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Alla nova funesta indarno il core
Si ribella gemendo! Ogni speranza
Dilegua innanzi al pauroso vero
Dei compiuti destini. — È morto, è morto
5Agli umani dolori, ai gaudi umani,
Ei che tanti educava incliti sensi
Entro il petto magnanimo. Lo spirto
Tornò rapido al cielo, e il mar ci niega
Perfin la salma che vestì — perfino
10Sul cener suo pregar n’è tolto, come
Dato è pregar sovra ogni estinto!...
Or solo
Di Lui ne resta il nome e il canto... Oh il canto!
Che non poss’io disciorne un che all’altezza
Tocchi di quella mente?... Io vedrei lieta
15Languir dopo la mesta opra lo scarso
Ingegno mio, sol che non fosse impàri
All’arduo incarco che il dolor gl’impone.
Ma qual su tela alcuna, alcun pennello
Non seppe nè saprà ritrar la furia
20Dell’uragan, così l’arte dei carmi
Tutta non può significar l’ambascia
Che l’abbandon d’eletta alma c’ispira.
II.
Egli fu tal, che al disperato pianto
De’ suoi cari dovria mescersi il lutto
25D’Italia intera. D’infecondo amore,
O patria, Ei non t’amò, ma dai prim’anni
Dispettando il servaggio abbominoso,
Libero il carme ti rivolse, e come
Nel fior celasi il frutto, ivi era il germe
30Del poema di Spartaco.— Ed insieme
Alla penna ispirata a te sacrava,
Cara patria, un acciar, quando a tre lustri,
Del Tirreno alle sponde (ove lo trasse
Necessità d’eluder la schernita
35Vigilanza straniera) apprender seppe
Al tedesco invasor, quanto è gagliardo
D’un giovanetto il braccio, allor che il guida
Amor di libertà.
III.
Qual lungo tratto
Di terre e tempo col pensier trasvolo!...
40Uomo or s’è fatto il garzoncello; ha fama
Dì poeta e d’eroe; forse gli appresta
Doppio Italia un allôr, come d’Alceo
E di Körner al crine un dì lo cinsero
Grecia e Lamagna.
Ed Ei la santa ed ardua
45Via seguitando, allor che al più famoso
Italo condottier spontanea accorse
La gioventù fremente, anima e braccio
Consacrò a quell’invitto, e alla conquista
Trasse con Lui delle Comensi vette.
50Ed Ei che legge per virtù d’amore
De’ suoi fidi il pensier, più assai che duce
Gli fu amico e fratello, e d’ogni ardito
Divisamento a consiglier lo elesse.
Con quai tinte veraci e quanto affetto
55Il fervido cantore allor ne pinse
L’amato Capitano, e i lieti Amori
Garibaldini! Entro quei versi spira
Sacro un alito ancor, che le speranze
Italiche ravviva!...
IV.
Han vinto! È nostro
60L’ampio suolo lombardo. ― Oh, ma non tutta
Ancor libera è Italia, e ancor non posa
Il Leon di Varese! All’armi, all’armi!
A Marsala, o animosi!... — E Mille prodi
A quel grido han risposto, e fur bastanti
65All’impresa titanica! — Fra i primi
Del bel numero Egli era, e disfidando
Novi stenti e perigli, ivi mieteva
Novi e splendidi allori. — Ei che le gesta
Dei compagni cantò, perchè ne tacque
70Le glorïose sue?... Modesta, ahi! troppo
Fu quell'anima eletta, e molta parte
Di sua luce ne ascose. — Eppur la fama
A noi narrava come un dì, sul colle
Ch’ebbe nome dal pianto, Ei del suo petto
75Fece al duce immortal valido usbergo
Contro il ferro nemico.
Ahi! che gli valse
Da sì fieri cimenti a’ suoi diletti
Più diletto tornar, se l’attendeva
Pronta, imprevista, orrida morte?... Oh! amara
80Ironia del destin, di quel destino
Che al primo carme e alle parole estreme
Che ci restan di Lui, volle argomento
Il mare, il mar che (perfido ricambio
A tanto amore!) nell’infido grembo
85Gli dischiuse la tomba!... Oh come innanzi
All’evento funesto il cor si stringe
Di dolorosa maraviglia!... Eguale
Maraviglia m’assalse il dì che sovra
L’estremo foglio del volume estremo
90Ch’Ei pubblicò, leggea, siccome tema
Di ventura Canzon, queste parole:
«Partenza per Sicilia» indi interrotti
Punti, e alla fin quel punto che domanda
Una risposta all’avvenire... e l’ebbe!
