< Il paradiso perduto
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John Milton - Il paradiso perduto (1667)
Traduzione dall'inglese di Lazzaro Papi (1811)
Libro duodecimo
Libro undecimo


L’arcangelo Michele narra quel che avverrà dopo il diluvio: quindi, facendo menzione di Abramo, viene per gradi a spiegare quale sarà il seme della donna che fu promesso ad Adamo e ad Eva dopo la loro caduta. Incarnazione, morte e ascensione del Salvatore. Stato della chiesa fino alla seconda venuta dello stesso. Adamo consolato da questi racconti e promesse, scende con Michele dalla montagna, sveglia Eva che per tutto quel tempo aveva dormito, e la trova tranquilla e disposta a sommissione dai sogni favorevoli che avea fatti. Michele li prende ambedue per mano, e li conduce fuori del Paradiso. Si vede la spada di fuoco fiammeggiare dietro loro, e i cherubini prender i loro posti per guardare l’entrata del luogo.


 
Qual chi sul mezzodì s’arresta e posa,
Benchè bramoso di compir sua via,
Tal, fra lo spento e ’l rinascente mondo
L’Angel fermossi ad aspettar se forse
5Qualche ricerca Adam frappor volea;
Indi così riprese: - Un mondo hai visto
Prender principio e gire al fine, e quasi
Rinascer l’uomo da novello tronco.
Molto è tuttor quel ch’a veder ti resta;
10Ma ben m’accorgo che s’aggrava e langue
Il tuo sguardo mortal, nè regger puote
Al supremo splendor de’ divi obbietti
L’umano senso; onde a narrarti io prendo
Quel che avvenir dovrà: tu porgi attenta
15A’ miei detti l’orecchia. In fin che pochi
Saranno i germi di quest’altra stirpe,
E vivo ancora avran l’orrore in mente
Del passato giudicio, andar lontani
Non oseranno dal diritto calle
20E temeranno Dio: di larga prole
Cinti saran, coltiveran la terra,
E di biade, di vin, di pingui olive
Raccorranno ampie messi: a Dio sovente
Dalle lor mandre or offriran giovenco,
25Or capretto, or agnel, fra le ricolme
Libate coppe e le divote feste.
Tranquilli giorni in innocente gioia
Essi così trarranno e in lunga pace
Per famiglie e tribù sotto il paterno
30Soave impero. Alfin gonfio d’orgoglio
E fasto sorgerà chi non contento
Di bella egualità, fraterno stato,
S’arrogherà sopra i germani suoi
Iniquo scettro, di natura i dritti
35Calcherà temerario, e dalla terra
Sbandirà la concordia. Egli col ferro,
Ei coll’insidie andrà non già le belve
Perseguitando, ma le umane genti
Che di portare il suo pesante giogo
40Faran rifiuto. Cacciator possente
Sarà quindi nomato innanzi a Dio;
Sprezzerà il cielo, od il secondo scettro
Per dritto aver dal ciel darassi vanto:
Sedizïosi e ribellanti gli altri
45Ei chiamerà, ma di ribelle il nome
Egli avrà con ragion. Seguìto e cinto
Da turba rea che un pari orgoglio unisce
Seco o sott’esso a farsi altrui tiranna,
Rivolge i passi all’occidente, e vasta
50Pianura incontra, ove gorgoglia e bolle
Nera, bituminosa una vorago
Su di sotterra che profonda pare
Fauce infernal. Di quel tenace umore
Frammisto a cotta argilla ampia cittade
55A fabbricar si danno ed ardua torre
Che al cielo erga la cima, onde risuoni
Alto il lor nome, ed in rimote e strane
Terre, ove poscia andran divisi, erranti,
La lor memoria o buona o rea non pera.
60Ma Dio, che a visitar le umane genti
Spesso scende invisibile, e fra loro
D’ogni lor opra osservator s’aggira,
Dal sommo trono suo costor mirando,
Viene alla gran città pria che la torre
65Alle torri del cielo emula surga;
E, con sorriso schernitore, infonde
Sulle lor lingue un vario spirto, il primo
Natìo linguaggio ne cancella, e invece
Vi sparge un suon di sconosciute voci
70Discordante, confuso. Alto frastuono
Tra i fabbri allor si leva, invan l’un chiama,
Invan replica l’altro, a ignoto accento
Risponde accento ignoto, è rauco ognuno,
E ognun, quasi schernito, infuria e freme.
75Il romoroso borbogliare e strano
Desta gran risa in ciel; pende la stolta
Mole lasciata in abbandono, e all’opra
Dalla confusïon rimane il nome. -
Acceso allora di paterno sdegno
80Esclama Adamo: - Ahi detestabil figlio!
Ahi scellerato ardir! Tu sopra i tuoi
Fratelli osi innalzarti, e quell’impero
Che all’uomo Iddio non diè, così t’usurpi?
