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ATTO TERZO
SCENA PRIMA
MIRTILLO.
Bella madre di fiori,
D’herbe novelle, di novelli amori
Tu torni ben, ma teco
Non tornano i sereni,
E fortunati dì de le mie gioie:
Tu torni ben, tu torni,
Ma teco altro non torna,
Che del perduto mio caro tesoro
La rimembranza misera, e dolente.
Tu quella sè, tu quella
Ch’eri pur dianzi sì vezzosa, e bella;
Ma non son’io già quel ch’un tempo fui
Sì caro à gli occhi altrui.
O dolcezze amarissime d’amore
Quanto è più duro perdervi, che mai
Non v’haver ò provate ò possedute.
Come saria l’amar felice stato,
Se ’l già goduto ben non si perdesse,
O quando egli si perde
Ogni memoria ancora
Del dileguato ben si dileguasse.
Ma se le mie speranze hoggi non sono,
Com’è l’usato lor, di fragil vetro,
O se maggior del vero
Non fà la speme il desiar soverchio,
Qui pur vedrò colei,
Ch’è ’l Sol degli occhi miei:
E, s’altri non m’inganna,
Quì pur vedrolla al suon de miei sospiri
Fermar’il piè fugace.
Quì pur da le dolcezze
Di quel bel volto havrà soave cibo
Nel suo lungo digiun l’avida vista:
Qui pur vedrò quell’empia
Girar inverso me le luci altere,
Se non dolci almen fere,
E se non carche d’amorosa gioia,
Sì crude almen ch’i moia.
Oh lungamente sospirato in vano
Avventuroso dì, se dopo tanti
Foschi giorni di pianti
Tu mi concedi Amor di veder hoggi
Ne begli occhi di lei
Girar sereno il Sol degli occhi miei.
Ma quì mandommi Ergasto, ove mi disse
Ch’esser doveano insieme
Corisca, e la bellissima Amarilli
Per fare il gioco de la cieca; e pure
Quì non veggio altra cieca,
Che la mia cieca voglia,
Che và con l’altrui scorta
Cercando la sua luce, e non la trova.
O pur frapposto à le dolcezze mie
Un qualche amaro intoppo
Non habbia il mio destino invido, e crudo.
Questa lunga dimora
Di paura e d’affanno il cor m’ingombra:
Ch’un secolo à gli amanti
Par ogn’ora che tardi, ogni momento
Quell’aspettato ben, che fa contento.
Ma chi sà? troppo tardi
Son fors’io giunto, e quì m’havrà Corisca
Fors’anco indarno lungamente atteso.
Fui pur anco sollecito à partirmi,
Oime se questo è vero, i vo’ morire.
SCENA II
AMARILLI, MIRTILLO,
CHORO DI NINFE, CORISCA.
Am.Hor che si tarda? M. ai voce m'ha punto
E sanato in un punto,
Am.Ove sete? che fate? e tu Lisetta,
Che si bramavi il gioco de la cieca,
Che badi? e tu Corisca ove sè ita?
Mir.Hor sì, che si può dire,
Ch'Amor è cieco ed ha bendati gli occhi.
Am.Ascoltatemi voi,
Che 'l sentier mi scorgete, e quinci, e quindi
Mi tenete per man, come fien giunte
L'altre nostre compagne,
Guidatemi lontan da queste piante,
Ov'è maggior il vano, e quivi sola
Lasciandomi nel mezo,
Ite con l’altre in schiera, e tutte insieme
Fatemi cerchio, e s’incomminci il gioco.
Mir.Ma che sarà di me? fin qui non veggio
Qual mi possa venir da questo gioco
Comodità che ’l mio desire adempia;
Nè so veder Corisca,
Ch’è la mia Tramontana. il ciel m’aiti.
Am.Alfin sete venute, e che pensaste
Di non far’altro, che bendarmi gli occhi?
Pazzerelle che sete. Hor cominciamo.
Cho.Cieco Amor non ti cred’io,
Ma fai cieco il desio
Di chi ti crede.
Che s’hai pur poca vista, hai minor fede.
Cieco ò nò mi tenti in vano,
E per girti lontano
Ecco m’allargo;
Che così cieco ancor vedi più d’Argo,
Così cieco m’annodasti
E cieco m’ingannasti,
Hor che vò sciolto
Se ti credessi più sarei, ben stolto.
Fuggi, e scherza pur se sai
Già non fara’ tu mai
Che ’n te mi fidi:
Perche non sai scherzar se non ancidi.
Am.Ma voi giocate troppo largo, e troppo
Vi guardate da rischio,
Fuggir bisogna sì, ma ferir prima.
Toccatemi, accostatevi, che sempre
Non ve n’andrete sciolte.
Mir.O sommi Dei, che miro? ò dove sono?
In cielo ò in terra? O cieli,
I vostri eterni giri
Han sì dolce armonia? le vostre stelle
Han sì leggiadri aspetti?
Cho.Ma tu pur perfido cieco
Mi chiami à scherzar teco,
Ed ecco scherzo,
E col piè fuggo, e con la man ti sferzo.
E corro, e ti percoto,
E tu t’aggiri à vòto,
Ti pungo adhora adhora.
Ne tù mi prendi ancora
O cieco Amore,
Perch’ho libero il core.
Am.In buona fè Licori,
Ch’i mi pensai d’averti presa, e trovo
D’haver presa una pianta.
Sento ben che tu ridi.
Mir.Deh, foss’io quella pianta.
Hor non vegg’io Corisca
Tra quelle fratte ascosa? è dessa certo:
E non sò che m’accenna,
Che non intendo, e pur m’accenna ancora.
Cho.Sciolto cor fà piè fugace
O lusinghier fallace
Ancor m’alletti
A’ tuo’ vezzi mentiti, a’ tuo’ diletti?
E pur di nuovo i’ riedo,
E giro, e fuggo, e fiedo,
E torno, e non mi prendi,
E sempre invan m’attendi
O cieco Amore,
Perch’ho libero il core.
Am.Oh fusti svelta maladetta pianta,
Che pur anco ti prendo,
Quantunque un’altra al brancolar mi sembri,
Forse ch’i’ non credei
D’haverti franca à questa volta Elisa?
Mir.E pur’anco non cessa
D’accennarmi Corisca, e sì sdegnosa,
Che sembra minacciar, vorrebbe forse
Che mi mischiassi anch’io trà quelle Ninfe?
Am.Dunque giocar debb’io
Tutt’hoggi con le piante?
Cor.Bisogna pur che mal mio grado i’ parli,
Ed esca de la buca.
Prendila dappochissimo, che badi?
Ch’ella ti corra in braccio?
O lasciati almen prendere. sù dammi
Cotesto dardo, e valle incontra sciocco.
Mir.O come mal s’accorda
L’animo col desio,
Sì poco ardisce il cor, che tanto brama
Am.Per questa volta ancor tornisi al gioco:
Che son già stanca, e per mia fè voi sete
Troppo indiscrete à farmi correr tanto.
Cho.Mira nume trionfante
A cui dà il mondo amante
Empio tributo,
Eccol’hoggi deriso, eccol battuto.
