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Giovanni Ruffini - Il dottor Antonio (1855)
Traduzione dall'inglese di Bartolomeo Aquarone (1856)
Capitolo II
I III


CAPITOLO II.

L’osteria.


— «Sicchè questo signore è un medico, papà?» disse Lucy, che era il semplice nome di battesimo della figlia dell’altero Baronetto.

— «Almeno si dà per tale, mia cara,» rispose sir John.

— «Che buona sorte per me!» notò la signorina.

— «È vero,» rispose sir John, «benchè per medico sia una molto strana figura!»

— «Sì, in Inghilterra sarebbe tale» rispose Lucy; «ma fuori, sapete bene, badano meno alle vesti; e in fin de’ conti, c’è un non so che di gentile nella sua persona. Avete osservate le sue mani, papà? Son sicura che son proprio quelle di un gentiluomo.»

— «Può essere, può essere!» disse sir John in aria di dubbio.

— «Non mi maraviglierei che fosse Inglese, papà; parla benissimo inglese.”

— «Sì, ma c’è una forte tinta da forestiero nel suo accento,» replicò il padre.

Lucy si tacque; e appoggiando il capo sulla mano parve poco disposta a continuare il discorso. Sir John così lasciato a sè stesso, tutto ad un tratto si rammentò del postiglione, e col ricordo tornata l’ira dimenticata nella sua ansietà per Lucy, l’ira si mutò in furia e traboccò. Cominciò a tempestare contro il povero garzone in inglese veramente genuino, sparso qua e là di parole presunte italiane: — «Guardate l’imperterrito furfante!» gridò sir John indicando Prospero, rimasto tenendo meccanicamente in mano le briglie de’ cavalli, e che lo fissava balordamente, quasi non lo riguardasse quella tempesta di parole romoreggiante intorno al suo orecchio. Quell’apatia non era però indifferenza, callo fatto, e sangue freddo; al contrario era stupor disperato. Quell’immobilità irritando ognor più sir John lo trasse a giurare di scrivere al mastro di posta che lo licenziasse dall’impiego, non potendosi fermare abbastanza per accusarlo al tribunale di deliberato intento di assassinio. Il postiglione non fiatò mai. — No, avrebbe fatto meglio — avrebbe ricorso all’ambasciatore inglese in Torino. Egli, sir John Davenne, era deliberato di fare del miserabile un esempio per beneficio dei futuri viaggiatori e postiglioni. Prospero seguitò a stare immobile, come fosse stato un pezzo dello scoglio al quale stava accanto. Egli, sir John Davenne, non avrebbe posato mai, no, mai, finchè quel furfante italiano, buono a nulla, non fosse stato sommariamente punito; quand’anco avesse dovuto ricorrere al re di Sardegna stesso. Il condannato Prospero sentiva il tono irato della voce del Baronetto, ma essa neppure lo stornava dalla sgradevole contemplazione della vicina probabile furia del mastro di posta, e dal timore presente di aver cagionato qualche mortal danno alla bella signorina. Quello scoppio di collera recò almeno un vantaggio; e fu una sorta di diversione, che aiutò sir John ad aspettare il promesso ritorno del Dottore con più pazienza che non avrebbe fatto altrimenti.

Miss Davenne provò un sentimento di gratitudine quando rivide ancora una volta il povero vecchio calessino. — «Or dunque,» disse il Dottore alacremente, «dobbiamo renderci utili tutti. Ah! quest’ombrello qui m’impiccia; volete aver la bontà, signore,» volgendosi a sir John, «di tenerlo voi stesso e riparar vostra figlia dal sole? Scusatemi, ma farete molto meglio sedendole accanto così.» Ed egli pose sir John presso al capo della figlia.

— «Anche voi,» continuò volgendosi ai servi, «sedetevi ai piedi della signorina, e state bene attenti a quel che dico. Il mio posto è qui in mezzo;» e pose un ginocchio a terra volgendo le spalle a sir John e alla paziente, in modo da impedire che vedessero nulla di quanto era per fare.

— «Non vi terrò molto, nè vi farò molto male.» aggiunse volgendo per un istante il capo verso miss Davenne. E sciolti i fazzoletti, fece tenere il piede dalla Hutchins.

Lucy restò nelle sue mani quieta e passiva, con uno sguardo di fiducia splendente ne’ suoi occhi, quasi egli fosse stato il suo medico sin dalla infanzia, invece di essere stato dal caso portato vicino a lei in una strada pubblica d’Italia. Davvero che tutti gli astanti, anche sir John, parevano subir l’incanto di quell’assieme di semplicità e di forza che spirava dalla persona di lui.

Uno sforzo — uno scricchiolìo come di ossa urtate fra loro — un represso strido. — «Ecco fatto!» gridò il Dottore, scuotendo via con una scossa del capo le grosse gocce di sudore che colavano sulla sua larga fronte. — «Sentite già meno dolore, non è vero?» domandò chinandosi sopra Lucy. Povera fanciulla! era tanto spaurita che appena potea dire come si sentisse. Il piede doveva esser legato, operazione che esigeva gran cura, e portò via un po’ di tempo. Finalmente fu compita. Due pezzi fini e spianati di non so quale materia, che erano fra gl’involti portati dal Dottore (due pezzi di legno, probabilmente coperti di tela per nascondere agli astanti il suo vero essere), vennero fermati da ambi i lati del piede sopra la fasciatura per assicurarla, e tener ogni cosa a suo luogo: e tutto fu terminato.

Intanto quattro contadine, forti, abbronzite dal sole, avevano portato una sorta di lettiga primitiva con sopra materassi, e aspettavano a breve distanza dal gruppo principale.

— «Portate qui uno dei materassi,» gridò il Dottore, ordinando loro di metterlo stretto al fianco di miss Davenne. Poi aprì un lenzuolo, dicendole: «Vi faremo scorrer sotto questo lenzuolo per sollevarvi pian piano e collocarvi sul materasso, chè allora potremo alzarvi sulla lettiga senza paura di scuotere o urtare il piede. Vi prego solo di rimanervene affatto passiva nelle nostre mani; e di stare anche in guardia contro ogni involontario movimento diretto ad aiutare voi stessa o noi altri.»

— «È la seconda volta che mi date con tanto calore quest’avviso. Son dunque offesa assai pericolosamente?» domandò la signorina un po’ inquieta.