Sopra le belve, sugli augei, su i pesci
85Assoluto dominio a noi concesse
Iddio soltanto: è dono suo tal dritto:
Ma l’uom dell’uomo egli non fe’ signore;
A sè tal grado serba, e dell’umano
Giogo egli lascia l’uom disciolto e franco.
90Ma non s’appaga di costui l’orgoglio
Nel calcare i suoi pari; il ciel medesmo
Con quella torre egli minaccia e sfida!
Ahi sciagurato! e qual trarrai lassuso
Vitto, onde te co’ tuoi guerrier disfami,
95Ove la stessa sottilissim’aura
Ti crucierà l’anelo petto, e ’l fiato
Ti verrà men, se non il cibo? - A lui
Michele allor: - Quel figlio a dritto abborri,
Quel figlio indegno che il felice stato
100Dell’uom così sconvolse, e libertade,
Che unì con la ragion natura e Dio,
D’opprimer s’attentò: ma sappi ancora
Che dopo il tuo fallir perduta, Adamo,
È vera libertà che, nata insieme
105Con la retta ragion, seco pur sempre
Soggiorna e senza lei vita non ave.
Se il lume di ragion nell’uom s’oscura,
Insane brame e ribellanti affetti
Prendon l’impero, ed in crudel servaggio
110Traggono l’uom libero in pria: s’ei lascia
Da interni soggiogar tiranni indegni
Il proprio core, a vïolenti e feri
Signori esterni lo abbandona ancora
Il giustissimo Dio. Che siavi è d’uopo
115La tirannia, ma non per ciò di scusa
Degno è il tiranno. Nazïoni intere
Dalla virtù ch’è la ragione stessa,
Allontanarsi si vedran talora,
E in tal viltà cader che fia ben dritto
120Se il ciel le maledice e dàlle in preda
A straniero signor. Così quel figlio
Di lui che l’arca feo, dal padre offeso
Fia maledetto, e la sua stirpe iniqua
Condannata di servi ad esser serva.
125Peggiorando in tal guisa andrà, del pari
Che il vecchio mondo, il nuovo ancor, fintanto
Che stanco Iddio dall’opre ree, ritragga,
L’augusta sua presenza e i santi sguardi
Da que’ perversi, ed a lor empie e sozze
130Vie gli abbandoni alfine. Un popol caro
Però fra loro ei si scerrà, da cui
Invocato sarà, popol che scende
Da un solo uomo fedel. Di qua soggiorno
Questi avrà dall’Eufrate e instrutto fia
135De’ falsi déi nel culto. O cieche menti!
Credere, Adam, potrai che, mentre ancora
Respira il santo veglio alle voraci
Acque scampato, le insensate genti
Obblïeranno il Dio vivente, e l’opre
140Delle stesse lor mani in legno e ’n sasso,
Quai numi, adoreran! Ma Dio si degna
A quell’uomo apparire in sogno, e lungi
Dal patrio tetto e dai congiunti il chiama
E da que’ falsi numi ad altre spiagge
145Ch’ei mostreragli. Un popolo possente
Da lui vuol trarre e sì versar sovr’esso
I doni suoi che tutti in suo legnaggio
Fien benedetti i popoli. Veloce
Egli al cenno obbedisce, e benchè ignori
150Sua meta, è fermo in sua credenza. Io ’l veggo,
Ma dato a te non è, con quanta fede
Numi ed amici e ’l natìo suol caldeo
Egli abbandona: ecco d’Arán il guado
Valica e seco un largo stuolo adduce
155D’armenti e greggi e numerosi servi.
Meschino errando egli non va, ma l’ampie
Sue ricchezze confida a Dio che il chiama
A ignoti lidi. In Canaán ei giunge,
Di Sichen presso i muri e sul vicino
160Piano di More le sue tende io scorgo
Piantate: quivi in don quell’ampie terre
Da divina promessa egli riceve
Pe’ figli suoi dal boreale Amate
Fino al deserto austral (fian questi i nomi
165Di que’ lochi che nome ora non hanno)
E dal gran monte orïental dell’Ermo
Al vasto mare occidental: qua sorge
L’Ermo, là vedi il mare; a te rimpetto
Mira i lochi che addito. Ecco il Carmelo
170In sulla riva, ecco il Giordan che scende
Da doppia fonte e verso l’orïente
Segna il confin; si stenderanno quindi
I figli suoi fino a Senìre, a quella
Lunga catena di montagne. Or membra
175Che benedette di quest’uom nel seme
Saran tutte le genti: a te quel grande
Liberator si mostra omai, che il capo
Frangerà del serpente, e che più chiaro
Tosto predetto ti sarà. Da questo
180Gran patriarca (i secoli futuri
Diranlo il fido Abramo) un figlio nasce
Ed un nipote poi, che a lui simíli
Saranno in fama, in sapïenza, in fede.
