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CAPITOLO XXI.
Otto anni dopo.
Giunti a questo punto, chiediamo in grazia ci sia permesso di prevalerci del nostro privilegio di romanziere, e di saltare a un tratto sopra un periodo di otto anni. Se vorrà considerare il cortese lettore la quantità di materie connesse, o no, col nostro argomento, delle quali avremmo potuto riempir questo vuoto; e vorrà considerare il risparmio di tempo e di pazienza arrecatogli da questo modo spedito di entrare in campo; confidiamo che non sia per rincrescergli quello sforzo d’immaginazione, e sia anzi per darci credito di discrezione. D’ora innanzi più nessuna dolce lusinga ci ritarderà per via. Addio alle fresche ombre e alle apriche colline! Addio ai quieti sentieri cospersi di fiori, ai limpidi ruscelli lietamente mormoranti a lato della strada! La parte del nostro corso illuminata dal sole è finita, e fosche nuvole oscurano quella che ci rimane. Affrettiamoci pertanto a percorrerla più presto si possa.
Siamo alla metà di marzo del 1848, in quella stessa strada su cui, otto anni fa, incontrammo la prima volta Lucy e suo padre; e come allora l’oggetto principale è una carrozza da viaggio, che dalle alture di Turbia corre giù verso il lontano Mentone cinto dal mare. Un cielo coperto, un mare color di piombo, un orizzonte stretto e grigio, chiuso verso la marina e verso la terra da una fosca zona di pioggia cadente; — tale è ora lo spiacevole aspetto del paese a traverso il quale l’equipaggio trascorre. Gli oliveti della valle e dei colli tremano agitati sotto l’impetuosa forza del vento che passa lor sopra; mutandosi in rapida vicenda dal bianco allo scuro e dallo scuro al bianco, secondo che il soffio agita o il lato bianco o il verde-cupo delle foglie. Può bene il servo inglese, di età mezzana, che sta in cassetta, la cui patria sta scritta in modo evidentissimo sulla sua florida faccia e nella elaborata curva dei suoi favoriti grigi-rossicci, rivolti verso la punta del naso; — ben può abbottonarsi il largo soprabito, accennando, mezzo malizioso e mezzo lieto, alla compagna, che dura dura gli siede allato, quasi per dire: — «Questo dunque è il bel paese di cui mi diceste tante maraviglie?»
La povera bella Riviera pareva di certo, in quel triste giorno, miseramente diversa da sè stessa; un paesista dilettante non avrebbe avuto a far di meglio, se non chiuder gli occhi e mettersi a dormire. Un viaggiatore bensì, capace di trarre diletto da altri fenomeni che non sian quelli derivanti dalla combinazione delle forme e del colorito, avrebbe pure scoperto, a traverso di quella fosca atmosfera, qualcosa capace di attrarre la sua attenzione ed eccitare la sua simpatia. Più di una volta la carrozza aveva incontrato drappelli di soldati allegramente marcianti tra il fango e l’acqua, e cantando canzoni che le circostanti montagne rare volte avevano ripetute. Il nome d’Italia, proscritto un tempo, risuonava ora ne’ loro cuori accoppiato con un altro — allora pieno di splendide promesse, ma poi gravido di lunghe delusioni per orecchie e cuori italiani — il nome di Pio IX. Un’aria insolita di vivacità regnava in tutte le piccole città e villaggi sparsi lungo la strada, o sovr’essa nelle alture. Sulla strada maestra stavano crocchi di cittadini di ogni classe, caldamente discutendo, sotto al vento e alla pioggia, gli argomenti del giorno. Bandiere di ogni dimensione ondeggiavano sopra i tetti, o sventolavano dalle finestre tutte spieganti del pari i colori nazionali d’Italia — bianco, rosso e verde. Guardie nazionali improvvisate, senza aver di soldatesco altro che il moschetto, montavano la guardia innanzi ai palazzi municipali decorati di bandiere. Non c’è dubbio, la Libertà, dolcissima dea, aveva soffiato il suo caldo alito su questa terra, e aveva ridestato a vita nuova la popolazione della Riviera, da tanto tempo addormentata.
Nessuno di questi segni de’ mutati tempi andava perduto per la signora dentro la carrozza; la quale li osservava con una premura che aumentava l’etico colorito delle sue pallide gote, e accresceva il malauguroso luccicar de’ suoi occhi incavati. Ad ogni passo de’ suoi celeri cavalli, pareva crescesse l’attenzione che ella poneva in tutte quelle cose; e quando la carrozza ebbe passato Ventimiglia, e cominciò a spuntare fra la nebbia piovosa il primo di quella serie di promontorii che projettava in forma di mezzaluna una cerulea linea nel mare, la bella viaggiatrice fu tanto oppressa dalla commozione, che, ponendosi la mano al cuore quasi cercasse reprimerne i palpiti, si abbandonò sul sedile cercando di riprender fiato. Questa ultima circostanza appena abbisogna al Lettore, perchè indovini chi fosse la signora. Fuori della nostra soave eroina, chi avrebbe mostrato tanto affetto alla vista di Bordighera? Era infatti Lucy, mestamente alterata, ma pur bella — con i suoi profusi capelli biondi riccamente divisi in sulla fronte, pura e liscia come otto anni prima. Ma quale affanno, o qual dolore, gentil figlia di Albione, ha prodotto quella rete di piccole linee orizzontali fra gli occhi tuoi e le tempia? Quale mano invidiosa ha segnato quelle due linee profonde ad angolo con le estremità della tua bocca?