— «Per niente affatto,» rispose l’Italiano, «non avete a spaventarvi delle precauzioni che v’impongo.» E chinandosele nuovamente sopra, aggiunse sottovoce: «Potete capire che ne posson nascere molte spiacevoli conseguenze, senza alcun rischio di vita. Per esempio: la cura della vostra gamba, poichè, a parlar schietto, è la vostra gamba che è offesa e non il piede, è cosa facilissima; che dipende più dal tempo e dalla pazienza che da abilità chirurgica. Ma per esser certi che dopo curata resti assolutamente così com’era prima, nemmeno d’una linea più lunga o più corta (Lucy si mutò di colore in sentir ciò), è un affare molto differente, e richiederà la massima cura e attenzione. Vedete dunque perchè io vi prevenga del pericolo di disobbedire al vostro medico,» aggiunse con un sorriso d’incoraggiamento. «Qualunque imprudenza o trascuratezza da parte vostra, può rendere inutile tutta la sua attenzione.»

Conoscendo dallo sguardo che rispose al suo di aver detto abbastanza per assicurarsi della docilità della paziente, il Dottore, aiutato dalla Hutchins, passò il lenzuolo sotto miss Davenne, poi, fatte avanzare tre delle donne, egli ed esse ne presero ciascuno un angolo, e la sollevarono sospesa come in una branda; e posatala prima sul materasso ch’era pronto al suo lato, la trasportarono poi con gran cura alla lettiga. Egli la coprì con uno scialle, e le pose un cuscino sotto il capo, e dette il segno della partenza. Ma la lettiga era stata appena messa in movimento, quando ordinò alle portatrici di fermarsi, e girarla dall’altra parte; cosicchè il capo della fanciulla, venendo rivoltato, potesse la poverina veder suo padre che veniva un poco indietro. — «Sarà un conforto per la signorina,» spiegò il Dottore alle donne che la portavano, «di poter vedere la cara e ben nota faccia del padre suo.»

Chiunque abbia un po’ d’esperienza, può avere spesso notato e ammirato la rapida dilicata intelligenza di molti poveri popolani, in fatto di ogni sorta di cose connesse ad affezione. La forza delle relazioni sociali è più specialmente sentita dai bruni e passionati figli d’Italia. Quelle quattro paia d’occhi luccicavano di lacrime che la facea parer tanti tizzi di carbone; mentre le robuste donne incominciavano con quella propria intonazione del loro paese, tanto espressiva ed indescrivibile, la solita invocazione alla Vergine.

Lucy non ebbe bisogno di spiegazioni per capire il motivo del cambiamento di posizione ordinato; e con un lieve chinar del capo, o piuttosto degli occhi accompagnato da un sorriso, fece conoscere al Dottore che l’aveva inteso. Lo sguardo e il sorriso fecero piacevole impressione nel cuore e nella faccia del Medico; il quale incidente stabilì una simpatica comunicazione, una specie di corrente magnetica, per adoperare la frase di moda, fra i due giovani: chè il Dottore era disotto ai trenta. — Che squisita cortesia di uomo, pensò Lucy. — Cuor gentile e grato, pensò il Dottore. Così ciascuno scrutò in un istante il naturale dell’altro.

L’Italiano camminava lentamente dietro la lettiga, quando il Baronetto, venendogli a lato, disse un po’ ex-abrupto:

— «Credo mio debito di presentarmivi, signore. Io sono sir John Davenne, di Davenne Hall... shire.»

Il giovine Dottore così riscosso dalle sue riflessioni, si cavò il cappello, e con un inchino grazioso abbastanza, rispose:

— «Ed io, signore, sono il Dottore Antonio, medico condotto di Bordighera.» E increspò le palpebre, come nella risposta ci fosse alcunchè di suo pieno gusto.

Sir John arricciò il naso, rilevò la bocca, proprio con quel movimento di muscoli che uno farebbe sentendo un cattivo odore: smorfia abituale del Baronetto provocato o dispiacente.

— «Poss’io domandarvi,» continuò volgendosi al suo interlocutore, ma in un modo troppo provocantemente complimentoso, per non far intravedere la profonda stizza causatagli dal non essere stato consultato in tutto quanto erasi fatto alla sua figlia; «poss’io chiedervi ove andiamo?»

— «Scusatemi, caro signore (Dio confonda la sua imprudenza, disse fra sè sir Jonh), nella mia fretta e ansietà per la signorina ho dimenticato dirvelo. Noi andiamo giù in quella casa rossa, mezzo nascosta dagli alberi;» rispose il Dottore indicando un povero fabbricato a due piani, mezzo smantellato in apparenza, posto sulla sinistra della via, a mezza strada circa dal luogo ove essi erano, e dal piccolo promontorio verdeggiante di già menzionato. — «È una mera osteria di strada,» continuò, «tenuta da gente povera, ma cortese e onesta. Vi troverete, mi dispiace il dirlo, pochi comodi, ma tutta la cura e attenzione conveniente;» e aggiunse in tuon marcato: «la cosa in questo momento la più importante, un letto per la vostra figlia.»

A giudicarne dal giuoco dei muscoli intorno al naso, sir John avrebbe fatto molto volontieri a meno di buona parte di quella vantata cura e attenzione, per aver un po’ più di comodi personali: ma non ne disse nulla. E rispose:

— «Bene, bene, i comodi poco importano; perchè come abbia mia figlia preso un po’ di riposo, ci rimetteremo in viaggio per Nizza.»

— «Certo non parlate sul serio!» esclamò l’Italiano fermandosi maravigliato. Ma ricomponendosi immediatamente, in tono quieto e conciliatorio aggiunse: «Io temo, anzi son sicuro, che miss Davenne non potrà riprendere il viaggio prima di alcune... — (e qui una pausa di esitazione).

— «Ore,» suggerì il Baronetto.

— «Giorni, forse settimane!» conchiuse gentilmente il Dottore.

— «Settimane!» sospirò ansiosamente sir John fermandosi alla sua volta. «Settimane!» brontolò sommessamente scoppiando d’indignazione. «Impossibile! Ho impegni che non posso ritardare. Debbo trovarmi in Londra fra dieci giorni.»

— «Per vostra figlia, mi dispiace il dirlo, questo è affatto fuor di questione.»

— «Fuor di questione! fuor di questione!» ripetè sir John. «Perchè fuor di questione?»

Il tono di questa domanda era stato tanto perentorio e reciso, che il Dottore cominciava a irritarsi.

— «Perchè,» dìss’egli con calore, «giacchè lo esigete, il caso di vostra figlia — non desidero mettervi in agitazione — il caso di vostra figlia non è...,» stava per aggiungere «quale io vi ho detto poc’anzi,» con Dio sa che cos’altro. Ma alla vista dell’aspetto ansioso del padre di già inquieto, il giovine medico non ebbe cuore di proseguire, e se la scappò invece con dire: «non è tale da prendersi leggiermente.»