Da i lidi cananéi parte il nipote
185Con sei figliuoli e sei verso una terra
Ch’Egitto nomerassi, ed è dall’onde
Del Nil divisa: questo fiume vedi
Che sgorga in mar per sette foci: ei vanne
Quel suolo ad abitar, dove lo invita,
190Mentre rabida fame il popol strugge,
Il minor figlio ch’ai secondi onori
Del regno fia per le sue gesta alzato.
Là more il padre, e la sua stirpe lascia
Crescente in nazïon sì che ne prende
195Sospetto ed odio il successor regnante.
Quindi a frenar la numerosa troppo
Progenie lor, tutti in non cale ei pone
Gli ospitali diritti, a rio servaggio
Danna ciascuno, e i maschi lor bambini
200Consegna a morte. Due germani allora,
Aronne e Moisè, manda l’Eterno
A trar di ceppi il popol suo che carco
Di gloria e spoglie alla promessa terra
Con lor s’indrizza. Ma con feri segni
205E severi giudizi il core in pria
Domo sarà del perfido tiranno
Che il lor gran Nume ed i messaggi suoi
Riconoscer non vuol. Cangiati in sangue
I fiumi si vedran; di mosche e rane
210E di mordaci insetti un’oste immonda
Empierà la sua reggia e ’l regno intero
Inonderà; feroce lue le greggi
Tutte consumerà; del re, di tutto
Il popol suo le membra ulceri e bozze
215Gonfieran, pasceran; l’egizio cielo
Squarceran tuoni orrendi a grandin misti,
E grandin mista a turbini di foco
Croscerà rovinosa, e ovunque passi,
Tutto devasterà. Ciò che non strugge
220Il nembo, un’atra di locuste e folta
Nube con spaventevole stridore
Divorerà le biade, i frutti e quanto
Di verde in terra appar; nere ombre il regno
Tutto ricopriran, palpabili ombre
225Per cui tre dì fian spenti: alfine, al mezzo
Di feral notte, piomberà su tutti
Gli egizj primogeniti improvviso
Colpo di morte. Sì da dieci piaghe
Il niliaco dragon trafitto e domo
230Partir li lascia alfin: più volte il crudo
Suo cor si piega, ma qual gel che indura
Di più, poichè fu sciolto, ei pur ritorna
A ferocia maggiore, e quelli insegue
Cui già l’andar concesse: il mare allora
235Con l’oste sua lo inghiotte, il mar che al tocco
Della mosaica verga in due si parte
Di liquido cristal pendenti mura,
E diviso rimane infin che tutta
L’eletta stirpe sull’opposto lido
240Salva non pon l’asciutto piè. Tal possa
Dio concede all’uom santo! Anzi egli stesso
È seco lor nell’angel suo che siede
Nel dì sovra una nube e nella notte
Su colonna di foco, ed ora è scorta,
245Precedendo, al lor corso, or li difende,
Girando a tergo, dal vicin tiranno.
Questi pien di furor la notte intera
Gl’incalza e preme, ma l’orror frapposto
Gli vieta d’appressar finchè nel cielo
250L’alba novella spunti, e allora Iddio
Fuor dell’ignea colonna o della nube
Sporgendo il guardo, un subitan spavento
Manda per l’oste tutta, e de’ lor carri
Le rote infrange. Per divin comando
255Sul mar distende la possente verga
Mosè di nuovo, ed obbedisce il mare
Alla sua verga; furïose l’onde
Cadon sull’oste ed è sommersa. Il passo
Muove invêr Canaán l’eletta stirpe,
260Non pel breve cammin, ma in lungo giro
Pel selvaggio deserto, onde allo scontro
Dell’armi Cananée subita tema
Non risospinga l’inesperte genti
Verso l’Egitto a scer piuttosto indegna
265Vita servil: chè cara a tutti e dolce
Sien forti o vili, è la tranquilla vita,
Se all’armi non gl’infiamma impetuoso
Furor bollente. D’altro frutto ancora
Ferace ad essi quell’indugio fia
270Per lo vasto deserto: ivi le basi
Porranno al lor governo, e ’l gran senato
Da dodici tribù scerran che tutto
Regga Israel con ordinate leggi.
Iddio dal Sina, la cui grigia vetta
275Tremerà al suo venir, fra lampi e tuoni
E di trombe al clangore, Iddio medesmo
Detterà quelle leggi. Il civil dritto
Prescrivon l’une, ed altre il culto, i sacri
Riti e le feste: in mistiche figure
280Ed ombre ei loro annunzierà pur quale
Seme a schiacciar del serpe il collo altero
È destinato, e come il duro giogo
Agli uomini ei torrà. Ma spaventosi
Ad orecchio mortal troppo gli accenti
285Sono di Dio: chieggon perciò le turbe
Che di Mosè pel labbro ei lor dispieghi
Il suo volere e quel terror rimova.
