< Il tulipano nero < Parte seconda
Questo testo è stato riletto e controllato.
Alexandre Dumas - Il tulipano nero (1850)
Traduzione dal francese di Giovanni Chiarini (1851)
II - L'amante di Rosa.
Parte seconda - I Parte seconda - III

II


L’amante di Rosa.


Rosa aveva appena rivolte queste parole di consolazione a Cornelio che s’intese per le scale una voce, che dimandava a Grifo come la fosse andata.

— Babbo mio, non sentite?

— Chi?

— Il signor Giacobbe vi chiama; l’è inquieto.

— Si è fatto tanto fracasso, che sarebbesi detto che questo sapiente mi assassinasse. Ah! si passa sempre qualche guaio con i sapienti!

Poi accennando col dito la scala a Rosa, soggiunse:

— Andate avanti, signorina!

E chiudendo la porta, si affrettava dicendo:

— Son da voi, amico Giacobbe.

E Grifo era escito con Rosa, lasciando nella sua solitudine e nel suo amaro dolore il povero Cornelio che mormorava:

— Oh? tu m’hai assassinato, o vecchio boia; non gli posso sopravvivere!

E difatti il povero prigioniero sarebbesi ammalato senza il contrappeso, cui la Provvidenza aveva messo alla di lui vita, e che chiavamasi Rosa.

La giovinetta tornò alla sera.

La sua prima parola fu per annunziare a Cornelio che ormai suo padre non sarebbesi più opposto che egli coltivasse fiori.

— E come lo sapete? disse il prigioniero di un aria trista alla giovinetta.

— Lo so perchè l’ha detto.

— Forse per ingannarmi?

— No, è pentito.

— Oh! sì, ma troppo tardi.

— È pentimento non suo.

— Come dunque si è pentito?

— Se voi sapeste, come lo sgrida il suo amico!

— Ah! il signor Giacobbe; dunque non vi lascia il signor Giacobbe?

— In ogni caso meno che può.

E sorrise di tale una maniera che la nuvoletta di gelosia, che aveva appannata la fronte di Cornelio, dileguossi.

— Come l’è andata? domandò il prigioniero.

— Come l’è andata? interrogato mio padre dal suo amico a pranzo, ha raccontato la storia del tulipano, o piuttosto del tallo, e il bello sperimento che aveva egli fatto pestandolo.

Cornelio cacciò un sospiro che aveva più faccia di gemito.

— Se voi aveste visto in quel momento messer Giacobbe! continuò Rosa. In verità, ho creduto che volesse dar fuoco alla fortezza; i suoi occhi erano due carboni ardenti, i suoi capelli irti, le sue pugna strette; un momento ho creduto che volesse strozzare mio padre. — Egli gridò «Avete fatto questo! avete pestato il tallo? — Già» rispose mio padre. — «Gli è infame! continuò egli, gli è vergognoso! Questo è un delitto, urlò Giacobbe, un delitto che avete commesso! — Mio padre restò stupefatto, e domandò al suo amico: «E che sì che siete impazzato? —

— Oh! che uomo degno che è cotesto Giacobbe, mormorò Cornelio; è un cuore schietto, un’anima eletta.

— Il fatto sta che gli è impossibile trattare un uomo più duramente di quello che egli abbia trattato mio padre, soggiunse Rosa; egli mostrava un vero dispiacere, e ripeteva senza tregua: «Calpestato! il tallo calpestato! o mio Dio, mio Dio, calpestato! — Poi volgendosi a me domandò: — Ma non sarà il solo che egli abbia?

— Ha domandato questo? interruppe Cornelio prestando attento le orecchie.

— Voi credete che non fosse il solo che egli abbia, disse mio padre. Bene, si cercheranno gli altri. — Voi cercherete gli altri! esclamò Giacobbe, prendendo mio padre alla pistagna; ma lasciollo subito. Poi volgendosi verso me, domandò: — E che ha detto il povero giovine?

«Io non sapeva cosa rispondere, avendomi voi forte raccomandato di non lasciar trapelare l’interesse che avete per questi talli. Fortunatamente mio padre cavommi d’imbarazzo.