Qui, pensò sir John, riprendendo padronanza di sè e adirato come prima, vedo bene cos’è: costui cerca spaventarmi per cavar più che può da un buon affare; — riflessione poco atta a mitigare il suo animo.

— «Bene, bene,» dìss’egli impazientemente, «io so, e tutti sanno che sia una slogatura. Strana pretesa di tenerci prigionieri per un indefinito periodo di tempo, a motivo di una slogatura!»

— «Pretesa di tenervi prigionieri!» esclamò l’Italiano con una prodigiosa contrazione delle tempie, «nessuno vi tiene prigioniero, caro signor mio.» — Questo secondo caro signor mio, tradotto letteralmente in inglese da un modo comune di favellare in italiano affatto cortese, e per nulla famigliare, reagì su tutte le fibre aristocratiche di sir John, come il raspar di una lima sul marmo reagisce sui nervi di persona sensibilissima. «Voi non vi trovate fra pirati moreschi; vi sono altri medici nelle vicinanze, che potrete consultare; vi sono a Nizza medici inglesi, dei quali potete chiedere il parere.»

— «Io non vo’ chiedere il parere di nessuno,» ripetè il Baronetto ostinato; «non ne ho punto bisogno. Quanto mi abbisogna, è di andarmene, e me ne andrò.»

— «Farete quel che vi pare,» soggiunse l’Italiano; «io ho da compier solo un mio dovere, e voglio e debbo compierlo. Miss Davenne, vel dichiaro solennissimamente, non può esser rimossa con sicurezza per quaranta giorni almeno.» E ciò detto, il giovine tirò innanzi lasciando l’interlocutore in preda ai suoi pensieri.

— «Quaranta giorni!» brontolò sir John fatto di sasso; «quaranta giorni!» e questa volta mutò la sua aria smarrita in una risata. «Questo è uno scherzo bello e buono!» e tornando risolutamente indietro, fe’ segno a John che stava aspettando presso la carrozza, e gli ordinò di portarla immediatamente alla casa rossa, e di investigar bene il guasto recatole. Poi il Baronetto seguitò la piccola carovana con passo lento e di mala voglia.

La processione non tardò molto ad arrivare al suo destino.

— «Eccoci giunti,» disse il Dottore avvicinandosi a miss Davenne. Nel punto che voltavano, lasciando la strada maestra, giù per una larga traversa in direzione della spiaggia, e passavano un porta a sinistra su cui stava attaccato un ramo di pino, erano entrati in un giardino nel quale stava la casa color mattone. La lettiga portata su per una scala esterna, e per una sala larga ed una piccola, entrava poi in una cameruccia ove Lucy e le materasse erano deposte sopra un letto.

Il Dottore, licenziate le quattro donne, e volgendosi alla malata, il cui aspetto era pallido e patito, le disse:

— «Benchè qui ogni cosa sia veramente casalinga, potete star tranquilla che letto e lenzuoli sono di bucato. Li ho guardati prima che fossero messi su.»

— «Voi siete molto gentile,» disse Lucy sottovoce.

— «Le nude mura e la mancanza di mobili vi fanno cattiva impressione, lo vedo,» seguitò il Dottore; «cercheremo presto di render la camera un po’ più appariscente. Volete che vi presenti Rosa, la padrona di casa, e sua figlia Speranza? Bei nomi, n’è vero?» aggiunse osservando un sorriso in volto a Lucy. «Sono di buon augurio. Ambedue desiderano rendersi utili, e le farete contentissime accettandone i servigi.»

Lucy fece cenno del capo alle donne a lei indicate, che stavano alla porta; donna avanzata l’una, l’altra pallida giovinetta dagli occhi neri. Vennero innanzi ad un segno del dottor Antonio, e baciarono la mano alla bella signorina, con un misto di affettuosa tenerezza e di rispetto. La bella carnagione, gli occhi azzurri e gli aurei capelli, facevano agli occhi loro parer Lucy più simile ad un angelo che ad una fanciulla della loro stessa specie.

Il Dottore, contento della buona relazione stabilita fra l’ospite e le due ostesse, disse a Lucy: — «Debbo dirvi le disposizioni che ho potuto prendere per voi, il meglio possibile. Le quattro camere che formano questo piano, le sole decenti della casa, sono tutte prese a vostro uso; questa per voi, l’attigua per la vostra cameriera; e dall’altro lato della sala d’ingresso, o anticamera, per la quale venimmo, una camera da letto per vostro padre. Il vostro servo avrà una camera disotto.

— «Andrà benissimo,» disse la povera Lucy cercando di parer lieta: «spero che papà ne sarà contento come me.» L’Italiano non arrischiò risposta a questa singolare speranza, ma chiese: «Avete appetito? Desiderate mangiar qualche cosa?»

— «No, grazie, non ho punto appetito.»

— «Tanto meglio. Non vi consiglierei a prendere alcun nutrimento solido per ora. Adesso vi lascerò, e spero potrete addormentarvi. In ogni caso state quieta, nè tentate affatto di muovervi, ricordatevene. Vi manderò una pozione, della quale, avendo sete, potrete prendere di tratto in tratto un cucchiaio.»

— «Ma vi rivedrò presto?» domandò Lucy piuttosto inquieta nel sentire che il suo nuovo amico se ne andava.

— «Fra un’ora o due,» rispose il Dottore, «e allora vedremo cosa si possa fare per rendere un po’ più agiata questa camera. Naturalmente parlo solo di agi relativi. In questo mondo tutto è relativo, non è vero?»

E parve un sospiro si mescesse al sorriso, col quale la domanda era stata fatta.

— «Adoprate liberamente le forbici nello spogliare la vostra padroncina,» disse indi alla Hutchins lasciando la camera.

— «Miss Davenne non si deve muovere, non si deve — intendete?» E quindi ripetè lo stesso avviso in italiano a Rosa e a Speranza.

Come egli usciva dalla camera, incontrò sulla soglia sir John, trattenutosi alquanto disotto per vedere se la carrozza veniva. Il Baronetto, non mostrando per alcun atto o parola desiderio di parlargli, il dottor Antonio passò oltre in silenzio. Riflettendo tuttavia che il Baronetto potrebbe avere veduta la figlia, ed avere alcuna cosa a dirgli, si trattenne pochi minuti nell’anticamera (così chiameremo la stanza d’ingresso d’ora innanzi). Ma l’Inglese venne fuori, e condotto dalla giovine Speranza traversò quella stanza andando verso la sua, senza badar nemmeno alla presenza dell’Italiano, il quale, vedendo che non si aveva bisogno di lui, lasciò la casa.