95Era caso o presagio?... A noi risponda
Quei ch’intese perchè sul breve libro
Dal gran Côrso vergato, a rammentargli
Nomi d’isole e scogli, ultimo il nome
Di Sant’Elena è scritto!...
V.
Un sentimento
100Dolce insieme e crudel, nel dì del lutto
Bramosamente a ricercar ne astringe
Ogni gioia perduta, onde più cara
Ci torni al cor la voluttà del pianto.
Così da tanta ambascia anch’io rivolo
105Ad altri tempi, ad altri luoghi. — I giorni
Concordemente m’abbellian d’un riso
L’amore e l’amistà, chè tu volevi,
O Arnaldo mio; la nostra nuzïale.
Festa compir, traendomi ove spira.
110Più presso al Cielo, aura più pura. Ai monti
Del Friuli ridente, e all’ospitali
Case dei Nievo noi movemmo. Lieto
Ippolito n’accolse, ed ai fratelli
D’incontro ne guidò, come due novi
115E diletti fratelli. Oh! forse ancora
Il vetusto Castel di Colloredo
Rammenta il conversar di quel giocondo
Stuolo d’amici, e gli agguati innocenti
Apparecchiati a festeggiar l’arrivo
120Di caro ospite atteso,1 e quell’assidua
Mite allegria, che si pascea di giuochi
Quasi infantili, perchè impressa d’una
Quasi infantile ingenuità. — Che ameni
Pellegrinaggi si compîr per valli
125E colline ridenti, ove, con gli occhi
Volti al levarsi od al cader del sole,
Talor muti posammo, e in fondo al core
Ne fremea l’agitata onda del verso.
Anco il sole in quei giorni, e l’erbe e i fiori,
130Il riso delle stelle, il volo e il canto
Degli augelletti, e n’appariva tutto
Lassù più bello!...
Ed Ei talvolta, arguto
E sapïente interprete, godea
135Le pie tradizïoni e le leggende
Strane narrarci, da mille anni e mille
Ivi serbate dalla facil fede
Dei semplici pastor. — Ma la mestizia
(Del ver presaga!) che turbò il commiato
140Ultimo nostro, con la speme indarno
Volemmo dissipar d’altri convegni
Pel prossimo avvenire. — O illusi, è questo
L’avvenir che l’improvvido desio
Ciecamente affrettò! ma il fido amico
145Se pur ci attende, ahi! non ci attende in terra.
VI.
Il supremo dolore e la suprema
Gioia mortal, con un sorriso ed una
Lagrima s’appalesano, che nome
Non han qui nè riscontro. È quel sorriso
150Primo che volge al suo novello nato
La madre giovanetta; è quella stilla,
Unica, muta, disperata, ch’Ella
Sparge sulla sua morte. — E Tu, cui madre
Ippolito nomava, oh! tu ben sai
155Se verace è il mio dir! La lunga istoria
Nessun mi disse degli affanni tuoi;
Pur, guardando i miei figli, io l’indovino.
Di tre vispi garzoni, e d’una bella
Pargoletta, il Signor ribenedia
160Il marital tuo nodo; e tu nei figli
Lieta vivevi, e in quell’affetto, in quelle
Cure assidue, infinite, era il tuo mondo,
Il cielo tuo. Sovente inebriata
Dei loro baci, tu sclamavi: «Oh sempre
165Serbar fanciulli io vi potessi! E quale
Qual’altra età sì brevi l’ansie, e tante
Gioie materne mi può dar?... Dal primo
Palpito vostro all’ultimo pensiero
Della mente irrequeta, un giorno adulti,
170Mi direte la fonte?... E a me sia dato
Con un bacio appagar, con un accento
Sempre il vostro desir?... Vegliarvi sempre
Così mi sarà dato?...» — E ratto giunse
Il dì caro e fatale in cui la figlia
175Ti tolse Amore, e i tre garzon ti chiese
La salute d’Italia. Un solo istante
Non esitavi, e te obliando, all’arduo
Dover tuo t’immolasti. E poi che il serto
Nuziale ad Elisa, ai figli il brando
180Di tua mano cingesti, e tutti e quattro
Per vie diverse si partîr, dal petto
Sciogliendo una repressa onda di pianto,
«Dammi (pregasti a Dio), dammi che tutti
Reduci li rivegga, o almeno io prima
185Nella fossa discenda!» — Indarno! il Dio
Ch’esaudirti si piacque allor che ingegno
Tanto, e tanta virtù gli addomandasti
Per quei diletti, non accolse il novo
Tuo prego, o derelitta, e nella parte
190Più cara delle tue viscere aperse
Insanabil ferita. — Eri tu conscia
Del futuro destin, quando di gioia
Ebbra e d’amor, dicevi ai figli: «Oh sempre
Serbar fanciulli io vi potessi?...»
