< Il pastor fido
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Atto I Atto III

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA.

ERGASTO, MIRTILLO.


   
O
QUANTI passi hò fatti, al fiume, al poggio,

   Al prato, al fonte, à la palestra, al corso
   T’ho lungamente ricercato, al fine
   Qui pur ti trovo, e ne ringratio il cielo.
   Mir.Ond’hai tu nuova, Ergasto
   Degna di tanta fretta? hai vita, ò morte?
   Erg.Questa non ti darei, ben ch’io l’havessi;
   E quella spero dar, ben ch’io non l’habbia.
   Ma tù non ti lasciar si fieramente
   Vincer al tuo dolor. vinci te stesso,
   Se vuoi vincer altrui: vivi, e respira

   Tal volta. Ma per dirti la cagione
   Del mio venir à te si ratto: ascolta.
   Conosci tu (ma chi non la conosce?)
   La sorella d’Ormino? è di persona
   Anzi grande, che nò. di vista allegra.
   Di bionda chioma, e colorita alquanto.
   Com’ha nome? Er. Corisca. Mir. I la conosco
   Troppo bene, e con lei alcuna volta
   Hò favellato ancora. Er. Hor sappi ch’ella
   Da un tempo in quà (vedi ventura) è fatta
   Non sò già come, ò con che privilegio,
   De la bella Amarillide compagna.
   Ond’à lei tutto hò l’amor tuo scoperto
   Segretamente, e quel che da lei brami
   Holle mostrato, ed ella prontamente
   M’hà la sua fede in ciò promessa e l’opra:
   Mir.Oh mille volte e mille,
   Se questo è vero, e più d’ogn’altro amante
   Fortunato Mirtillo; ma del modo
   T’ha ella detto nulla? Er. A punto nulla,
   E ti dirò perche, dice Corisca
   Che non può ben deliberar del modo
   Prima ch’alcuna cosa ella non sappia
   De l’amor tuo più certa, ond’ella possa
   Meglio spiare, e più sicuramente
   L’Animo de la ninfa, e sappia come
   Reggersi, ò con preghiere, ò con inganni,
   Quel che tentar, quel che lasciar sia buono.
   Per questo solo i’ ti venia cercando

   Si ratto, e sarà ben, che tu da capo
   Tutta l’historia del tuo amor mi narri.
   Mir.Così à punto farò. ma sappi Ergasto
   Che questa rimembranza
   (Ah, troppo acerba a chi si vive amando
   Fuori d’ogni speranza)
   E quasi un’agitar fiaccola al vento,
   Per cui, quanto l’incendio
   Sempre s’avanza, tanto
   A l’agitata fiamma ella si strugge,
   O scoter pungentissima saetta
   Altamente confitta;
   Che se senti di svellerla, maggiore
   Fai la piaga e ’l dolore.
   Ben cosa ti dirò, che chiaramente
   Farà veder com’è fallace e vana
   La speme degli amanti, e come Amore
   La radice hà soave, il frutto amaro.
   Ne la bella stagion, che ’l dì s’avanza
   Sovra la notte (hor compie l’anno à punto)
   Questa leggiadra pellegrina, questo
   Novo sol di beltade,
   Venne à far di sua vista,
   Quasi d’un’altra primavera adorno
   Il mio solo per lei leggiadro alhora
   E fortunato nido Elide, e Pisa,
   Condotta da la madre
   In que’ solenni dì, che del gran Giove
   I sacrifici e i giochi

   Si soglion celebrar famosi tanto,
   Per farne à suoi begli occhi
   Spettacolo beato:
   Ma furon que’ begli occhi
   Spettacolo d’Amore;
   D’ogn’altro assai maggiore;
   Ond’io, che fin’alhor fiamma amorosa
   Non havea più sentita,
   Oime non così tosto
   Mirato hebbi quel volto
   Che di subito n’arsi:
   E senza far difesa al primo sguardo,
   Che mi drizzò negli occhi,
   Sentij correr nel seno
   Una bellezza imperiosa, e dirmi
   Dammi il tuo cor Mirtillo.
   Erg.Oh quanto può ne’ petti nostri Amore,
   Nè ben il può saper, se non chi ’l prova.
   Mir.Mira ciò che sà fare anco ne’ petti
   Più semplici, e più molli Amore industre.
   Io fò del mio pensiero una mia cara
   Sorella consapevole, compagna
   De la mia cruda Ninfa
   Que’ pochi dì ch’Elide l’hebbe e Pisa:
   Da questa sola, come Amor m’insegna,
   Fedel consiglio, ed amoroso aiuto
   Nel mio bisogno i prendo:
   Ella de le sue gonne femminili
   Vagamente m’adorna,

   E d’innestato crin cinge le tempie.
   Poi le ’ntreccia e le ’nfiora,
   E l’arco, e la faretra
   Al fianco mi sospende,
   E m’insegna à mentir parole, e sguardi,
   E sembianti nel volto, in cui non era
   Di lanugine ancora
   Pur un vestigio solo.
   E quando hora ne fue
   Seco là mi condusse, ove solea
   La bella ninfa diportarsi, e dove
Trovammo alcune nobili, e leggiadre
   Vergini di Megara
   E di sangue e d’amor, si come intesi
   A la mia Dea congiunte.
   Tra queste ella si stava,
   Sì come suol tra le violette humili
   Nobilissima rosa:
   E, poi che ’n quella guisa
   State furono alquanto
   Senz’altro far di più diletto ò cura,
   Levossi una donzella
   Di quelle di Megara, e così disse,
   Dunque in tempo di giochi,
   E di palme sì chiare, e sì famose
   Starem noi neghittose?
   Dunque non habbiam noi
   Armi da far tra noi finte contese
   Cosi ben come gl’huomini? Sorelle

   Se ’l mio consiglio di seguir v’aggrada,
   Proviam hoggi tra noi così da scherzo
   Noi le nostr’armi, come
   Contra gli huomini, al’hor che ne fie tempo
   L’userem da dovero.
   Bacianne, e si contenda
   Tra noi di baci; e quella che d’ogn’altra
   Baciatrice più scaltra,
   Li saprà dar più saporiti e cari
   N’havrà per sua vittoria
   Questa bella ghirlanda.
   Risero tutte à la proposta, e tutte
   Subito s’accordaro,
   E si sfidavan molte, e molte ancora
   Senza che dato lor fosse alcun segno,
   Facean guerra confusa.
   Il che veggendo allor la Megarese
   Ordinò prima la tenzone, e poi
   Disse de’ nostri baci
   Meritamente sia giudice quella
   Che la bocca hà più bella.
   Tutte concordemente
   Elesser la bellissima Amarilli;
   Ed ella i suoi begli occhi
   Dolcemente chinando,
   Di modesto rossor tutta si tinse;
   E mostrò ben che non men bella è dentro
   Di quel che sia di fuori,
   O fosse che ’l bel volto

