< Il paradiso perduto
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John Milton - Il paradiso perduto (1667)
Traduzione dall'inglese di Lazzaro Papi (1811)
Libro undecimo
Libro decimo Libro duodecimo


Il Figlio di Dio presenta al Padre le preci dei nostri primi genitori pentiti e intercede per loro. Dio le accetta, ma dichiara che essi non debbono più a lungo rimanersi nel paradiso. Manda Michele con una schiera di cherubini a scacciarli da quel felice soggiorno, ma gli ordina al tempo stesso di rivelare prima ad Adamo le cose future. Discesa di Michele. Adamo addita ad Eva certi segni funesti, scorge Michele che si avvicina e va ad incontrarlo. L’angelo intima loro di partire. Lamenti di Eva. Adamo cerca di ottener grazia, ma finalmente si sottomette. L’angelo il conduce sopra un alto monte del paradiso e gli presenta in visione ciò che avverrà fino al Diluvio.


 
Supplice, umìle, nel dolor, nel pianto
Stava la coppia; chè dal sommo seggio
Della pietà, ne’ petti lor discesa
Era la grazia, de’ lor cori avea
5Franto lo smalto e molle carne invece
Rigenerato in essi, onde profondi
Uscìan sospiri dallo spirto mossi
Della preghiera e con più rapid’ala,
Ch’alto e facondo stile unqua non sciolse,
10Volanti al ciel. Non sì devoti e augusti
Fur nei sembianti e nel pregar sì caldi
Que’ duo famosi nell’etade antica
(Meno però di quella ond’io favello),
Deucalïon e Pirra, allor che, innanzi
15Al sacro altar di Temide prostrati,
Stavan della sommersa umana gente
Implorando il restauro. Al ciel s’alzaro
De’ nostri primi genitor le preci,
Nè dal loro cammin torcerle il soffio
20O sperderle poteo d’invidi venti,
Ma, da niun spazio rattenute, i santi
Aditi penetraro. Ivi dal sacro,
Che l’ara d’oro eternamente esala,
Incenso rivestite, il divin Figlio,
25Supremo sacerdote, innanzi al trono
Le appresentò del Padre e s’interpose
Pronto e lieto così: - Rimira, o Padre,
Quai della grazia tua nell’uom trasfusa
Son sulla terra i bei rampolli primi,
30Questi voti e sospir che al tuo cospetto
In quest’aureo turibolo fragrante
Tuo sacerdote io reco: essi dell’aura
Divina tua dentro il suo cor spirata
I frutti sono e più soavi e grati
35Di quei che offrirti la cultrice e ancora
Innocente sua man potea da tutti
Gli arbor di Paradiso. Ai preghi suoi
Porgi dunque l’orecchio, e questi ascolta,
Benchè muti, sospiri. Ei, com’è d’uopo,
40Supplicarti non sa; lascia ch’io dunque
Intercessore, interprete per lui
E vittima votiva alfine io sia.
O buone o ree sopra di me tu reca
Tutte l’opere sue: perfette quelle
45Diverran per mio merto, e ’l sangue mio
Purgherà queste. Accettami, e per l’uomo
Questa di pace alma fragranza accogli
Dalle mie mani. In grazia tua tornato,
De’ suoi prescritti dì, benchè dogliosi,
50Il numero egli compia infin che morte
(Io d’addolcir non di stornar di prego
La sua sentenza) a miglior vita il renda,
In cui dal sangue mio tutte ricompre
Meco alberghin le genti in gioia eterna,
55Unite a me, com’io con te son uno. -
- Quanto per l’uom richiedi, amato Figlio,
(A lui risponde con serena fronte
L’eterno Genitor) tutto è concesso
Ed ogni tua dimanda è mio decreto.
60Ma il far più lunga in quel giardin dimora,
Per quelle leggi che a natura io diedi,
Vietato è all’uom. Di quell’ameno loco
I puri, incorruttibili elementi
D’ogni discorde mescolanza scevri
65Lui, qual contaminata e avversa cosa
Rispingono da sè nel grosso e immondo
Aer e a cibo mortal che a gradi il tragga
Al suo disfacimento, opra del fallo
Che di venen le pure cose ha sparso.
70Un doppio eletto don, quando il creai,
Ebbe l’uomo da me; la pura gioia
E la vita immortal. Poichè la prima
Follemente ei perdè, sol potea questa
Far eterni i suoi mali, ov’io di morte
75Non l’avessi provvisto; ultimo dunque
Per lui rimedio è morte, ed essa alfine
Dopo una vita in duri affanni scorsa,
Dopo costanti luminose prove
Della sua fede, alla seconda vita
80Pe’ giusti decretata, a nuovo cielo,
A nuova terra gli aprirà la via.
Ma da tutti del ciel gli ampj confini
De’ beati il concilio omai s’aduni,
Onde i giudizj miei sull’uomo intenda,
85Come testè sulle ribelli turme
Li vide e in sua virtù si fe’ più forte. -
Ei così detto appena avea che il Figlio
Al vigilante, fulgido ministro
Fe’ segno, e questi incontanente il fiato
90A quella tromba diè che forse poi
S’udì in Orebbe allor che Dio vi scese,
E nel gran dì de’ premj e delle pene
S’udrà fors’anco. L’alto suono empieo
Tutte del ciel le regïoni, e tosto
95Da’ bei boschetti d’amaranto ombrosi,
Dalle fonti e da’ rii d’acque vitali,
Sulle cui sponde in compagnia di gioia
Sedeano i figli della luce, all’alto
Ordine udito, accorrono veloci
100Alle lor sedi. Il suo voler sovrano
Allor così l’Onnipotente espose
Dal sommo trono: - A noi simìle, o figli,
Del ben, del mal nella scïenza volle
L’uom divenir col divietato assaggio
105Di quel frutto fatal: misero! oh quanto,
Anzichè aver dell’acquistato male
E del perduto ben l’infausto lume,
Miglior per lui, stata sarìa la sola
Conoscenza del ben, null’altro! Or geme,
110Tocco da me, si pente e piange e prega;
Ma in sua balìa lasciato, appien conosco
Quant’è il suo cor mutabile e leggiero.
Perch’egli dunque ora la man non stenda
Fatta più audace all’arbore di vita,
115Ond’eterno egli viva o il sogni almeno,
Fuori di quel giardin mandarlo ho fisso
Ad abitare e coltivar quel suolo
Ond’egli già fu tratto, e dove stanza
Avrà qual meglio a lui conviensi adesso.
