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Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Franco Sacchetti


IN RIPRENSIONE AGLI ITALIANI


     In ogni parte dove virtù manca
Mancar dè’ tosto ogni terrena possa
E venir quella a doloroso fine.
Se Nino e gli altri tennon Siria franca,
5Regnò virtù; fin che l’ebbe rimossa
Sardanapal con vizi e con ruine.
Se Davit tenne tutto il suo confine,
Per gran prudenza amplïando ogni ora;
Così il prudente Salomone ancora
10Mantenne senza vizio tutto regno;
Poi Roboam indegno
Per la superbia a mal fine s’indusse.
Così ancora distrusse
Nabuccodonosore Ieconìa.
15Recando Babilonia in sua balìa:
     Po’ Baldassarre questa per tal suono
Perdëo, quando Ciro gliele tolse
E tirò gli altri in Persia successori.
O quanti re, e qual reo e qual buono,
20Secondo l’opre lor fortuna volse,

In fino a Dario con gli suo’ tesori!
Fidandosi costui ne’ vani errori,
Sconfitto fu da Alessandro Magno,
Il qual di tutto il regno ebbe guadagno.
25Quanti re vinse e quanto regno tenne,
In fin là dove e’ venne
Tanto signore insuperbendo a morte!
Antipatro le sorte
Gli diede del velen con falsi fregi:
30Po’ venne ’l suo sotto diversi regi.
     E non vivendo essi con virtute,
Tolta loro Antïochia dai Romani,
Po’ Siria e tutto ciò ch’avìen perdero.
Quant’ebbe Roma tempo di salute,
35Dimanda Macedòni ed Affricani
Per l’universo e ciascheduno impero.
Mentre che crebbe quel Comune altero,
Fu sempre di virtù capo e colonna;
Tanto che la sua madre fu tal donna
40Che ’l mondo quasi avea nelle sue braccia.
Poi, come volse faccia
E ’l vizio crebbe e la virtù fu vinta,
Sua forza ebbe la pinta:
Ed è rimasa, come ciascun vede,
45De’ padri antichi sua cattiva erede.
     Non dee dunque alcun vivere ignorante,
O vuol re o signore, o vuol Comune;
Chè per Comune dico ciò ch’io parlo.
O vago sito! o figliuol d’Atalante
50Che desti il nome al loco ove ciascune
Strane nazione vollono onorarlo!
O primo Iano! qual maligno tarlo
Ha le tue porte sì rose e diserte,
Che sempre son per rimanere aperte?
55O fumo, o vento, o fior di spinosa erba!
O abitazion superba,
Che mai non vuo’ veder maggior nè pare!
Ciascun signoreggiare
L’un l’altro cerca, sicchè in ogni terra
60Pace non è, ma divisioni e guerra.

     Fece la terra ’l re dell’universo
Sì grande e ’l mar, che ’n fra sì lungo telo
Può solo star chi vuol senza contese:
Ancor, per racquistar chi era perso,
65In terra oscura dello ’mpirio cielo,
E per dar pace a tutti, giù discese;
Po’ nostra carne con deïtà prese
Ed immortal volle venire a morte.
Ingrata turba, non pensi a tal sorte?
70Nè gustar vuoi omai che cosa è pace?
Non vedi dove e’ giace?
Che la barbara gente Italia corre,
Con disfare e con tôrre
Ad onta delle terre e delle ville,
75Dove per un ne fuggon più di mille.
     Ben mostra assempro la romana seggia
In cui si debbon conservar le chiavi,
Che è divisa e combatte alla larga;
E per seguire al mal la real greggia,
80Non spegne ma sostien questi error pravi
Con cose ingiuste ond’eresìa si sparga.
Solea correr la loro lancia e targa
Tra gl’infedeli e contro a’ vizi altrui:
Or seguon la malvagia lupa a cui
85Non sazia mai tesor nè ben terreno,
Con ferro e con veleno
Pigliando le vestigia dei tiranni,
Che con mortali inganni
Cercan di viver sol per aver tutto,
90Ed ogni amor fraterno sia distrutto.
     Quant’è maggior signor, tant’è più servo;
E di quanti è signor tanti ha a servire;
E chi men signoreggia è men servente.
A che sta dunque nostro animo servo,
95Scender volendo, credendo salire,
E sempre viver sospettosamente?
Chi ben pensasse a questo dir presente,
Vorrebbe anzi che regger esser retto.
O misero, o crudele, o cieco affetto.
100Che con invidia e ira sempre attendi!

Le teologiche offendi,
Le cardinali, e chi ma’ legge feo,
Minos e Foroneo,
Mercurïo Solon Licurgo e Numa,
105lustinïano, ed ogni lor costuma.
     Se ciascheduno il passato vïaggio
Il presente e ’l futuro riguardasse,
Siccome per ragion doverìa farsi;
Il vizïoso, virtüoso e saggio
110Tosto sarìa: e se ciascuno amasse
La patria sua sanza gli effetti scarsi,
Potrebbe ancora Italia riposarsi.
Ma odio giovinezza e ’l proprio acquisto
Non se ne cura se ’l paese è tristo;
115Nessun vorrìa per sè quel ch’altrui dona;
L’offensa non perdona.
Acceso è questo foco in ogni parte
E per setta e per parte.
E mille essempri son; ma un da sezzo
120Non ci rimuove, che ’l dimostra Arezzo.
     Canzon, non vuo’ dir più; che ’l tempo è breve,
E ’l caso affretta andar dove e’ bisogna:
Va’, e desta chi sogna:
Perchè non può fallire ’l suon ch’è dato.
125Ch’ogni regno diviso è disolato.


(Dal Saggio di Rime di diversi buoni autori dal XIV al XVIII secolo, pubblicato in Firenze nel 1825 dall’abate Rigoli, che trasse questa Canzone dal cod. magliab. 40, plut. II.)

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