   Havesse invidia à l’honorata bocca,
   E s’adornasse anch’egli
   De la purpurea sua pomposa vesta,
   Quasi volesse dir, son bello anch’io.
   Erg.Oh come à tempo ti cangiasti in Ninfa
   Avventuroso, e quasi
   De le dolcezze tue presago amante,
   Mir.Già si sedeva à l’amoroso uficio
   La bellissima giudice, e secondo
   L’ordine, e l’uso di Megara andava
   Ciascheduna per sorte
   A far de la sua bocc,a e de’ suoi baci
   Prova con quel bellissimo, e divino
   Paragon di dolcezza,
   Quella bocca beata,
   Quella bocca gentil, che può ben dirsi
   Conca d’Indo odorata
   Di perle orientali, e pellegrine:
   E la parte che chiude,
   Ed apre il bel tesoro
   Con dolcissimo mel purpura mista.
   Così potess’io dirti Ergasto mio
   L’ineffabil dolcezza
   Ch’i’ sentij nel baciarla:
   Ma tu da questo prendine argomento,
   Che non la può ridir la bocca stessa,
   Che l’ha provata. accogli pur insieme
   Quant’hanno in se di dolce
   O le canne di Cipro, ò i favi d’Hibla,

   Tutto è nulla, rispetto
   A la soavità ch’indi gustai.
   Erg.O furto avventuroso o dolci baci
   Mir.Dolci sì, ma non grati,
   Perche mancava lor la miglior parte
   De l’intero diletto.
   Davagli Amor, non gli rendeva Amore.
   Erg.Ma dimmi. e come ti sentisti allora
   Che di baciar a te cadde la sorte?
   Mir.Sù queste labbra Ergasto,
   Tutta sen venne alhor l’anima mia:
   E la mia vita chiusa
   In così breve spazio
   Non era altro che un bacio,
   Onde restar le membra
   Quasi senza vigor tremanti e fioche,
   E quando i’ fui vicino
   Al folgorante sguardo,
   Come quel che sapea
   Che pur’inganno era quell’atto, e furto,
   Temei la maestà di quel bel viso.
   Ma da un sereno suo vago sorriso
   Assicurato poi
   Pur oltre mi sospinsi.
   Amor si stava, Ergasto,
   Com’ape suol ne le due fresche rose
   Di quelle labbra ascoso:
   E mentre ella si stette
   Con la baciata bocca

   Al baciar de la mia
   Immobile e ristretta,
   La dolcezza del mel sola gustai.
   Ma poi ch’anch’ella mi s’offerse, e porse
   L’una e l’altra dolcissima sua rosa,
   (Fosse ò sua gentilezza, ò mia ventura,
   So ben che non fù Amore)
   E sonar quelle labbra;
   E s’incontraro i nostri baci (ò caro
   E prezioso mio dolce tesoro
   T’ho perduto e non moro?),
   Allora sentij de l’amorosa pecchia
   La spina pungentissima soave
   Passarmi il cor; che forse
   Mi fu renduto alhora
   Per poterlo ferire.
   Io poi ch’a morte mi sentij ferito,
   Come suol disperato
   Poco mancò, che l’homicide labbra
   Non mordessi, e segnassi.
   Ma mi ritenne oime l’aura odorata,
   Che quasi spirto d’anima divina
   Risvegliò la modestia;
   E quel furore estinse.
Erg.
   O modestia molestia
   Degli amanti importuna
Mir.
   Già fornito il su’ arringo havea ciascuna,
   E con sospension d’animo grande
   La sentenza attendea,

   Quando la leggiadrissima Amarilli
   Giudicando i miei baci
   Più di quelli d’ogn’altra saporiti,
   Di propria man con quella
   Ghirlandetta gentil, che fù serbata
   Premio al vincitor, mi cinse il crine.
   Ma lasso aprica piaggia
   Così non arse mai sotto la rabbia
   Del can celeste alhor, che latra, e morde,
   Come ardea il cor mio
   Tutto alhor di dolcezza, e di desio,
   E più che mai ne la vittoria vinto
   Pur mi riscossi tanto,
   Che la ghirlanda trattami di capo
   A lei porsi, dicendo:
   Questa à te si convien, questa à te tocca,
   Che festi i baci miei
   Dolci ne la tua bocca.
   Ed ella humanamente
   Presala, al suo bel crin ne feo corona.
   E d’un’altra, che prima
   Cingea le tempie à lei, cinse le mie.
   Ed è questa, ch’io porto,
   E porterò fin al sepolcro sempre,
   Arida come vedi,
   Per la dolce memoria di quel giorno,
   Ma molto più per segno
   De la perduta mia morta speranza.
   Erg.Degno sè di pietà più che d’invidia

   Mirtillo, anzi pur Tantalo novello
   Che nel gioco d’Amor chi fà da scherzo,
   Tormenta da dovero; troppo care
   Ti costar le tue gioie, e del tuo furto
   E’l piacer, e ’l gastigo insieme havesti.
   Ma s’accorse ella mai di questo inganno?
   Mir.Ciò non sò dirti Ergasto:
   Sò ben ch’ella in que’ giorni,
   Ch’Elide fù de la sua vista degno,
   Mi fù sempre cortese
   Di quel soave, ed amoroso sguardo.
   Ma il mio crudo destino
   La ’nnullò sì repente,
   Che me ne avvidi à pena. ond’io lasciando
   Quanto già di più caro haver solea,
   Tratto da la virtù di quel bel guardo,
   Qui dove il padre mio
   Dopo tant’anni ancor, come t’è noto,
   Serba l’antico suo povero albergo,
   Me’n venni, e vidi (ah misero) già corso
   A’ sempiterno occaso
   Quell’amoroso mio giorno sereno,
   Che comminciò da sì beata aurora.
   Al mio primo apparir subito sdegno
   Lampeggiò nel bel viso,
   Poi chinò gli occhi, e girò il piede altrove;
   Misero o alhor i dissi,
   Questi son ben de la mia morte i segni.
   Havea sentita acerbamente intanto