120È tuo, Michele, un tale incarco: scegli
Di fiammeggianti cherubini un stuolo
E in Eden teco il guida, onde non mova
(O in aìta dell’uom per onta mia,
O d’occupar bramoso il nuovo albergo)
125Nuovi tumulti il rio Satán. T’affretta,
E, fermo nel tuo cor, dal terren sacro
Scaccia il profano abitatore, intíma
Alla coppia colpevole ed a quanti
Da lei discenderanno, eterno esiglio
130Dal fortunato suol. Ma, perchè troppo
Su que’ teneri cori, omai dal duolo
Oppressi e dai rimorsi, acerbo e grave
Della sentenza mia non cada il colpo,
Non t’armar di terror. Se al tuo comando
135Docili ubbidiran, senza conforto
Non partano da te: d’Adamo al guardo
Svela l’istoria de’ venturi tempi,
Com’io medesmo inspirerotti, e il patto
Non obblïar che col femineo seme
140Io rinnovai. Mesti così, ma in pace
Di là tu li congeda. Al lato poi
Orïental del paradiso, ov’aspro
È men l’accesso dal soggetto piano,
Loca un drappel di cherubini, e fiamma
145Lungi ondeggiante di fulmineo brando
Spaventi ognun ch’osi appressarsi, e ’l passo
Chiuda all’arbor di vita, onde ricovro
Il bel giardin non sia d’immondi spirti
Ch’ogn’arbor mio depredino e novelli
150Tendano all’uom con quelle frutta inganni. -
Tacque, e ’l possente arcangelo s’appresta
Alla discesa. Fulgida coorte
Di vigilanti cherubini è seco:
Qual doppio Giano, ha quattro facce ognuno,
155E d’occhi folgoreggia in ogni parte
La forma lor, più numerosi e desti
Che quei del favoloso Argo non furo,
Nè a ceder presti, come quelli, al tocco
Della cillenia verga o al molle suono
160Dell’avena sonnifera. Sorgea
L’aurora intanto a salutar di nuovo
Col sacro raggio il mondo, e di sue fresche
Molli rugiade a ristorar la terra,
Quando, già fine alle sue preci imposto
165L’umana coppia, da vigor novello
Sceso dall’alto e da novella speme
E gioia ancor, benchè a timor congiunta,
Sentì riconfortarsi; e Adam rivolse
Queste dolci parole ad Eva intanto:
170- Eva, che quanto ben per noi si gode,
A noi scenda dal ciel, difficil cosa
Il discoprir non è; ma che da noi
Possa lassù nulla salir che vaglia
L’alta a toccar di Dio beata mente
175Ed a piegare il suo voler supremo,
Duro a credersi sembra; eppur cotanto
Può la preghiera, e dall’umano petto
Un sol breve sospir che infino al soglio
S’alza di Dio. Poichè ’l suo nume offeso
180Con umil core e con ginocchia inchine
Mi rivolsi a placar, benigno e dolce
Parvemi di vederlo a’ preghi miei
Porgere orecchia; all’affannato core
Tornò la pace, e la promessa in mente
185Pur mi tornò che dal tuo seme il nostro
Nemico alfin sarà conquiso. Allora
Nel mio sbigottimento appien quel detto
Io non ricolsi: or certo son per esso
Ch’è l’amarezza del morir passata
190E che vivrem. Salve tu, dunque, o sposa,
Tu del genere umano a ragion detta
Madre e di tutte le viventi cose,
Poichè il sarai dell’uom, per cui quaggiuso
Tutte le cose han vita. - Umile e mesta
195Eva rispose allora: - Un sì bel nome
Ah! troppo male ad una rea conviensi
Che, fatta a darti aìta, oimè! si feo
La tua ruina: diffidenza invece,
Rampogne e tutti i biasmi a me si denno.
200Ma ben è del mio giudice infinita
Verso me la pietà; chè, mentre io fui
Di morte a tutti apportatrice, ei vuolmi
Pur di vita sorgente; e tu benigno
Ne seguisti l’esempio e del gran nome
205Degnasti lei che ben diversa il merta.
Ma il campo alla fatica omai ci chiama,
Alla fatica or con sudore imposta,
Benchè senza riposo abbiam trascorsa
L’intera notte. Ah! vedi? i nostri affanni
210Nulla curando ecco spuntar ridente
L’aurora e incominciar la rosea via.
Vadasi, Adam. Dal fianco tuo partirmi
No, non vogl’io più mai, dovunque il nostro
Lavor diurno che al cader del sole
215Or prolungar ne converrà, ci chiami.
Ma che! mentre ci lice in questo ameno
Soggiorno rimaner, qual cosa mai
Increscer ne potrebbe? Ah! sì, contenti
Sebben tanto scaduta è nostra sorte,
220Trapassiam qui la vita. - Erano questi
Dell’umil Eva addolorata i voti,
Ma il ciel non approvolli, e varj segni
Sugli augei, sulle belve, in aere ’n terra.
Ne diè natura. In orïente appena
225L’aurora rosseggiò ch’a un tratto l’etra
Di ferrigna caligine infoscossi;
Dalle sublimi aeree vie calando
Alla lor vista un’aquila, su due
Delle più vaghe piume adorni augelli
230Scagliossi infesta e gl’inseguì tremanti;
E ’l re de’ boschi, predatore or fatto,
Giù da un colle cacciossi un cervo innanzi
Con la compagna sua, coppia gentile
Della foresta onor, che vêr la porta
235Orïental del Paradiso in ratta
Fuga si diero. Li seguì cogli occhi
Adam, nè senza turbamento ad Eva:
- O sposa, disse, altre vicende e nuovi
Sovrastano destini: assai con questi
240Muti portenti suoi lo svela il cielo,
Nunzj del suo proposto: a noi sicuri
Troppo del suo perdon, sol perchè morta
Sospesa è qualche giorno, essi son forse
Un minaccioso avviso. In buia notte
245Celato sta quanto ci resti ancora
Di vita e quale ella sarà: sol chiaro
È che siam polve e torneremo in polve,
Nè più sarem. Perchè s’offerse mai
Agli occhi nostri una cotal di fuga
250Sulla terra ed in ciel doppia comparsa,
In vêr la stessa parte e al tempo stesso?
Perchè s’oscura in orïente il giorno
Anco pria del meriggio? e perchè splende
Su quella nube occidentale un lume,
255Quasi d’aurora che un candor raggiante
Per lo ceruleo firmamento pinge;
E lento scende ed arrecar dimostra
Non so che di superno? - Imagin vana
Non l’ingannò, chè la celeste schiera
260Per le tinte d’un liquido dïaspro
Aure giù scese, e del vicino colle
S’arrestò sulla vetta: alte, divine
Sembianze a rimirar, se Adam quel giorno
Da turbamento e da terror gli sguardi
265Non avea tenebrati. Al pio Giacobbe
Non si mostrâr di Manaìm sul piano
Più luminose le attendate squadre
Degli angeli guerrieri, e più fiammante
Non apparì la dotanéa montagna
270Tutta d’un igneo campo ricoperta
Contro quel siro re che trarre un solo
Uom ne’ suoi lacci e in sua balìa bramando,
Qual assassino, apparecchiato avea
Non proclamata, insidïosa guerra.