Lucy aveva fatto ciò che novecentonovantanove su mille signorine nel suo caso avrebbero fatto — si era maritata. Quando, mezzo scherzando, mezzo sul serio, sir John aveale dimandato la prima volta chi avesse trovato grazia agli occhi suoi fra la numerosa caterva di ammiratori affollantisi intorno alla ricca e giovine bellezza; Lucy arrossendo vivamente aveva dichiarato di non aver pensato mai a cose siffatte; e che era suo unico desiderio continuare a vivere col suo caro papà. Ciò sentendo il caro papà ridendo, aveva replicato essere una sciocchezza quella che ella diceva; — che le signorine erano nate a posta per isposare ed essere sposate. Aubrey presente a quella conversazione non fece per il momento osservazione alcuna; ma dopo uno o due giorni, colse l’opportunità di domandar alla sorella quale obbiezione avesse riguardo a lord Cleverton. Ella non ne aveva alcuna contro il Visconte, nè contro qualunque altro; solamente non aveva inclinazione a maritarsi. Egli bensì, Aubrey, era fortemente inclinato a che si facesse quel matrimonio; e se di lì a due mesi ella non avesse scelto, allora toccava a lui indovinare in cosa consistesse l’obbiezione, e a darsi buona cura di rimuoverla. Questo fu detto colla gentilezza di parole e di modi proprio del fratello di Lucy — cioè con occhi fiammeggianti, e battendo de’ piedi. Lucy non era, il Lettore lo sa, della tempera coriacea di cui sono le eroine che la fanno in barba ai loro tiranni, e scuotono in faccia ad essi fuggendo le loro catene — sui libri o sulla scena. Ella era una povera, debole, nervosa creatura, e nel suo naturale ritraeva più della canna pieghevole che della quercia resistente alla furia de’ venti. Per di più la minaccia del capitano Davenne era a doppio taglio. Quando temono per altri, le donne sono presto disarmate; così miss Davenne, dentro il tempo che le era stabilito, fece la sua scelta; e quattro mesi dopo era maritata: — maritata senza amore, ma senza ripugnanza; — al contrario, con un grado di simpatia, il quale, convenientemente nutrito e coltivato, avrebbe potuto e dovuto maturarsi in affetto stabile e durevole.
Lord Cleverton era tal uomo le cui attenzioni e la cui preferenza non potevano non lusingare una fanciulla di caldi sensi come Lucy: quand’anche non fosse, qual professava di essere, un ammiratore entusiasta dell’Italia. Di fatti in Italia l’onorevole Mr. Tyrrel, giovane pien di brio, addetto all’ambasciata di Firenze, aveva fatto i primi passi nella vita; e se la fama riferiva il vero, egli aveva fatto di molte pazzie. In mezzo a una carriera di spensierate stravaganze, per la morte del padre richiamato inaspettatamente ad assumere il titolo paterno e un seggio nella Camera Alta; l’abbagliante diplomatico, quasi un altro Principe Hall, aveva messo da parte le sue follie, e fatto maravigliare il mondo colla costante applicazione e colla non comune attitudine agli affari. Bello ancora e di aspetto giovanile, benchè di ben venticinque anni più vecchio della sua sposa, e citato come modello di eleganza e di buon gusto, lord Cleverton riuniva in sè coi pregi brillanti dell’uomo di mondo le più solide qualità dell’uomo di Stato. Nessuno con maggior grazia sapeva dire quelle amabili cose da nulla, che sono la moneta corrente delle conversazioni: nessuno assaliva con logica più convincente il Ministero, fra gli evviva entusiastici dei banchi dell’opposizione ne’ quali sedeva. Per disgrazia, le qualità che si tiran dietro i successi nelle riunioni di moda, e i trionfi oratorii nelle assemblee politiche, non assicuran sempre la felicità domestica — quale almeno l’intendeva Lucy. Ella stette un pochino di tempo ad accorgersene, ma se ne accorse alla fine.
Che mancava alla giovane Viscontessa? Era come una piccola regina nella sua famiglia, e suo marito il primo suddito; dovunque si recasse, giovani, vecchi, le facevano omaggio; — uomini di Stato, pieni di gravità, mettevan da parte le loro speculazioni per intrattenerla di lievi argomenti atti a interessare la sua età e il suo sesso; — celebri poeti cantavano la sua bellezza, e pittori di prima classe disputavansi l’onore di trattare in tela la sua amabile persona: — eppure non era felice! Che le importava di veder sazia la sua vanità femminile, mentre il suo cuore aveva bisogni rimasti tuttavia insoddisfatti?