   La non prevista, e subita partita
   Il mio tenero padre;
   E dal dolore oppresso
   Ne cadde infermo assai vicino à morte:
   Ond’io costretto fui
   Di ritornar à le paterne case.
   Fù il mio ritorno, ahi lasso,
   Salute al padre, infermitate al figlio:
   Che d’amorosa febbre
   Ardendo, in pochi dì languido venni.
   E da l’uscir, che fè di Tauro il Sole,
   Fin à l’entrar di Capricorno sempre
   In cotal guisa stetti;
   E sarei certo ancora,
   Se non havesse il mio pietoso padre
   Opportuno consiglio
   A l’oracolo chiesto; il qual rispose
   Che sol potea sanarmi il ciel d’Arcadia.
   Cosi tornaimi Ergasto
   A riveder colei,
   Che mi sanò del corpo
   (O voce degli oracoli fallace)
   Per farmi l’alma eternamente inferma.
   Erg.Strano caso nel vero
   Tu mi narri Mirtillo, e non può dirsi,
   Che di molta pietà non ne sij degno.
   Ma solo una salute
   Al disperato e’l disperar salute.
   E tempo è già, ch’io vada à far di quanto

   M’hai detto consapevole Corisca.
   Tu vanne al fonte, e là m’attendi, dove
   Teco sarò quanto più tosto anch’io.
   Mir.Vanne felicemente, il ciel ti dia
   Di cotesta pietà quella mercede
   Che dar non ti poss’io cortese Ergasto.


SCENA II.

DORINDA, LUPINO, SILVIO.


   
S
DEL mio bello, e dispietato Silvio

   Cura, e diletto avventuroso, e fido;
   Foss’io sì cara al tuo signor crudele,
   Come sè tu Melampo, egli con quella
   Candida man, ch’à me distringe il core
   Te dolcemente lusingando nutre,
   E teco il dì, teco la notte alberga;
   Mentr’io, che l’amo tanto, in van sospiro,
   E ’nvano il prego, e quel che più mi duole
   Ti dà si cari e si soavi baci,

   Ch’un sol, che n’havess’io, n’andrei beata.
   E per più non poter ti bacio anch’io
   Fortunato Melampo. Hor se benigna
   Stella forse d’Amore à me t’invia,
   Perche l’orme di lui mi scorga; andiamo
   Dove Amor me, te sol Natura inchina.
   Ma non sent’io trà queste selve un corno
   Sonar vicino.? Sil. Tè Melampo tè
   Dor.Se ’l desio non m’inganna, quella è voce
   Del bellissimo Silvio, che ’l suo cane
   Chiama trà queste selve. Sil. Tè Melampo,
   Tè tè. D. Senz’alcun fallo è la sua voce.
   Oh felice Dorinda, il ciel ti manda
   Quel ben che vai cercando. È meglio ch’io
   Serbi il cane in disparte, io farò forse
   De l’amor suo con questo mezzo acquisto.
   Lupino. Lu. Eccomi. Dor. Và con questo cane
   E ti nascondi in quella fratta, intendi?
   Lu.Intendo. Dor. Và tosto. E non uscir s’io non ti chiamo.
   Lu.Tanto farò. Dor. Và tosto. Lu. E tù fà tosto;
   Che se venisse fame à questa bestia,
   In un boccone non mi mannicasse.
   Dor.O come sè da poco. sù và via.
   Sil.Dove misero me, dove debb’io
   Volger più il piede à seguitarti ò caro,
   O mio fido Melampo? hò monte, e piano
   Cercato indarno, e son già molle, e stanco.
   Maladetta la fera, che seguisti.
   Ma ecco Ninfa, che di lui novella
 

   Mi darà forse, ò come male inciampo
   Questa è colei, che mi dà sempre noia.
   Pur soffrir mi bisogna. ò bella Ninfa
   Dimmi vedesti il mio fedel Melampo,
   Che testè dietro ad una damma sciolsi?
   Dor.Io bella, Silvio? io bella?
   Perche così mi chiami
   Crudel se bella à gl’occhi tuoi non sono?
   Sil.O bella, ò brutta hai tu il mio can veduto?
   A questo mi rispondi, ò ch’io mi parto.
   Dor.Tu sè pur’aspro à chi t’adora Silvio:
   Chi crederia, che’n sì soave aspetto
   Fosse sì crudo affetto?
   Tu segui per le selve,
   E per gli alpestri monti
   Una fera fugace, e dietro l’orme
   D’un veltro, oime, t’affanni, e ti consumi,
   E me che t’amo sì fuggi, e disprezzi.
   Deh non seguir damma fugace, segui,
   Segui amorosa, e mansueta damma,
   Che, senza esser cacciata
   E già presa, e legata.
   Sil.Ninfa qui venni à ricercar Melampo,
   Non à perder’il tempo, à Dio. Dor. Deh Silvio
   Crudel, non mi fuggire:
   Ch’i’ì ti darò del tuo Melampo nova.
   Sil.Tu mi beffi, Dorinda? Dor. Silvio mio.
   Per quello amor, che mi t’hà fatta ancella,
   Io sò dove e’l tuo cane.

   Nol lasciasti testè dietro una damma.
   Sil.Lasciailo, e ne perdei tosto la traccia?
   Dor.Hor il cane, e la damma è in poter mio.
   Sil.In tuo poter? D. In mio poter. ti duole
   D’esser tenuto à chi t’adora ingrato?
   Sil.Cara Dorinda mia daglimi tosto.
   Dor.Vè mobile fanciullo, à che son giunta
   Ch’una fera ed un can mi ti fà cara.
   Ma vedi, core mio, tu non gli havrai
   Senza mercede. S. è ben ragion, darotti,
   Vò schernirla costei. D. Che mi darai?
   Sil.Due belle poma d’oro, che l’altr’hieri
   La bellissima mia madre mi diede:
   Dor.A me poma non mancano, potrei
   A te darne di quelle, che son forse
   Più saporite, e belle, se i miei doni
   Tu non havessi à schivo. S. E che vorresti?
   Un capro, od una agnella? ma il mio padre
   Non mi concede ancor tanta licenza.
   Dor.Nè di capro hò vaghezza, nè d’agnella:
   Te solo Silvio, e l’amor tuo vorrei.
   Sil.Nè altro vuoi, che l’amor mio? D. Non altro.
   Sil.Sì si tutto tel dono. hor dammi dunque
   Cara Ninfa il mio cane, e la mia damma.
   Dor.O se sapessi quanto
   Vale il tesor, di che si largo sembri,
   E rispondesse à la tua lingua il core.
   Sil.Ascolta bella Ninfa, tu mi vai
   Sempre di certo Amor parlando, ch’io