Sì come à i rai del Sole
Cieca Nottola suole,
Ch’hà mille augei d’intorno,
Che le fan guerra, e scorno,
Ed ella picchia
Col becco invano e s’erge e si rannicchia;
Così sè tù beffato
Amore in ogni lato,
Chi ’l tergo, e chi le gote
Ti stimola, e percote,
E poco vale,
Perche stendi gli artigli, ò batti l’ale.
Gioco dolce ha pania amara,
E ben l’impara
Augel, che vi s’invesca.
Non sà fuggir Amor chi seco tre
SCENA III.
AMARILLI, CORISCA,
MIRTILLO.
Tu vuoi fuggir? t’abbrazzerò sì stretta.
Cor.Certamente, se contra
Non glie l’havessi à l’improvviso spinto
Con sì grand’urto, i’ faticava in vano
Per far ch’egli vi gisse.
Am.Tu non parli: sè dessa, ò non sè dessa?
Cor.Quì ripongo il suo dardo, e nel cespuglio
Torno per osservar ciò che ne segue.
Am.Or ti conosco sì: tu sè Corisca
Che se’ sì grande, e senza chioma; à punto
Altra che te non volev’io per darti
De le pugna à mio senno.
Hor tè questo, e quest’altro,
E quest’anco, e poi questo. ancor non parli?
Ma, se tu mi legasti, anco mi sciogli,
E fà tosto cor mio,
Ch’i’ vò poi darti il più soave bacio
Ch’havessi mai. che tardi?
Par che la man ti tremi? sè sì stanca?
Mettici i denti, se non puoi con l’ugna.
Oh quanto sè melensa.
Ma lascia far à me, che da me stessa
Mi leverò d’impaccio.
Hor vè con quanti nodi
Mi legasti tù stretta?
Se può toccar’à te l’esser la cieca.
Son pur ecco sbendata. oime che veggio?
Lasciami traditor. oime son morta,
Mir.Sta cheta anima mia. Am. Lasciami dico,
Lasciami. così dunque
Si fa forza à le Ninfe? Aglauro, Elisa
Ah perfide ove sete?
Lasciami, traditore. Mir. ecco ti lascio.
Am.Quest’è un inganno di Corisca. hor togli
Quel che n’hai guadagnato.
Mir.Dove fuggi, crudele?
Mira almen la mia morte. ecco mi passo
Con questo dardo il petto. Am. oime che fai?
Mir.Quel che forse ti pesa
Ch’altri faccia per te ninfa crudele.
Am.oime son quasi morta
Mir.E se quest’opra à la tua man si deve,
Ecco ’l ferro, ecco ’l petto.
Am.Ben’il meriteresti, e chi t’ha dato
Cotanto ardir presontuoso? M. Amore.
Am.Amor non è cagion d’atto villano.
Mir.Dunque in me credi amore
Poi che discreto fui, che se prendesti
Tu prima me, son’io tanto men degno
D’esser da te di villania notato,
Quanto con sì vezzosa
Comodità d’esser ardito, e quando
Potei le leggi usar teco d’Amore,
Fui però sì discreto,
Che quasi mi scordai d’esser amante.
Am.Non mi rimproverar quel ch’io fei cieca.
Mir.Ah che tanto più cieco
Son io di te, quanto più sono amante.
Am.Preghi, e lusinghe, e non insidie, e furti,
Usa il discreto amante.
Mir.Come selvaggia fera,
Cacciata da la fame
Esce dal bosco, e ’l peregrino assale;
Tal’io, che sol de’ tuo’ begli occhi vivo,
Poi che l’amato cibo
O tua fierezza, ò mio destìn mi nega,
Sa famelico amante
Uscendo hoggi de’ boschi, ov’io soffersi
Digiun misero, e lungo
Quello scampo tentai per mia salute,
Che mi dettò necessità d’Amore,
Non incolpar già me Ninfa crudele
Te sola pur incolpa:
Che se co’ preghi sol come dicesti
S’ama discretamente, e con lusinghe,
E ciò da me non aspettasti mai,
Tu sola tu m’hai tolto,
Con la durezza tua, con la tua fuga
L’esser discreto amante.
Am.Assai discreto amante esser potevi
Lasciando di seguir chi ti fuggiva.
Pur sai, che’n van mi segui.
Che vuoi da me? M. Ch’una sola fiata
Degni almen d’ascoltarmi, anzi ch’io moia.
Am.Buon per te che la grazia
Prima che l’habbi chiesta, hai ricevuta.
Vattene dunque. M. ah Ninfa,
Quel che t’hò detto à pena
È una minuta stilla
De l’infinito mar del pianto mio.
Deh se non per pietade,
Almen per tuo diletto ascolta cruda
Dì chi si vuol morir, gli ultimi accenti.
Am.Per levar te d’errore, e me d’impaccio,
Son contenta d’udirti,
Ma vè con queste leggi.
Dì poco, e tosto parti, e più non torna.
Mir.In troppo picciol fascio
Crudelissima Ninfa
Stringer tu mi comandi
Quell’immenso desio, che se con altro
Misurar si potesse,
Che con pensiero humano,
A pena il capiria, ciò che capire
Puote in pensiero humano.
Ch’i’ t’ami, e t’ami più de la mia vita,
Se tu nol sai crudele,
Chiedilo à queste selve,
Che te’l diranno, e tel diran con esse
Le fere loro, e i duri sterpi e i sassi
Di questi alpestri monti,
Ch’i’ hò si spesse volte
Inteneriti al suon de’ miei lamenti.
Ma che bisogna far cotanta fede
De l’amor mio, dov’è bellezza tanta?
Mira quante vaghezze ha ’l ciel sereno,
Quante la terra, e tutte
Raccogli in picciol giro, indi vedrai
L’alta necessità de l’arder mio.
E come l’acqua scende, e ’l foco sale
Per sua natura, e l’aria
Vaga, e posa la terra. e ’l ciel s’aggira,
Cosi naturalmente à te s’inchina,
Come à suo bene il mio pensiero, e corre
A le bellezze amate
Con ogni affetto suo l’anima mia,
E chi di traviarla
Dal caro oggetto suo forse pensasse,
Prima torcer potria
Da l’usato cammino e cielo, e terra
Ed acqua, ed aria, e foco,
E tutto trar da le sue sedi il mondo.
Ma perche mi comandi
Ch’io dica poco (ah cruda)
Poco dirò, s’io dirò sol ch’io moro;
E men farò morendo,
S’io miro à quel, che del mio strazio brami.
Ma farò quello, oime, che sol m’avanza,
Miseramente amando.
Ma, poich’io sarò morto, anima cruda
Havrai tu almen pietà de le mie pene?
Deh bella, e cara, e sì soave un tempo
Cagion del viver mio, mentre à Dio piacque,
Volgi una volta, volgi
Quelle stelle amorose,
Come le vidi mai, così tranquille,
E piene di pietà prima ch’i’ moia,
Che ’l morir mi sia dolce,
E dritto è ben, che se mi furo un tempo
Dolci segni di vita, hor sien di morte
Que’ begli occhi amorosi,
E quel soave sguardo,
Che mi scorse ad amare
Mi scorga anco à morire,
E chi fù l’alba mia,
Del mio cadente dì l’Espero hor sia.