Sir John, appena entrato nella camera destinatagli, si gettò sulla sedia bruscamente, e girò intorno lo sguardo adirato: — «Bel sito, veramente bello, da passarci dentro quaranta giorni!» disse in tono di scherno il Baronetto. «Perchè non sei mesi?» e fece una grossa risata. La camera, a dir vero, pienamente corrispondeva alla descrizione dell’albergo, data dal Dottore, se pur non lo sorpassava. Le mura una volta bianche, or divenute gialle dagli anni, senza nemmanco una serie di misere stampe della via crucis, o un misero pezzo di specchio per interrompere la lor nuda uniformità; la finestre senza cortine, la vecchia tavola d’abete, le sedie — due di numero, rozzamente impagliate; la lunga cassapanca, a mo’ di feretro, a piè del letto senza cortine, facean parere la stanza meglio una cella di anacoreta, che una camera da letto di un Baronetto protestante.

— «Ad ogni costo dobbiamo tirarci fuori da questa buca,» mormorò sir John levandosi e passeggiando frettolosamente su e giù; finchè il suono di passi avvicinantisi lo fece fermare. Era John che veniva, secondo l’ordine, a riferire i danni. John portò buone nuove.

Eccetto i cristalli stritolati, e alcuni sfregi negli sportelli, non v’era altro disordine nella carrozza che impedisse l’andata a Nizza.

— «Benissimo,» disse sir John, «fate rimettere immediatamente i cristalli.» Per mala sorte era impossibile rimetterli. John aveva di già prese informazioni a questo oggetto, e sapeva che cristalli della grandezza richiesta non si trovavano nella vicina città. Sir John a questa notizia, in tuon di spregio amarissimo, dichiarò che infatti si sarebbe maravigliato assai se fosse stato altrimenti. John seguitò poi a riferire, come non avesse potuto portar la carrozza alla porta di casa, a causa della porta del giardino troppo stretta per darle passaggio. «E poi non c’era scuderia in casa,» aggiunse John. «Che si doveva fare?»

Sir John non rispose, ma scese alla porta del giardino; e dopo una breve ispezione del luogo, una guardata alla carrozza, una al cielo, e ancora un altro po’ d’incertezza, ordinò a John facesse rimuovere la carrozza alquanto da un lato, affinchè potesse restarci la notte, se pur fosse necessario. — «Perchè,» esclamò sir John con dolente sospiro, «le notti sono ancor fredde: e non partiamo fra un’ora o due, il che non è sicuro, questi maledetti cristalli ci tratterranno tutta la notte. Ma domani,» continuò il Baronetto risolutamente, «domani, cristalli o non cristalli, saremo in via per Nizza.»

— «Di grazia, signore,» osservò John esitando, «si potrà lasciar qui tutta la notte sulla strada, carrozza e bagaglio con sicurezza?»

— «No di certo,» rispose il padrone. «Lasciatemi vedere: — in caso che ci abbia a rimanero, sarà meglio che vegliate nella carrozza con un paio di pistole.»

Avendo così accomodato la faccenda, se con grande soddisfazione personale di John noi non possiamo dire, sir John salì gli scalini di pietra che menavano al secondo piano, sua attual residenza, e si avviò alla camera di Lucy. Ma a mezza strada s’incontrò colla Hutchins; la quale, in punta di piedi, veniva a dirgli che la padroncina si sentiva invero debolissima, e aveva proprio allora chiuso gli occhi per cercar di dormire. Sir John, molto scontento della notizia, che confermava troppo bene il timore di essere trattenuto la notte, in quella dimora, si ritirò alla sua stanza. Tuttavia non s’era ancor fermato d’un quarto d’ora, che di nuovo uscì, scese le scale, e cominciò a passeggiare su e giù innanzi la casa, spingendosi di tratto in tratto fino alla porta esterna per gittare uno sguardo melanconico sulla carrozza. Un secondo tentativo per veder la figlia, essendo per le stesse circostanze mancato, l’infelice Baronetto fece una dozzina di giri su e giù per l’anticamera: e ritiratosi di nuovo alla sua camera, si lasciò andare sopra una sedia; e osservando l’orologio, esclamò: «Come mai? l’ore non corrono in questo maledetto paese?»

Eppure il tempo era corso, e aveva portato seco una fresca giunta alla provvista di malumore e d’incomodi di questo povero gentiluomo. Miserie della fragile umanità, anche di quella dell’uomo più altero d’Inghilterra! Sir John aveva fame, veramente fame; e se ne vergognava, se ne adirava, ed era spaventato dall’orribile necessità — necessità che si faceva ognor più sentire — di dover domandare da mangiare. Domandare da mangiare in quella casa! — assidersi a tavola sotto quel tetto! Era lo stesso che deporre le armi in faccia al nemico: era un rinunziare d’un sol tratto all’eroismo della sua situazione. Immaginatevi Attilio Regolo, appena di ritorno a Cartagine, prima d’ogni altra cosa ordinare un beef-steak! Sir John ebbe in mente tutte queste idee. Dopo aver combattuto da bravo per un po’ di tempo, sir John alla fine si arrese. Macchinalmente stese la mano al campanello, strumento di comando di cui ivi non era traccia; e con sua gran mortificazione fu costretto di andare a capo le scale, e chiamar John. «Va a veder cosa c’è in dispensa,» disse sir John languidamente; «supposto che vi sia alcun che somigliante a dispensa in questo — in questo luogo. Comunque, vedi se si può trovar qualcosa da mangiare.»

Consumato così il gran sacrifizio, sir John passò a vedere la figlia. Povera Lucy! Ella esercitava tutto il suo eroismo. Ella soffriva dolori acutissimi. — «Dove, figlia mia?» — «Oh, papà, dappertutto. Mi sento tutta rotta. Mi sento al piede una sensazione così strana e spiacevole, quasi mi fossi mutata in una massa di sughero.»

— «Ma, mia cara, tu sai che questa è un’immaginazione. Provati a dormire.

— «Mio caro papà, ho provato e non posso.» Poverina! veniva meno dalla stanchezza, e non poteva chiuder occhio. Sir John fece il meglio che potè per consolarla; e mentre affettuosamente le spartiva gli sciolti ricci cadenti sulle sue arse gote, le prometteva che l’indomani sarebbe andata a Nizza, e vi avrebbe trovato ogni agio, se mai fosse stata costretta a rimanere. Ma queste parole non produssero l’effetto desiderato. Lucy non si sentiva coraggio per avviarsi a Nizza l’indomani. Ella non si curava punto de’ comodi appartamenti, che il corriere, come assicurava suo padre, avrebbe facilmente trovato per essi in una città tanto frequentata da Inglesi; — «e da medici inglesi di prima classe, figlia mia, egli aggiunse, quasi come la migliore speranza.