Era lord Cleverton di quelli uomini, l’esistenza de’ quali principalmente consiste nella testa. L’ambizione era la passione dominante della sua natura: le affezioni profonde, esclusive, che s’impadroniscono di tutto l’essere, se pur simili cose per lui esistevano, le riguardava quasi come un ostacolo all’acquisto del potere, secondo lui, l’unico fine nobile, legittimo, degno di esser cercato da un uomo. Il rispetto per la sua giovane moglie era illimitato, come la deferenza ad ogni di lei volontà che non s’inframettesse colla sua passione dominante. Egli la riguardava sempre con infinita compiacenza; e quando la vedeva far gli onori della sua casa a un crocchio di ospiti distinti, con quella grazia e quella dignitosa naturalezza di modi per cui erano legati a lei tutti i cuori, il suo sentimento predominante era il soddisfatto orgoglio. Ma nessun affetto più caldo animava la sua ammirazione. Stava altrove il grande interesse della sua vita. La politica occupava la maggior parte del suo tempo. Era tanto occupato fra progetti, assemblee, deputazioni, presidente di società di ogni sorta — oltre l’assistere alla Camera, che lady Cleverton appena poteva vederlo per intere settimane, e anche allora in compagnia d’altri. Il mondo si frapponeva sempre fra lui e lei. Con tal uomo nessun testa a testa possibile, nessuna di quelle dolci espansioni del cuore; nessuno di quei ricreanti discorsi presso al focolare, che tramutano la simpatia in affetto, e sono per l’affetto quello che è la fresca rugiada della mattina pe’ fiori. Le cure di lui non erano cure di lei. Invano da principio, accorgendosi di qualche nube nel suo aspetto, ella aveva ripetutamente cercato conoscerne la causa e provarsi a cacciarla. I tentativi di lei per guadagnarsi la sua confidenza erano stati gentilmente e con molta cortesia, ma non meno pertinacemente, respinti. Ne era ragione, com’egli diceva, il non volere disturbare la vita di lei. Questa ragione, pensava ella, poteva esser buona per un estraneo; ma ella era sua moglie, e come tale aveva diritto a una parte delle gioje e de’ dolori di lui. E andò a finire che il cuore della povera Lucy si alienò e si appassì; ed ella sentissi ogni giorno più solitaria. Questo non fu effetto di pochi giorni, settimane o mesi: — la goccia ha da cader lungo tempo prima di forar la pietra. Nè questo procedimento dissolvente fu sempre continuo. No; ci furono alti e bassi, fermate, speranze inattese. Ma alla fine venne il giorno, e fu un giorno triste, in cui vide il suo sogno d’amore svanito come una brillante bolla di sapone; e la fredda noja cominciò ad aggirarlesi come un serpe intorno al cuore.
Se a Lucy fossero state concesse le gioje della maternità, — se avesse posseduto un diletto fanciullo su cui versare le sovrabbondanti ricchezze dell’anima sua, tutto sarebbe andato bene per lei; ma la Provvidenza aveva disposto altrimenti. Lord Cleverton aveva aspettato un erede con tutto l’ardore del capo di una novella dinastia; ma troppo bene educato e generoso, nascondeva il meglio che potesse la delusione onde era tormentato. La penetrazione della nobile sposa la fece presto accorta, che, oltre le preoccupazioni politiche, altra cosa opprimeva l’animo del marito e a forza di cercare ne trovò la cagione. È impossibile dire quanto s’indovini rapidamente cosa che ci rechi dolore. Quella scoperta completò la miseria di Lucy: e poche furono le notti in cui non bagnasse i cuscini di lagrime. Quanti grandi per titoli e per ricchezze — invidia del volgo che li riguarda come tanti soli o stelle splendenti sopra il capo, — quanti, guardati da vicino, lasciano vedere qualche guajo misterioso, qualche nascosta tribolazione che li rende compassionevoli! Proprio, come una bella rosa colta con avidità, alla quale tosto cade la splendida corolla, e mostrasi un lurido verme nel calice. Si accorse lord Cleverton dell’aspetto alterato e delle frequenti astrazioni di sua moglie, e ne ebbe pena e dispiacere. Quella grazia ammirabile, quella ricca fluidità di conversazione naturale e animata, che intorno a lei aveva attirato le persone più colte e più liete della società, regolatori della politica come della moda; furono gradatamente sostituiti da una mera formale monotona cortesia. Lord Cleverton, desideroso di sentir parlare della sua casa, come di una delle più gradevoli di Londra — che riguardava cotal riputazione come un sussidio alla sua ambizione, osservava con disgusto crescente, abbastanza leggibile nel suo contegno, quell’alternativa di gioja e di mestizia della sua moglie. Lucy, conscia dell’occhio scrutatore che le stava sopra, procurava nascondere in un perpetuo sorriso l’abbattimento reale da cui era vinta. Ne nacque da ambo i lati un fare forzato; il tempo, come suole, allargò la breccia; e marito e moglie si alienarono ogni giorno più l’uno dall’altra. Noi non pretendiamo sviluppare; solo indichiamo quello stato di cose.
Intanto, mentre la salute e lo spirito di lady Cleverton venivano abbassandosi; i suoi doveri di signora di una delle più splendide e ospitali case della metropoli, divenivano ognora più gravosi; nè giammai lo furono quanto nella primavera del 1847. Il Ministero esistente barcollando, si parlava di un nuovo Ministero, nel quale la pubblica opinione assegnava un posto importante a lord Cleverton. Le ambizioni, alte e basse, erano giunte al punto della incandescenza; e nessuna era più ardente di quella del marito di Lucy. Un urto più disperato, un’altra disfatta data al Gabinetto, e il potere, meta tanto desiderata, era raggiunto. La casa di lord Cleverton divenne il quartier generale del suo partito; e fra il vortice delle danze e il suono dei cantori italiani e tedeschi, si assicuravano i voti esitanti, si assegnavano i posti, e si stabiliva il piano di una nuova campagna. Quello era il tempo, in cui il fascino de’ modi della giovane Viscontessa e la grazia persuasiva della conversazione di lei avevano a compiere tutto quello su cui lord Cleverton aveva calcolato quando la tolse in isposa. Egli le chiese di essere assidua in Corte; di accettar ogni invito, non importa se di Sua Grazia o di sua Eccellenza, o solo di alcuno della Scuola di Manchester. Ella doveva mostrarsi per tutto, ovunque la moda esige che si trovino le signore di alto rango; e affine di trionfare, mostrarsi sempre quale sarebbe se già fosse assicurato il trionfo. E tutto ciò fece lady Cleverton senza ostentazione, con calma. Il suo marito l’ammirò, ne fu attonito; e poi ne concepì per lei gratitudine. Il modo con cui ella si conformava a tutti i desiderii di lui, e ne adottava le opinioni, fece, pur anche nel calor della mischia, che un dubbio penetrasse nella sua mente, se egli veramente, e in tutto, fosse stato per questa bella creatura quale avrebbe dovuto essere: e risolse, terminata questa crisi, che in avvenire avrebbe fatto ammenda del passato. Ma era troppo tardi. Lord Cleverton, in mezzo a’ suoi progetti e intrighi, si prese una febbre e morì in pochi giorni. Morì col triste dubbio di avere sbagliato la via della felicità; e benedicendo l’angelo che fino all’estremo incessantemente lo assistette, lo curò, lo consolò.