275All’eteree coorti il sommo duce
Di circondar con le lor armi impone
Il bel soggiorno, e tutto sol s’invia
Al ritiro d’Adam. Questi, da lunge
Scorgendolo venir, sì parla ad Eva:
280- Ecco gran nuove, o sposa, ecco il decreto
Forse di nostra sorte, od altre leggi
Che si recano a noi. Da quella nube
Colà che cuopre fiammeggiando il colle,
Veggo qualcuno dell’empireo stuolo
285A questa volta incamminarsi, e certo
A quella maestà che agli atti spira
E al portamento eccelso, alcun de’ primi
Principi e regi del superno coro
Si manifesta. Minaccevol, fero
290Egli non è sì che terror m’infonda,
Nè, come Rafael, benigno e dolce
Sì ch’io molto confidi. Augusto e grave,
Vedi? s’inoltra; ad incontrarlo è d’uopo
Ch’io vada riverente e tu ti scosti. -
295Disse, e l’arcangel s’appressò. Lasciato
Egli ha il celeste e preso uman sembiante
Innanzi all’uomo: sopra le lucid’armi
Un militar fulgido manto ondeggia
D’ostro sì ardente che non mai l’eguale
300Si tinse in Sarra o Melibea, d’antichi
Regi ed eroi bell’ornamento in pace.
Colorate ne avea l’ordite fila
L’iride stessa: la visiera alzata
Dello stellato elmetto al vigor primo
305Della virilità nel vago volto
Misto scoprìa di giovinezza il fiore;
Stringe un’asta la mano, e dal bel cinto,
Qual da zodiaco scintillante, pende,
Spavento di Satán, la fera spada.
310Umile Adamo a lui si prostra: ei serba
Senza inchinarsi dignità regale,
E perchè venne, in questi detti espone:
- Gli alti di Dio comandi uopo non hanno,
Adam, di lunghe, inutili parole:
315Ti basti che i tuoi preghi accolti furo,
E morte, per sentenza a te dovuta
Quando peccasti, lascerà sua preda
Ancor per molti dì che il ciel ti dona
Onde appien tu ti penta, e l’atto reo
320Con molte giuste e degne opre cancelli.
Allora il tuo Signor ben anco puote
Scamparti appieno dal rapace dritto
Che Morte ha sopra te; ma in questo loco
Più rimaner non ti permette. Io venni
325A rimuoverti quindi, e quella terra
Condurti a coltivar, da cui già tratto
Fosti, e che meglio a te conviensi adesso. -
Più non diss’ei; chè un’agghiacciata mano
Strinse d’Adamo il core, e intenso affanno
330Ogni senso gli chiuse. Eva che il tutto
Non vista udì, con lamentevol suono
L’ombroso loco ove teneasi ascosa
Così scoperse: - Oh inaspettato colpo
Peggior che quel di morte! Io così dunque
335Lasciarti deggio, o Paradiso? Io deggio
Così lasciarti o natìo suol, di numi
Degno soggiorno? e voi lasciar, felici
Ombre, ameni passeggi? Invan sperai
Qui dunque, se non lieta, almen tranquilla
340Passar la vita mia fino a quel giorno
Che ad ambi fia mortal! Fiori che altrove
Non potrete allignar, voi sull’aurora
Mia prima cura ed ultima la sera,
Voi ch’io con man sollecita dal primo
345Vostro spuntar nudrii, cui posi il nome,
Chi ergerà i vostri steli a’ rai del sole,
Chi disporrà vostre famiglie, e l’onda,
Ad irrigarvi, dall’ambrosio fonte,
V’arrecherà? Come da te, boschetto
350Mio marital, che d’ogni arbusto e fiore
Ornai più vago e più fragrante, ah! come
Da te dividerommi? Ove in quel basso
Mondo, in confronto a questo, oscuro ed ermo
Il piede io volgerò? Come quel denso
355Aere spirar potremo? avvezzi a questi
Frutti immortai... - Cessa i lamenti, o donna
(Dolcemente così l’Angelo allora
Nel suo dolore la interruppe) e quello
Che perdesti a ragion, rassegna in pace,
360Nè locar troppo in non tue cose il core.
Sola non vai, vien teco Adam, tu dêi
Seguirlo, e ovunque il suo soggiomo fia,
Stimar che là sia la tua patria ancora. -
Dall’improvviso freddo orror riscosso
365Adamo intanto e ricovrati i sensi,
Volse a Michele queste umili parole:
- Celeste abitatore, o fra i superni
Cori tu segga o sii fra lor primiero,
Chè a cotanto splendor prence di prenci
370Ben ti dimostri, dolcemente invero
Il severo messaggio a noi recasti
Che in altra guisa di tropp’aspro e forse
Mortal dolor ci avrìa percossa l’alma.
Ma quanto tollerar la debil nostra
375Natura può di tormentoso e fero,
Dall’annunzio feral che tu ci rechi
Noi tutto lo proviam. Conforto estremo
Fra le miserie nostre eraci questo
Felice asil, questi recessi ameni,
380A cui son usi i nostri sguardi: ogni altro
Loco, deserto, inospite, straniero
Per noi sarà, qual noi sarem per esso.
Oh! se co’ preghi io di cangiar sperassi
L’alto voler di lui che tutto puote,
385Con supplici incessabili lamenti
Io stancarlo vorrei: ma contro i suoi
Assoluti decreti ah! non val priego;
Nulla più val che lieve soffio incontro
All’urto d’Aquilon ch’entro le labbra
390Con furia il ripercuote onde fu spinto.
Quindi la fronte riverente io piego
Al comando sovran. Quel che più m’ange,
È che, lunge di qui, rimarrò privo
Di suo beante aspetto. Ad uno ad uno
395Io qui divotamente avrei potuto
Tornar quei lochi a visitar sovente
Ch’egli degnò di sua presenza, e un giorno
Ridire a’ figli miei: là su quel monte
Iddio, m’apparve, qui visibil stette
400Sotto di questa pianta, udii sua voce
Fra questi pini, e qui con lui parlai
Presso questa fontana: eretto avrei
D’erbose zolle ricordevol ara
In ciascun di que’ lochi, avrei raccolte
405Tutte del rio le più lucenti pietre
E innalzato con esse ai dì venturi
Divoti monumenti, e offerto intanto
Sovra di lor dolce-olezzanti gomme
E frutta e fior. Ma colaggiù nel basso
410Mondo, ove dato mi sarà di nuovo
Mirar l’alma sembianza? ove le tracce
De’ piedi suoi? Chè s’io fuggii dinanzi
Al suo disdegno, or nondimen che il corso
Prolungò de’ miei giorni e mi promise
415Posteritade, io di sua gloria almeno
Gli ultimi raggi contemplar vorrei
E l’orme sante venerar da lungi.