— Che cosa ha egli detto? Fa la bava dalla bocca.

«Io l’interruppi: Come non andar per le furie, essendo voi stato così ingiusto e brutale.

— «Ohè! sei pazza ancor tu? esclamò mio padre alla sua volta; che gran disgrazia lo spiaccicare una cipolletta di tulipano! Se ne hanno a centinaia per un fiorino al mercato di Gorcum.

— «Ma non mai pregevole quanto quello, mi spiace rispondervi.

— E Giacobbe a queste parole? domandò Cornelio.

— A queste parole, io debbo dirlo, mi parve che il suo occhio gettasse un lampo.

— Sì, fece Cornelio, ciò non fu tutto: profferì parola?

— «Così dunque, o bella Rosa, diss’egli con voce melata, credete quella cipolletta preziosa?

— Mi accorsi aver fatto uno strafalcione, e risposi non curante: «Che so io? Che m’intend’io di tulipani. Io so solamente dacchè, ahimè! siamo condannati a vivere con i prigionieri, io so che per i prigionieri ogni passatempo ha il suo pregio. Questo povero Van Baerle sollevavasi con quella cipolletta; e dico perciò che bisogna essere ben crudele per togliergli un tale divertimento.

— «Ma in primis, riflettè mio padre, come s’è egli procurata quella cipolletta? Ecco ciò che sarebbe buono a sapersi, mi pare.

«Torsi altrove lo sguardo per evitare l’incontro di quello di mio padre; ma incontrai gli occhi di Giacobbe.

«Sarebbesi detto che egli volesse perseguitare il mio pensiero fino nel fondo del mio cuore.

«Un movimento di mal’umore dispensa talvolta da una risposta. Io feci una spallata, un giro a sinistra e un passo verso la porta.

«Ma fui fermata da una parola, che per quanto pronunziata sotto voce, io la presi a volo.

«Giacobbe aveva detto a mio padre:

— «Perbacco! non è tra gl’impossibili l’assicurarsene!

— «E come?

— «Frugando; e s’egli abbia altri talli, li troveremo, perchè ordinariamente se ne tengon tre.

— Se ne tengono tre! esclamò Cornelio. Ha detto che io avevo tre talli?

— Capite bene, che il detto mi sorprese come ha sorpreso voi. Mi rivolsi.

«Gli erano così occupati che non si accorsero della mia mossa.

— «Ma, disse mio padre, le sue cipollette, non le ha forse in dosso.

— «Allora sotto un qualsiasi pretesto fatelo scendere; e intanto io frugherò la sua stanza.

— Oh! oh! fece Cornelio. Gli è uno scellerato cotesto vostro Giacobbe.

— Ne ho paura.

— Ditemi, o Rosa, continuò Cornelio tutto, pensieroso.

— Che?

— Non mi raccontaste, che il giorno che preparavi la vostra casella, vi aveva costui seguito?

— Sì.

— Che si strisciò come un’ombra dietro i sambuchi?

— Davvero.

— Che pareva contasse ogni zappata?

— Ad una ad una.

— Rosa! disse Cornelio impallidito.

— Ebbene!

— Non seguiva voi.

— Chi dunque?

— Non è amante di voi.

— E allora di chi?

— Ei segue il mio tallo: gli è invaghito del mio tulipano.

— Ah! potrebbe anche darsi! esclamò Rosa.

— Volete assicurarvene?

— In qual modo?

— Oh! l’è cosa ben facile.

— Parlate!

— Dimani andate al giardino; silenziosa come la prima volta, onde Giacobbe non sappia che vi andate; silenziosa come la prima volta, facendo le viste di non vederlo; figurate di sotterrare il tallo, escite dal giardino, ma osservate dal fessolino della porta, e vedrete che cosa sia egli per fare.

— Bene! Ma poi?

— Poi? Come opererà, noi opereremo.

— Ah! disse Rosa sospirando, amate ben molto la vostra cipolletta, o signor Cornelio.

