. A dispetto di un vecchio rancore che aveva contro Roma — «la più tetra città del cristianesimo,» come sir John soleva chiamarla; e col sacrificio dei piaceri nuovamente ripresi dei clubs, e delle coteries, il Baronetto non esitò un momento. La casa in Londra mostrò di nuovo le sue finestre chiuse — questo squallido segno di abbandono; e la guardaroba di Davenne dovette lavorare un mese a vestire tutta la mobilia; e sir John e sua figlia si recarono in Roma.

Il sacrifizio ebbe compenso. L’inverno nel 1839-40 fu il più bello e più dolce di cui fosse memoria in Roma; e sei mesi di quell’aria soave e geniale respirata da Lucy, ebbero sul suo temperamento un effetto salutevolissimo. Sir John ne fu tanto contento, che, coll’approvazione di un medico inglese di fama, determinò prolungarvi la sua dimora sino alla calda stagione; viaggiare in Isvizzera la estate e tornare in piazza di Spagna un altro inverno. Proprio mentre faceva tutti i suoi preparativi, venne una lettera di Aubrey, ora capitan Davenne, datata da Madras, che annunziava per il prossimo aprile il suo ritorno in permesso per tre anni. Questo rese necessaria una modificazione nel disegno di sir John. Dovevano lasciar Roma prima di quello si fossero proposto; e nel loro itinerario, l’Inghilterra doveva prendere il posto della Svizzera. Fu la sola condizione imposta dal medico consultato di nuovo: che facessero il viaggio per mare e non per terra; risparmiando a Lucy convalescente fresca ogni fatica possibile.

In esecuzione di questo parere, sir John e sua figlia, verso la metà di marzo, s’imbarcarono a Civitavecchia a bordo del vapore postale diretto a Marsiglia; il mare, quando partirono, era come un lago; ma il bel tempo durò solo poche ore. Uno di quei venti furiosi, nel Mediterraneo frequentissimi in questa stagione, venne improvvisamente lor sopra. Il bastimento, con ambe le ruote fuor di servizio, restò per una notte e un giorno in balìa dei venti e delle onde; e soltanto dopo essere sfuggiti a mala pena da naufragio nel golfo di Spezia, i passeggieri furon messi a terra nella città di questo nome a levante di Genova. Il prolungato terrore e il mal di mare aveano tanto sfinito Lucy, che non poteva più muoversi nè stare in piedi. Bisognò pertanto portarla a terra in così misero stato; e ci volle più di una settimana di riposo, prima che potesse riavere la forza sufficiente a proseguire il viaggio: — questa volta per terra e a piccole giornate; col corriere spedito ogni mattina avanti a preparare i migliori comodi possibili per la notte. Per disgrazia, quella spossatezza non era effetto della paura e del mal di mare soltanto. Alcuni de’ vecchi sintomi, svaniti durante la dimora in Roma apparvero per somma inquietudine di sir John.

Fu il quarto giorno dopo la loro partenza dalla Spezia, quando, avendo passato la notte in Oneglia, si promettevano di giunger la sera a Nizza, che la nostra storia trova il padre e la figlia; questa, come descrivemmo, agitandosi senza riposo, mentre pur cerca sonno e quiete; quello, diviso fra l’ansietà ridestata di nuovo per l’una, e la mentale preparazione di solenni discorsi per l’altro figlio, a fine sempre di persuaderlo a lasciar le armi e darsi agli affari dello Stato.

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