La giovane vedova, affranta di corpo e d’animo, si rifugiò a Davenne; ove l’età avanzata e gli attacchi di gotta avevano ritenuto prigioniero sir John negli ultimi due anni. Fu spaventato il tenero padre del mutato aspetto della figlia sua, e più agitato ancora dallo stato di profondo scoraggiamento nel quale la vide immersa. Lucy di fatto quasi si sentiva morire; e nulla valeva a scuotere la ferma convinzione che i suoi giorni fossero numerati. Sir John fece ogni meglio per distorla con ragioni da quelle tristi fantasie, ma tutto invano; e gli venne poi da per sè l’idea di farla viaggiare all’estero. — Perchè non le gioverebbe di nuovo quello che le avea giovato una volta? A lei bisognava soltanto aria fresca, mutazione di scena e quiete. Perchè non andare per un po’ di tempo a Bordighera e consultare il dottor Antonio? Ella era molto più cagionevole quando, otto anni prima, c’erano andati per la prima volta; eppure prestissimo vi si era ristabilita. Il Conte probabilmente consentirebbe a dar loro in affitto il casino; oppure essi potrebbero impegnare il Dottore ad accompagnarli a Roma. E sir John era sicuro che il dottor Antonio farebbe ogni cosa per lei. — Il degno Baronetto aveva toccato la corda sensibile; e, accortosene, reiterò i suoi argomenti. Così il dottor Antonio e Bordighera, Bordighera e il dottor Antonio, e la vecchia osteria e Speranza e Battista — nomi da tanto tempo non più pronunziati — divennero il tema quotidiano della conversazione di Davenne Hall. Memorie di già sepolte tornarono in vita; le vecchie rimembranze ripresero forza, rinfrescando e ravvivando il cuore di Lucy; e un crepuscolo di speranze brillò all’animo affranto di lei. Sì; se alcuna cosa poteva salvarla, era certo la cura di quel suo gentil medico — era l’aria soavemente profumata della dolce Riviera. Fu stabilito pertanto che, finito il primo anno di lutto, Lucy e suo padre si metterebbero in viaggio per la Riviera. Lucy attese con una specie di nostalgica aspettazione l’arrivo di quel momento; il quale, giunto alla fine, trovò il povero sir John inchiodato in casa da un attacco di gotta più forte del solito. Tuttavia egli non volle acconsentire ad alcuna dilazione da parte di Lucy, e fu irremovibile quanto alla partenza; chè amici e dottori aveano da lungo tempo dichiarato unanimi dover la Viscontessa lasciar l’Inghilterra prima che cominciassero a soffiar i venti di marzo. Sir John proponevasi raggiungerla a Bordighera, a Roma, a Napoli, dovunque; ma ella doveva partire, e immediatamente. Non amando Lucy recarsi tanto lontano da casa in compagnia di soli servi, prese seco una signora di mezza età per compagna di viaggio, e con ella si avviò a Parigi verso la metà del febbraio 1848. Troppo ansiosa di recarsi in Italia, non provò alcuna tentazione di dimora nella capitale della Francia; e lady Cleverton riprese per buona sorte il viaggio prima dell’apparizione delle barricate repubblicane sui boulevards. Giunta a Nizza, la sua impazienza non conobbe più freno. Non solo non si volle concedere neppure pochi giorni per riposarsi delle fatiche, ma ripugnando la sua natura sensibile all’idea di esporre a un estraneo le emozioni che avevano ad essere in lei eccitate dalle scene che stava per rivedere, lasciò la sua compagna all’albergo; e seguita soltanto dalla fedele Hutchins e da un servo, si recò a Bordighera colla febbrile ansietà di uno la cui vita dipenda da un gettar di dadi. Adesso desiderava vivere, e nessun medico, eccetto Antonio, poteva farla vivere. Lucy aveva in ciò una specie di superstizione.
Alla fine la carrozza passò il promontorio di Bordighera, e la piccola valle sottoposta si offrì allo sguardo.
Lucy tese gli occhi avidamente per comprendere in una occhiata ogni particolarità di quella scena di già famigliare, e il cuore le si strinse in seno. Che cosa dava alla povera osteria, al giardino, alla riva stessa del mare, un aspetto tanto desolato e deserto? Nella crescente agitazione dello spirito, non potè veder nulla distintamente; pure le venne scorto abbastanza per conoscere che, qualunque ne fosse la cagione, una mutazione era avvenuta sul luogo. Fa fermare la carrozza, e tutta tremante si avvia in fretta giù pel viottolo. La piccola porta pende da uno de’ cardini irrugginito, come nessuna creatura umana vi fosse passata da secoli; il giardino è una perfetta selva di erbacce e di rovi; il boschetto di aranci e limoni, tanto lussureggiante un tempo, è ridotto a una misera riunione di tronchi sparsi, disseccati, simili a scheletri; la casa tutte screpolature, fessure e buchi, rapidamente cade e si disfà in pezzi. L’unica parte ancora intera è la massiccia scalinata. Delle finestre quelle che non sbattono al vento, o non giacciono in terra, stanno chiuse ermeticamente. Ogni cosa all’intorno porta i segni di trascuratezza, di decadenza e di una desolazione estrema.
