< Il milione (Laterza,1912)
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CXXXIV. Del reame di Fugui (Fugiu)
CXXXIII CXXXV

CXXXIV (CLV)

Del reame di Fugui (Fugiu).

Quando l’uomo si parte da questa sezzaia cittá di Quisai (Quinsai), l’uomo entra nel reame di Fugui. E vassi sei giornate per isciroc, e truova cittá e castella assai, e sono idoli, e sono al Gran Cane, e sono sotto la signoria di Fugui (Fugiu): vivono di mercatanzie e d’arti. D’ogni cosa hanno grande abondanza1: hanno gengiavo e galanga oltra misura, che per uno viniziano grosso n’avrebbe l’uomo piue d’ottanta libbre di giengiavo. E v’è un frutto che pare zafferano, ma e’ non è, ma vale bene altrettanto ad operare. Egli2 mangiano d’ogni brutta carne, e d’uomo che non sia morto di sua morte; e molto la mangiano volentieri, e hannola per buona carne. Quando vanno in oste, si tòndono gli capelli [molto alto], e3 nel volto si dipingono d’azurro, con un ferro di lancia4 ; e sono uomeni molto crudeli i piú del mondo, che tuttodì vanno uccidendo gli uomeni e bevendo il sangue, e poscia5 gli mangiano tutti: e altro non procacciano. Nel mezzo di queste sei giornate ha una cittá e’ ha nome Quellafu (Quelinfu), ch’è molto grande e nobile, e sono al Gran Cane. E hae tre ponfi di pietra li piú belli del mondo, lunghi un miglio e larghi bene6 otto passi; e sono tutti in colonne di marmo, e sono sì belli che molto tesoro costerebbono a farne uno. Egli vivono di mercatanzia e d’arti; egli hanno seta assai e giengiavo e galanga. E havvi belle donne; e havvi galline che non hanno penne, ma peli come gatte, e tutte nere; e fanno uova come le nostre, e sono molte buone da mangiare.7 Qui non ha altro in queste sei giornate che sono dette di sopra, se no molte castella e cittá, e sono come quelle di sopra. E infra quindici miglia dell’altre tre giornate è una cittá ove si fa tanto zucchero, che se ne fornisce il Gran Cane e tutta sua corte, che vale gran tesoro; e ha nome Ungue (Unquen). Qui non ha altro. Quando l’uomo8 si parte di quindici miglia, l’uomo truova la cittá nobile di Fugui, ch’è capo di questo reame; e però ne conterò quello che saprò.

  1. Pad. * e ène gran cazason de bestie e de oxieli, e ène molti lioni (ferozi).
  2. Berl. Pad. manza volentiera carne umana, pur che l’omo non muora de soa morte; ma quelli che sono morti de cortello vieno magnadi, e a lor par tropo bona carne. Li omeni, li quali vano in alcuna bataglia, se fano conzar in questa forma...
  3. Pad. in fronte.
  4. Pad. * e vano tuti a pè, trato i capetanii, e usano lanze e spade.
  5. Berl. manza la carne. Or lasseremo de questi e diremo d’altre cosse. Sapiè che...
  6. Berl. nuove passi, e sono de pietra e calóne de raármoro.
  7. Berl. In quel luogo sono de ferozi lioni, i quali fano gran dano ai viandanti. E al fin de queste siè zornade, lutan quindexe mia, el se trova una zitade chiamata Unquen. In questa nasse gran quantitá de zucaro, e de questa zitade el Gran Can ano tuto el zucaro che se dovrá in la so corte, el qual val una gran cosa.
  8. Berl. el se parte... e ’l se va quindexe mia.
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