   Non so quel ch'e' si sia tu vuoi ch'i' t'ami,
   E t'amo quanto posso, e quanto intendo.
   Tu dì ch'io son crudele, e non conosco
   Quel che sia crudeltà, ne sò che farti.
   Dor.O misera Dorinda, ov'hai tu poste
   Le tue speranze? onde soccorso attendi?
   In beltà che non sente ancor favilla
   Di quel foco d'amor, ch'arde ogn'amante.
   Amoroso fanciullo
   Tu sè pur à me foco, e tu non ardi,
   E tù che spiri amore, amor non senti.
   Te sotto humana forma
   Di bellissima madre
   Partorì l'alma Dea, che Cipro honora.
   Tu hai gli strali, e 'l foco,
   Ben sallo il petto mio ferito, ed arso.
   Giungi à gli homeri l'ali
   Sarai novo Cupido;
   Se non c'hai ghiaccio il core,
   Nè ti manca d'Amore, altro che amore.
   Sil.Che cosa è questo amore?
   Dor.S'i' miro il tuo bel viso
   Amore è un paradiso;
   Ma s'i' miro il mio core
   E un infernal ardore.
   Sil.Ninfa non più parole,
   Dammi il mio cane homai,
   Dor.Dammi tù prima il pattuito amore.
   Sil.Dato non te l'ho dunque? oime che pena
 

   E’l contentar costei, prendilo, fanne
   Ciò che ti piace. chi tel nega, ò vieta?
   Che vuoi tu più? che badi?
   Dor.Tu perdi ne l’arena i semi, e l’opra
   Sfortunata Dorinda.
   Sil.Che fai? che pensi? ancor mi tieni à bada?
   Dor.Non così tosto havrai quel che tu brami
   Che poi mi fuggirai perfido Silvio.
   Sil.No certo bella Ninfa. D. Dammi un pegno.
   Sil.Che pegno vuoi? D. ah che non oso a dirlo
   Sil.Perche? D. Perc’hò vergogna. S. E pure il chiedi.
   Dor.Vorrei senza parlar esser intesa.
   Sil.Ti vergogni di dirlo, e non havresti
   Vergogna di riceverlo? Dor. Se darlo
   Tu mi prometti, i’ te’l dirò. S. Prometto
   Ma vo’ che tu me ’l dica. D. Ah non m’intendi,
   Silvio, mio ben? t’indenderei pur io,
   S’a me il dicessi tu. S. Più scaltra certo
   Sè tu di me. D. Più calda Silvio, e meno
   Di te crudele io sono. S. à dirti il vero
   Io non son indovin, parla se voi
   Esser intesa. D. O misera, un di quelli
   Che ti dà la tua madre. S. Una guanciata?
   Dor.Una guanciata à chi t’adora Silvio?
   Sil.Ma careggiar con queste ella sovente
   Mi suole. D. Ah sò ben io che non è vero.
   E talhor non ti bacia? S. Nè mi bacia,
   Nè vuol ch’altri mi baci.
   Forse vorresti tu per pegno un bacio?

   Tu non rispondi? il tuo rossor t’accusa.
   Certo mi son apposto, i son contento,
   Ma dammi con la preda il can tu prima.
   Dor.Me’l prometti tù Silvio? S. I tel prometto.
   Dor.E me l’attenderai? S. Sì ti dich’io.
   Non mi dar più tormento. D. esci Lupino,
   Lupino ancor non odi? Lu. oh sè noioso.
   Chi chiama? oh vengo, vengo, io non dormiva,
   Nò certo. il can dormiva. D. Ecco il tuo cane
   Silvio, che più di te cortese in queste
   Sil.Oh come son contento. D. In queste braccia,
   Che tanto sprezzi tu, venne à posarsi.
   Sil.Oh dolcissimo mio fido Melampo.
   Dor.Cari avendo i miei baci, i miei sospiri.
   Sil.Baciar ti voglio mille volte e mille.
   Ti sè fatto alcun mal forse correndo?
   Dor.Avventuroso can, perche non posso
   Cangiar teco mia sorte. à che son giunta,
   Che fin d’un can la gelosia m’accora?
   Ma tu Lupin t’invia verso la caccia,
   Che frà poco i’ ti seguo. L. Io vò padrona.



SCENA III

SILVIO, DORINDA.


   
T
U non hai alcun male, al rimanente;

   Dov’è la damma, che promessa m’hai?
   Dor.La vuoi tu viva o, morta? S. io non t’intendo.
   Com’esser viva può se ’l can l’uccise?
   Dor.Ma se ’l can non l’uccise? Sil. È dunque viva?
   Dor.Viva. S. Tanto più cara; & più gradita
   Mi fia cotesta preda: e fù si destro
   Melampo mio, che non l’ha guasta, ò tocca?
   Dor.Sol è nel cor d’una ferita punta.
   Sil.Mi beffi tù Dorinda, o pur vaneggi;
   Com’esser viva pu nel cor ferita?
   Dor.Quella damma son io,
   Crudelissimo Silvio,
   Che senza esser attesa,
   Son da te vinta, e presa:
   Viva, se tù m’accogli,

   Morta, se mi ti togli.
   Sil.E questa è quella damma, e quella preda
   Che testè mi dicevi?
   Dor.Questa e non altra. oime perche ti turbi?
   Non t’è più caro haver Ninfa, che fera?
   Sil.Nè t’hò cara, nè t’amo, anzi t’hò in odio,
   Brutta, vile, bugiarda ed importuna.
   Dor.E questo il guiderdon Silvio crudele?
   E questa la mercè che tu mi dai,
   Garzon ingrato? habbi Melampo in dono
   E me con lui, che tutto,
   Pur ch’à me torni, i’ ti rimetto, e solo
   De’ tuo’ begli occhi il Sol non mi si nieghi.
   Ti seguirò compagna
   Del tuo fido Melampo assai più fida,
   E quando sarai stanco
   T’asciugherò la fronte,
   E sovra questo fianco
   Che per te mai non posa, havrai riposo.
   Porterò l’armi, porterò la preda,
   E, se ti mancherà mai fera al bosco
   Saetterai Dorinda, in questo petto
   L’arco tù sempre esercitar potrai,
   Che sol come vorrai,
   Il porterò tua serva,
   Il proverò tua preda,
   E sarò del tuo stral faretra, e segno.
   Ma con chi parlo? ai lassa
   Teco, che non m’ascolti e via ten’fuggi?