Ma tu più che mai dura
Favilla di pietà non senti ancora,
Anzi t’innaspri più, quanto più prego.
Cosi senza parlar dunque m’ascolti?
A chi parlo infelice à un muto marmo?
S’altro non mi vuoi dir, dimmi almen muori,
E morir mi vedrai.
Questa è ben’empio Amor miseria estrema,
Che sì rigida Ninfa
E del mio fin si vaga,
Perche grazia di lei
Non sia la morte mia, morte mi neghi,
Nè mi risponda, e l’armi
D’una sola sdegnosa, e cruda voce
Sdegni di proferire
Al mio morire.
Am.Se dianzi t’havess’io
Promesso di risponderti, si come
D’ascoltar ti promisi,
Qualche giusta cagion di lamentarti
Del mio silenzio havresti.
Tu mi chiami crudele, immaginando,
Che da la ferita deimproverata
Agevole ti sia forse il ritrarmi
Al suo contrario affetto.
Nè sai tu, che l’orecchie
Cosi non mi lusinga il suon di quelle
Da me si poco meritate, e molto
Meno gradite lodi,
Che mi dai di beltà, come mi giova
Il sentirmi chiamar da te crudele.
L’esser cruda ad ogn’altro
(Già nol nego) è peccato;
A l’amante, è virtute
Ed è vera honestate
Quella che ’n bella donna
Chiami tù feritate.
Ma sia, come tu vuoi peccato, e biasmo
L’esser cruda à l’amante, hor quando mai
Ti fù cruda Amarilli?
Forse alhor, che giustizia
Stato sarebbe il non usar pietate,
E pur teco l’usai
Tanto, ch’à dura morte i’ ti sottrassi?
I’ dico alhor che tù frà nobil choro
Di vergini pudiche
Libidinoso amante
Sotto habito mentito di donzella
Ti mescolasti, e i puri scherzi altrui
Contaminando ardisti
Mischiar trà finti, ed innocenti baci
Baci impuri, e lascivi,
Che la memoria ancor se ne vergogna?
Ma sallo il ciel, ch’alhor non ti conobbi,
E che poi conosciuto
Sdegno n’hebbi, e serbai
Da le lascivie tue l’animo intatto?
Nè lasciai che corresse
L’amoroso veneno al cor pudico,
Ch’al fin non violasti
Se non la sommità di queste labbra.
Bocca baciata à forza,
Se ’l bacio sputa, ogni vergogna ammorza.
Ma dimmi tù qual frutto havresti alhora
Dal temerario tuo furto raccolto,
Se t’havess’io scoperto à quelle Ninfe?
Non fù sull’Ebro mai
Si fieramente lacerato, e morto
Da le donne di Tracia, il Tracio Orfeo,
Come stato da loro
Saresti tu, se non ti dava aita
La pietà di colei, che cruda hor chiami.
Ma non è cruda già quanto bisogna;
Che se cotanto ardisci,
Quanto ti son crudele,
Che faresti tù poi
Se pietosa ti fussi?
Quella sana pietà, che dar potei,
Quella t’hò dato. in altro modo è vano,
Che tu la chiedi, ò speri.
Che pietate amorosa
Mal si dà per colei,
Che per se non la trova,
Poi che l’ha data altrui.
Ama l’honestà mia, s’amante sei,
Ama la mia salute, ama la vita.
Troppo lunge sè tù da quel che brami.
Il proibisce il ciel, la terra il guarda,
E ’l vendica la morte.
Ma più d’ogn’altro, e con più saldo scudo
L’honestate il difende.
Che sdegna alma ben nata
Più fido guardatore
Haver del proprio honore. hor datti pace
Dunque, Mirtillo, e guerra
Non far’à me, fuggi lontano, e vivi,
Se saggio sè. ch’abbandonar la vita
Per soverchio dolore,
Non è atto, ò pensiero
Di magnanimo core.
Ed è vera virtute
Il sapersi astener da quel che piace,
Se quel che piace, offende.
Mir.Non è in man di chi perde
L’anima, il non morire.
Am.Chi s’arma di virtù, vince ogni affetto.
Mir.Virtù non vince, ove trionfa Amore.
Am.Chi non può quel che vuol, quel che può voglia.
Mir.Necessità d’amor legge non have.
Am.La lontananza ogni gran piaga salda.
Mir.Quel che nel cor si porta, invan si fugge.
Am.Scaccerà vecchio amor novo desio.
Mir.Sì, s’un’altra alma e un altro core havessi.
Am.Consuma il tempo finalmente Amore.
Mir.Ma prima il crudo Amor l’alma consuma.
Am.Cosi dunque il tuo mal non ha rimedio?
Mir.Non ha rimedio alcun, se non la morte.
Am.La morte? Hor tu m’ascolta e fa’ che legge
Ti sian queste parole. ancor ch’i’ sappia
Che ’l morir degli amanti è più tosto uso
D’innamorata lingua, che desio
D’animo in ciò deliberato è fermo;
Pur se talento mai
E sì strano, e sì folle à te venisse;
Sappi, che la tua morte
Non men de la mia fama
Che de la vita tua morte sarebbe.
Vivi dunque se m’ami;
Vattene, e da qui innanzi havrò per chiaro
Segno che tu sij saggio,
Se con ogni tuo ingegno
Ti guarderai di capitarmi innanzi.
Mir.Oh sentenza crudele.
Come viver poss’io
Senza la vita, ò come
Dar fin senza la morte al mio tormento?
Am.Horsù Mirtillo è tempo
Che tu tèn vada, e troppo lungamente
Hai dimorato ancora.
Partiti; e ti consola
Ch’infinita è la schiera
Degli infelici amanti.
Vive ben’altri in pianti
Sì come tù Mirtillo. ogni ferita
Ha seco il suo dolore,
Nè sè tu solo à lagrimar d’Amore.
Mir.Misero infrà gli amanti
Già solo non son’io; ma son ben solo
Miserabile essempio
E de’ vivi, e de’ morti, non potendo
Nè viver, nè morire.
Am.Hor su partiti homai.
Mir.Ah dolente partita,
Ah fin de la mia vita.
Da te parto, e non moro? pur i’ provo
La pena de la morte,
E sento nel partire
Un vivace morire,
Che dà vita al dolore,
Per far che moia immortalmente il core.
SCENA IIII.
AMARILLI.
Se vedessi qui dentro
Come stà il cor di questa,
Che chiami crudelissima Amarilli,
Sò ben; che tu di lei
Quella pietà, che da lei chiedi, havresti.
Oh anime in amor troppo infelici.
Che giova à te cor mio l’esser amato?
Che giova à me l’haver si caro amante?
Perche crudo destino,
Ne disunisci tu, s’amor ne strigne?
E tu perche ne strigni,
Se ne parte il destin, perfido Amore?