— «Quanto a questo,» disse Lucy, «io sono pienamente soddisfatta di questo medico italiano; è più cortese e premuroso di qualunque medico io abbia avuto; — e voi sapete, papà, che ne ho avuti di molti.» Sir John arricciò il naso, e non rispose. — «Non la pensate così, papà?» chiese Lucy coll’ostinazione di un fanciullo avvezzo a vincerle tutte.

— «Invero, Lucy, io non saprei; ho veduto sì poca cosa di questo signore; nè soglio attaccarmi ad alcuno sì presto.» Ne seguì silenzio da ambe le parti, perchè la graziosa Lucy non amava di sentirsi risponder così.

Di lì a una mezz’ora bussarono alla porta, e la voce di John annunziò formalmente che il pranzo era in tavola, «Dovete procurar di mangiar qualche cosa,» le disse suo padre alzandosi; «vi manderò un’ala di pollo o un uovo, — questo almeno qui si può ritrovare. Vi farà bene e vi darà animo.»

— «No, papà,» disse Lucy con notevole risolutezza; «il Dottore ha detto che non devo mangiare.»

— «Bene, mia cara, seguite le sue ordinazioni per quest’oggi,» replicò sir John ostinato quanto la giovinetta nel suo pensiero. «Domani, io spero, avrete migliori norme da seguire.» Così dicendo lasciò la camera.

La mensa era stata apparecchiata nell’anticamera. Il pranzo, a gran sorpresa di sir John, e un po’ a suo dispetto, benchè semplicissimo, fu eccellente. Pesce, pollo, arrosto, erbe, frittata, cacio, conserve di frutti, aranci, e una bottiglia di vin del paese, da non essere sprezzata nemmeno dal più difficile palato di un conoscitore. Sir John mangiò e brontolò; e benchè brontolasse, mangiò pure di buon appetito. John, con un largo cerotto nero attraverso il naso, una salvietta, non di damasco fiammingo, ma di buona tela casalinga sotto il braccio; John in cravatta bianca e abito nero, serviva il suo padrone dritto e solenne, come in un giorno di gala a Davenne.

Il Baronetto stava dispettosamente gustando il suo secondo arancio, colto fresco fresco dal ramo, quando il dottore Antonio apparì a capo la scala con un grosso involto sottobraccio. Il Dottore, fatto un inchino a sir John, passò innanzi a sinistra — la camera di sir John stava dalla parte opposta; e fu introdotto dalla Hutchins nella camera di miss Davenne.

« — Quanto avete tardato!» disse Lucy, appena lo vide, con tutta l’impazienza di un malato.

— «Ho piacere di sentirvi dir così,» rispose egli; «buon segno quando il malato desidera la presenza del medico: ciò suppone fiducia in lui, ed è mezza battaglia vinta. Sono stato trattenuto mio malgrado. Ma, ditemi, come vi sentite?» Il dottor Antonio ascoltò il racconto della sua malata con quell’attenzione, che dà tanto sollievo a chiunque soffre; poi disse: «Vorrei potere alleviare le vostre sofferenze; ma confesso che, per ora almeno, non credo poterlo fare. Avete sostenuta molta agitazione e molto dolore, e la natura così disturbata esige un po’ di tempo per riacquistare il suo equilibrio. Tutto quanto noi dottori possiamo fare è di aiutar la natura, ma non forzarla. Bevete pur della pozione che vi ho mandato, che forse vi farà dormire un poco.»

Lucy scosse il capo, come fosse certissima che non avrebbe più dormito. Ma disse solo: «Che avete lì dentro?» indicando l’involto.

— «Alcune cortine per la vostra finestra. Tutte queste camere sono a mezzogiorno; e dobbiamo cercar d’impedire che vi si introduca il nostro sole d’Italia.» Così dicendo, e seguendo le parole coll’atto, salì su una sedia, e cominciò a metter nel muro alcuni chiodi quanto più adagio potè.

— «S’impara un po’ di tutto in questi piccoli paesi di provincia,» diss’egli guardandola dalla sua altezza non troppo eroica, e con una delle cortine sottobraccio. «Noi siamo differentissimi da voi abitanti di grandi città: siamo povera gente che non possiamo allettare i mercanti a venire a stabilirsi fra noi. Qui ognuno è per sè giardiniere, falegname, tappezziere, come vedete me in questo momento. Infatti, spessissimo, per risparmiare il piccolo compenso, uno fa da medico per sè.

— «Voi dite noi parlando di questo vicinato,» osservò miss Davenne; «non intendete già dire che apparteniate realmente a questo luogo?»

— «E qual cosa vi fa supporre che io non ci appartenga?» domandò il Dottore divertito da questa osservazione.

— «Non so esattamente,» rispose la signorina; «ma c’è in voi qualche cosa che mi fa pensare non abbiate passato qui tutta la vita.»

— A dirla chiara, intendete dire che non v’ho l’aria sì grossolana quale vi sareste aspettato in un medico di campagna. Siete una fina osservatrice, per la vostra età, signorina.»

— «E quanti anni credete ch’io m’abbia?» domandò Lucy divertendosi anch’essa.

— «Sedici o diciassette al più.»

— «Molto più avanti, ne ho quasi venti.»

— «Ah! davvero? allora mostrate meno anni di quelli che avete. Bene, io devo rendere omaggio alla vostra penetrazione; e confesso che avete ragione in congetturare che io non sia della Riviera. Sono siciliano, e nacqui in Catania.»

— «Mi perdonerete la curiosità: non avete mai dimorato in Inghilterra?»

— «No, non ci sono stato mai,» rispose il Dottore. «Il mio inglese vi fa meraviglia, n’è vero? Vi dirò subito come l’ho imparato. La sorella maggiore di mia madre sposò, nel 1810, un uffiziale inglese di uno de’ reggimenti in quei tempi stanziati in Sicilia. I figli di mia zia furono educati sotto ogni rispetto come inglesini; e avendo balie inglesi, parlavano inglese fin dalla culla. Ora, siccome fui educato co’ miei cugini, naturalmente anch’io ne imparai la lingua, che mi divenne famigliare quasi quanto quella del mio paese.»

Così, alternativamente discorrendo e menando di martello, l’affaccendato Dottore tratteneva la giovane malata, e cercava di metter su le cortine. Contemplò un momento, e con aria di grande soddisfazione, quello che i suoi talenti nell’arte del tappezziere erano riusciti a compiere. Poi, girando lo sguardo intorno alla camera: «Ah, ecco altro lavoro per me! Vedo una fessura in quella porta dietro il vostro letto. Non v’ha nulla di peggio di una fessura; e la più piccola, la peggiore.» E il Dottore uscì e tornò con una lunga striscia di carta in mano, e un guscio d’uovo nell’altra.