Dio le lor preci ascolta, e apprendon quindi
Che senza intercessor non avvi accesso
290Presso di lui. Mosè ne prende intanto
L’alto ufficio in figura in fin che venga
Un dì l’altro maggior, di cui predice
Ei stesso il tempo; e i sacri vati poi
Tutti cantar del gran Messia le lodi
295S’udranno in varie età. Le leggi e i riti
Fermati in guisa tal, tanto diletto
Del buon popolo suo prende l’Eterno,
Che in mezzo ad essi di locar si degna
Il tabernacol proprio, e ’l Solo, il Santo
300Co’ mortali soggiorna. È per suo cenno
Di cedro e d’oro un santuario eretto
Che un’arca accoglie, e dentro l’arca è chiusa
La ricordanza del divino patto.
Di due raggianti cherubin fra l’ali
305L’aureo seggio di grazia in alto splende,
E sette lampe che del ciel le faci,
Quasi in zodiaco, raffiguran, sempre
Ardongli innanzi: al padiglione in cima
Posa una nube il dì, che fiamma poscia
310Divien la notte, eccetto allor che move
Sue tende il campo. In quella terra alfine
Che ad Abram fu promessa e a’ figli suoi,
Fermano il piè. Lungo il ridir sarebbe
Tutte le pugne loro, i vinti regi,
315I soggiogati regni, e come in cielo
Intero un giorno il sole immoto sta,
E ’l corso usato la notte trattiene,
Quando un uom griderà: Fermati, o sole,
In Gibeón, e tu t’arresta, o luna,
320In valle d’Aialón, finchè Israello
Sia vincitor. Così chiamato fia
Il nipote di Abram, d’Isacco il figlio,
Che il nome stesso alla sua stirpe tutta
Di Canaán vittrice indi trasmette. -
325- Celeste messo, che a sgombrar venisti
Le mie tenebre dense, Adam gli dice,
Oh con qual gioia rivelarmi ascolto
Questi segreti e quei del giusto Abramo
Sovra tutt’altri e di sua stirpe! Or sento
330Questi occhi miei la prima volta aprirsi
Veracemente e confortarsi il core
Tant’ansio in pria sul mio destin futuro
E quel de’ figli miei: già veggo il giorno
Di Quei che recherà letizia e pace
335Sovr’ogni gente alfine. Oh grazia! o dono
Mal mertato da me, cui voglia insana
Spinse a cercar per divietate vie
Divietato saper! Ma pur non anco
Io comprender ben so perchè cotante
340A quei s’impongan leggi e sì diverse,
Fra cui lo stesso Dio scender si degna
Ad abitar; di molte colpe sono
Molte leggi argomento: or come Iddio
Può soggiornar fra sì perversa gente? -
345- Non dubitarne, a lui Michel risponde,
Fra lor pur troppo regnerà la colpa,
Poichè scendon da te: per ciò la legge
Fu data ad essi, onde la lor si mostri
Innata pravità che ognora è pronta
350A pugnar contro lei. Così veggendo
Che può la legge sol scoprire il fallo,
Ma purgarlo non già (chè lieve e solo
Un’adombrata espïazion fia quella
Di tauri ed irchi in sacrificio offerti),
355Conosceran che ben diverso sangue
Dovrà dell’uom perduto essere ammenda,
Sangue del giusto per l’ingiusto; e quindi,
Con viva fè, d’una tal ostia il merto
Recando in sè, potran di Dio la prisca
360Grazia e dell’alma racquistar la pace.
Vani a tal fine e inefficaci i riti
Son della legge, di cui l’uom non puote
Lo spirito adempir, nè fia ch’ei viva,
Se non l’adempie. Ella imperfetta è dunque,
365E data a lui soltanto onde il prepari
A migliore alleanza, a dì più lieti,
Quando fia tempo. Lo splendor del vero
All’adombrate, mistiche figure
Allor succederà, di strette leggi
370Al giogo imposto, un inesausto fonte
Di grazia a ognun liberamente aperto,
A servil tema il filïal rispetto,
E all’opre della legge opre di fede.
Quindi Mosè, benchè sì caro a Dio,
375Pur, poichè della legge è sol ministro,
Non condurrà nella promessa terra
Il popol suo; sol Giosuè ve ’l guida,
Che Gesù detto è fra i Gentili, e il nome
E l’officio di lui sostien che poscia
380Il fero abbatterà nemico serpe,
E l’uom ricondurrà dai lunghi errori
Per lo mondano inospite deserto
Nel Paradiso dell’eterna pace.