Nel bussare alla vetriata chiusa di dentro, e chiamando Speranza e Battista, Lucy viene riscossa da una voce a piè degli scalini di pietra. È un giovane contadino, che le dà avviso non esservi alcuno in casa che possa rispondere al bussare o alla voce; che la casa è disabitata, e rimasta così dalla morte dell’ultimo proprietario.
— «Che! Speranza è morta? — Battista è morto?»
— «No, no, Speranza e Battista vivono tutti e due; e, grazie a Dio, in buona salute. Eglino tengono la Posta a Mentone. Vendettero l’osteria ad un vecchio, che poi è morto.»
Lucy respirò più liberamente.
— «E... il medico comunale di Bordighera,» dice ella esitando. «Che n’è di lui?»
— «Volete dire del dottor Gabriele? Grazie, sta benissimo.»
— «No, non del dottor Gabriele, — dico del dottor Antonio, — un signore alto, con una barba lunga — un Siciliano.»
— «Ah sì, capisco adesso di chi parlate. Vi chieggo scusa, ma io non sono di questo paese. Il Dottore di cui parlate, partì molto tempo fa, almeno così ho sentito a dire.»
Lucy si appoggiò alla balaustrata, — le ginocchia le si piegavano.
— «E naturalmente voi non saprete,» disse tremando da capo a piedi, «ove si ritrovi?»
— «No, io non lo so, e ho paura che in questi dintorni non lo sappia nessuno.»
In tutto questo tempo, il giovane contadino aveva squadrato la sua bella interrogatrice con molta curiosità e premura. — «Forse,» aggiunse egli alquanto esitando, — «forse voi siete la Signora Inglese che abitò a lungo in questa casa, e fece tanto bene al paese?»
Fu un conforto per Lucy il sentire come fosse con affetto ricordata. Non era dunque spento l’affetto lasciato di sè nei rimasti. Le parole del giovanotto addolcirono alquanto l’amarezza della desolazione di lei.
— «Avete indovinato,» rispose, «io sono quella Inglese. Prendete questo per amor di chi ama molto Bordighera.» E tornata frettolosa alla carrozza, disse al servo di ordinare al postiglione ritornasse all’Albergo della Posta a Mentone.
La pioggia era stata continua durante la fermata di Lucy, ed ella perciò era inzuppata e grondante. La Hutchins le suggerì di fermarsi in qualche luogo a far asciugare i suoi abiti, e a prendere qualche bibita calda; ma Lucy non volle sentir parlare di fermata prima che fosse giunta a Mentone. La promessa di una mancia straordinaria, inspirando nuovo coraggio al postiglione, egli fece girar la frusta attorno al suo capo con tale scoppio da mettere i cavalli immediatamente al galoppo, i quali via corsero scalpitando furiosamente tra il fango e l’acquazzone. Stava per cadere il giorno quando l’inzaccherata carrozza si fermò innanzi all’Albergo della Posta.
Il cielo erasi rischiarato in parte verso ponente, e le rosee tinte del sole cadente fra cumuli di grosse nubi nere, illuminavano un crocchio di persone a lato della porta dell’albergo: — uno di que’ quadri casalinghi famigliari, del quale Teniers o Miries avrebbero fatto una piccola maraviglia. Sopra un banco di legno sedevasi una giovane e bella donna, dagli occhi e dai capelli neri, e un po’ distante da lei un uomo d’in su i trent’anni, di bruna carnagione e di bruni favoriti, con una pipa in bocca, accovacciato sulle calcagna colle braccia aperte verso un roseo e ricciuto angioletto — ambi i genitori incoraggiando con parole e con atti i primi tentativi a camminare del bambinello; mentre esso, con grida d’infantil gaudio, andava barcollando dall’uno all’altra, Lucy guarda vivamente su quella triade. Speranza si volta, e scorge il dolce viso: — «Madonna santa! Mamma, mamma, è la signora.» E in un istante levatasi in piedi, confidando il bambino alle braccia dell’accovacciato Battista, con un impeto che lo manda a gambe in aria col fanciullo dimenante sopra lui, salta dentro la carrozza e si gitta al collo di Lucy. — «Oh mia cara signora! — mia cara signora!» è tutto quello che può dire Speranza. Rosa corre fuori precipitosa, col solo pensiero che possa essere accaduta qualche disgrazia mortale alla speranza della famiglia. Battista si rimette in gambe, e succede un general riconoscimento fra tante benedizioni, esclamazioni, batter di mani, invocazioni alla Vergine, che sarebbe stato immensamente comico, se non fosse stato commovente davvero.
— «Che Dio vi benedica! Quanto son fredde le vostre mani, signora. Quanto siete stanca! Oh! se fosse qui il dottor Antonio.» Speranza si morse la lingua. Lucy viene trasportata, più che guidata, disopra, nella miglior camera della casa. Un fuoco ardente crepita presto nel caminetto, è tirato innanzi il sofà; e toltole via lo scialle e l’abito bagnati e convenientemente coperta, Lucy viene stesa sopra il sofà a scaldarsi e riposarsi. Speranza si china amorosamente sopra la sua amabile soffrente, le accarezza e bacia a vicenda le fredde mani e i piedi; asciuga, liscia e bacia i bei ricci stesi, sorridendo sempre, e cicalando, e benedicendo il giorno e l’ora e la Madonna; ma anche in quell’agitazione, non dimenticando nulla di ciò che può menomamente servire al conforto della sua cara padrona, come ella chiama Lucy; e men di tutto, il pan brusco e il thè caldo — non il thè d’ogni dì, ma quello serbato nel canestro verde per le occasioni straordinarie. Miss Hutchins per il momento è messa affatto da canto, ed ella lo prende in buona parte e allegramente. Speranza non vuol cedere ad alcuno, nemmeno a sua madre, il diritto di riporre quei piedini in calde pantofole, di mettere il «prete» a scaldare il letto, di fare il menomo servizio a questa sua adorate padrona.