- Adam, tu ben lo sai (risponde allora
A lui Michele con benigno sguardo),
420Non questa rupe sol, ma il cielo è suo,
Suo l’universo; terra ed aere e mare,
Tutto è ripien di sua presenza, e quanto
Respira e vive, da sua possa immensa
Ha calor, spirto e vita. Egli a te diede
425A possedere e dominar la terra,
Non picciol don. Del Paradiso adunque,
Ovver dell’Eden tra i confini angusti
Perchè ristretta or sua presenza credi?
Questa del regno tuo precipua sede
430Forse stata sarìa; quindi le umane
Schiatte sariensi sparse, e tutte un giorno
Dai confin della terra avrien qui vôlto
Peregrinando il lor cammin le genti
Ad onorarti e celebrarti primo
435Padre loro comun. Ma l’alto onore
E un sì bello avvenire or hai perduto,
E un suolo stesso co’ tuoi figli scendi
Ad abitar. Pur dubbio in te non sorga
Che in piano e ’n valle, al par che qui, presente
440L’Eterno a te non sia. Di sua bontade,
Del paterno amor suo chiari dovunque
Molti segni vedrai che del suo volto
Ti ritrarran la manifesta imago
E de’ suoi piedi le divine tracce.
445Ma perchè fede ai detti miei s’accresca,
E in te scemi il timor pria che da questo
Loco tu mova, di lassù mandato
Sappi ch’io sono a disvelarti quale
Destino a te si serba e a’ figli tuoi
450Ne’ dì futuri. Or buone cose or ree
T’appresta ad ascoltar; fra la superna
Grazia e l’umana pravitade un spesso
Ostinato contrasto; e quindi ai mali
Verace sofferenza oppor saprai;
455Quindi con pia tristezza e santa tema
Temprar la folle gioia, e con lo stesso
Sereno, imperturbabile sembiante
Mirar l’irata e la ridente sorte.
Più sicuro così trarrai la vita,
460E, giunto alfine al tuo mortal passaggio,
Saprai varcarlo apparecchiato e fermo.
Vieni, poggiam su questo monte, ed Eva
A cui legai con grave sonno i sensi,
Qual tu dormivi allor che vita ell’ebbe,
465Qui dormirà, mentre con me lassuso
Tu leggerai nell’avvenire. - Ascendi,
Grato risponde Adam, con teco io sono
Ove mi guidi, o mia sicura scorta,
Ed al braccio del ciel, sia pur severo,
470Mi sottopongo: incontro a’ mali il petto
Offro spontaneo, col soffrir m’appresto
A superarli ed a raccorre alfine,
Se così lice, da’ sudori miei
Riposo e pace. - Ambo saliron quindi
475Alle divine visïoni. Un monte
Altissimo sorgea nel Paradiso,
Dalla cui cima in chiaro, ampio prospetto,
Tutto quant’è per ogni parte steso
Apparìa della terra un emispero.
480Più sublime non fu nè offrìa più larga
Vista là nel deserto il giogo alpestro,
Dove il maligno artefice d’inganni
Già trasportò con altro fine il nostro
Adam secondo, e sotto a’ piè mostrogli
485In lor superba pompa i varj regni
E la terra promise al Re del tutto.
Ampiamente di là potea lo sguardo
Signoreggiar gli spazj ove famose
Surser dipoi cittadi antiche o nove
490E seggio fur de’ più possenti imperi.
Da Cambalù che del gran Can fu reggia,
Da Samarcanda in riva all’Osso ov’ebbe
Regno Timùr, fino a Pechin, soggiorno
De’ cinesi monarchi; ad Agra quindi
495Ed a Laòr, del gran Mogol la sede,
Fin giuso all’aurea Chersoneso, e dove
In Ecbatán o in Ispaán il trono
Surse poscia di Persia, e dove il Czarre
Regge de’ Russi il freno, e dove impugna
500Ferreo scettro in Bisanzio il fier Sultano,
Adam scorgea; di là non men l’impero
Degli Abissini infino al porto estremo
D’Ercóco, e quei minori al mar vicini
Di Quiloa, di Mombáza e di Melinda
505E di Sofála ch’altri Ofír credero,
Fino al Congo e ad Angóla; indi le rive
Del Negro e ’l monte Atlante, e d’Almansorre,
Di Sus, di Fessa, di Marocco e Algeri
E Tremiséne i regni; indi d’Europa
510E dove Roma al vinto mondo un giorno
Dovea dar leggi. In spirito fors’anco
Ei vide il ricco Messico, dimora
Di Montezuma, e Cusco ancor più ricco
Là nel Perù, d’Atabalípa sede,
515E la Guiána non predata allora,
Alla cui gran cittade i figli poscia
Di Gerïon diêr di Dorádo il nome.
Ma dagli occhi d’Adamo, onde a più grandi
Cose a veder sien atti, il fosco velo
520Michel rimove, il fosco vel che steso
Quel frutto su v’avea; di miglior vista
Promettitor fallace; indi il visivo
Nervo ei ne purga con eufrasia e ruta,
E del fonte di vita entro vi stilla
525Dipoi tre gocce. Penetrâr cotanto
Queste del mental guardo al seggio interno
Che chiuse gli occhi Adamo e cadde in terra
Tratto de’ sensi fuor; ma l’Angel tosto
Lo rileva con mano e in lui ridesta
530Così gli spirti: - Apri le luci, Adamo,
E di tua colpa original gli effetti
Prima osserva in talun che da te scende,
Che non distese al divietato pomo
La man, nè col serpente unissi in lega,
535Nè fu reo del tuo fallo; eppur da questa
Sorgente infetta un rio veleno ei tragge
Ch’è d’orribili eccessi orribil seme. -
Schiuse Adam gli occhi, e una campagna vide
Parte arabile e culta, ove ammucchiate
540Eran testè recise messi, e parte
Offrìa pasture, ovili e mandre; e in mezzo,
Qual confine, sorgea rustico altare
D’erbose glebe. Ivi a recar sen giva
Sudante mietitor le prime frutta
545Del suo lavor, la verde e gialla spica,
Affastellate e quali il caso in mano
Gliel’avea poste. Mansueto e dolce
Un pastorello appresso ne veniva
Coi primi parti del suo gregge eletti
550Infra i migliori; e il sacrificio offrendo,
Le pingui loro viscere spruzzate
D’incenso distendea su i tronchi rami
E ogni rito compiea. Propizia fiamma
Scesa dal ciel con rapido baleno
555Arse tosto i suoi doni, onde si sparse
Grata fraganza intorno, e lasciò intatta
Del mietitor la non sincera offerta.
