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Questo testo fa parte della raccolta Opere (Berchet)/Scritti critici e letterari


XI

intorno all’«Origine delle lettere» del Roscoe1

L’eloquenza di Gian Giacomo Rousseau non bastò a persuadere all’Europa che le lettere fossero dannose all’umana societá. Nel discorso del ginevrino i popoli vollero ravvisare piú la bizzarria del paradosso che l’animo dell’oratore, e salvarono cosí il rispetto dovuto a quell’uomo singolare. Senza entrare a discutere una quistione puramente speculativa, che non condurrebbe ad alcuna utilitá pratica, chi considera l’attuale nostra civiltá, e non è stolido o perfido, vedrá essere dover suo il contribuire quel tanto che egli può al miglioramento della coltura pubblica, ed il combattere sempre piú la tristezza di quei pochi che vorrebbero far della sapienza un monopolio e tener nella ignoranza il prossimo, onde non trovar contrasti a’ lor maligni disegni. Noi siamo ora in tale condizione, che il retrocedere in fatto di studi, e non giá il progredire, ci trarrebbe in precipizio. E però, seguendo l’intendimento de’ buoni, suggeriamo con ingenua persuasione agl’italiani di leggere il discorso fatto dal signor Guglielmo Roscoe all’Instituto reale di Liverpool; discorso che appunto è indirizzato a raccomandare la propagazione de’ lumi in tutte le classi de’ cittadini, siccome mezzo di prosperitá nazionale.

Il nome del signor Roscoe dovrebbe, pare a noi, suonar caro all’anima d’ogni italiano quanto quello d’un nostro compatriota. Qualunque sieno le macchie che una critica imparziale possa scorgere nella Storia di Lorenzo il Magnifico ed in quella di Leone decimo, nessun italiano di coscienza gentile può negare una testimonianza di gratitudine all’amore con cui il signor Roscoe, riparando all’inerzia de’ nostri dotti, tolse a’ misteri delle biblioteche e degli archivi e trasse in nuova luce innanzi all’universale de’ lettori tante memorie della grandezza italiana.

Se l’espressione dell’amor patrio consistesse, siccome vorrebbero certi superstiziosi, nel far brutto viso a chiunque non nacque dentro una delle periferie de’ nostri municípi, noi dovremmo, come italiani che siamo, rinunziare altresí a riconoscere per nostro concittadino l’autore della storia delle nostre repubbliche. Ma, grazie a Dio, il vero amor della patria è tutt’altra cosa; ed il signor Sismondi, come illustratore dei fasti dell’Italia, vivrá sempre nella piena riconoscenza dei veri italiani. E di siffatta riconoscenza avrá la sua parte, benché in proporzione minore, anche il signor Roscoe.

Il tema scelto a trattare dal signor Roscoe nel discorso che oggi annunziamo è assai vasto. Egli si propone nientemeno che d’investigare le cagioni dell’origine e de’ progressi delle scienze, delle lettere e delle arti, di riandare le vicissitudini ch’esse incontrarono, e di mostrare quanta relazione abbiano co’ piú importanti accidenti della vita individuale e quanta influenza sulla felicitá generale de’ popoli. L’intenzione massima del suo discorso è santissima. Egli vorrebbe condurre gli uomini ad un grado eminente di virtú civile e di prosperitá domestica mediante un esercizio maggiore delle loro facoltá intellettuali. Le massime filosofiche, i raziocini, gli esempi dimostrativi sparsi nel discorso sono tali da manifestar sempre l’onestá sincera dell’oratore. E soprattutto ne pare altamente sentito quel lungo passo ov’egli dimostra che de’ progressi delle lettere e delle arti due precipue cagioni sono l’attivitá individuale e la libertá civile.

Questo argomento della libertá civile per rispetto alle lettere sembra essere il favorito dell’autore. A noi italiani per altro non riesce nuovo, da che l’Alfieri lo trattò piú ampiamente nella migliore delle sue prose. Se non che il signor Roscoe, avvicinandosi co’ suoi princípi astratti qualche linea di piú al concreto, e volgendo la sua mira alla condizione vera ed attuale de’ popoli d’Europa, stabilisce come assioma che il libero esercizio delle forze intellettuali non è creduto mai pericoloso da que’ governi, i quali, qualunque sia la loro forma nominale, sanno d’essere forti della opinione pubblica.