Lucy si sentì rivivere in questa geniale atmosfera di animi a lei devoti, e mentre si assise a sorbire il thè, che le parea come nèttare, un raggio di conforto le si diffuse sulla stanca sua persona e nel cuore. Era infatti gran tempo che non aveva più goduto un tal banchetto: e da otto lunghi anni ne aveva sentita la fame. Tutto il prestigio del rango e della ricchezza, tutti i piaceri della vanità soddisfatta, non le avevano dato mai un’ora simile a questa. Di tutti gli omaggi stati accumulati sopra di lei, di tutti i sorrisi che avevano brillato per la nobil signora, quelli persino di labbra reali, nessuno l’aveva lusingata quanto il sorriso di questa contadina, quanto l’omaggio di questa semplice gente. Grazie a Dio! ci son beni che la ricchezza non può comprare, nè la nobiltà dona.
Lucy contò a Speranza la sua visita a Bordighera, e l’urto provato in vedere quello stato alterato di cose, e il doloroso suo sconcertamento, trovando Antonio partito.
— «Parleremo di ciò domani, cara signora,» disse Speranza che aveva osservato gli occhi di Lucy pieni di lagrime, «e dopo che vi sarete ben riposata questa notte, come spero. Solo vo’ dirvi che il dottor Antonio tornò al suo paese, e che vi sta ancora, almeno c’era due mesi fa. La signora Eleonora ha ricevuto una lettera da lui, ed ella potrà dirvi tutto in proposito del nostro caro amico. Sentimmo che ci fu una gran rivoluzione in Sicilia e che combattè come un leone. C’è stata anche in Sardegna una famosa rivoluzione, e una qui a Mentone e Roccabruna. Battista era alla testa di essa — in fede mia, c’era egli! — e deve esser ufficiale della Guardia Nazionale. Il Comandante di San Remo è fuggito, o non ci devono esser più Comandanti. Almeno dicono così, e i Carabinieri non devono contar più dell’altra gente. C’è stata nessuna rivoluzione nel paese vostro?» domandò Speranza coll’aria di persona che tien per certa la cosa domandata.
— «No, grazie a Dio!» disse Lucy sorridendo.
— «Non c’è stata rivoluzione!» ripetè Speranza piuttosto scaduta dalla sua idea; «ma dunque non avete Comandanti nel vostro paese,» aggiunse come se ciò accomodasse l’affare. Così nell’atto di svestir Lucy, non ostante la sua saggia risoluzione di rimettere ogni conversazione all’indomani, Speranza disse quanto sapeva di più importante per la di lei ascoltatrice. Il sapere che non era perduta ogni traccia del suo Dottore, era bene qualche cosa; e ricevute le benedizioni di Speranza, Lucy s’addormentò; e sognò tutta notte, mari azzurri, aranci profumati, e sè e il dottor Antonio a passeggiare nel giardinetto dell’osteria.
La mattina di buon’ora, Speranza portò i suoi figli a Lucy — due sane e belle fanciulle, brune come la notte: Lucia Maria, e Rosa Lucia, e il ricciutello Lucio. «Sapevate che ci fosse un nome come Lucio?» domanda altera la giovane madre.
— «Credo di sì,» risponde Lucy.
— «Ebbene, io son sicura che non lo sapevo,» disse Speranza. «E siccome era un maschio, era terribilmente imbrogliata per chiamarlo del nome vostro: ma ero risoluta a farlo, anche avessi dovuto creare un nome di mia invenzione. Battista voleva che lo chiamassi John, col nome di vostro padre; ma non sarebbe andato tanto bene; e così cosa credete che io abbia fatto? Presi un almanacco e guardai i nomi di tutti i santi, e alla fine vi trovai un Lucio. Dio lo benedica.» E Speranza mostrò i suoi bianchi denti nel gaudio dal racconto della sua scoperta.