Gonfiossi a questi il cor di rabbia, e mentre
Con l’altro parla, in mezzo al petto un sasso
560Gli avventa; al suol quegli stramazza, e tinto
Di mortale pallor l’anima versa
Infra i singulti e lo sgorgante sangue.
Inorridito a quella vista Adamo
E con subito grido all’Angel vôlto:
565- Maestro, disse, ahi che vegg’io! che avvenne
A quel sì placid’uomo, a lui che offerse
Con tanto affetto i doni suoi? Di puro
Culto e pietà la ricompensa è questa? -
- Duo germani son quei, Michel commosso
570Anch’egli replicò, che dal tuo sangue,
Adamo, nasceran. L’ingiusto al giusto
La morte dà, d’invida rabbia preso
Per la fraterna offerta al ciel gradita.
Ma inulto non andrà l’orrido fatto,
575Nè senza pieno guiderdon la fede
Andrà dell’altro, ancorchè qui tra ’l sangue
Spirar tu il miri e tra la polve involto. -
E ’l nostro antico sire: - Ah! qual delitto!
E qual cagione! Ma veduta adesso
580Dunque ho la morte? Ed il cammino è quello
Per cui tornar nella mia polve io deggio?
Oh terribile vista! oh morte, atroce
Allo sguardo, al pensier! or quanto, ahi quanto
Più orribile a provare! - Allor soggiunge
585A lui così Michel: - Morte in sua prima
Imago or vista hai tu, ma son di lei
Molte le forme, e per sentier diversi,
Spaventevoli tutti, all’atra sua
Voragine si va, sebben l’ingresso
590N’è orribil più che il cupo seno. Alcuni
Periran sotto a vïolento colpo,
Come testè vedesti, altri per foco,
Diluvj e fame; un numero maggiore
D’intemperanza vittime cadranno.
595D’atroci morbi mostruosa turba
Sopra la terra essa trarrà che innanzi
Ora t’appariran perchè tu scorga
Di quanti danni l’ingordigia d’Eva
Sopra il genere uman sarà cagione. -
600Disse, e repente un vasto loco agli occhi
S’offre d’Adam, lurido, tristo, fosco,
Qual d’egra infetta gente ampio ricetto.
D’ogni malor la spaventevol forma
Ivi raccolta stavasi. Là sono
605Crudeli spasmi, orribili torture,
Ambasce, sfinimenti, atra coorte
Di varie febbri, epilessìe, catarri,
Fere tempeste di convulsi nervi,
Laceratrici interne pietre, sozze
610Ulceri divoranti, smanïose
Coliche doglie, frenesìe, delìri,
E rabbia e tetra stupida tristezza.
Evvi la tabe estenuata e smunta
E l’asma soffocante, e ’l reuma, acerbo
615Strazio delle giunture; evvi la scialba
Tumida idropisìa, v’è la feroce
Sterminatrice peste. Irrequïeto,
È delle membra l’agitar, profondo
Il gemer dappertutto. Era di letto
620In letto affaccendata intorno agli egri
La Disperazïone, e il fatal dardo
Morte sovr’essi trïonfando scuote,
Ma spesso il colpo ne trattiene allora
Che invocata è da lor qual sommo bene
625Ed ultima speranza. A ciglio asciutto
Qual uom di scoglio sostenere a lungo
Potea sì cruda vista? Adam nol puote;
E benchè nato egli non sia di donna,
In lacrime disciogliesi. Dell’uomo
630La miglior parte da pietà fu vinta,
Ed alcun tempo abbandonossi al pianto,
Finchè pensier più fermi in lui frenaro
Del duol l’eccesso e ricovrando a stento
Il favellar, così proruppe: - Ahi tristo
635Genere umano, in qual abisso cadi!
A qual serbato sei misera sorte!
Oh! perchè nelle tenebre del nulla
Non resti tu? Dunque del pari a forza
Ci fia data la vita e a forza tolta
640Fra tanti orrori? Ah! se conoscer prima
Ciò che la vita sia, l’uomo potesse,
O dell’offerto don farìa rifiuto,
O bramerìa tosto deporlo e indietro
Tornarsi in pace. E può di Dio l’imago
645Impressa in lui che tanto illustre e grande
Creato fu, benchè colpevol poi,
Esser depressa a sì deformi strazj,
A così fiere, mostruose pene?
Que’ sacri avanzi ch’ei pur serba ancora
650Della divina somiglianza prima
A ciò sottrar non lo dovrìan? - L’imago
Del gran Fattor, l’Arcangelo risponde,
Gli uomini allor lasciò che diêr se stessi
Vilmente in preda a cieche, avide brame,
655Qual prima in Eva avvenne, e rivestiro
In sè del vizio, lor brutal tiranno,
La vergognosa forma. Abbietto tanto
È quindi il lor gastigo: esso di Dio
Non disfigura già l’effigie santa,
660Ma sol la nuova lor cangiata e guasta,
Mentre, poste in non cal le savie norme
Della schietta natura, a sozzi morbi
In balìa dansi ed han condegna pena
D’aver sprezzata in sè di Dio l’imago. -
665- Tutto è giusto, il confesso, Adam soggiunge,
E mi sommetto al ciel; ma via non evvi,
Fuor di queste sì crude, onde l’uom possa
Andar a morte e alla natìa sua polve
Rimescolarsi? - Evvi, Michel risponde,
670Se del NON TROPPO la gran legge osservi;
Se nel cibo e nel ber tu cerchi solo
Debito nudrimento e non l’ingordo
Falso piacer: così molti anni e molti
Sul tuo capo rivolgersi vedrai,
675Finchè qual cade al suol maturo frutto
O di leggier cede alla man che il coglie,
Cadrai tu pur della gran madre in seno,
Nè sarai dalla vita a forza svelto.
Vecchiezza è questa; ma convienti allora
680Veder da te la gioventù, la forza,
La beltà dipartirsi e a gradi a gradi
Fiacchezza sottentrar, canizie e rughe.
Non più potrà gl’istupiditi sensi
Penetrare il piacer, non più la gioia
685Ti sentirai, nè la speranza in core;
Ma un torpido languor le sceme e fredde
Vene t’occuperà, depressi e tristi
Fieno gli spirti, e ’l succo almo vitale
Inaridito alfin. - La morte omai,
690Replica Adam, più di fuggir non curo,
Nè prolungar di troppo i giorni miei.