Oh fortunate voi fere selvagge,
A cui l’alma natura
Non diè legge in amar se non d’amore.
Legge humana inhumana,
Che dai per pena de l’amar la morte.
Se ’l peccar è si dolce,
E ’l non peccar si necessario, ò troppo
Imperfetta natura,
Che repugni à la legge;
O troppo dura legge,
Che la natura offendi.
Ma che? poco ama altrui, chi ’l morir teme.
Piacesse pur’al ciel Mirtillo mio,
Che sol pena al peccar fusse la morte.
Santissima honestà che sola sei
D’alma bennata inviolabil nume;
Quest’amorosa voglia,
Che svenata hò col ferro
Del tuo santo rigor, qual’innocente
Vittima à te consacro.
E tu, Mirtillo (anima mia) perdona
A chi t’è cruda sol, dove pietosa
Esser non può: perdona à questa solo
Nei detti, e nel sembiante
Rigida tua nemica, ma nel core
Pietosissima amante
E, se pur hai desio di vendicarti;
Deh qual vendetta haver puoi tu maggiore
Del tuo proprio dolore?
Che se tu sè ’l cor mio,
Come sè pur mal grado
Del cielo, e della terra,
Qualhor piagni, e sospiri
Quelle lagrime tue sono il mio sangue,
Que’ sospiri il mio spirto, e quelle pene
E quel dolor, che senti,
Son miei, non tuoi tormenti.
SCENA V.
CORISCA, AMARILLI.
Am.Meschina me son discoperta. Co. il tutto
Ho troppo ben’inteso. hor non m’apposi?
Non ti diss’io ch’amavi? hor ne son certa.
E da me tu ti guardi? à me l’ascondi?
A me che t’amo sì? non t’arrossire,
Non t’arrossir, che questo è mal comune.
Am.Io son vinta, Corisca, e te’l confesso.
Cor.Hor che negar no’l puoi, tu me’l confessi.
Am.E ben m’avveggio ahi lassa
Che troppo angusto vaso è debil core
A traboccante Amore
Cor.O cruda al tuo Mirtillo,
E più cruda à te stessa,
Am.Non è fierezza quella
Che nasce da pietate.
Cor.Aconito, e Cicuta
Nascer da salutifera radice
Non si vide già mai.
Che differenza fai
Da crudeltà ch’offende
A pietà, che non giova? Am. oime, Corisca.
Cor.Il sospirar, sorella
E debolezza, e vanità di core,
E proprio è de le femmine dapocho.
Am.Non sarei più crudele
Se ’n lui nudrissi amor senza speranza?
Il fuggirlo è pur segno,
Ch’i’ ho compassione
Del suo male, e del mio
Cor.Perche senza speranza?
Am.Non sai tù che promessa à Silvio sono?
Non sai tu che la legge
Condanna à morte ogni donzella ch’haggia,
Violata la fede?
Cor.O semplicetta. ed altro non t’arresta?
Qual è tra noi più antica
La legge di Diana, ò pur d’Amore?
Questa ne’ nostri petti
Nasce Amarilli, e con l’età s’avanza.
Ne s’apprende, ò s’insegna,
Ma negli humani cuori
Senza maestro la natura stessa
Di propria man l’imprime.
E dov’ella comanda
Ubbidisce anco il ciel non che la terra.
Am.E pur se questa legge
Mi togliesse la vita
Quella d’Amor non mi darebbe aita.
Cor.Tu sè troppo guardinga. Se cotali
Fusser tutte le donne,
E cotali rispetti havesser tutte
Buon tempo à dio. soggette à questa pena
Stimo le poche prattiche Amarilli.
Per quelle, che son sagge
Non è fatta la legge.
Se tutte le colpevoli uccidesse,
Credimi, senza donne
Resterebbe il paese. e se le sciocche
V’inciampano, è ben dritto
Che ’l rubar sia vietato
A chi leggiadramente
Non sà celare il furto,
Ch’altro al fin l’honestate
Non è che un’arte di parere honesta.
Creda ognun à suo modo, io così credo.
Am.Queste son vanità Corisca mia.
Gran senno è lasciar tosto
Quel che non può tenersi:
Cor.E chi te’l vieta sciocca?
Troppo breve è la vita
Da trapassarla con un solo amore,
Troppo gli huomini avari
(O sia difetto, ò pur fierezza loro)
Ci son de le lor grazie.
E sai? tanto siam care,
Tanto gradite altrui, quanto siam fresche.
Levaci la beltà, la giovinezza,
Come alberghi di pecchie
Restiamo senza favi, e senza mele
Negletti aridi tronchi.
Lascia gracchiar’à gli huomini Amarilli.
Però ch’essi non sanno,
Nè sentono i disagi de le donne.
E troppo differente
Da la condizion de l’huomo è quella
De la misera donna.
Quanto più invecchia l’huomo
Diventa più perfetto,
E se perde bellezza acquista senno.
Ma in noi con la beltate
E con la gioventù, da cui sì spesso
Il viril senno, e la possanza è vinta,
Manca ogni nostro ben. nè si può dire
Nè pensar la più sozza
Cosa, nè la più vil di donna vecchia.
Hor prima che tu giunga
A questa nostra universal miseria,
Conosci i pregi tuoi.
Se t’è la vita destra
Non l’usar à sinistra.
Che varrebbe al Leone
La sua ferocità, se non l’usasse?
Che gioverebbe à l’huomo
L’ingegno suo, se non l’usasse à tempo?
Cosi noi la bellezza,
Ch’è virtù nostra così propria, come
La forza del Leone,
E l’ingegno de l’huomo,
Usiam mentre l’habbiamo,
Godiam sorella mia,
Godiam, che ’l tempo vola e posson gl’anni
Ben ristorar i danni
De la passata lor fredda vecchiezza;
Ma, s’in noi giovinezza
Una volta si perde,
Mai più non si rinverde.
Ed à canuto, e livido sembiante
Può ben tornar Amor, ma non amante.
Am.Tu, come credo, in questa guisa parli
Per tentarmi Corisca,
Più tosto che per dir quel che ne senti.
E però sij pur certa,
Che se tu non mi mostri agevol modo.
E sopra tutto honesto
Di fuggir queste nozze,
Ho fatto irrevocabile pensiero
Di più tosto morir, che macchiar mai
L’honestà mia Corisca.
Cor.Non ho veduto mai la più ostinata
Femmina di costei.
Poi che questo conchiudi, eccomi pronta.
Dimmi un poco, Amarilli
Credi tu forse, che ’l tuo Silvio sia
Tanto di fede amico
Quanto tu d’honestate?
Am.Tu mi farai ben ridere: di fede
Amico Silvio? e come,
S’è nemico d’Amore?
Cor.Silvio d’amor nemico? O semplicetta
Tu no’l conosci, e’ sà far’e tacere
Ti sò dir’io. quest’anime sì schife eh?
Non ti fidar di loro.
Non è furto d’Amor tanto sicuro
Nè di tanta finezza,
Quanto quel che s’asconde
Sotto ’l vel d’honestate.
Ama dunque il tuo Silvio,
Ma non già te sorella.