Lucia Maria e Rosa Lucia, licenziate a tempo, e Lucio consegnato alle cure male avvezzanti della nonna, Speranza si volse a Lucy, e le disse: «Ah! cara signora, non potrete immaginar mai quello che ho provato quando ci foste portata via così all’improvviso. Non ve la prendete con me, se dico questo; ma fu proprio una crudeltà del vostro fratello, a venirvi a portar via da un sito ove stavate tanto bene, ove eravate tanto contenta, e ove ognuno, vecchi e giovani, vi adoravano. Non dimenticherò mai il dispiacere provato, perdendo di vista la carrozza. Noi ne fummo infelici, quanto si può esserlo, nè sapevamo che farci. Mamma si affannava e sospirava tutto il giorno e tutti i giorni: Battista era come un pesce fuor d’acqua, e diventava proprio fastidioso; quanto al povero Dottore (qui Speranza scosse il capo in modo sinistro), oh! come andava vagando su e giù, qua e là, simile a un’anima del purgatorio, che non trova pace nè riposo ovunque vada! Faceva male al cuore vederlo seduto per ore intere in luogo donde poteva veder l’osteria. Chi si sarebbe immaginato che la faccenda sarebbe finita così! quando eravamo soliti vedervi con lui a passeggiare fianco a fianco, ambedue sì giovani e belli e tanto contenti di trovarvi insieme, che pareva Dio vi avesse fatti a posta l’un per l’altro. Ma a che serve rammaricarsene ora?» continuò Speranza, osservando la guancia di Lucy scolorirsi. «Senza dubbio, era voler di Dio che le cose andassero di traverso come andarono. Se non che il povero Dottore, più non si riebbe della scossa della vostra partenza — egli non fu mai più quel di prima. Non intendo mica dire che non fosse più buono, cortese e caritatevole come prima — sarebbe una bugia dirlo; ma era divenuto grave e non aveva più alcuno scherzo da dire per far ridere un povero disgraziato. I preti anch’essi, col Curato alla testa, lo avevano preso a veder di mal occhio: e poi c’era sempre la stessa storia dei biglietti di comunione a Pasqua. Potreste mai credere che il Curato domandasse un giorno dal pulpito che avessero a fare i forestieri fra di noi? — quasi i forestieri non fossero cristiani! In fondo, il dottor Antonio ne ebbe amareggiata la vita, e si sentiva una gran voglia di andarsene. Bene, un giorno, era l’anno 1842, egli ricevette una lettera di casa colla notizia della morte di sua madre. Quell’anima buona e gentile se la prese tanto a cuore, che ne ammalò, e se non fosse stato quel medichetto inglese di Nizza..., ve ne ricordate, signora? che venne, e lo curò come un fratello, credo che il dottor Antonio sarebbe morto. Si riebbe alla fine, ma, poveretto! pareva quasi l’ombra di sè stesso. Il medico inglese se lo portò via a Nizza, e subito dopo il dottor Antonio mandò a dire al Municipio che rinunciava al suo posto di medico comunale; e da quel tempo non lo vedemmo mai più. Una volta che il medico inglese passò qui la notte, ci disse che la madre del dottor Antonio aveva procurato in qualche modo — non intesi ben come — ma aveva fatto in modo onde il Governo del suo paese non potesse confiscare i beni lasciati a suo figlio. E poi sentimmo a caso, che il nostro buon amico aveva lasciata Nizza, ed era andato a viaggiare, e nessuno sapeva dove.
«La vostra partenza ci aveva reso malinconica e fastidiosa Bordighera; ma andatosene anche il dottor Antonio, noi cominciammo a odiarla, e fissammo in mente di andarsene via noi pure, come prima avremmo potuto. A noi era andata bene ogni cosa, e avevamo posta da parte una buona somma di danaro. Ci era una benedizione su quanto avevate fatto per noi. Da vicino e da lontano la gente venne a vedere la vecchia osteria, ove il gran Milordo inglese e la sua bella figlia avevano dimorato tanto. Quasi tutti quelli del vostro paese in viaggio per questa strada, si fermavano alla nostra casa: avevano piacere di sentirci discorrer di voi e di tutto quello che avevate fatto; e ci pagavano molto bene quello che prendevano, e spesso volevano fermarsi la notte; perchè, dicevano, avevamo imparato da voi il modo di trattar bene gl’Inglesi. Noi li vedevamo di buon occhio per amor vostro, signora, benchè nessuno di essi pareva che vi conoscesse. Così noi ce la passammo tanto bene, quanto poteva desiderare il nostro cuore. — Volendo ritirarsi dagli affari, il padrone dell’Albergo della Posta in Mentone ci aveva spesso offerto di venderci tutta l’azienda; ma avevamo paura a dir di sì, non avendo ancor trovato un compratore per l’osteria. Avemmo buona sorte anche in questo. Un vecchio marinaro, da tutti dato per perduto, a un tratto tornò a Bordighera dopo essere stato assente, una quarantina d’anni. Era un uomo che amava di viversene solo; e siccome aveva trovati morti i suoi, era ancora più alieno dal dimorare in città. Gli venne fantasia dell’osteria, perchè, diceva, era fuor di strada, e non vi sarebbe stato disturbato dalla visita di molte facce. Noi facemmo i due contratti a un tempo; e poi venimmo a star qui; ove siamo stati per sei anni desiderando che venisse alla fine un giorno, in cui ci fosse dato di riveder quell’angelo mandato dal Cielo, al quale, dopo Dio, siamo debitori di ogni cosa, e per il quale noi siamo quello che siamo.» E la grata Speranza prese nelle sue mani rozze le delicate mani di Lucy coprendole di baci cordiali.
— «Ma come l’osteria è divenuta così una ruina?» domanda Lucy.
— «Fu il terremoto del 1844 — un tremendo terremoto che la gittò giù quasi affatto,» rispose Speranza. «Quasi tutte le case di Bordighera e del vicinato soffrirono più o meno; ma nessuna tanto terribilmente quanto la povera vecchia osteria del Mattone; e alcuni dicono perchè le fondamenta erano cattive. Quanto al giardino non c’è stato alcuno che ci badasse per anni ed anni; nè fa maraviglia che sia andato tutto in malora. Il vecchio marinaro morì l’anno dopo del terremoto; e siccome non lasciò testamento, e pare che non avesse parenti, la casa fu chiusa, ed essa e il giardino lasciati alla cura l’un dell’altro. Battista dice che lesse un avviso l’altro giorno nella Gazzetta, il quale diceva qualmente la casa sarebbe ricaduta al Re, se dentro un dato tempo non si fosse presentato alcun parente del proprietario defunto.