Unico mio pensier sarà piuttosto
Come portar fino al prescritto giorno
Io meglio possa questo grave incarco
695E come meglio allor deporlo. - Vuolsi
Nè amar la vita nè abborrirla (a lui
L’arcangel replicò), tu, finchè vivi,
Di ben viver ti studia, e del suo lungo
O breve corso al ciel lascia la cura:
700E a nuova vista t’apparecchia intanto. -
Ei mira, e vede in largo pian distese
Tende di color varj: all’une intorno
Pasceano armenti, uscìa dall’altre un dolce
D’organi o d’arpe armonico concento,
705E dell’esperto musico la mano
Scorgeasi pur che rapida scorrendo
Or alto or basso le vibranti corde,
Con le dotte moltiplici misure
In mille guise varïar sapea
710La discorde concordia. In altra parte
Sudar vedeasi affaccendato fabro
Di rame e ferro a due gran masse intorno,
O là trovate dove a caso il foco,
Struggendo i boschi, entro le accese vene
715Del suol le aveva liquefatte e spinte
Di qualch’antro alla bocca, o dove all’aura
Lasciolle esposte rovinoso fiume.
Trascorre in preparate acconce forme
L’alliquidita massa: ei ne compone
720In pria dell’arte gl’istrumenti varj,
E quindi ogni metallico lavoro
Scolpito o fuso. In altro lato un’altra
Dissimil gente dalle alpestri cime
De’ patrj monti discendeva al piano:
725Parean giusti al sembiante e aver rivolto
Lo studio tutto ad onorar con pio
Culto l’Eterno, a meditar l’eccelse
Della sua mano meraviglie e quanto
Può stabilir la libertà, la pace
730Fra le umane adunanze. Eran non molto
Per la pianura andati allor che fuore
Ecco uscir delle tende un stuol di vaghe
Donne di gemme e ricche vesti ornate
Lascivamente. Della cetra al suono
735Accordan molli, tenere canzoni,
E s’accostan movendo in lieti balli
Il piè leggiero. Senza fren lasciaro
Gli uomini, ancor che gravi, errar gli sguardi,
Onde ben tosto all’amoroso laccio
740Ognuno è colto, e ognun colei si sceglie
Ch’è la sua fiamma: ognun d’amor ragiona,
Finchè nunzia d’amore in cielo appare
La vespertina stella. Allor bramosi
La teda nuzïale accendon tutti
745E gridan tutti che s’invochi Imene,
Imen che allor ne’ maritali riti
Fu invocato da pria: suona ogni tenda
Di concenti e di feste. Il dolce aspetto
Delle liete adunanze ove d’amore
750E della gioventù coglieasi il frutto,
I molli scherzi, i giochi, i fiori, i serti,
Le sinfonìe mosser d’Adamo il petto
Che del piacere al natural talento
Non fu tardo ad aprirsi, ond’ei rivolto
755A Michel, così disse: - Angel sovrano,
O verace apritor degli occhi miei,
Assai miglior questo spettacol sembra
Che i due già visti, e di tranquilli giorni
Porge più lieta speme: odio soltanto,
760Morte e dolor più che la morte crudo
Appresentavan quei, ma fatta paga
In tutti i fini suoi qui par natura. -
- Da quando i sensi più lusinga e molce,
Benchè conforme alla natura appaia,
765Non giudicar, risponde a lui Michele,
Di ciò che meglio sia, tu che creato
Fosti a più nobil fin, tu puro e santo,
Tu imagine di Dio. Le tende, or viste
Festevoli così, sono le tende
770D’iniquitade, e albergheran la schiatta
Di lui che sparse del germano il sangue.
Opra saran delle sue mani industri
L’arti ch’ornan la vita, e illustre fama
Avrà di trovator sagace ingegno;
775Ma quel sommo Fattore, onde le venne
Ogni sapere, in empio ingrato obblìo
Porrà superba e i ricevuti doni.
Pur vaga stirpe n’uscirà; già visto
Di quelle donne hai tu lo stuol leggiadro
780Rassomiglianti a dee, sì vivo e gaio
E lusinghier; ma d’ogni dote prive
Elle saranno, in cui di donna è posto
Il domestico onor, la prima lode;
E nell’arti lascive instrutte solo
785Dell’adornarsi, del danzar, del canto,
Di lezj e ciance e di procaci occhiate,
La savia stirpe di color che furo
Per la pietà figli di Dio nomati,
Di questa femminil profana turba
790All’insidie, ai sorrisi ignobilmente
Immolerà la sua virtù primiera,
E la sua gloria. Ebbri di gioia insana
Or esultan costor, ma immenso pianto,
Vedrai, tosto gli attende e scempio orrendo. -
795Svanito allor suo breve gaudio, Adamo
Esclama: - Ahi scorno, ahi duol! che chi di vita
Entrò con tanto ardor nel dritto calle,
Per torte vie poi volga il piede, o manchi
In mezzo del cammin. Ma veggo, ah! veggo
800Che sempre avran quaggiù le colpe e i guai
Nel più debole sesso origin prima. -
- Anzi dell’uom nella mollezza rea,
L’Arcangel replicò, dell’uom che i dritti
Di sua maggiore dignità si scorda,
805E quei ch’ebbe dal ciel doni migliori.
Ma volgi adesso ad altra scena il guardo. -
Adam rimira, e a sè dinanzi scorge
Ampio paese, culti campi e ville
E di cittadi popolose e vaste
810Superbe porte e torreggianti moli:
Quindi un correr all’armi, orride facce
Guerra spiranti, e d’ossa e membra immani
Baldanzosi giganti; impugna e scuote
Altri le lucid’armi, ed altri affrena
815Gli spumanti corsier; solo o schierato,
O fante o cavalier, niuno là stassi
In ozïosa mostra. Ecco da un lato
Scelto drappel che dal foraggio riede
E seco trae dai grassi, erbosi prati
820Di pingui buoi, di belle vacche un branco
Per la pianura, e pecore ed agnelli
Belanti dietro alle rapite madri.
Scampano appena col fuggir la vita
I pallidi pastori, ad alte grida
825Chiaman soccorso, e già feroce pugna
È incominciata. Con orribil urto
Ecco s’affrontan gli squadroni, e dove
Testè pascean le gregge, or tutto è d’armi
Sparso e d’estinti, sfigurati corpi
830L’insanguinato solitario campo.
Ben munita città d’assedio stretta
Hann’altri intorno; con iscale e mine
E batterìe movonle assalto: un nembo
Scagliano i difensor dall’alte mura
835Di dardi e pietre e di sulfureo foco;
Cruda è la strage, e spaventose e fere
Di qua e di là le gigantesche prove.
In altro lato da scettrati araldi
Un consiglio s’intima appo le porte
840Della città: gravi e canuti padri
Misti ai guerrier s’adunano: diverse
Odonsi arringhe, e insorgono ben tosto
Discordie e parti. Uom saggio alfin si leva
D’anni maturo, maestoso e grave
845Nel portamento, e sull’ingiusto e ’l giusto,
Sulla religïon, la fè, la pace
E i giudicj del ciel molto favella.