Del Canaán terrestre i ricchi campi
385Abiteranno intanto, e lieti giorni
Splender vedran per lungo tempo infino
Che nequizia comun non turbi e rompa
La comun pace, e contro lor non desti
Nemiche schiere irato Iddio. Pur sempre
390A lor pentiti egli perdona, e sotto
I giudici da pria, poi sotto i regi
Li difende e li scampa. Il Re che al soglio
Ascenderà secondo, e fia non meno
Per la pietà che pel valore illustre,
395Promessa irrevocabile da Dio
Riceverà che stabile in eterno
Sarà il suo trono. Canteran lo stesso
Tutti i profeti; che dal regio tronco
Di Davidde (così quel re s’appella)
400Un figlio sorgerà, femineo seme,
A te, ad Abramo, ai re predetto, in cui
L’alta speranza poserà di tutte
Le nazïoni, e fia dei re l’estremo,
Perchè del regno suo non sarà fine.
405Ma lunga serie di monarchi in prima
Terrà lo scettro. Di Davidde il figlio
Chiaro per senno e per ricchezze, all’arca
Di Dio che fino allor cinta di nubi
Errava fra le tende, un tempio augusto
410Fonda e splendido culto. Appresso a lui
Vien ordin lungo di regnanti or giusti
Or rei, ma questi i più, ne’ fasti inscritti,
Che sozzi ed empj riti ed altre colpe
Del lor popolo reo mescendo ai falli
415Tanto provocheran di Dio lo sdegno
Ch’ei da lor partirassi, e ’l lor terreno,
La lor cittade, il tempio suo, la santa
Arca e gli arredi tutti in preda e scherno
Dati saranno alla città superba,
420Di cui vedesti or or l’eccelse mura
In gran scompiglio abbandonate, ond’ebbe
Di Babilonia il nome. Ivi di sette
E sette lustri il doloroso giro
Passan fra le catene; alfin rimembra
425Iddio la sua pietade e la giurata
Con Davidde alleanza a par de’ giorni
Del cielo eterna, e agli oppressor toccando
Il cor, le genti sue scampa e riduce
Dal misero servaggio. Esse il distrutto
430Suo tempio ergon di nuovo, e in picciol stato
Menan frugale e temperata vita
Per alcun tempo; ma cresciute poscia
In numero e in ricchezze, eccole in preda
A feroci tumulti; e scoppia in prima
435Fra i sacerdoti stessi il foco reo
Della discordia, in mezzo a lor che sempre
Nella mente, nel cor, sul labbro pace
Dovriano aver; dall’empie lor contese
Contaminato è il tempio: i figli alfine
440Disprezzan di Davidde ed allo scettro
Danno di piglio. In forestiere mani
Cader lo lascian quindi, e ’l gran Messia,
Il verace unto Re, da’ dritti suoi
Escluso nasce; ma nel ciel risplende
445Al nascer suo non più veduta stella
Che giunto lo palesa. A quel fulgore
Movon tre re dall’orïente i passi
In traccia di sua cuna, e incenso e mirra
Ed oro a offrir gli vengono. Dal cielo
450Un nunzio scende, e a semplici pastori
Che nella notte vigilando stanno,
Il suo natale umil soggiorno addita.
Lieti colà s’affrettan essi, e gl’inni
Delle angeliche squadre odono intorno
455Al testè nato pargoletto. Madre
Una Vergine gli è, suo genitore
Il poter dell’Eterno. Egli sul trono
Del Padre ascenderà; confine il mondo
Fia del suo regno, e di sua gloria il cielo. -
460Ei qui cessò, scorgendo Adamo oppresso
Da gioia tanta che a dolor somiglia,
E già trabocca in lagrime, se sfogo
Di parole non ha. - Superno vate,
Adam prorompe allor, quai lieti eventi
465Mi predicesti, e come appaghi tutti
Gli ultimi voti miei! Chiaro or comprendo
Ciò che tanto finora invan cercai,
Perchè detta sarà femineo seme
La gran speranza dell’umana gente.
470Salve, o Vergine Madre, al ciel sì cara:
Eppur uscir tu di mia stirpe déi.
Eppur dee dal tuo grembo uscir la prole
Dell’altissimo Dio! Così l’Eterno
Con l’uom s’innesta, e con mortal ferita
475Sarà dell’orrid’angue il capo infranto.
Ma dove e quando, dimmi, il gran conflitto
Avvenir dee? Qual morso il piè ferisce
Del vincitore? - Al che Michel: - La pugna
Mistica è sol, nè capo o piè ferito
480Sarà veracemente: il divin Figlio
Le umane forme a rivestir non scende
Perchè Satán con maggior colpo atterri.
Non fia vinto così quei che dal cielo
Precipitando, di più gravi piaghe
485Percosso fu, nè fu perciò men atto
A scagliar sopra te di morte il colpo.