Lucy passò quel giorno e la notte seguente all’Albergo della Posta, determinata di recarsi la mattina dopo a Taggia dalla signora Eleonora, per accertarsi, se fosse possibile, del luogo ove sarebbesi potuto trovare il dottor Antonio. Nè celò alla sua umile amica il vivo desiderio di mettersi sotto la cura di lui; e la sua fede superstiziosa che nessuno, fuorchè il dottor Antonio, potesse restituirle la malferma salute. L’affezionata Speranza, che aveva notato la smunta apparenza di Lucy, e i di lei frequenti attacchi di tosse; nè con altro segno aveva dimostrato l’ansietà provata se non attaccandosi più affettuosamente alla sua benefattrice; Speranza diede la sua cordiale approvazione a quel disegno, convinta, come la signora, del potere di Antonio; nè per qualunque cosa detta da Lucy, fu potuta dissuadere Speranza dall’andare a Taggia con lei. — «Mamma e Battista possono badare a’ bambini, e attendere alle faccende,» dice Speranza. «Ora che vi ho riacquistata alla fine, lasciatemi godere il più che posso di questo dono di Dio.»
La signora Eleonora non era in Taggia, partita poc’anzi per Genova con i suoi due figli tornati ambedue dall’esilio. Lucy sentì questa notizia con piacere; e solamente le parve mille anni di poterla rivedere, e congratularsi con la vecchia conoscente. Espresse con tanta forza Speranza un simile desiderio, che ottenne di accompagnare la sua amica inglese a Genova. Il piccol viaggio fu delizioso: cielo senza nuvole, il sole splendido e caldo, il mare cupamente azzurro; e Lucy sentiva raccendersi in seno quella passione pel bello, che le aveva procurato tanti piaceri ne’ tempi passati. Ella respirava con diletto quell’aria geniale; e alla vista di quella natura privilegiata, le si ricordavano tutte le antiche sensazioni, tutti gli antichi affetti, e con una squisitezza di gaudio, paragonabile solo a quella di un avaro, il quale conta e riconta le monete di un tesoro perduto a lungo e ricuperato di recente.
Nell’arrivare a Genova, lady Cleverton non ebbe difficoltà a rintracciare la signora Eleonora; la buona vecchia signora accolse a braccia aperte la inaspettata visitatrice, e senza parole di cerimoniosa accoglienza. Che moltitudine di pensieri affollavansi nella mente di entrambi, tenendosi strettamente abbracciate! Lucy fu la prima a parlare.
— «Non ve lo aveva detto che un giorno o l’altro avreste riacquistato i vostri cari?»
— «Dio benedica il vostro bell’animo,» risponde la signora italiana. «L’Onnipotente ha infatti ascoltate le nostre preghiere, e mi fece una delle madri più altere e più felici.»
Speranza s’ebbe non poca parte delle carezze e delle cortesie della signora; e se gli angeli piansero mai di tenerezza, noi teniamo per certo ch’essi lo fecero nel mirare quella riunione.
La signora Eleonora aveva poco da aggiungere alle informazioni riguardanti il dottor Antonio, già date da Speranza; e quel poco era male adatto a sollevar l’animo di Lucy. Solo una volta la gentil signora aveva avuto notizia del suo amico Siciliano, dopo il ritorno in patria. E mostrò a Lucy la lettera, che era datata da Palermo il 1.° febbrajo 1848; e dava un breve racconto del combattimento poc’anzi avvenuto fra le truppe del re e il partito popolare. Il Dottore aveva scritto evidentemente in quei momenti di agitazione, dopo una vittoria comprata a caro prezzo. Nella lettera era questo poscritto: «Grazie a Dio! sono stato tanto fortunato da spargere un po’ del mio sangue per la causa della mia patria. Una palla napolitana, quasi morta, mi ha ferito nella spalla dritta; è una mera scalfittura, che non mi impedisce di adoperare il braccio, come vedete. Ve ne parlo solo, affinchè non siate inquieta vedendo il mio nome fra quei de’ feriti. Vi scriverò presto nuovamente.»
— «E non ne avete saputo, più nulla, dappoi?» esclamò Lucy facendosi smorta. La signora Eleonora scosse il capo.
— «La sua ferita dee essere riuscita più grave che non credesse; altrimenti avrebbe mantenuta la promessa. Deve star male, io ne ho paura.» — E la fantasia vincendo la mano alla ragione, si rappresentò ad un tratto il suo caro amico solo, malato, senza ajuto, fors’anco morente. E all’istante Lucy si pose in capo di andar a Napoli, di far vela per Palermo, e di ritrovarlo a ogni costo. Scrisse perciò colla posta di quel giorno a suo padre di venire a raggiungerla in Napoli, aggiungendo che, se per sorte ella non vi si trovasse al suo arrivo, egli avrebbe in ogni caso ulteriori informazioni de’ suoi passi all’ambasciata inglese. Scrisse pure alla sua compagna che stava ancora aspettando in Nizza di venire col Corriere a Genova. E dopo tre giorni, la nostra delicata e fragile Lucy stava a bordo di un vapore diretto per Napoli.
La signora Eleonora e Speranza l’accompagnarono a bordo, e restarono con lei fino all’ultimo istante, dicendole parole di speranza e di consolazione. Il distacco fu assai mesto; specialmente per Speranza, che non volle abbandonare la veste che stringeva della sua cara padrona, finchè per forza non ne ottenne la promessa che Lucy, in qualunque circostanza avesse bisogno di lei, l’avrebbe mandata a prendere. — «So che non sono che una povera e ignorante contadina, e voi una nobile e ricca signora,» dice la povera creatura, le lagrime correndole giù per le guance; «pure si dice, che una volta il sorcio ajutò il leone; perciò mia cara padrona, vi prego di non dimenticar mai che io sono tutta vostra, e se la povera contadina può servirvi a qualcosa, chiamatela a voi. — Oh! promettetemelo, e mi starò accanto a voi, e vi servirò fino al mio ultimo istante. Lo farò! lo farò davvero, così mi ajuti la Madonna.»