Am.E quale è questa Dea
(Che certo esser non può donna mortale)
Che l’hà d’amore acceso?
Cor.Nè Dea, nè anco Ninfa. A. ò che mi narri
Cor.Conosci tù la mia Lisetta? A. quale
Lisetta tua, la pecoraia? C. quella.
Am.Di tù vero Corisca? Cor. questa è dessa,
Questa è l’anima sua.
Am.Hor vedi se lo schifo,
S’è d’un leggiadro amor ben provveduto
Cor.E sai come ne spasima, e ne more?
Ogni giorno s’infinge
D’ire à la caccia.
Am.Ogni mattina à punto
Sento su l’alba il maladetto corno.
Cor.E su’l fitto meriggio,
Mentre che gli altri sono
Più fervidi ne l’opra, ed egli alhotta
Da’ compagni s’invola e vien soletto
Per via non trita al mio giardino, ov’ella
Tra le fessure d’una siepe ombrosa,
Che ’l giardin chiude, i suoi sospiri ardenti,
I suoi prieghi amorosi ascolta, e poi,
A me gli narra, e ride. hor odi quello
Che pensato ho di fare, anzi ho già fatto,
Per tuo servigio. io credo ben che sappi
Che la medesma legge, che comanda
A la donna il servar fede al suo sposo
Ha comandato ancor, che ritrovando
Ella il suo sposo in atto di perfidia
Possa, malgrado de’ Parenti suoi,
Negar d’essergli sposa, e d’altro amante
Honestamente provedersi. Am. questo
Sò molto bene, & anco alcuno esempio
Veduto n’hò, Leucippe, à Ligurino,
Egle à Licota, ed à Turingo Armilla
Trovati senza fè la data fede
Ricoveraron tutte. C. hor tu m’ascolta.
Lisetta mia così da me avvertita
Ha col fanciullo amante, e poco cauto
D’esser’in quello speco hoggi con lei
Ordine dato. ond’egli è ’l più contento
Garzon, che viva, e sol n’attende l’ora.
Quivi vò che tu ’l colga. i’ sarò teco
Per testimon del tutto, che senz’esso
Vana sarebbe l’opra. così sciolta
Sarai senza periglio, e con tuo honore
E con honor del padre tuo, da questo
Sì noioso legame. Am. ò quanto bene
Hai pensato Corisca, hor che ci resta?
Cor.Quel c’hora intenderai. tu bene osserva
Le mie parole. à mezzo de lo speco
Ch’è di forma assai lunga, e poco larga,
Sù la man dritta, è nel cavato sasso
Una, non sò ben dir, se fatta sia
O per natura ò per industria humana
Picciola cavernetta, d’ogn’intorno
Tutta vestita d’edera tenace;
A cui da lume un picciolo pertugio,
Che d’alto s’apre; assai grato ricetto
Ed a’ furti d’amor commodo molto.
Hor tù gli amanti prevenendo, quivi
Fa che t’ascondi, e ’l venir loro attendi,
Invierò la mia Lisetta intanto.
Poi le vestigia di lontan seguendo
Di Silvio, come pria sceso ne l’antro
Vedrollo, entrando anch’io subitamente,
Il prenderò, perche non fugga, e ’nsieme
Farò (che così seco ho divisato)
Con Lisetta grandissimi rumori.
A quali tosto accorrerai tù ancora,
E secondo ’l costume esequirai
Contra Silvio la legge, e poi n’andremo
Ambedue con Lisetta al sacerdote:
E così il marital nodo sciorrai.
Am.Dinanzi al padre suo? Co. Che ’mporta questo?
Pensi tu che Montano il suo privato
Comodo debbia al publico anteporre?
Ed al sacro il profano? A. hor dunque gli occhi
Chiudendo ò fedelissima mia scorta
A te regger mi lascio.
Cor.Ma non tardar. entra, ben mio. A. Vò prima
Girmene al tempio à venerar gli Dei,
Che fortunato fin non può sortire,
Se non la scorge il ciel, mortale impresa.
Cor.Ogni loco Amarilli è degno tempio
Di ben devoto core.
Perderai troppo tempo.
Am.Non si può perder tempo
Nel far preghi à coloro
Che comandano al tempo.
Cor.Vanne dunque, e vien tosto.
Hor s’io non erro à buon camin son vòlta.
Mi turba sol questa tardanza. pure
Potrebbe anco giovarmi. hor mi bisogna
Tesser novello inganno à Coridone
Amante mio creder farò, che seco
Trovar mi voglia, e nel medesim’antro
Dopo Amarilli il manderò, là dove
Farò venir per più segreta strada
Di Diana i ministri à prender lei.
La qual come colpevole à morire
Sarà senz’alcun dubbio condennata.
Spenta la mia rivale alcun contrasto
Non avrò più per ispugnar Mirtillo,
Che per lei m’è crudele. Eccolo a punto.
Oh come à tempo: i vo’ tentarlo alquanto
Mentre Amarilli mi dà tempo. Amore,
Vien ne la lingua mia tutto, e nel volto.
SCENA VI
MIRTILLO, CORISCA.
Spirti d’Averno, udite
Nova sorte di pena, e di tormento.
Mirate crudo affetto
In sembiante pietoso.
La mia donna crudel più de l’Inferno,
Perch’una sola morte
Non può far sazia la sua ingorda voglia
E la mia vita è quasi
Una perpetua morte,
Mi comanda, ch’i’ viva,
Perche la vita mia
Di mille morti il dì ricetto sia.
Cor.M’infingerò di non l’haver veduto.
Sento una voce querula, e dolente
Sonar d’intorno, e non sò dir di cui.
Oh se’ tu il mio Mirtillo?
Mir.Cosi fuss’io nud’ombra e poca polve.
E ben, come ti senti
Da poi che lungamente ragionasti
Con l’amata tua Donna?
Mir.Come assetato infermo,
Che bramò lungamente
Il vietato licor, se mai vi giunge,
Meschin, beve la morte,
E spegne anzi la vita, che la sete:
Tal’io gran tempo infermo,
E d’amorosa sete arso, e consunto
In duo bramati fonti,
Che stillan ghiaccio da l’alpestre vena
D’un’indurato core,
Hò bevuto il veleno,
E spento il viver mio,
Più tosto, che ’l desio.
Cor.Tanto è possente amore
Quanto dai nostri cor forza riceve
Caro Mirtillo, e come l’orsa suole
Con la lingua dar forma
A l’informe suo parto,
Che per se fora inutilmente nato:
Così l’amante al semplice desire
Che nel suo nascimento
Era infermo, ed informe,
Dando forma, e vigore
Ne fà nascere amore.
Il qual prima nascendo
E delicato, e tenero bambino,
E mentre è tale in noi, sempre è soave.
Ma se troppo s’avanza,
Divien’aspro, e crudele:
Ch’al fin Mirtillo un’invecchiato affetto
Si fà pena, e difetto.
Che s’in un sol pensiero
L’anima immaginando si condensa,
E troppo in lui s’affisa,
L’amor, ch’esser dovrebbe
Pura gioia, e dolcezza
Si fà malinconia,
E, quel ch’è peggio, al fin morte ò pazzia.
