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I.
SVENTRARE NAPOLI.
Efficace la frase. Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, poichè voi siete il governo e il governo deve saper tutto. Non sono fatte pel governo, certamente, le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto, delle signore belle e dei vapori violetti del tramonto: tutta questa rettorichetta a base di golfo e di colline fiorite, di cui noi abbiamo già fatto e oggi continuiamo a fare ammenda onorevole, inginocchiati umilmente innanzi alla patria che soffre; tutta questa minuta e facile letteratura frammentaria, serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata con racconti di miserie. Ma il governo doveva sapere l’altra parte: il governo a cui arriva la statistica della mortalità e quella dei delitti; il governo a cui arrivano i rapporti dei prefetti, dei questori, degli ispettori di polizia, dei delegati; il governo a cui arrivano i rapporti dei direttori delle carceri; il governo che sa tutto: quanta carne si consuma in un giorno e quanto vino si beve in un anno, in un paese; quante femmine disgraziate, diciamo così, vi esistano, e quanti ammoniti siano i loro amanti di cuore; quanti mendichi non possono entrare nelle opere pie e quanti vagabondi dormono in istrada la notte; quanti nullatenenti e quanti commercianti vi siano; quanto rende il dazio consumo, quanto la fondiaria, per quanto s’impegni al Monte di Pietà e quanto renda il lotto. Questa altra parte, questo ventre di Napoli, se non lo conosce il governo, chi lo deve conoscere? E se non servono a dirvi tutto, a che sono buoni tutti questi impiegati alti e bassi, a che questo immenso ingranaggio burocratico che ci costa tanto? E, se voi non siete la intelligenza suprema del paese che tutto conosce e a tutto provvede, perchè siete ministro?
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Vi avranno fatto vedere una, due, tre strade dei quartieri bassi e ne avete avuto orrore. Ma non avete visto tutto; i napoletani istessi che vi conducevano, non conoscono tutti i quartieri bassi. La via dei Mercanti l’avete percorsa tutta? Sarà larga dieci palmi, tanto che le carrozze non ci possono passare, ed è sinuosa, si torce come un budello: le case altissime la immergono, durante le più belle giornate, in una luce scialba e morta: nel mezzo della via il ruscello è nero, fetido, non si muove, impantanato: è fatto di liscivia e di saponata lurida, di acqua di maccheroni e di acqua di minestra, una miscela fetente che imputridisce. In quella strada dei Mercanti, che è una delle principali del quartiere Porto, c’è di tutto: botteghe oscure, dove si agitano delle ombre, a vendere di tutto, agenzie di pegni, banchi lotto; e ogni tanto un portoncino nero, ogni tanto un angiporto fangoso, ogni tanto un friggitore, da cui esce il fetore dell’olio cattivo, ogni tanto un salumaio, dalla cui bottega esce un puzzo di formaggio che fermenta e di lardo fradicio.
Da questa via partono tante altre viottole che portano i nomi delle arti: la Zabatteria, i Coltellari, gli Spadari, i Taffettanari, i Materassari, e via di seguito. Sono — questa è la sola differenza — molto più strette dei Mercanti, ma egualmente sporche e oscure; e ognuna puzza in un modo diverso: di cuoio vecchio, di piombo fuso, di acido nitrico, di acido solforico.
Varie strade conducono dall’alto al quartiere Porto: sono ripidissime, strette, mal selciate. La via di Mezzocannone è popolata tutta di tintori: in fondo a ogni bottega bruna arde un fuoco vivo sotto una grossa caldaia nera, dove degli uomini seminudi agitano una miscela fumante; sulla porta si asciugano dei cenci rossi e violetti; sulle selci disgiunte cola sempre una feccia di tintura multicolore. Un’altra strada, le cosidette Gradelle di santa Barbara, ha anche la sua originalità: da una parte e dall’altra abitano femmine disgraziate, che ne hanno fatto un loro dominio, e per ozio di infelici disoccupate nel giorno o per cupo odio contro l’uomo, buttano dalla finestra, su chi passa, buccie di fichi, di cocomero, spazzatura, torsoli di spighe: e tutto resta su questi gradini, così che la gente pulita non osa passarvi più. Vi è un’altra strada, che, dietro l’educandato di San Marcellino, conduce a Portanova, dove i Mercanti finiscono e cominciano i Lanzieri: veramente, non è una strada, è un angiporto, una specie di canale nero, che passa sotto due archi e dove pare raccolta tutta la immondizia di un villaggio sudicio. Ivi, a un certo punto, non si può procedere oltre: il terreno è lubrico e lo stomaco spasima.
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In sezione Vicaria, ci siete stato?