   Ma fuggi pur. ti seguirà Dorinda
   Nel crudo inferno ancor, s’alcun’inferno
   Più crudo haver poss’io
   De la fierezza tua, del dolor mio.



SCENA IIII

CORISCA.

   
O
COME favorisce i miei disegni

   Fortuna molto più, ch’io non sperai.
   Ed ha ragion di favorir colei,
   Che sonnacchiosa il suo favor non chiede.
   Ha ben ella gran forza, e non la chiama
   Possente Dea senza ragione il mondo;
   Ma bisogna incontrarla, e farle vezzi;
   Spianandole il sentiero. i neghittosi
   Saran di rado fortunati mai,
   Se non m’havesse la mia industria fatta
   Compagna di colei, che potrebbe hora
   Giovarmi una si comoda, e sicura
   Occasion di ben condurre à fine

   Il mio pensiero? Havria qualch’altra sciocca
   La sua rival fuggita, e segni aperti
   De la sua gelosia portando in fronte,
   Di mal occhio guattata anco l’havrebbe,
   E male havrebbe fatto, ch’assai meglio
   Da l’aperto nemico altri si guarda,
   Che non fà da l’occulto. Il cieco scoglio
   È quel ch’inganna i marinari ancora
   Più saggi: chi non sa finger l’amico,
   Non è fiero nemico. hoggi vedrassi
   Quel che sà far Corisca. Ma si sciocca
   Non son’io già, che lei non creda amante
   A qualch’un’altro il farà creder forse,
   Che poco sappia; à me non già, che sono
   Maestra di quest’arte. una fanciulla
   Tenera, e semplicetta, che pur hora
   Spunta fuor de la buccia, in cui pur dianzi
   Stillò le prime sue dolcezze Amore,
   Lungamente seguita, vagheggiata
   Da sì leggiadro amante, e quel ch’è peggio,
   Baciata, e ribaciata, e starà salda?
   Pazzo è ben chi se’l crede, io già nol credo.
   Ma vedi il mio destin come m’aita.
   Ecco à punto Amarilli. i’ vò far vista
   Di non vederla, e ritirarmi alquanto.

SCENA V

AMARILLI, CORISCA.


   
C
ARE selve beate,

   E voi solinghi, e taciturni horrori
   Di riposo, e di pace alberghi veri.
   O quanto volentieri
   A rivedervi i’ torno, e se le stelle
   M’havesser dato in sorte
   Di viver à me stessa, e di far vita
   Conforme à le mie voglie;
   I già co’ campi Elisi,
   Fortunato giardin de’ semidei
   La vostr’ombra gentil non cangerei.
   Che se ben dritto miro,
   Questi beni mortal
   Altro non son che mali:
   Men’hà, chi più n’abonda,
   E posseduto è più, che non possede,
   Ricchezze nò, ma lacci

   De l’altrui libertate.
   Che val ne’ più verdi anni
   Titolo di bellezza,
   O fama d’honestate,
   E ’n mortal sangue nobiltà celeste;
   Tante grazie del Cielo, e de la terra,
   Quì larghi, e lieti campi
   E là felici piagge,
   Fecondi paschi, e più fecondo armento,
   Se ’n tanti beni il cor non è contento?
   Felice pastorella,
   Cui cinge à pena il fianco
   Povera sì, ma schietta,
   E candida gonnella:
   Ricca sol di se stessa,
   E de le grazie di Natura adorna;
   Che ’n dolce povertate
   Nè povertà conosce, nè i disagi
   De le ricchezze sente,
   Ma tutto quel possiede
   Per cui desio d’haver non la tormenta;
   Nuda sì, ma contenta.
   Co’ doni di natura
   I doni di natura anco nudrica;
   Col latte, il latte avviva,
   E col dolce de l’api
   Condisce il mel de le natie dolcezze.
   Quel fonte, ond’ella beve,
   Quel solo anco la bagna, e la consiglia;

   Paga lei, pago ’l mondo:
   Per lei di nembi il ciel s’oscura indarno,
   E di grandine s’arma,
   Che la sua povertà nulla paventa:
   Nuda sì, ma contenta.
   Sola una dolce, e d’ogn’affanno sgombra
   Cura le stà nel core.
   Pasce le verdi herbette
   La greggia à lei commessa, ed ella pasce
   De’ suo’ begli occhi il pastorello amante,
   Non qual le destinaro
   O gli huomini, ò le stelle,
   Ma qual le diede Amore.
   E trà l’ombrose piante
   D’un favorito lor Mirteto adorno
   Vagheggiata il vagheggia, nè per lui
   Sente foco d’amor, che non gli scopra,
   Ned ella scopre ardor, ch’egli non senta,
   Nuda, sì ma contenta.
   O vera vita, che non sà che sia
   Morire innanzi morte.
   Potess’io pur cangiar teco mia sorte.
   Ma vedi là Corisca. Il ciel ti guardi
   Dolcissima Corisca. Co. Chi mi chiama?
   O più degli occhi miei, più de la vita
   A me cara Amarilli, e dove vai
   Così soletta? Am. In nessun altro loco,
   Se non dove mi trovi e dove meglio
   Capitar non potea, poi che te trovo.