Però saggio è quel core
Che spesso cangia amore.
Mir.Prima che mai cangiar voglia, o pensiero,
Cangerò vita in morte:
Però, che la bellissima Amarilli
Così com’è crudel, com’è spietata
E sol la vita mia,
Nè può già sostener corporea salma
Più d’un cor, più d’un’alma.
Cor.O misero pastore
Come sai mal usare
Per lo suo dritto amore.
Amar chi m’odia, e seguir chi mi fugge?
I mi morrei ben prima.
Mir.Come l’oro nel foco
Cosi la fede nel dolor s’affina,
Corisca mia, nè può senza fierezza
Dimostrar sua possanza
Amorosa invincibile costanza.
Questo solo mi resta
Fra tanti affanni miei dolce conforto.
Arda pur sempre ò mora,
O languisca il cor mio,
A lui fien lievi pene
Per sì bella cagion pianti, e sospiri,
Strazio, pene, tormenti, esiglio e morte,
Pur che prima la vita,
Che questa fe si scioglia:
Ch’assai peggio di morte è il cangiar voglia.
Cor.O bella impresa, ò valoroso amante,
Come ostinata fera,
Come insensato scoglio
Rigido, e pertinace.
Non è la maggior peste,
Nè ’l più fero, e mortifero veleno
A un’anima amorosa de la fede.
Infelice quel core
Che si lascia ingannar da questa vana
Fantasima d’errore, e de’ più cari
Amorosi diletti
Turbatrice importuna.
Dimmi, povero amante:
Con cotesta tua folle
Virtù de la costanza?
Che cosa ami in colei, che ti disprezza?
Ami tu la bellezza
Che non è tua la gioia che non hai?
La pietà che sospiri?
La mercè che non speri?
Altro non ami alfin se dritto miri,
Che ’l tuo mal, che ’l tuo duol, che la tua morte.
E sè sì forsennato,
Ch’amar vuoi sempre, e non esser amato?
Deh risorgi Mirtillo:
Riconosci te stesso.
Forse ti mancheran gli amori? forse
Non troverai chi ti gradisca, e pregi?
Mir.M’è più dolce il penar per Amarilli,
Che il gioir di mill’altre:
E se gioir di lei
Mi vieta il mio destino, hoggi si moia
Per me pure ogni gioia.
Viver’io fortunato
Per altra donna mai, per altro amore?
Nè volendo il potrei
Nè potendo il vorrei.
E s’esser può ch’in alcun tempo mai
Ciò voglia il mio volere
O possa il mio potere,
Prego il cielo, ed amor, che tolto pria
Ogni voler, ogni poter mi sia.
Cor.Oh core ammaliato.
Per una cruda dunque
Tanto sprezzi te stesso?
Mir.Chi non spera pietà, non teme affanno,
Corisca mia. Cor. Non t’ingannar Mirtillo,
Che forse dadovero
Non credi ancor ch’ella non t’ami, e ch’ella
Dadovero ti sprezzi.
Se tu sapessi quello
Che sovente di te meco ragiona.
Mir.Tutti questi pur sono
Amorosi trofei da la mia fede.
Trionferò con questa
Del cielo, e de la terra,
De la sua cruda voglia,
De le mie pene, e de la dura sorte,
Di fortuna, del mondo, e de la morte.
Cor.Che farebbe costui quando sapesse
D’esser da lei si grandemente amato?
O qual compassione
T’ho io Mirtillo di cotesta tua
Misera frenesia.
Dimmi: amasti tu mai
Altra donna che questa?
Mir.Primo amor del cor mio
Fù la bella Amarilli,
E la bella Amarilli
Sarà l’ultimo ancora.
Cor.Dunque, per quel ch’i’ veggia
Non provasti tu mai
Se non crudele Amor, se non sdegnoso.
Deh, s’una volta sola
Il provassi soave
E cortese, e gentile.
Provalo un poco, provalo, e vedrai,
Com’è dolce il gioire
Per gratissima donna che t’adori,
Quanto fai tù la tua
Crudele, ed amarissima Amarilli.
Com’è soave cosa
Tanto goder quanto ami,
Tanto haver, quanto brami.
Sentir che la tua donna
Ai tuoi caldi sospiri
Caldamente sospiri,
E dica poi, ben mio,
Quanto son, quanto miri,
Tutto è tuo, s’io son bella
A te solo son bella, à te s’adorna
Questo viso, quest’oro, & questo seno;
In questo petto mio
Alberghi tu, caro mio cor, non io,
Ma questo è un picciol rivo
Rispetto à l’ampio mar de le dolcezze,
Che fa gustar’Amore.
Ma non le sà ben dir, chi non le prova.
Mir.Oh mille volte fortunato, e mille
Chi nasce in tale stella
Cor.Ascoltami Mirtillo,
(quasi m’uscì di bocca anima mia)
Una Ninfa gentile
Frà quante ò spieghi al vento, o ’n treccia annodi
Chioma d’oro leggiadra,
Degna de l’amor tuo
Come sè tu del suo.
Honor di queste selve;
Amor di tutti i cori:
Da i più degni pastori
In van sollecitata, in van seguita;
Te solo adora, ed ama
Più de la vita sua, più del suo core.
Se saggio sè Mirtillo
Tu non la sprezzerai.
Come l’ombra del corpo
Così questa fia sempre
De l’orme tue seguace;
Al tuo detto, al tuo cenno
Ubbidiente ancella: à tutte l’ore
De la notte, e del dì teco l’havrai.
Deh non lasciar Mirtillo
Questa rara ventura.
Non è piacere al mondo
Più soave di quel, che non ti costa
Nè sospiri, nè pianto,
Nè periglio, nè tempo.
Un commodo diletto,
Una dolcezza à le tue voglie pronta,
A l’appetito tuo sempre, al tuo gusto
Apparecchiata, oime, non è tesoro
Che la possa pagar; Mirtillo lascia
Lascia di piè fugace
La disperata traccia,
E chi ti cerca, abbraccia.
Nè di speranze vane
Ti pascerò Mirtillo.
A te stà comandare.
Non è molto lontan chi ti desia,
Se vuoi hora, hora sia.
Mir.Non è il mio cor soggetto
D’amoroso diletto.
Cor.Proval sola una volta,
E poi torna al tuo solito tormento.
Perche sappi almen dire
Com’è fatto gioire.
Mir.Corrotto gusto ogni dolcezza abhorre.
Cor.Fallo almen per dar vita
A chi del Sol de’ tuo’ begli occhi vive.
Crudel. tu sai pur anco
Che cosa è povertate,
E l’andar mendicando, ah se tu brami
Per te stesso pietate,
Non la negare altrui.
Mir.Che pietà posso dare
Non la potendo havere?
Insomma io son fermato
Di serbar fin ch’io viva
Fede à colei, ch’adoro, ò cruda ò pia
Ch’ella sia stata, e sia.
Cor.Oh veramente cieco, ed infelice,
Oh stupido Mirtillo.