Ma di scorno e di riso il fan subietto
Del par giovani e vecchi, e già le mani
850Rabbiose in lui stendean, se ratto scesa
Una nube dal ciel non lo togliea
Invisibil di là. Per ogni lato
Scorre allora il furor, la forza e l’empio
Diritto della spada, e fuga o scampo
855Non havvi alcun. Si scioglie in pianto Adamo,
E pien d’angoscia, alla sua guida: - Oh! dice,
E chi son mai costor? Certo di morte
Ministri son, non uomini, che in mille
E mille doppj l’orrido misfatto
860Ponno così moltiplicar di lui
Che del germano si bruttò nel sangue.
E non è questo ancor sangue fraterno
Ch’essi a torrenti spandono? Dell’uomo
Non è l’altr’uom fratel? Ma chi quel giusto
865Fu che, senza del ciel la pronta aita,
Periva in sua giustizia? I tristi frutti
(L’Angelo gli risponde) eccoti, Adamo,
Di quelle diseguali infauste nozze
Ch’or or vedesti, in cui pietà s’unìo
870All’empietà con discordevol nodo,
Ond’escon poscia mostruosi parti
E di mente e di corpo, e tai saranno
Questi giganti, onde sonar la fama
Per la terra s’udrà: chè sol la forza,
875D’alto eroico valor sotto il bel nome,
Avrà ne’ giorni loro il pregio e ’l vanto.
Vincer battaglie, ruinar cittadi,
Popoli soggiogar, sparger torrenti
D’umano sangue e di rapite spoglie
880Tornar ricco ed onusto, ecco qual fia
La somma gloria. Trionfali onori
Quindi otterrà conquistator, eroe,
De’ dritti umani protettore eccelso,
Figlio di numi ed egli stesso un nume,
885Tal nomato sarà che fia soltanto
Degli uomini flagel, peste del mondo.
Per simil via s’otterrà fama in terra,
E ciò che più la merta, in muto obblio
Sepolto resterà. Ma quei che solo
890Del giusto amico in un perverso mondo
Tu vedesti testè, della tua stirpe
Il settimo sarà. D’aspri nemici
All’odio ed al furor diverrà segno
Perchè seguir giustizia ei solo ardisce
895E dire il ver, che a giudicarli Iddio
Verrebbe un dì vendicator severo
Con tutti i santi suoi. Corsieri alati,
Come vedesti, in odorosa nube
Alla lor rabbia il sottrarranno, e immune
900Da morte, seco ne’ superni regni
Di pace e gaudio il raccorrà l’Eterno.
Della bontade hai visto il premio; or mira
De’ malvagi la pena. Adam riguarda,
E un novello di cose aspetto vede:
905Non più rugge di guerra il rauco squillo,
E in giuochi, in scherzi, in pompa, in feste, in danze
Tutto è converso: maritaggi o stupri,
Adultéri o rapine ovunque han loco,
Siccome vuol la passeggiera insana
910Voglia, e ben tosto alle spumanti tazze
Seguon civili risse. Alfine in mezzo
Alla sfrenata, nequitosa gente
Un veglio venerabile s’avanza,
Ed altamente con severa voce
915I turpi eccessi lor condanna e sgrida.
Ei di lor feste e tresche i lochi spesso
Frequenta, e d’esortarli unqua non cessa
Lor colpe ad espìar quai rei fra ceppi,
A cui sovrasta la fatal sentenza;
920Ma tutto è van. Quando ciò vede, ei lascia
L’inutile contrasto e le sue tende
Lungi trasporta. Indi sul monte atterra
Molte e gran travi, e a fabbricare un vasto
Navile imprende, in alto, in largo, in lungo
925Misurato per cubiti, e di pece
Lo spalma intorno. In mezzo all’un de’ lati
Fabbrica adatta porta, e dentro alloga
Per uomini e per belve in copia il vitto;
Quando, oh portento! d’animai, d’augelli
930E di minuti insetti a paio a paio
O a sette a sette ogni maniera venne,
E per se stessi nella sacra nave
In bell’ordine entraro. Ultimo il veglio
Seguì coi tre suoi figli e con le quattro
935Lor mogli, e Dio di fuor la porta chiuse.
Allor Noto si leva, e l’ampie, negre,
Pendenti ali battendo, aduna e addensa
Quante son nubi sotto il cielo; i monti
Tramandan su quanti han vapori e nebbie
940Il fosco ammasso ad ingrossar: già l’etra
Vasta vôlta di tenebre rassembra;
Già impetuosa a gran rovesci piomba
La pioggia e mai non cessa, e tutta alfine
Sparisce al guardo la sommersa terra.
945S’alza il naviglio galleggiante, l’onde
Cavalca altero, e con rostrata prora
Ne insulta e rompe lo spumante orgoglio.
Ne’ suoi profondi gorghi il flutto immenso
Ogni altro albergo e le sue pompe aggira;
950Da un mar che non ha lido, è il mar coverto,
E nei palagi, ove testè splendea
Ricchezza e lusso, or han la tana e ’l nido
Marini mostri. Di cotanta gente
Ch’empiea la terra, in breve legno ondeggia
955Tutto l’avanzo. Oh qual dolor fu il tuo,
Adam, veggendo di tua prole tutta
Sì tristo fin, tanta ruina! Un altro
Di lagrime diluvio e di dolore
Te pur sommerse e oppresse in fin che alzato
960Dall’angelica man, reggerti in piede
Potesti pur, ma inconsolabil sempre,
Qual genitor che tutti a un colpo spenti
I cari figli suoi si vede innanzi,
E questi detti sospirosi a stento
965Articolasti: - Ahi visioni orrende!
Oh stato fosse a me chiuso per sempre
Un sì fero avvenir! Così la parte
Sol de’ miei mali ch’ogni dì mi tocca
E m’è bastevol carco, avrei sofferta;
970E tutto or sopra me s’ammassa e aggreva
Anco il peso di quei che fien divisi
Su molte etadi e pria del tempo han vita
Per lo mio preveder che un dì saranno.
Ah! più non sia chi di saper s’affanni
975La sorte propria o de’ suoi figli: a’ mali,
Poichè denno avvenir, riparo alcuno
L’antiveder non reca, e sol presenti
E doppie fa le ancor lontane pene.