— «Avete veduto mai un modo più economico, o più pronto di far colla?» chiese mostrando a Lucy il pizzico di farina e il gocciolo d’acqua contenuto in quel guscio.

Rise ella, e fece le meraviglie della sua attività ingegnosa. In fondo, non si poteva non essere colpito dalla nobile semplicità con cui eseguiva cose credute indegne di loro dalle persone gentili; e mettendosi anche in positura da render ridicolo più d’uno. Senza mai però perdere quella cortese virilità di apparenza, che lo avrebbe fatto notare anche in mezzo alla folla.

Sir John arrivò proprio nel mentre Antonio stava curvo per terra ad incollare la carta sulla fessura. Il Baronetto seguì tutti i movimenti del Dottore; dapprima con aria d’inquietudine, perchè sospettava che fosse un matto; e poi accortosi della natura dell’occupazione dello straniero, il viso di sir John si spianò in un sogghigno esprimente il più intenso disgusto e disprezzo. Per sir John il bello ideale di un gentiluomo era egli stesso. Ora, neppure per impedire che minasse il mondo, sarebbe sir John disceso ad atto da lui reputato basso, e l’uomo che avesse incollato carta sopra una fessura nella porta, fatto il lavoro di un falegname e tappezziere, fosse anche per un Davenne, aveva perduto, nel suo modo di vedere, ogni diritto al rispetto e alta stima altrui.

Mentre sir John sprecava una gran quantità de’ suoi pensieri sul Dottore, che pensava niente affatto a lui, Speranza, la figlia della padrona di casa, portò un grosso mazzo di fiori, per la maggior parte selvatici, e lo dette al dottor Antonio: il quale, soddisfatto in apparenza del suo successo tanto di attaccar carta, come in appender cortine, cominciò immediatamente a esaminarli e ad accomodarne un mazzolino. Lucy osservando che metteva in un vaso soltanto alcuni de’ fiori, e gli altri gettava via, domandò perchè così gettasse alcuni de’ più belli.

— «Perchè l’odore di quelli che chiamate i più belli può farvi male. Desidero farvi avere un mazzetto di fiori per rallegrar l’occhio, non per profumarvi la camera. È sempre male il metter fiori odorosi in una camera da letto; e a fortiori, staranno anche più fuor di luogo in una camera da malato. Nè intendo di lasciar qui neppure questi.» E avviandosi nella stanza attigua, pose il vaso su una tavola, ove miss Davenne poteva dal letto godere della vista di que’ fiori.

— «Adesso che c’è altro?» diss’egli fregandosi la fronte coll’indice, come per ricordare alcuna cosa. «Ah! ecco:» e volgendosi a Lucy: — «Siete avvezza a tener lume in camera la notte?» Al suo risponder «sì,» proseguì: — «Dunque bisogna procurarne uno per voi.»

Ordinò allora a Speranza di portare un pezzo di sughero, con un po’ di stoppino già usato nei lumi a olio; e con quei materiali fece una lampada da notte corrispondente al bisogno, quanto una delle privilegiate di Londra. E dopo visitata un’altra volta la fasciatura del piede di miss Davenne, disse:

— «Si fa tardi, e bisogna vi dia la buona sera. Se durante la notte vi sentiste peggio, che spero e penso non avverrà, — ricordatevi che lo dico solo per riguardo vostro e non per mio — spedite subito a prendermi in Bordighera. La gente di casa troverà un messo; e poi ognuno sa dove stia il dottor Antonio.»

— «E, di grazia, quanto è lontano questo Biurdigora o comunque voi lo chiamate?» domandò sir John parlando la prima volta da che era entrato in camera.

— «Circa dieci minuti di cammino,» rispose Antonio. «Se venite a questa finestra potete vederlo: là, in cima alla collina, alla vostra dritta.»

— «Grazie: e potrei pregarvi di dirmi se si può trovare alcun magistrato in queste vicinanze?»

— «Abbiamo un giudice di pace in Bordighera,» rispose il Dottore.

— «Ah! servirà benissimo. Troverò tempo per vederlo domattina a buon’ora; perch’io non intendo che questo furfante di postiglione se la scappi liscia.»

— «Se così è, vi bisogna un po’ di pazienza,» rispose il Dottore. «Prospero non potrebbe rispondere alla chiamata proprio adesso. Sta malato in letto, e non per alcuna offesa di corpo, ma per il contraccolpo morale che ne ha ricevuto. Gli ho dovuto cavar sangue questa sera, prima di venir qui.»

— «Mi spiace sentirlo,» disse sir John raddolcito. «Nello stesso tempo dovete convenire con me, signore, che io ho obbligo verso tutti i viaggiatori di non passar sopra alla mala condotta flagrante di un ubbriacone e...»

— «Scusate se v’interrompo, signore. Io non voglio difendere Prospero dal biasimo; ma credetemi, l’ubbriachezza non ha niente che fare colla disgrazia di oggi. Prospero non s’è ubbriacato mai in sua vita. Lo posso affermar positivamente, perchè l’ho conosciuto da tre anni in qua. Il vizio dell’ubbriachezza è rarissimo in queste parti, e i nostri postiglioni specialmente sono riputati modelli di sobrietà. Chiedetene a tutte le guide dei legni di posta che vanno ogni giorno da Genova a Nizza e viceversa, e vi diranno come han detto a me tante volte: che se in questa strada accade un numero sì piccolo di disgrazie, non ostante la serie quasi continua di salite e discese, e non poche voltate rapide, ciò si deve alla cura e alla proverbiale sobrietà dei postiglioni.»

Sir John non replicò motto a questo discorso: sicchè il Dottore, salutando, si licenziò.

— «Spero non vorrete querelare questo povero giovane, papà?» disse Lucy.

— «Sarebbe inutile per ora, mia cara, come avete sentito; e prima che il galantuomo stia in gambe, noi saremo lontani un bel tratto.»

— «Ah! papà,» rispose Lucy, «temo che non potrò sopportar la fatica di un viaggio per qualche tempo: mi sento tanto debole e abbattuta. Mi dispiace per voi, caro papà.»

— «Non ve la pigliate per me, cara fanciulla,» disse sir John lisciandole la guancia. «Prima di tutto, voi stessa non sapete quel che può far per voi una notte di buon sonno: e poi, alla peggio,» aggiunse il Baronetto divenuto più magnanimo dopo il suo pranzo, «purchè vi ristabiliate, non mi curerò di un po’ d’incomodo per alcuni giorni.»