A chi serbi tu fede?
Non volea già contaminarti, e pena
Giugner à la tua pena.
Ma troppo sè tradito,
Ed io, che t’amo sofferir nol posso.
Credi tu ch’Amarilli
Ti sia cruda per zelo
O di religione, ò d’honestate?
Folle sè ben se ’l credi.
Occupata è la stanza,
Misero, ed à te tocca
Pianger quand’altri ride.
Tu non parli? sei muto?
Mir.Stà la mia vita in forse
Tra ’l viver e ’l morire,
Mentre và in dubbio il core
Se ciò creda, ò non creda.
Però son io così stupido, e muto.
Cor.Dunque tu non me’l credi?
Mir.S’io tel credessi, certo
Mi vedresti morire, e s’egli è vero,
I’ vò morire hor’hora.
Cor.Vivi meschino, vivi,
Sèrbati à la vendetta.
Mir.Ma non te’l credo, e sò che non è vero.
Cor.Ancor non credi, e pur cercando vai,
Ch’io dica quel, che d’ascoltar ti duole.
Vedi tu là quell’antro?
Quello è fido custode
De la fè, de l’honor de la tua Donna.
Quivi di te si ride
Quivi con le tue pene
Si condiscon le gioie
Del fortunato tuo lieto rivale.
Quivi, per dirti in somma,
Molto sovente suole
La tua fida Amarilli
A rozzo pastorel recarsi in braccio,
Hor và piagni, e sospira, hor serva fede:
Tu n’hai cotal mercede.
Mir.Oime Corisca dunque
Il ver mi narri, e pur convien ch’i’l creda?
Cor.Quanto più vai cercando,
Tanto peggio udirai,
E peggio troverai.
Mir.E l’hai veduto tu Corisca? ahi lasso.
Cor.Non pur l’hò vedut’io,
Ma tu ancor il potrai
Per te stesso vedere; ed hoggi à punto.
C’hoggi l’ordine è datto. e questa è l’ora.
Talche se tu t’ascondi
Tra qualch’una di queste
Fratte vicine, la vedrai tu stesso
Scender ne l’antro, e poco dopo il vago.
Mir.Sì tosto ho da morir? Cor. Vedila apunto,
Che per la via del tempio
Vien pian piano scendendo.
La vedi tu Mirtillo?
E non ti par che mova
Furtivo il piè, com’ha furtivo il core?
Hor quì l’attendi, e ne vedrai l’effetto.
Ci rivedrem da poi.
Mir.Già ch’io son si vicino
A chiarirmi del vero,
Sospenderò con la credenza mia
E la vita, e la morte.
SCENA VII
AMARILLI.
Senza scorta divina. assai confusa
E con incerto cor quinci partimmi
Per gire al Tempio (onde mercè del cielo)
E ben disposta, e consolata, i’ torno,
Ch’à le preghiere mie pure, e devote
M’è paruto sentir moversi dentro
Un’animoso spirito celeste,
E rincorarmi, e quasi dir, che temi?
Và sicura, Amarilli. e così voglio
Sicuramente andar, che ’l ciel mi guida
Bella madre d’Amore
Favorisci colei,
Che ’l tuo soccorso attende.
Donna del terzo giro,
Se mai provasti di tuo figlio il foco,
Habbi del mio pietate.
Scorgi cortese Dea,
Con piè veloce, e scaltro
Il pastorello, à cui la fede ho data.
E tu cara spelonca,
Sì chiusamente nel tuo sen ricevi
Questa serva d’Amor, ch’in te fornire
Possa ogni suo desire.
Ma che tardi Amarilli?
Quì non è chi mi vegga, ò chi m’ascolti.
Entra sicuramente
O Mirtillo Mirtillo
Se di trovarmi qui sognar potresti.
SCENA VIII
MIRTILLO.
Così nato senz’occhi
Foss’io più tosto, ò più tosto non nato.
A che fiero destin serbarmi in vita
Per condurmi à vedere
Spettacolo sì crudo, e sì dolente?
O più d’ogni infernale
Anima tormentata
Tormentato Mirtillo,
Non stare in dubbio nò, la tua credenza
Non sospender già piu, tù l’hai veduta
Con gli occhi propri, e con gli orecchi udita.
La tua Donna è d’altrui,
Non per legge del mondo,
Che la toglie ad ogni altro,
Ma per legge d’Amore,
Che la toglie à te solo.
O crudele Amarilli
Dunque non ti bastava
Di dar’à questo misero la morte,
S’anco non lo schernivi?
Con quella insidiosa, ed incostante
Bocca, che le dolcezze di Mirtillo
Gradì pur una volta,
Hor l’odiato nome,
Che forse ti sovenne
Per tuo rimordimento
Non hai voluto à parte
De le dolcezze tue, de le tue gioie,
E ’l vomitasti fuore
Ninfa crudel, per non l’haver nel core.
Ma che tardi Mirtillo?
Colei, che ti dà vita
A te l’ha tolta, e l’ha donata altrui;
E tu vivi, meschino? e tu non mori?
Mori Mirtillo, mori
Al tormento, al dolore,
Com’al tuo ben, com’al gioir se’ morto.
Mori morto Mirtillo.
Hai finita la vita
Finisci anco il tormento.
Esci misero amante
Di questa dura, & angosciosa morte,
Che per maggior tuo mal ti tiene in vita.
Ma che? debb’io morir senza vendetta?
Farò prima morir chi mi dà morte.
Tanto in me si sospenda
Il desio di morire,
Che giustamente habbia la vita tolta
A chi m’ha tolto ingiustamente il core.
Ceda il dolore à la vendetta, ceda
La pietate à lo sdegno,
E la morte à la vita
Fin ch’habbia con la vita
Vendicata la morte.
Non beva questo ferro
Del suo signor l’invendicato sangue,
E questa man non sia
Ministra di pietate
Che non sia prima d’ira.
Ben ti farò sentire
Chiunque sè, che del mio ben gioisci
Nel precipizio mio la tua ruina
M’appiatterò qui dentro
Nel medesmo cespuglio, e come prima
A la caverna avvicinar vedrollo,
Improvviso assalendolo, nel fianco
Il ferirò con questo acuto dardo.
Ma non sarà viltà ferir altrui
Nascosamente? sì. sfidalo dunque
A singolar contesa, ove virtute
Del tuo giusto dolor possa far fede.
Nò, che potrebbon di leggieri in questo
Loco à tutti si noto, e si frequente
Accorrere i pastori, ed impedirci.
E ricercar’ancor, che peggio fora,
La cagion che mi move. e s’io la nego,
Malvagio, e s’io la fingo, senza fede
Ne sarò riputato, e s’io la scopro,
D’eterna infamia rimarrà macchiato
De la mia donna il nome; in cui bench’io
Non ami quel, che veggio, almen quell’amo
Che sempre volli, e vorrò fin ch’i’ viva
E che sperai, e che veder devrei.
Moia dunque l’adultero malvagio,
Ch’a lei l’honor, à me la vita invola.
Ma, se l’uccido qui non sarà il sangue
Chiaro indizio del fatto? e che tem’io
La pena del morir, se morir bramo?