VII.
E un’altra195
Misera donna io so, che al suo morire
Pianse così, come le fosse morta
Ogni speme con Lui. — S’ella mai legga
Queste pagine meste, oh! non la prenda
200Nessun timor che il suo pudico arcano
Al mondo io sveli. La dimora, il nome,
E ignoro fin l’aspetto suo. — Quel breve
Raggio d’amor, ch’Ei m’additò, simìle
Parvemi al raggio di stella cadente,
205Ch’onde venga e si volga è ignoto, e ognuno
Segue con disïoso occhio quel ratto
Apparire e sparir, poscia rimane
Più mesto che non era...
VIII.
E noi nel mondo
210Dunque mai più nol rivedremo! È triste
Ben triste tal pensier, pur non è il solo
Che per esso m’affanna. Infin che l’aure
Vitali Egli spirava, un mutuo senso
D’intima ritrosia dirgli mi tolse
215Che il forte ingegno suo compresi, come
Forse compreso anco nessun l’avea.
Ma dacchè morte col freddo suggello
Vieta che giunga a quell’amato capo
La voce nostra, quei repressi accenti
220Sì mi pesan sul cor, che alfin prorompe
Fatto più santo sul mio labbro il vero.
Sì! vidi impressa in quella vasta fronte
Del Genio crëator l’orma raggiante.
La vita, ahi! gli fallì, prima che intero
225Altrui si rivelasse, e i mille fiori
Di poesia che rivestîr di gloria
Sì precoce il suo nome, eran promessa
D’innumeri e stupende opre, che il germe
Fecondatore in quella infatigata
230Mente avean posto. Arte e scïenza aperti
Molti gli avean splendidi calli, e spinto
Da foga giovanile, Ei discorreva
Da questo a quel, ma inesplorato forse
Quell’un rimase, che immortai n’avrebbe
235Fatto il bel nome!...
IX.
(1867.)
Ippolito, perdona!
Il volume sublime erami ignoto,
Ove del core le battaglie e gli estri
Divini del pensier depositasti.
240Qual saluto e conforto a noi disceso
Per tua pietà da più giocondi cieli,
Queste pagine accolsi, e poi che in esse
Molta luce del tuo fervido ingegno
Trovai riflessa, Ippolito, perdona!
245Meno anche acerba m’apparì la morte
Che immatura ti colse. E a qual poteva
Monumento miglior raccomandarsi
Il tuo nome diletto? Oh dì, fu il voto
Ultimo tuo, ch’ove negasse il fato
250Che la patria redenta un giorno solo
Contemplar non dovessi, almen nel giorno
Della sua libertà pòrto le fosse
Questo dono supremo? — Ecco si compie
Il desio generoso, e in ogni parte
255Della bella contrada, a mille a mille
Palpiteranno i cor dei sacri affetti
Che qui significasti. — Un pio legame
D’amor, di glorie e di dolor, ne stringe
Dall’Alpi al mare. Oh non temer che indarno
260Tanto sangue scorresse! Empi profeti
Vaticinâr ch’anco discorde, e indegna
Della sorte novella, apparir possa
La patria nostra. Oh non temer! Cadranno
Gare, dubbi, ed error sempre dinnanzi
265Alla vostra memoria, o benedetti,
Che moriste per noi! — Vedi?... risponde
Al pianto della tua dovunque il pianto
Delle madri sorelle. Odi?... Siccome
Nella natale, il nome tuo risuona
270Per ogni itala terra. — Oh siam fratelli!
E com’arra d’amor, fraternamente
Stretti così, dell’immortal corona,
Che posar sovra il tuo capo n’è tolto,
Cingiam, commossi, alla Gran Madre il crine.
- ↑ Il compianto Teobaldo Ciconi.