— Il fatto stà, disse il prigioniero con un sospiro, dacchè vostro padre ha calpestato quell’infelice tallo, parmi che una porzione della mia vita sia paralizzata.

— Vediamo! disse Rosa, volete fare ancora qualche altra prova?

— Quale!

— Volete accettare l’offerta di mio padre?

— Quale offerta?

— Di cipollette di tulipani a centinaia.

— È vero.

— Accettatene due o tre, e tra queste due o tre cipollette potrete allevare il terzo tallo.

— Sì, l’anderebbe bene, disse Cornelio aggrottando le ciglia, se vostro padre fosse solo; ma c’è un altro, quel signor Giacobbe, che ci spia.

— Ah! l’è vero; però, riflettiamo: vi private così di una gran distrazione.

Ella pronunziò queste parole con un certo sorriso che non era del tutto esente dalla ironia.

Infatti Cornelio pensò per un momento: gli era facile vedere che egli lottava cor un gran desiderio.

— Ebbene, no, esclamò egli con uno stoicismo proprio all’antica, no, sarebbe dabbenaggine, sarebbe una pazzia, sarebbe una vigliaccheria! Se io dessi in balia a tutte le perverse vicende della collera e della invidia l’ultima risorsa che ci rimane, sarei un uomo indegno di perdono. No! Rosa, no! dimani risolveremo sul conto del vostro tulipano; lo coltiverete secondo le mie istruzioni; e quanto al terzo tallo, — Cornelio sospirò profondamente, — quanto al terzo, custoditelo nel vostro armario! custoditelo come l’avaro custodisce la sua prima o la sua ultima moneta d’oro; come la madre custodisce il suo figlio; come il ferito custodisce la sua ultima goccia di sangue nelle sue vene; conservatelo, o Rosa! Un non so che dicemi che lì sta la nostra salvezza, la ricchezza nostra! Custoditelo! e se il fulmine cadesse su Loevestein, giuratemi, o Rosa che invece delle vostre gioie, de’ vostri anelli, della vostra bella scuffiettina d’oro, che così bene incornicia il vostro viso, giuratemi, o Rosa, che voi salverete quell’ultimo tallo, che racchiude il mio tulipano nero.

— State tranquillo, signor Cornelio, disse Rosa con una dolce mistura di tristezza e di solennità state tranquillo; i vostri desiderii sono per me comandi.

— E medesimamente, continuò il giovine infervorandosi sempre di più, se vi accorgeste d’essere seguita, i vostri passi esplorati, le vostre conversazioni prese in sospetto da vostro padre e da quell’orribile Giacobbe che io detesto; ebbene! o Rosa, sacrificate me sull’istante, me che più non vivo che per voi, che più non ho al mondo che voi, sacrificatemi, e non vedetemi più mai.

Rosa si sentì serrare il cuore, e spuntarono su i suoi occhi le lacrime.

— Ahimè! sospirò ella.

— Che? dimandò Cornelio.

— Vedo una cosa.

— Che vedete?

— Vedo, disse la giovinetta singhiozzando, vado che amate tanto i tulipani, che non resta posto nel vostro cuore per un altro affetto.

E se ne fuggì.

Cornelio passò la serata dopo la partenza della giovinetta, e una delle più cattive nottate che avesse mai passato.

Rosa era scorrucciata contro di lui e aveva ragione.

Ella forse non ritornerebbe più a vedere il prigioniero, non avrebbe più nuova nè di Rosa nè de’ suoi tulipani.

Ora, come spiegheremo noi il bizzarro carattere dei veri tulipanieri tali quali esistono ancora nel mondo?

Lo confessiamo a smacco del nostro eroe e della orticultura, de’ suoi due amori, quello che Cornelio sentivasi più inclinato a rigettare, l’era l’amor di Rosa; e allorquando verso le tre di mattina addormentossi sfinito dalla stanchezza, bersagliato dal timore, compunto dai rimorsi, il gran tulipano nero cedè il primo posto ne’ suoi sogni agli occhi turchini così dolci della bionda Frisona.


Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.