Ma al’homicidio alfin fatto palese
Scoprirà la cagione, onde cadrai
Nel medesmo periglio de l’infamia,
Che può venirne à questa ingrata. hor, entra
Ne la spelonca, e quì l’assali. è buono,
Questo mi piace. entrerò cheto cheto
Sì ch’ella non mi senta, e credo bene
Che ne la più segreta, e chiusa parte,
Come accennò di far nè detti suoi,
Si sarà ricovrata, ond’io non voglio
Penetrar molto à dentro. una fessura
Fatta nel sasso, e di frondosi rami
Tutta coperta à man sinistra apunto
Si trova à piè de l’alta scesa, quivi
Più che si può tacitamente entrando
Il tempo attenderò di dar effetto
A quel che bramo. il mio nemico morto
A la nemica mia porterò innanzi:
Così d’ambeduo lor farò vendetta,
Indi trapasserò col ferro stesso
A me medesmo il petto, e tre saranno
Gli estinti, duo dal ferro, una dal duolo.
Vedrà questa crudele
De l’amante gradito
Non men che del tradito
Tragedia miserabile, e funesta.
E sarà questo speco
Ch’esser dovea de le sue gioie albergo,
De l’uno, e l’altro amante,
E quel che più desio
De le vergogne sue tomba, e sepolcro.
Ma voi orme già tanto in van seguite
Cosi fido sentiero
Voi mi segnate? à così caro albergo
Voi mi scorgete? e pur v’inchino, e seguo.
O Corisca, Corisca
Hor sì m’hai detto il vero, hor sì ti credo.
SCENA IX
SATIRO.
Di lei ne la spelonca d’Ericina;
Stupido è ben chi non intende il resto.
Ma certo e’ ti bisogna haver gran pegno
De la sua fede in man, se tu le credi,
E stretta lei con più tenaci nodi,
Che non fec’io quando nel crin la presi.
Ma nodi più possenti in lei de i doni
Certo havuto non hai. Questa malvagia
Nemica d’honestate hoggi à costui
S’è venduta al suo solito, e qui dentro
Si paga il prezzo del mercato in fame.
Ma forse costà giù ti mandò il cielo
Per tuo castigo, e per vendetta mia.
Da le parole di costui si scorge
Ch’egli non crede in vano, e le vestigia
Che vedute ha di lei, son chiari indizi
Ch’ella è già ne lo speco. hor fa un bel colpo
Chiudi il foro de l’antro con quel grave,
E soprastante sasso, acciò che quinci
Sia lor negata di fuggir l’uscita.
Poi vanne al sacerdote, e suoi ministri
Per la strada del colle à pochi nota
Conduci, e falla prendere, e secondo
La legge, e i suoi misfatti alfin morire.
E sò ben io, ch’à Coridon già diede
La fede maritale, il qual si tace
Perche teme di me, che minacciato
L’ho molte volte. hoggi farò ben’io,
Ch’egli di due vendicherà l’oltraggio.
Non vo perder più tempo. un sodo tronco
Schianterò da quest’elce. apunto questo
Fia buono, ond’io potrò più prontamente
Smover’il sasso. ò com’è grave. ò come
E ben affisso. qui bisogna il tronco
Spinger di forza, e penetrar sì dentro,
Che questa mole alquanto si divella.
Il consiglio fù buono. anco si faccia
Il medesmo di quà. Come s’appoggia
Tenacemente. è più dura l’impresa
Di quel che mi pensava, ancor non posso
Svellerlo, nè per urto anco piegarlo.
Forse il mondo è qui dentro, o pur mi manca
Il solito vigor. stelle perverse,
Che machinate? il moverò mal grado.
Maladetta Corisca e, quasi dissi
Quante femmine hà il mondo. ò Pan Liceo,
O Pan che tutto puoi, che tutto sei,
Moviti à prieghi miei,
Fosti amante ancor tu di cor protervo.
Vendica ne la perfida Corisca
I tuoi scherniti amori.
Cosi in virtù del tuo gran nume il movo.
Così in virtù del tuo gran nume e’ cade.
La mala volpe è ne la tana chiusa.
Hor le si darà il foco, ov’io vorrei
Veder quante son femmine malvage
In un incendio solo arse, e distrutte.
CHORO
Di natura miracolo e del mondo.
Qual cor sì rozzo, ò qual sì fiera gente
Il tuo valor non sente?
Ma qual si scaltro ingegno, e si profondo
Il tuo valor intende?
Chi sà gli ardori, che ’l tuo foco accende
Importuni, e lascivi,
Dirà spirto mortal tu regni, e vivi
Ne la corporea salma:
Ma chi sà poi come à virtù l’amante
Si desti, e come soglia
Farsi al suo foco (ogni sfrenata voglia
Subito spenta) pallido, e tremante;
Dirà spirto immortale, hai tu ne l’alma
Il tuo solo, e santissimo ricetto.
Raro mostro e mirabile d’humano
E di divino aspetto,
Di veder cieco, e di saver insano,
Di senso, e d’intelletto,
Di ragion, e desio confuso affetto
E tale hai tu l’impero
De la terra, e del ciel, ch’à te soggiace.
Ma (dirol con tua pace)
Miracolo più altero
Hà di te il mondo, e più stupendo assai,
Però che quanto fai
Di maraviglia, e di stupor tra noi,
Tutto in virtù di bella donna puoi.
O donna, o don del Cielo,
Anzi pur di colui,
Che ’l tuo leggiadro velo
Fe’ d’ambo creator più bel di lui
Qual cosa non hai tu del ciel più bella?
Ne la sua vasta fronte
Mostruoso Ciclope un occhio ei gira,
Non di luce à chi ’l mira
Ma d’alta cecità cagione e fonte.
Se sospira, ò favella,
Com’irato leon rugge e spaventa;
E non più ciel, ma campo
Di tempestosa ed horrida procella
Col fiero lampeggiar folgori avventa.
Tu col soave lampo,
E con la vista angelica amorosa
Di duo Soli visibili, e sereni,
L’anima tempestosa
Di chi ti mira acqueti, e rassereni:
E suono, e moto, e lume
E valor, e bellezza, e leggiadria
Fan sì dolce armonia nel tuo bel viso,
Che ’l cielo invan presume,
Se ’l cielo è pur men bel del paradiso
Di pareggiarsi à te cosa divina.
E ben ha gran ragione
Quell’altero animale,
Ch’huomo s’appella, ed à cui pur s’inchina
Ogni cosa mortale,
Se mirando di te l’alta cagione
T’inchina, e cede. e, s’ei trionfa e regna
Non è perche di scettro, ò di vittoria
Sij tu di lui men degna,
Ma per maggior tua gloria,
Che quanto il vinto è di più pregio, tanto
Più glorioso è di chi vince il vanto.
Ma che la tua beltate
Vinca con l’huomo ancor l’humanitate,
Hoggi ne fà Mirtillo à chi nol crede
Maravigliosa fede.
E mancava ben questo al tuo valore
Donna di far senza speranza amore.