Sopra tutte le strade che la traversano, una sola è pulita, la via del Duomo: tutte le altre sono la rappresentazione della vera vecchia Napoli affogata, bruna, con le case puntellate, che cadono per vecchiaia. Vi è un vicolo del Sole, detto così perchè il sole non vi entra mai; vi è un vico del Settimo cielo, appunto per l’altitudine di una strisciolina di cielo, che apparisce fra le altissime e antiche case. Attorno alla piazzetta dei SS. Apostoli vi sono tre o quattro stradette: Grotta della Marra, Santa Maria a Vertecoeli, vicolo della Campana, dove vive una popolazione magra e pallida, appestata dalla fabbrica del tabacco che è lì, appestata dalla propria sudiceria; e tutti i dintorni del tribunale, di questa grande e storica Vicaria, sembrano proprio il suo ambiente, vale a dire un putridume materiale e morale, su cui sorga l’estremo portato di questa società povera e necessariamente corrotta: la galera.
La sezione Mercato? Ah già! quella storica, dove Masaniello ha fatto la rivoluzione, dove hanno tagliato il capo a Corradino di Svevia: sì, sì, ne hanno parlato drammaturghi e poeti. Se ne traversa un lembo, venendo in carrozza, dalla ferrovia, ma si esce subito alla Marina. Al diavolo la poesia e il dramma! In sezione Mercato, niuna strada è pulita; pare che da anni non ci passi mai lo scopino; ed è forse la sudiceria di un giorno.
Ivi è il Lavinaio, la grande fonte dove si lavano tutti i cenci luridi della vecchia e povera Napoli: il Lavinaio, che è il grande ruscello dove la sporcizia viene a detergersi, superficialmente, tanto che per insultare bonariamente un napoletano sul proprio napoletanismo, gli si dice: — Sei proprio del Lavinaio. Nella sezione Mercato, vi sono i sette vicoli della Duchesca, in uno dei quali, ho letto in un dispaccio, vi sono stati in un’ora trenta casi; vi è il vicolo del Cavalcatoio; vi è il vicolo di Sant’Arcangelo a Baiano. Io sono donna e non posso dirvi che siano queste strade, poichè ivi l’abbiezione diventa così profonda, così miseranda, la natura umana si degrada talmente, che vengono alla faccia le fiamme della vergogna.
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Sventrare Napoli? Credete che basterà? Vi lusingate che basteranno tre o quattro strade attraverso i quartieri popolari, per salvarli? Vedrete, vedrete, quando gli studî, per questa santa opera di redenzione, saranno compiuti, quale verità fulgidissima risulterà: bisogna rifare.
Voi non potrete sicuramente lasciare in piedi le case che sono lesionate dalla umidità; dove al pianterreno vi è il fango e all’ultimo piano si brucia nell’estate e si gela nell’inverno; dove le scale sono ricettacoli di sudicerie; nei cui pozzi, da cui si attinge l’acqua così penosamente, vanno a cadere tutti i rifiuti umani e tutti gli animali morti; che hanno tutte un pot-houille, una cosidetta vinella, una corticina interna in cui le serve buttano tutto; il cui sistema di latrine, quando ci sono, resiste a qualunque disinfezione.
Voi non potrete lasciare in piedi le case, nelle cui piccole stanze sono agglomerate mai meno di quattro persone, dove vivono galline e piccioni, gatti sfiancati e cani lebbrosi; case in cui si cucina in uno stambugio, si mangia nella stanza da letto e si muore nella medesima stanza dove altri dormono e mangiano; case i cui sottoscala, pure abitati da gente umana, rassomigliano agli antichi, ora aboliti, criminali della Vicaria, sotto il livello del suolo.
Voi non potrete sicuramente lasciare in piedi i cavalcavia che congiungono le case; nè quelle ignobili costruzioni di legno che si sospendono a certe muraglie di case, nè quei portoncini angusti, nè quei vicoli ciechi, nè quegli angiporti, nè quei supportici; voi non potrete lasciare in piedi i fondaci.
Voi non potrete lasciare in piedi certe case dove al primo piano è un’agenzia di pegni, al secondo si affittano camere a studenti, al terzo si fabbricano fuochi artificiali: certe altre dove al pianterreno vi è un bigliardo, al primo piano un albergo dove si pagano cinque soldi per notte, al secondo una raccolta di poverette, al terzo un deposito di stracci.
Per levare la corruzione materiale e quella morale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente, per insegnar loro come si vive — essi sanno morire, come avete visto — per dir loro che essi sono fratelli nostri, che noi li amiamo efficacemente, che vogliamo salvarli, non basta sventrare Napoli: bisogna in gran parte rifarla.