   Cor.Tu trovi chi da te non parte mai,
   Amarilli mia dolce, e di te stava
   Pur hor pensando, e fra mio cor dicea,
   S’io son l’anima sua, come può ella
   Star senza me sì lungamente; e’n questo
   Tu mi sè sopragiunta anima mia.
   Ma tu non ami più la tua Corisca.
   Am.E perche ciò? Co. Come perche? tu ’l chiedi?
   Hoggi tu sposa? Am. Io sposa? Cor. Si tu sposa,
   Ed à me no’l palesi? Am. e come posso
   Palesar quel, che non m’è noto? Co. Ancora
   Tu t’infingi, e mel neghi? Am. Ancor mi beffi?
   Cor.Anzi tu beffi me. Am. Dunque m’affermi
   Ciò tù per vero? Co. anzi tèl giuro, e certo
   Non ne sai nulla tù? Am. sò che promessa
   Già fui, ma non sò già che sì vicine
   Sien le mie nozze. e tu da chi ’l sapesti?
   Cor.Da mio fratello Ormino. esso l’ha inteso
   Dicea da molti, & non si parla d’altro.
   Par che tu te ne turbi. è forse questa
   Novella da turbarsi? Am. egli è un gran passo,
   Corisca. e già la madre mia mi disse
   Che quel di sì rinasce. Cor. à miglior vita
   Si rinasce per certo. e tu per questo
   Viver lieta dovresti. à che sospiri?
   Lascia pur sospirar à quel meschino.
   Am.Qual meschino? Co. Mirtillo, che trovossi
   Presente à ciò che ’l mio fratel mi disse
   E poco men che di dolor nol vidi

   Morire, e certo e’ si moriva, s’io
   Non l’havessi soccorso, promettendo
   Di sturbar queste nozze. e ben che tutti
   Dicessi sol per suo conforto, io pure
   Sarei donna per farlo. Am. e ti darebbe
   L’animo di sturbarle? Co. e di che sorte
   Am.E come ciò faresti? Co. agevolmente,
   Pur che tu ti disponga, e ci consenta.
   Am.Se ciò sperassi, e la tua fè mi dessi
   Di non l’appalesar, ti scovrirei
   Un pensier, che nel cor gran tempo ascondo.
   Cor.Io palesarti mai? aprasi prima
   La terra, e per miracolo m’inghiotta.
   Am.Sappi Corisca mia che, quando i’ penso
   Ch’i’ debbo ad un fanciullo esser soggetta,
   Che m’hà in odio, e mi fugge, e ch’altra cura
   Non hà che i boschi, e ch’una fera, e un cane
   Stima più che l’amor di mille Ninfe,
   Mal contenta ne vivo, e poco meno
   Che disperata. ma non oso à dirlo,
   Sì perche l’honestà non me'l comporta,
   Sì perche al Padre mio n’hò di già data
   E quel ch’è peggio à la gran Dea la fede,
   Che se per opra tua, ma però sempre
   Salva la fede mia, salva la vita,
   E la religione, e l’honestate:
   Troncar di questo à me si grave nodo
   Si potesser le fila; hoggi saresti
   Tu ben la mia salute, e la mia vita.

   Cor.Se per questo sospiri, hai gran ragione.
   Amarilli: deh quante volte il dissi
   Una cosa sì bella, à chi la sprezza?
   Si ricca gioia à chi non la conosce?.
   Ma tu sè troppo savia, à dirti il vero,
   Anzi pur troppo sciocca. e che non parli?
   Che non ti lasci intendere? Am. hò vergogna.
   Cor.Hai un gran mal sorella. i’ vorrei prima
   Haver la febbre, il fistolo, la rabbia.
   Ma, credi à me la perderai tu ancora
   Amarilli, sì ben. basta una sola
   Volta, che tu la superi, e rinieghi.
   Am.Vergogna che ’n altrui stampò Natura
   Non si può rinegar, che se tu tenti
   Di cacciarla dal cor, fugge nel volto.
   Cor.O Amarilli mia, chi troppo savia
   Tace il suo male, alfin da pazza il grida.
   Se questo tuo pensiero havessi prima
   Scoperto à me, saresti fuor d’impaccio.
   Hoggi vedrai quel che sà far Corisca
   Ne le più sagge man, ne le più fide
   Tu non potevi capitar. Ma quando
   Sarai per opra mia già liberata
   D’un cattivo marito, non vorrai
   D’un buon’amante provvederti? Am. à questo
   Penseremo à bell’agio. Cor. veramente
   Non puoi mancare al tuo fedel Mirtillo,
   E tu sai pur s’hoggi è pastor di lui,
   Nè per valor, nè per sincera fede,

   Nè per beltà del’amor tuo più degno.
   E tù ’l lasci morire? ah troppo cruda,
   Senza che dir ti possa almeno, io moro?
   Ascoltalo una volta. Am. ò quanto meglio
   Farebbe a darsi pace, e la radice
   Sveller di quel desio, ch’è senza speme.
   Cor.Dagli questo conforto anzi, che moia.
   Am.Sarà piuttosto un raddoppiargli affanno.
   Cor.Lascia di questo tù la cura à lui.
   Am.E di me che sarebbe, se mai questo
   Si risapesse? Cor. ò quanto hai poco core.
   Am.E poco sia, pur ch’à bontà mi vaglia.
   Cor.Amarilli se lecito ti fai
   Di mancarmi tu in questo, anch’io ben posso
   Giustamente mancarti. à dio. Am. Corisca
   Non ti partir, ascolta. Co. Una parola
   Sola non udirei, se non prometti.
   Am.Ti prometto d’udirlo, ma con questo
   Ch’ad altro non mi astringa. Co. Altro non chiede.
   Am.E tù gli faccia credere, che nulla
   Saputo i n’habbia. Co. Mostrerò che tutto
   Habbia portato il caso. Am. e ch’indi possa
   Partirmi à mio piacer, nè mi contrasti.
   Cor.Quando ti piacerà, pur che l’ascolti.
   Am.E brevemente si spedisca. Cor. e questo
   Ancora si farà. Am. nè mi s’accosti
   Quanto è lungo il mio dardo. Co. oime che pena
   M’è hoggi il riformar cotesta tua
   Semplicità. fuor che la lingua ogn’altro

   Membro gli legherò, si che sicura
   Star ne potrai, vuoi altro? Am. Altro non voglio.
   Cor.E quando il farai tù? Am. Quando à te piace,
   Pur che tanto di tempo hor mi conceda
   Ch’i torni à casa, ove di queste nozze
   Mi vò meglio informar. Co. Vanne, ma guarda
   Di farlo accortamente. hor odi quello
   Ch’io vò pensando, c’hoggi su’l meriggio
   Qui sola fra quest’ombre, e senz’alcuna
   De le tue Ninfe tu ten venghi, dove
   Mi troverò per questo effetto anch’io.
   Meco saran Nerine, Aglauro, Elisa,
   E Fillide, e Licori, tutte mie
   Non meno accorte, e sagge, che fedeli,
   E segrete compagne, ove con loro
   Facendo tu come sovente suoli,
   Il giuoco de la cieca, agevolmente
   Mirtillo crederà, che non per lui,
   Ma per diporto tuo ci sij venuta.
   Am.Questo mi piace assai; ma non vorrei
   Che quelle Ninfe fossero presenti
   A le parole di Mirtillo. sai?
   Cor.T’indendo: e ben avvisi, e fie mia cura,
   Che tu di questo alcun timor non haggia.
   Vattene pur, e ti ricorda in tanto
   D’amar la tua fidissima Corisca.
   Am.Se posto ho il cor ne le sue mani, à lei
   Starà di farsi amar quanto le piace.