Lucy gli prese la mano e gliela baciò in atto di gratitudine.

— «Sapete, papà?» disse l’invalida dopo una breve pausa, «che ho scoperto di quale paese è?»

— «Chi? — il postiglione?» domandò sir John riscuotendosi da riflessioni non troppo piacevoli.

— «Papà, come potete voi? — Il Dottore. È un siciliano.»

— «Davvero? mi è stato detto che la Sicilia è un bellissimo paese,» rispose il Baronetto piuttosto con freddezza,

— «Son sicura che c’è qualche mistero intorno a lui,» continuò Lucy. «Io non credo — Lo credete voi, papà? — ch’egli sia proprio nato per far il medico? Non mi maraviglierei che venisse ad essere uno dei nobili che sono stati banditi. Mi ricordo di aver sentito a Roma parlar di rifugiati politici. Egli somiglia ad una di quelle teste di Vandyck, che vedemmo a Genova. Non vi pare veramente bello, papà?»

— «Sì, è un bell’uomo; e colla sua lunga barba riuscirebbe un magnifico cacciatore,» disse sir John seccamente.

— «Oh! papà, questo è troppo cattivo. Come potete parlare in tal modo di una persona sì evidentemente gentile, e che lo è stato tanto per noi?»

— «Mia cara Lucy, la vostra gratitudine non è troppo logica. L’essere quest’uomo riuscito utile a noi, non è ragione per credere che sia un principe travestito. Comunque, mia cara Lucy, non ho nulla a ridire sulla vostra voglia di far romanzi intorno a quest’Esculapio barbanera. Sospetto solo ch’egli vorrà preferire il modo, onde vorrò mostrargli il sentimento di gratitudine che abbiamo per lui.»

Lucy fissò con un po’ di ansietà gli occhi in faccia a suo padre. «Non temete, Lucy; il pagamento che io offro al vostro eroe sarà proporzionato al suo rango presunto più che all’apparente.» Siccome Lucy pareva ancora inquieta, il Baronetto continuò: «Pazzerella, credete che questo Dottore siasi dato tanto disturbo per amor de’ vostri begli occhi?»

Lucy sospirò, chè forse teneva a un’idea delle sue, che il Dottore si avesse preso tutto quel disturbo per pura bontà d’animo; e forse ell’era romantica a pensar così. Comunque sia, non disse altro; chè il sospiro era stato seguito da un attacco di tosse che la lasciò del tutto sfinita.

Sir John, quando si fu chetata la tosse, credette meglio di lasciarla sola colla debole speranza che si addormentasse. Com’egli si chinava a baciarla, il suo occhio fu attratto da alcun che di strano a capo del letto, che non aveva veduto prima. Guardando più da presso, trovò appeso al muro un crocifisso di piombo, una stampa di gesso della Beata Vergine, con un vasettino di acquasanta incrostato sotto; e un ramo di palma, che di fatto era stata benedetta. Chiunque abbia mai viaggiato in Italia, dee aver vedute siffatte cose quotidianamente, o in vendita sulle strade, o nelle camere da letto di povere case. Sir John, esclusivo in materia di culto esterno come in ogni altra cosa, perdette la poca pazienza che gli restava, trovando cose che credeva emblemi di idolatria sopra il capo di sua figlia; e immediatamente ordinò alla Hutchins di portar via tutto quell’ingombro, e badar bene ch’egli non ne vedesse mai più di simili in alcuna delle camere. Aspettò finchè vide il suo comando eseguito; e poi con disposizione d’animo non troppo caritatevole, prese la candela e si ritirò alla sua camera.

Lo scoramento che provava Lucy di non potere muoversi l’indomani, lo stato di completa prostrazione nel quale l’aveva lasciata, costrinsero sir John, rimasto solo, a ripensare con tristi presagi tanto all’allarmante dichiarazione del dottor Antonio, quanto all’impossibilità di traslocare sua figlia. Com’ei ci pensava, la ferma risoluzione sin allora nutrita di non badare a quella dichiarazione, cominciava a vacillare. Evidentemente accadeva una reazione nella mente di sir John. Per la prima volta da che era entrato nell’osteria, ei sentiva come la terribile sentenza dei «quaranta giorni» in quel deserto, potesse aver effetto: supposizione, è vero, appena fatta, rivocata, anzi annientata da una restrizione mentale in questo senso: che volontà e danaro per eseguir tal voglia, non potevano in fin dei conti non riuscire a vincere ogni difficoltà. Se una materassa si ponesse attraverso i sedili della carrozza, e i cavalli si facessero andare al passo, perchè Lucy non vi avrebbe a star sicura e comoda come sul letto? Eccellente idea, certamente; ma v’erano ancora dei «ma» per via. Ahimè! per quanto facesse per non vedere la realtà, la dura realtà si presentava gigante innanzi all’infelice Baronetto.

In mezzo a questa lotta di pensieri, si preparò a mettersi in letto con un gran sospiro; un sospiro non causato solo dall’aspetto del misero giaciglio e dalla prospettiva di una notte incomoda; ma vecchie reminiscenze risvegliavano altre ragioni d’inquietudini nella mente del Baronetto. L’essere in terra straniera, in mezzo agli estranei, senza la vicinanza di alcun compatriotto, era già di per sè bastante; ma il ritrovarsi in mezzo agli Italiani, era più che bastante a cagionare ed autorizzare ogni sorta di timori. V’era in una cellula del suo cervello una tappezzeria di nozioni intorno all’Italia: nelle quali, stiletti, banditi e vendetta, figuravano accanto ad osterie solitarie, a casupole sulla marina; dove i viaggiatori venivano attirati, assassinati e spogliati. «Paese diabolicamente spiacevole!» esclamò sospirando sir John; «e dove i vostri dottori di campagna hanno davvero una faccia come Rinaldo Rinaldini.»

Le campane delle chiese di Bordighera che suonavano il Deprofundis, un’ora di notte; le voci dei pescatori che si chiamavano l’un con l’altro in distanza; lo stesso mugghìo del mare che si rompea chetamente sulla spiaggia, avevano un non so che di sinistro all’orecchio del Baronetto. Uscito cheto cheto dalla camera, andò alla porta della cameriera; e chiamatala, le ordinò cautamente, sottovoce, di chiudere a chiave e tirar il catenaccio al suo uscio; poi tornato alla sua camera, vi si barricò dentro, e si mise a letto in una disposizione d’animo tanto felice, quanto avrebbe avuto se fosse cascato nelle mani degli indiani rossi.