Ma, lodando noi l’intenzione generale del discorso del signor Roscoe e proponendone come utile la lettura, non intendiamo di dire che il merito di esso sia in ogni parte esimio. O sia perché la brevitá de’ confini assegnati ad una orazione accademica non bastassero all’ampiezza dell’argomento, o sia perché il signor Roscoe proporzionasse la sua dialettica ad una udienza forse intollerante di severe meditazioni, nel discorso di lui ci parve di trovare qua e lá alcuni tratti di certa superficiale declamazione, che non contenta pienamente il pensatore.

Non gli faremo giá accusa d’essersi giovato d’un solo scherno brevissimo onde distruggere l’errore di coloro che ascrivono onninamente ai climi ed alle situazioni locali il prosperar delle lettere; poiché un solo sguardo alla storia convince chiunque che la fortuna di esse non fu confinata sempre dentro certi gradi determinati di latitudine geografica. Cosí parimente, allorché egli combatte la ridicola opinione di coloro che, con lamento ripetuto da generazione in generazione, piangono il continuo deterioramento della specie umana, se poche armi bastano a lui per farlo vittorioso di cosí inetti avversari, fu cortesia la sua di non adoperarne molte.

Ma quando con piú rispettoso contegno egli scende poco dopo ad affrontarsi con chi predica il progressivo perfezionamento umano, gli argomenti che oppone loro non ci sembrano troppo persuasivi. Egli li ricava dalle storie parziali dei popoli; e vorrebbe persuaderci che questi progressi non esistono, da che i greci ed i romani d’oggidí non sono piú i greci ed i romani di Pericle e d’Augusto. Ma, se ci è lecito di contraddire, risponderemo al signor Roscoe che la specie umana va presa in totale, e che se Roma non è piú la Roma di un tempo, l’universo presente non è piú il barbaro universo di venti secoli fa. D’altronde la perfettibilitá sostenuta da’ moderni filosofi non è quella speciale d’una o d’altra arte, ma bensì la perfettibilitá generale dello spirito umano, alla quale siamo debitori de’ successivi miglioramenti della civilizzazione. Ed il signor Roscoe, col portare in mezzo esempi del decadimento d’alcun’arte onde distruggere l’opinione della perfettibilitá del pensiero, mostra di non volere intender bene la quistione e di pigliar la parte per il tutto.

Piú ancora: se i lumi talvolta non progrediscono in ragione d’aumento, progrediscono in ragione di diffusione; il che, a modo d’esempio, accade ora in alcune parti d’Europa. Ma neppure a questo volle por mente il signor Roscoe; sicché pare a noi che, s’egli, piuttosto che toccarla troppo leggermente, avesse schivata affatto questa disputa, non sarebbe stato male.

Dettate per lo contrario dallo schietto sentimento della veritá crediamo le ultime pagine del discorso, ove sono enumerati tutti i vantaggi derivanti ad un popolo dalla coltura delle scienze, delle lettere e delle arti. E se a qualche rigoroso zelatore della dignitá degli studi spiacesse forse di veder messi in mostra dall’autore non solamente i vantaggi morali, ma con lunghe parole anche i vantaggi pecuniari, noi lo pregheremmo di considerare che anche questi non vogliono essere trascurati, perché non poco concorrono a produrre il bene de’ popoli. E pel signor Roscoe era interessantissima cosa il contemplare gli studi anche da questo lato ed il fermarvisi molto, massime recitando il suo discorso in Liverpool, cittá, come tutti sanno, piena zeppa di mercanti.

Grisostomo.

  1. On the origin and vicissitudes of literature, science and art ecc. ecc.— Dell’origine e delle vicende delle lettere, scienze ed arti, e della loro influenza sullo stato presente della societá. Discorso recitato il 25 novembre 1817, da Guglielmo Roscoe, in occasione dell’apertura dell’Instituto reale di Liverpool. Londra, 1818, presso I. M. Creery.

Note

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