Dalle fauci di questa a trarti viene
Il tuo Liberator, non già struggendo
Satán, ma di Satán l’opere inique
490In te, nella sua stirpe. È d’uopo quindi
Che a quell’incarco, a cui tu debil fosti,
D’eseguir fido la superna legge,
Ei si sommetta, e la dovuta ammenda
Paghi di morte che il tuo fallo trasse
495Sopra di te, sulla progenie tutta,
Tua trista erede: di cotal restauro
Solo fia paga la giustizia eterna.
Ei la legge del cielo adempie attento
D’amor e obbedïenza unico esempio,
500Benchè adempierla solo amor potrebbe.
Cinto d’umana carne ei la tua pena
Viene a soffrire, aspri derisi giorni
E morte infame, egli salvezza e vita
Promette a tutti lor che fede avranno
505In sua redenzïon, che i merti suoi
S’ascriveran colla medesma fede
E tutta in essi riporran la speme,
Non mai nell’opre lor, benchè conformi
Sieno alla legge. In mezzo agli odj, all’ire,
510All’onte, alle bestemmie ei vive, e ceppi
Soffre e giudicio rio che a morte il danna
Obbrobrïosa e cruda. A dura croce
Dal suo medesmo popolo confitto
Ei muore: e muor perchè la vita arreca;
515Ma su quel tronco stesso i tuoi nemici
Egli pur anche immola: ivi la legge
A te contraria, e dell’intero umano
Seme si stan tutte le colpe affisse.
Così dal timor prisco ognun fia sciolto
520Che nel suo sparso sangue ha certa speme.
Ei muor, ma lungo sovra lui la morte
Non usurpa l’impero, e pria che spunti
In ciel la terza aurora, erger l’augusto
Capo lo veggon dal funereo sasso
525Le mattutine stelle, assai più fresco
E più lucente del novello albòre.
Così pagato è nel suo sangue alfine
Il gran riscatto delle umane genti;
E salvo è ognun che il vuole e ’l sommo dono
530Di lui con fè non vota d’opre accoglie.
Quest’opra eccelsa del divino amore
Cancella alfin quella sentenza, ond’eri
Dannato a morte pel tuo fallo eterna;
Frange a Satáno la cervice altera,
535Colpa e Morte conquide, i due più forti
Di lui sostegni, e i dardi lor ritorce
In lui medesmo con più grave colpo
Che passeggiera e momentanea morte
Recar non può del vincitore al piede
540Ed a’ redenti suoi, morte simile
Ad un placido sonno, un lieve e dolce
Varco a vita immortale. Egli risorto
Quaggiù non resta a lungo, e sol talora
Ai discepoli suoi, che fidi sempre
545Nel vïaggio terren gli fur compagni,
Fa di sè mostra: ei lor impon che quanto
Appresero da lui, vadan spargendo
Per tutti della terra i lidi estremi,
E di salute apran le vie, battesmo
550Dando de’ fiumi nelle limpid’onde
A ognun che crederà; mistico segno
Di lavacro maggior, per cui, le macchie
Asterse della colpa, a pura vita
L’uomo rinasce, ed è disposto e fermo
555A incontrar morte, ov’uopo sia, simíle
A quella già dal Redentor sofferta.
La sua dottrina ad ogni popol conta
Sarà per essi; chè non solo i figli
D’Abram dopo quel dì saran chiamati
560Di salute al sentier, ma i figli ancora
Della fede d’Abram per tutto l’ampio
Terrestre giro, e nel suo seme quindi
Fia beata ogni gente. Al ciel de’ cieli
Egli ascende dipoi, de’ suoi nemici
565E de’ tuoi trionfante, e nel suo volo
Dell’aria il Prence, il fero serpe afferra,
Per tutti i regni suoi stretto in catene
Lo tragge in mostra, ed al suo scorno alfine
Ei l’abbandona. Rientrando poscia
570Nella sua gloria, alla paterna destra
Riprende seggio, e sopra i nomi tutti
Esaltato è il suo nome: indi, allor quando
Maturo fia per la sua fine il mondo,
Cinto di gloria e di poter verranne
575Giudicator de’ vivi e degli estinti,
Gl’infedeli a punire, a render degno
Guiderdone a’ suoi fidi, e nell’eterna
Felicità seco raccorli in cielo,
O sulla terra; chè la terra allora
580Fia tutta un paradiso, e più d’assai
Che quest’Eden non è, felice albergo
D’un più bel sol, di più bei dì lucente.