Ma invano or parlo: uomo non v’è che m’oda,
980E i pochi che ancor vivi erran pel vasto
Deserto ondoso, alfin rabbiosa fame
E angoscia struggerà. Sperai, cessata
La vïolenza e ’l bellico furore,
Lieto il mondo veder, veder la pace
985Incoronar l’umana stirpe alfine
Con lunga serie di felici giorni;
Ma quanto m’ingannai! La pace ancora,
Or veggo, è all’uomo infesta, e un reo diffonde
Veneno tal che le ruine stesse
990Pareggia della guerra. Onde ciò nasca,
Deh! tu mi spiega, o mia celeste guida,
E se tutta ha qui fin l’umana stirpe. -
- Quei che lussureggiar fra pompe ed agi
Testè vedesti, a lui Michel risponde,
995Son que’ medesmi che superbi e gonfi
Di lor valore e lor guerriere imprese
Ivano in pria, ma di virtù verace
Erano vôti. Con gran sangue e stragi
Soggiogan genti e fan di fama acquisto,
1000Di titoli pomposi e ricche prede:
All’ozio quindi, alle delizie molli,
A intemperanza ed a lascivie in braccio
Si dan, finchè licenza e orgoglio insano
Destan contese e risse anco di pace
1005E d’amistade in sen. Color che vinti
E fatti schiavi son, con la perduta
Lor libertade, ogni virtude ed ogni
Tema di Dio pérdono a un tempo ancora,
Di Dio cui chiese invan soccorso e scampo
1010L’infinta lor pietà nel fero giorno
Della battaglia. Abbandonata quindi
Ogni divota cura, intesi solo
Saranno a trar la pigra e turpe vita
In securtà su quel che lor lasciato
1015Fia da’ sazj tiranni; e larga assai
I doni suoi dispenserà la terra,
Onde dell’uom la temperanza a prova
Possa venir. Degenere, corrotto
Così tutto farassi; a tutti ignote
1020Giustizia, verità, modestia e fede
Saran, tranne ad un uomo, unico figlio
Di luce in buia età, che a’ pravi esempi,
Alle lusinghe, agli usi, a un mondo irato
Intrepido opporrassi. Egli sprezzando
1025Gli altrui sprezzi, i rimproveri e la rabbia,
Rinfaccerà le lor perverse vie
All’empie genti, e di giustizia il calle,
Che il calle è in un di sicurezza e pace,
Lor mostrerà. L’ira del ciel pendente
1030Annunzierà sulle proterve fronti,
E deriso ne fia, ma lui con lieto
Occhio Iddio mirerà qual uom che solo
Seguace di virtù rimane in terra.
La vasta mole di mirabil’arca,
1035Com’hai già visto, ei per divin comando
Fabbricherà, dove fuggir co’ suoi
La sovrastante universal ruina
Dato gli sia. Colà rinchiuso appena
Con sua progenie e con la lunga schiera
1040Degli animali a sopravviver scelti
Egli sarà, che spalancate tutte
L’ampie del cielo cateratte a un tempo
Continua sgorgheran crosciante piova
Il dì, la notte: del profondo abisso
1045Su sboccheran le fonti, e l’oceáno
Leverà il dorso altissimo, spumante
Finchè de’ monti ancor l’estreme vette
Soverchi altero e le s’inghiotta il flutto.
Per la possa dell’acque allor divelto
1050Fia da sua sede questo monte stesso
Del Paradiso, giù pel vasto fiume
Travolto dal rapace ondoso corno
Con sua guasta verzura e i fluttuanti
Arbori in seno del vorace golfo;
1055Là prenderà nuove radici, fatto
Isola salsa e nuda, ad orche, a foche
Ed a marini, schiamazzanti augelli
Asilo e nido: e quindi, Adamo, apprendi
Che santo in faccia a Dio loco non evvi,
1060Se nol fa tale il cor devoto e puro
Degli abitanti suoi: Ma segui il resto
Or a mirare. - Adam riguarda e vede
Sul bassato oceán barcollar l’arca:
Sparite eran le nubi in fuga spinte
1065Da Borea acuto che col soffio adusto
Del diluvio increspando iva la faccia
Omai scaduta. In sull’acquoso, immenso
Cristallo il sol vibrava ardenti sguardi,
E a larghi sorsi il fresco umor bevea.
1070Con piè furtivo ritraeasi intanto
A poco a poco l’onda invêr l’abisso
Che i suoi sgorghi arrestò, come già chiuse
Il cielo avea sue cateratte. L’arca
Più non ondeggia omai, ma d’alto monte
1075Ferma in sul dorso appar; spuntan, quai scogli,
Le vette omai degli alti gioghi; al mare
Che si ritira, affollansi i torrenti
Sonori, impetuosi; ed ecco un corvo
Volar si scorge dalla nave, e quindi,
1080Nunzia più fida, una colomba parte
Per due volte a cercare o pianta o suolo
Ove posar il piede, e nel secondo
Rirorno suo, reca nel rostro un verde
D’olivo ramuscel, segno di pace.
1085Già si mostra la terra, e fuor con tutti
I suoi compagni il venerabil veglio
Della nave discende: ei tosto al cielo
Con grato cor gli occhi e le mani innalza
Divotamente, e rugiadosa nube
1090Sopra il capo si mira, a cui nel mezzo
Splende tricolorato arco ridente
Che con Dio pace annunzia e nuovi patti.
A quella vista il già si tristo core
D’Adamo esulta, e in questi detti il labbro
1095L’interna gioia esprime: - O tu che puoi,
Come presenti, le future cose
Recarmi innanzi, interprete del cielo,
Con questo nuovo consolante aspetto
Tu mi torni alla vita; io veggo, io veggo
1100Che l’uom vivrà cogli animali tutti,
Ed a’ più tardi secoli serbato
Il lor seme sarà. Meno or mi grava
Un mondo intier di figli rei distrutto
Che non m’allegra quel sì pio, sì giusto
1105Uom che mertò di disarmar l’irata
Divina destra e d’un novello mondo
Esser principio. Ma perchè, deh! dimmi,
Quelle appaiono in ciel fulgide liste?
Imagin forse del placato ciglio
1110Di Dio son esse? o con leggiadro margo
Chiudono il grembo a quell’acquosa nube
Ond’ella ancor non si disciolga e torni
La terra ad allagar? - Sì, gli risponde
Michel, ben avvisasti; dell’Eterno
1115Placata è l’ira. Ei rimirò la terra
Di misfatti coperta, ed in sue vie
Ogni carne corrotta, ond’ebbe in core
D’aver creato l’uom rammarco e sdegno,
E i perversi punì: ma grazia tanta
1120Un sol uom giusto al suo cospetto trova,
Che sol per lui dall’esterminio estremo
L’uman genere scampa, e quind’innanzi
(Ei lo promette) a disolar la terra
Più non discenderan l’acque del cielo
1125Nè più trascorrerà fuor de’ prescritti
Confini il mar. Tal è il suo patto, e quando
Egli le nubi stenderà per l’etra,
Quell’arco suo di tre colori impresso
Appariravvi ond’ei richiami in mente
1130La sua promessa. Il dì così, la notte,
Della semenza e della messe il tempo,
La state, il verno alterneran lor corso,
Finchè tutto rinnovi e purghi il foco,
E sorgan altri cieli ed altra terra
1135Ove un popol d’eletti avrà soggiorno.



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