   Parti ch’ella stia salda? A questa rocca
   Maggior forza bisogna. s’à l’assalto
   De le parole mie può far difesa,
   A quelle di Mirtillo certamente
   Resister non potrà. sò ben’anch’io
   Quel che nel cor di tenera fanciulla
   Possano i preghi di gradito amante.
   Se ridur ci si lascia, à tal partito
   La stringerò ben’io con questo giuoco,
   Che non l’havrà da giuoco. ed io non solo
   Da le parole sue voglia, ò non voglia
   Potrò spiar, ma penetrar ancora
   Fin ne l’interne viscere il suo core.
   Come questo habbia in mano, e già padrona
   Sia del segreto suo, farò di lei
   Ciò che vorrò, senza fatica alcuna,
   E condurrolla à quel che bramo in guisa,
   Ch’ella stessa, non ch’altri, agevolmente
   Creder potrà che l’habbia à ciò condotta
   Il suo sfrenato amor, non l’arte mia.


SCENA VI

CORISCA, SATIRO.


   
O
IME, son morta. Sa. Ed io son vivo. Co. Torna,

   Torna, Amarilli mia, che presa i’ sono.
   Sat.Amarilli non t’ode: à questa volta
   Ti converrà star salda. Cor. Oime, le chiome
   Sat.T’hò pur si lungamente attesa al varco,
   Che ne la rete sè caduta, e sai
   Questo non è il mantello, è ’l crin sorella.
   Cor.A me Satiro? Sat. A te. non sè tu quella
   Corisca si famosa, ed eccellente
   Maestra di menzogne, che mentite
   Parolette, e speranze, e finti sguardi
   Vendi à sì caro prezzo? che tradito
   M’ha’ in tanti modi, e dilegiato sempre,
   Ingannatrice, e pessima Corisca?
   Cor.Corisca son ben’io, ma non già quella
   Satiro mio gentil, ch’à gli occhi tuoi

   Un tempo fù sì cara. sa. hor son gentile,
   Sì scelerata? ma gentil non fui
   Quando per Coridon tu mi lasciasti.
   Cor.Te per altrui? Sa. Hor odi meraviglia,
   E cosa nuova à l’animo sincero.
   E quando l’arco à Lilla, e ’l velo à Clori,
   La veste à Dafne, ed i coturni à Silvia
   M’inducesti à rubar, perche ’l mio furto
   Fosse di quell’amor poscia mercede,
   Ch’à me promesso, fu donato altrui;
   E quando la bellissima ghirlanda,
   Che donata i’ t’havea, donasti à Niso;
   E quando à la caverna, al bosco, al fonte
   Facendomi vegghiar le fredde notti,
   M’hai schernito, e beffato, alhor ti parvi
   Gentile ah scelerata? hor pagherai,
   Credimi, hor pagherai di tutto il fio.
   Cor.Tu mi strascini oime, come s’i’ fussi
   Una giovenca. Sa. tu ’l dicesti à punto.
   Scotiti pur, se sai, gia non tem’io
   Che quinci hor tu mi fugga. à questa presa
   Non ti varanno inganni, un’altra volta
   Te’n fuggisti malvagia. ma se ’l capo
   Quì non mi lasci, in darno t’affatichi
   D’uscirmi hoggi di man. Co. Deh non negarmi
   Tanto di tempo almen, che teco i’ possa
   Dir mia ragion comodamente. Sa. Parla.
   Cor.Come vuoi tù ch’io parli essendo presa?
   Lasciami. Sat. Ch’i ti lasci? Cor. I ti prometto
 

   La fede mia di non fuggir. Sa. Qual fede,
   Perfidissima femmina? ancor osi
   Parlar meco di fede? I’ vò condurti
   Ne la più spaventevole caverna
   Di questo monte, ove non giunga mai
   Raggio di sol, non che vestigio humano,
   Del resto non ti parlo, il sentirai.
   Farò con mio diletto e con tuo scorno
   Quello strazio di te, che meritasti.
   Cor.Puoi tu dunque crudele à questa chioma
   Che ti legò già il core, à questo volto
   Che fù già il tuo diletto, à questa un tempo
   Più de la vita tua cara Corisca,
   Per cui giurai, che ti fora stato
   Anco dolce il morire à questa puoi
   Soffrir di far’oltraggio? ò cielo ò sorte
   In cui pos’io speranza? à cui debb’io
   Creder mai più meschina? Sa. ah scelerata
   Pensi ancor d’ingannarmi? ancor mi tenti
   Con le lusinghe tue, con le tue frodi?
   Cor.Deh Satiro gentil non far più strazio
   Di chi t’adora. oime non sè già fera,
   Non hai già il cor di marmo ò di macigno.
   Eccomi à piedi tuoi. se mai t’offesi,
   Idolo del mio cor, perdon ti cheggio.
   Per queste nerborute, e sovra humane
   Tue ginocchia ch’abbraccio, à cui m’inchino;
   Per quello amor, che mi portasti un tempo,
   Per quella soavissima dolcezza,

   Che trar solevi già dagli occhi miei,
   Che tue stelle chiamavi, hor son due fonti,
   Per queste amare lagrime ti prego
   Habbi pietà di me; lasciami homai.
   Sat.La perfida m’hà mosso, e s’io credessi
   Solo à l’affetto, à fe che sarei vinto.
   Ma in somma io non ti credo. tu sè troppo
   Malvagia, e ’nganni più chi più si fida.
   Sotto quell’humiltà, sotto que’ preghi
   Si nasconde Corisca. tu non puoi
   Esser da te diversa. ancor contendi?
   Cor.Oime il mio capo, ah crudo. ancor un poco
   Fermati prego, ed una sola grazia
   Non mi negar’almen. Sa. Che gratia è questa?
   Cor.Che tu m’ascolti ancor’un poco. Sa. Forse
   Ti pensi tu con parolette finte
   E mendicate lagrime piegarmi?
   Cor.Deh Satiro cortese, e pur tu vuoi
   Far di me strazio? Sa. Il proverai, vien pure.
   Cor.Senza havermi pietà? Sa. senza pietate.
   Cor.E ’n ciò sè tu ben fermo? Sa. in ciò ben fermo.
   Hai tù finito ancor questo incantesmo?
   Cor.O villano indiscreto, ed importuno:
   Mez’huomo, e mezo capra, e tutto bestia.
   Carogna fracidissima, e difetto
   Di natura nefando; se tu credi
   Che Corisca non t’ami, il vero credi,
   Che vuoi tu ch’ami in te? quel tuo bel ceffo?
   Quella succida barba? quell’orecchie