Qui s’arrestò l’Arcangelo, del mondo
Giunto alla meta estrema, e Adam ripieno
585Di gioia e di stupor così rispose:
- O divina bontà, bontade immensa
Che tutto questo ben dal mal produce,
Che volge in bene il mal! prodigio ancora
Mirabil più che non fu trar dal folto
590Antico orror la luce! In dubbio or stommi
Se più del fallo mio pentirmi io deggia
E della labe su i miei figli sparsa,
O più gioir che tanto ben ne scenda,
A Dio gloria maggior, sull’uom da Dio
595Più larghe grazie, e sovra l’ira sparso
Il fonte di pietà. Ma di’: se al cielo
Risalir debbe il Redentor, che fia
De’ pochi fidi suoi, tra infida turba
E al vêr nemica abbandonati? Allora
600Chi fia lor guida e difensor? Quegli empi,
Più che di lui non fèr, strazio crudele
Non farann’anco de’ seguaci suoi?
- Certo il faran, l’Arcangelo risponde,
Ma lor bentosto ei spedirà dall’alto
605Un tal Consolator, del sommo Padre
Promesso dono e Spirto suo, che in essi
Farà dimora, e della fè la legge
Che per amor tutt’opra e tutto vince,
Scriverà nei lor cori: essa lor guida
610Sarà nell’arduo di virtù sentiero
E della verità: d’armi celesti
Essa ricopriralli, onde dell’empio
Satán gli assalti e gl’infuocati dardi
Possano rintuzzar. Quindi la rabbia
615Affronteran degli uomini e la morte
Con saldo petto, e tale un dolce interno
Fra le lor pene sentiran conforto
Che di tanta costanza anco i più crudi
Tiranni avran stupor. L’aura divina
620Scende in prima su lor che nunzi vanno
Del fausto alto preconio, e quindi al pari
Sovra ciascun che mondo uscì del sacro,
Salubre fonte, e portentosi doni
Ad essi imparte, onde a lor grado in ogni
625Vario linguaggio di repente sciorre
Sanno le labbra, e quei prodigi stessi
Che il lor Signore oprò, dinanzi al mondo
Stupefatto iterar. Così di tutti
I popoli gran schiere andran con gioia
630A ricever del ciel la nuova legge.
Il santo ministero alfin compiuto
E ben percorso il glorïoso arringo,
Dalla terrena alla celeste vita
Fanno tragitto, ma vergate carte
635Di lor dottrina e di lor gesta in pria
Lascian quaggiù. Poscia d’ingordi lupi,
Già predetta da loro, a lor succede
Un’empia turba che del cielo i santi
Misteri tutti alla sfrenata, insana
640Cupidigia d’onori e d’ôr fan servi;
E ’l sacrosanto ver, candido e puro
Lasciato in lor memorie, in mille guise
Sforman con vane imaginate fole.
Titoli quindi e dignitadi e nomi
645Procacciando si vanno, e mentre vôlti
Mostran d’aver tutti i pensieri al cielo,
Van sol d’impero e di ricchezze in traccia.
Contro quel lume che a ciascun nell’alma
Dio stesso accese, opran la forza, e solo
650In vani riti ed in pompose forme
Riposto è il culto lor: sen va sbandito
Il ver percosso dai maligni strali
Della calunnia, e solo in sen di pochi
Si nasconde e ricovra. Ai buoni infesto,
655Propizio ai rei, sotto il suo peso stesso
Geme così, così prosegue il mondo
In suo cammin, finchè il gran giorno arrivi
Di requie a’ giusti e di vendetta agli empi,
Il giorno, in cui tornar vedrassi alfine
660Quei che in oscuri sensi a te promesso
Fu dianzi e meglio or riconosci, il tuo
Redentore e Signor. Nella paterna
Gloria, in mezzo alle nubi, egli dal cielo
Verrà sterminator del reo Satáno
665E del corrotto mondo. Al foco in preda
Ei darà questo; indi novelli cieli
Per secoli infiniti e nuova terra
Dall’avvampante ripurgata massa
Fuori trarrà; giustizia e pace e amore
670Stabil v’avranno eterna, sede, e frutti
Di gioia interminabile daranno. -
Qui l’Angel tacque, e per l’estrema volta
Così Adam replicogli: - Oh! come ratto
Il tuo sguardo profetico di questo
675Fugace mondo ha misurato il corso
Ed il volo del tempo, infin che immoto
Il tempo rimarrà. Di là si stende
Per ogni parte il tenebroso abisso
D’eternità, nel cui profondo immenso
680Ogni sguardo vien meno. Instrutto assai,
Assai tranquillo io di qui parto: tutto
Quel saper ricevei, di cui capace
È quest’angusto mio vasello. Oh quanto
Fui folle, a cercar oltre! Alfin comprendo
685Ciò che di tutto è il meglio, e fermo sono
D’amar sempre e obbedir quel grande e solo
Padre e Signor, sempre pensar ch’io stommi
Nel suo cospetto, ognor serbare in mente
La provvidenza sua, sempre riporre
690Ogni mia speme in sue paterne cure.