Ora noi dobbiamo rendere a sir John questa giustizia. Se avesse saputo e creduto che la disgrazia occorsa a sua figlia era così grave qual era di fatto, l’inquietezza per la sua bambina non avrebbe lasciato alzare il loro capo d’idra a quelle spregevoli supposizioni e timori. Ma abbandonatosi alla fiducia che quel fatto non era nulla più che una slogatura di caviglia; e non credendo d’aver in ciò alcun motivo di apprensione, sir John aveva agio sufficiente di accarezzare a sua voglia non solo i suoi reali fastidii, ma pur tutti que’ pericoli della situazione che fantasticava. Come poteva, davanti a circostanze tanto potenti e dietro gli indizii replicati da Antonio, durare ancora in tale illusione? La risposta è facile. Sir John era trascinato da un’idea preconcetta, dall’idea che il dottor Antonio avesse interesse ad esagerare, anzi che a diminuire la gravità del male sofferto da miss Davenne. E il supposto che uno affatto estraneo, un medico di campagna, e italiano per di più, potesse, per riguardo de’ sentimenti suoi, di sir John, aver nascosto i peggiori caratteri del caso di sua figlia, era tale assurdo che non poteva mai entrargli in mente. L’altero Baronetto avrebbe potuto nello stesso modo supporre — che la famiglia Davenne non fosse una delle prime famiglie in tutto il Regno Unito.

Mentre sir John si chiudeva dentro, e il suo umile omonimo, in uno stato intensamente nervoso, faceva la guardia alla carrozza; Rosa e Speranza, non occorrendo più i loro servigi agli ospiti di sopra, si erano ritirate nel sito ove avevano fatto disegno di dormire: un piccolo e scuro bugigattolo dietro la cucina, nel quale tenevasi abitualmente una poca provvista di legna e carbone. Un pagliariccio e una coperta in due dovea lor servire di letto; e questo era quanto quelle povere, semplici e laboriose creature avevano pensato a riservar per sè. Fra la compassione per la signorina, e il rispetto di sir John e del suo servo John, avevano ad essi ceduto non solo la parte di casa riservata ai pochi e modesti viaggiatori che per caso qualche volta vi passavano la notte; ma anche la propria camera, e quant’ altro possedevano di letti, materassi, cuscini, ecc. Lungi dal rammaricarsi del sacrifizio de’ loro piccoli comodi usuali, madre e figlia si davano gran pensiero del come potrebbero accrescere quelli degl’inaspettati inquilini. — «Che fortuna,» disse Speranza, «che questi signori portino con sè le loro posate. Non fosse che per questo, non so come avremmo fatto co’ nostri quattro cucchiai e forchette d’argento. Perchè, pensa mamma, che soltanto il vecchio signore a ogni piatto deve avere cucchiai e forchette pulite.» E le due donne si misero a passar mentalmente in rivista i fornimenti di casa di tutti i loro più ricchi vicini; e a pesar la probabilità di avere tale o tal altro articolo di servizio in prestito da essi il domani. Ma in fin dei conti, che bisogno c’era di stillarsi tanto il cervello, quando ci era il dottor Antonio? Il dottor Antonio avrebbe procurato tutto l’occorrente — il dottor Antonio avrebbe messo tutto in ordine. A sentir le due donne, ognuno avrebbe potuto supporre che questo medico di campagna era uno dei genii delle Notti arabe, e che bastava soltanto battesse col piede in terra, per farne venir fuori un palazzo bello a preparato.

— «C’è una cosa, mamma,» disse la fanciulla, «che dobbiamo far subito; ed è di levare il ramo di pino d’in su la porta. So che il vecchio signore non può sopportarne la vista; fece un viso quando vi passò davanti!» — «Dunque sarà levato,» rispose la madre; «forse sarebbe meglio tor via anche le panche e le tavole del giardino. Domani è domenica, e la gente di Bordighera verrà qui dopo i vespri, e son sicura che il signore non ama di vedere tanta folla intorno nel giardino. Noi potremo dare a quelli cui piaccia, la lor bottiglia di vino nell’entrata; e quelli cui non aggrada, se ne andranno altrove. Non voglio che vengano a fumare e a cantare sotto le finestre della signorina

— «È vero,» rispose la figlia, e il dottor Antonio ha detto che sopratutto ella ha bisogno di star quieta. Oh, mamma, vedesti mai faccia sì cara? pare la Madonna sopra l’altare.» — «Sì, pare davvero,» acconsentì Rosa, «Dio la benedica!» — «Dio la benedica!» ripetè Speranza; e con questa benedizione sulle labbra, madre e figlia si addormentarono.

Avendo per ora collocati tutti i nostri personaggi, eccetto il principale — quello almeno che dovrebbe esser tale secondo il nostro titolo — possiam dare una guardata anche a lui.

La dimora del dottor Antonio in Bordighera consiste in una stanza tollerabilmente larga, che serve nello stesso tempo di sala, di studio, di libreria: e sulla quale si apre una piccola camera da letto. Un lato della sala è coperto interamente di scaffali ripieni di libri; una mezza dozzina di sedie, e una tavola mediocre completano la mobilia. Nel lato opposto agli scaffali pende un flauto e una chitarra, due fioretti, alcuni guanti e maschere da scherma; e sotto queste sta la carta della Sicilia. Libri stanno sparsi sulle sedie, per terra, per tutto; e ce n’è un monte sulla tavola, innanzi la quale sta seduto il nostro eroe, accarezzandosi la barba coll’occhio fisso su di un libro che assorbe tutta la sua attenzione. Fra le pagine stampate vi sono incisioni di gambe, sotto tutte le forme di fratture, e con ogni varietà di modi di accomodarle e fasciarle. Di tratto in tratto il dottor Antonio s’alza, passeggia su e giù per la stanza in atto di profonda meditazione; va agli scaffali, prende un grosso in-foglio, e sembra stia confrontando note. Le ore corrono rapidamente, ed egli rimane a studiare, e ad accarezzarsi la barba. Ora guarda al suo orologio, e fa un’esclamazione di maraviglia nel vedere come il tempo è passato: prende il lume come per andar a letto nella camera attigua, poi si ferma subitamente; posa giù di nuovo il lume, e se ne va di nuovo allo scaffale. C’era ancora un punto sul quale non si è ancora capacitato; c’è una complicazione che può nascere, e che ancora non ha trovato menzionata.

La luce dell’alba penetrando a traverso la finestra, lo trovò ancora in lettura. Alla fine chiuse il libro, smorzò la lampada divenuta inutile, e, vestito com’era, si gettò sul letto.

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