   Caprigne? e quella putrida e bavosa
   Isdentata caverna? Sa. O scelerata
   A me questo? Co. à te questo. Sat. à me ribalda?
   Cor.A te caprone. Sa. Ed io con queste mani
   Non ti trarrò cotesta tua canina
   Ed importuna lingua? Co. se t’accosti
   E fossi tanto ardito. Sa. In tale stato
   Una vil femminuzza? in queste mani?
   E non teme? e m’oltraggia? e mi dispregia?
   Io ti farò. Co. che mi farai, villano?
   Sat.I’ti mangerò viva. Co. E con qua’ denti,
   Se tu non gli hai? Sa. o ciel, come il comporti?
   Ma s’io non te ne pago vien pur via.
   Cor.Non vò venir. Sat. Non ci verrai malvagia?
   Cor.Nò mal tuo grado nò. Sa. tu ci verrai
   Se mi credessi di lasciarci queste
   Braccia. Co. non ci verrò, se questo capo
   Di lasciarci credessi. Sa. hor sù veggiamo
   Chi di noi ha più forte, e più tenace,
   Tu il collo, od io le braccia. tu ci metti
   Le mani? nè con questo anco potrai
   Difenderti, perversa. Co. hor’il vedremo.
   Sat.Sì certo. Co. Tira ben satiro, à dio,
   Fiaccati il collo. Sa. oime dolente, ahi lasso
   Oime il capo, oime il fianco, oime la schiena
   O che fiera caduta. à pena i’ posso
   Movermi, e rilevarmene. è pur vero
   Ch’ella sen fugga, e qui rimanga il teschio?
   Oh maraviglia inusitata; ò Ninfe

   O pastori accorrete, e rimirate
   Il magico stupor di chi se’n fugge,
   E vive senza capo. come è lieve,
   Quanto hà poco cervello. e come il sangue
   Fuor non ne spiccia? ma che miro? ò sciocco,
   O mentecatto. senza capo lei?
   Senza capo sè tu. chi vide mai
   Huom di te più schernito? Hor mira s’ella
   Hà saputo fuggir, quando tu meglio
   La pensavi tener? perfida maga
   Non ti bastava haver mentito il core,
   E ’l volto, e le parole, e ’l riso, e ’l guardo,
   S’anco il crin non mentivi? ecco poeti,
   Questo è l’oro nativo, e l’ambra pura
   Che pazzamente voi lodate. homai
   Arrossite insensati, e ricantando,
   Vostro soggetto in quella vece sia
   L’arte d’una impurissima, e malvagia
   Incantatrice, che i sepolcri spoglia,
   E dai fracidi teschi il crin furando,
   Al suo l’intesse, e così ben l’asconde,
   Che v’ha fatto lodar quel, che abhorrire
   Dovevate assai più, che di Megera
   Le viperine, e mostruose chiome.
   Amanti hor non son questi i vostri nodi?
   Mirate, e vergognatevi meschini.
   E se come voi dite, i vostri cori
   Son pur quì ritenuti, homai ciascuno
   Potrà senza sospir, e senza pianto

   Ricoverar il suo. Ma che più tardo
   A publicar le sue vergogne? Certo
   Non fù mai sì famosa, nè sì chiara
   La chioma ch’è la sù con tante stelle
   Ornamento del ciel, come fie questa
   Per la mia lingua, e molto più colei
   Che la portava, eternamente infame.


                    CHORO


   
E
H ben fu di colei grave l’errore,

   (Cagion del nostro male)
   Che le leggi santissime d’Amore,
   Di fè mancando, offese:
   Poscia ch’indi s’accese
   De gli immortali Dei l’ira mortale,
   Che per lagrime, e sangue
   Di tante alme innocenti ancor non langue.
   Così la fè d’ogni virtù radice,
   E d’ogn’alma ben nata unico fregio
   La sù si tien’in pregio.
   Cosi di farci amanti, onde felice
   Si fà nostra natura,
   L’eterno amante ha cura.
   Ciechi mortali voi che tanta sete
   Di possedere havete,
   L’urna amata guardando

   D’un cadavero d’òr, quasi nud’ombra,
   Che vada intorno al suo sepolcro errando;
   Qual amore, ò vaghezza
   D’una morta bellezza il cor v’ingombra?
   Le ricchezze, e i tesori
   Son insensati amori. il vero, e vivo
   Amor de l’alma, è l’Alma: ogn’altro oggetto,
   Perche d’amare è privo
   Degno non è de l’amoroso affetto.
   L’anima perche sola è riamante,
   Sola è degna d’amor, degna d’amante.
   Ben è soave cosa
   Quel bacio, che si prende
   Da una vermiglia, e delicata rosa
   Di bella guancia. e pur chi ’l vero intende,
   Com’intendete vui
   Avventurosi amanti che ’l provate;
   Dirà che quello è morto bacio, à cui
   La baciata beltà bacio non rende.
   Ma i colpi di due labbra innamorate,
   Quando à ferir si và bocca con bocca,
   E ch’in un punto scocca
   Amor con soavissima vendetta
   L’una, e l’altra saetta;
   Son veri baci, ove con giuste voglie
   Tanto si dona altrui, quanto si toglie.
   Baci pur bocca curiosa. e scaltra
   O seno, ò fronte, ò mano; unqua non fia
   Che parte alcuna in bella donna baci,

   Che baciatrice sia,
   Se non la bocca: ove l’un’alma, e l’altra
   Corre, si bacia anch’ella, e con vivaci
   Spiriti pellegrini
   Da vita al bel tesoro
   De’ bacianti rubini:
   Sì che parlan tra loro
   Quegli animati, e spiritosi baci.
   Gran cose in picciol suono,
   E segreti dolcissimi, che sono
   A lor solo palesi, altrui celati.
   Tal gioia amando prova, anzi tal vita
   alma con alma unita:
   E son come d’amor baci baciati
   Gli incontri di duo cori amanti amati.



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