Ei quanto fe’, con amoroso sguardo
Mira e soccorre con pietosa mano:
Col ben del mal trionfa, ad opre eccelse
Del debole si val, con lievi mezzi
695Ogni gran forza atterra, e l’uman senno
Con la semplicità vince e confonde.
A difesa del vero i mali tutti
Costante sopportar veggo che sola
È d’altissimo onor degna fortezza:
700Che del fedel la morte è solo un varco
Alla vita immortale, e ciò m’insegna
L’alto esempio di Lui ch’io lieto adoro,
E da cui sol la mia salvezza attendo. -
Allor Michel l’ultima volta anch’egli
705Così risponde: - Appresso ciò, giungesti
Del saper alla cima; altro non resta:
Più oltre non bramar, quand’anco tutti
Gli astri del ciel, le angeliche possanze
Potessi annoverar, del gran profondo
710Scoprir gli arcani, e di natura e Dio
Ogn’opra in cielo, in terra, in aria, in mare,
E tutte posseder quante ricchezze
Rinserra il mondo, ed il sovrano impero
Tu solo averne. Al tuo saper aggiugni
715Opre conformi e basta; aggiugni fede,
Virtù, fortezza, temperanza, amore,
Alma d’ogni virtù, che detto poi
Fia carità. Ritroso allor da questo
Non partirai beato suol; che in seno
720Un più felice paradiso avrai.
Ma vieni alfin, da quest’eccelsa vetta
Scender convien; n’è giunta l’ora. Vedi?
Le guardie che lasciai là su quel colle
Stanno a moversi preste, e in fronte ad esse
725Lo sfolgorante ferro a cerchio ondeggia
Che intima il tuo partir. Vanne, risveglia
La tua consorte: a lei non men con dolci
Sogni presaghi di felici eventi,
Rasserenai lo spirto e la disposi
730A sofferenza umìl. Di ciò che udisti
Tu le fa parte a miglior tempo, e quello
Più le ripeti che a fermar sua fede
Più gioverà; ripetile che un giorno
Dèe dal sen d’una donna uscir il germe
735Del mondo salvator. Così concordi
In una stessa fè viver possiate
I vostri dì che saran molti, e possa
Il vostro duol, della commessa colpa
Tristo e debito frutto, aver conforto
740Nel pensier dolce del promesso fine. -
Qui tacque, ed ambi scesero dal monte:
Adam là tosto s’affrettò dov’era
Eva rimasta in alto sonno immersa;
Ma desta ritrovolla, e funne accolto
745Con questi detti in placido sembiante:
- So dove fosti e donde torni: Iddio
Scende nel sonno ancor; di lieti eventi
Auspici sogni ei m’inviò pur ora,
Quando dal duolo e dall’ambascia vinta
750Caddi in braccio del sonno. Or tu mi guida;
Son pronta, andiam; fia paradiso ancora
Ogn’altro suolo a me, se teco io sono;
E senza te nè qui giammai nè altrove
Ritrovarlo potrei: tu, Adamo, il tutto
755Sei per me sotto il ciel, tu che da questo
Loco se’ per mia colpa in bando spinto.
Un altro alfin certissimo conforto
Meco ne vien che, se cagione io fui
Della ruina universal, di tanto
760Non mertato favor degnommi il cielo,
Che nascerà pur dal mio sangue il grande
Riparator della comun ruina. -
Eva sì disse, e ne fu lieto Adamo,
Ma non rispose; chè dappresso troppo
765L’Arcangel era, e dall’opposto colle
A’ destinati posti in rifulgente
Ordin scendeano i cherubini, a guisa
Di leggiere meteore il suol radendo.
Così nebbia talor dal fiume uscita,
770Lieve strisciando, il paludoso piano
Trascorre in sulla sera, e del bifolco
Che ritorna all’albergo, i passi incalza.
Innanzi ad essi balenava in alto
La brandita di Dio rovente spada
775A cometa simile, e, a par dell’arso
Libico ciel, quel già sì dolce clima
Con sua vampa affocava. Allor Michele
Prendendo i nostri padri ambi per mano,
L’indugio ne affrettò, dritto alla porta
780Orïental guidolli, e di là ratto
Giù per la rupe alla pianura, e sparve.
Essi al perduto lor felice albergo
Volsero indietro gli occhi, e l’igneo brando
Vider rotante in fulminosi giri
785Su tutto il lato orïentale e folte
In sulla porta star tremende facce
Ed armi ardenti. Alle lor ciglia alquante
Stille di pianto allor mandò natura,
Ma tosto le asciugaro. A sè dinanzi
790Avean tutta la terra, ove un soggiorno
Scegliersi di riposo, e loro scorta
Era la Provvidenza. A incerti e lenti
Passi, dell’Eden pei solinghi campi,
Tenendosi per man, preser la via.



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