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Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1890

ISABELLA SESSO1




(Tav. VI, N. 2).


Poco nota dentro e fuori d’Italia, ma famosa, per breve tratto, ne’ fasti della città di Vicenza, fu Isabella Michiel di Venezia. Figlia di Benedetto Michiel, che testava nel 1481, e di Maria Pagello di Vicenza, che, morta, aveva sepoltura nel Santuario della Madonna del Berico, entrava con la sorella Bianca, dalla quale dividevasi poi nel 1496, a far parte della famiglia de’ Sesso, un antico casato, tramutatosi da Reggio d’Emilia in Verona e da Verona a’ tempi della Signoria degli Scaligeri in Vicenza. Era il casato stesso, onde usciva l’avola Paola, madre a Benedetto. Bianca v’entrava sposa a Palmiero e Isabella al cugino di lui Giambattista, morto, per quanto è dato congetturare, in età non punto matura. Ma l’origine veneziana e la parentela col Doge Leonardo Mocenigo, marito a una sorella di Benedetto, non la dissuasero dallo sconfessare le parti della sua città natale per favorire, durante la guerra, suscitata da’ Collegati a Cambrai, le sorti dell’Impero2. Narra uno scrittore di cose vicentine, d’accordo, quanto alla sostanza, con lo storico Luigi da Porto3, che Giovanni Gonzaga, costretto a lasciare Vicenza, dove rappresentava il governo dei Confederati, per riparare i primi dell’agosto 1511 a Soave e congiungersi quindi all’esercito, inteso all’assedio di Treviso, commettesse a Isabella l'ufficio di reggere, in sua vece, la città4: ufficio, ch’ella teneva fino all’entrar del novembre, quando, necessitatavi dalla preponderanza dell’armi veneziane, capitanate da Meleagro da Forlì, dovè rifugiarsi, quasi a precipizio, in Verona. Allorché compivasi questo fatto, la Michiel non era però più la moglie del Sesso. Il Sanuto, pure accordandosi, in ciò che si riferisce alla sostanza dell’avvenimento, con lo scrittore vicentino, avverte ch’ella, bella donna e già vedova, s’era, o dicevasi per lo meno, rimaritata a Gasparo Vincer, un tedesco, governatore, per qualche tratto, della città di Vicenza, preso dagli Stradioti e tradotto prigione a Venezia. A questi aggiunge poi alcuni particolari relativi alla fuga d’Isabella da Vicenza: racconta cioè che, invitata a cedere la città, pose la condizione che Meleagro da Forlì facesse tirare alcuni colpi d’artiglieria, con l’intendimento che que’ colpi le valessero di giustificazione all’arresa. Dopo di che furono abbassati i ponti e spalancate le porte5


La defezione dalla causa della Signoria di Venezia porgeva motivo, com’era naturale, alla confisca de’ beni d’Isabella e di quelli a un tempo de’ figliuoli, che la madre aveva tratto seco nel malanno. Il Conte Giovanni Da Schio, al quale fu dato d’esplorare l’archivio della famiglia de’ Sesso, ha potuto riconoscere che Massimiliano, meravigliato di tanta fedeltà, si studiò di compensarne i danni e le perdite con l’investitura de’ feudi di Lovere, di Pisogne e del Lago d’Iseo. Il decreto fu dato il 25 marzo 1516 dal Castello di Pioltella. A que’ feudi, de’ quali andavano investiti, a un tempo, i figliuoli d’Isabella, s’accompagnavano altre provvigioni, precedute sin dal 1513 da una pensione, assegnata sulla Camera Imperiale di Verona. Pare però che tanta munificenza fosse più di parole che di fatto, “Io credo, scrive il Da Schio, che le beneficenze consistessero in sole carte” e non recassero “nessun profitto, o perchè inceppate dai Veneti, o perchè Massimiliano era cattivo pagatore”. È “certo, conchiudeva, che i Sesso, eredi” d’Isabella “altro non percepirono, se non i diplomi”6.


Allusive, per quanto vuoisi credere, al fatto del breve governo di Vicenza son le tre medaglie, coniate in onor della Sesso e illustrate dall’Armand nella sua lodata opera Le Médailleurs Italiens des quinzième et sezième siècles7. Il dotto uomo non dubita neppure che le due prime, le quali si conservano nel Gabinetto Nazionale di Francia e recano nel rovescio un motto greco, sieno lavoro di Giammaria Pomedello, pittore, orefice e incisor veronese. Gliene dà prova, com’egli dichiara, il monogramma dell’artefice una mela o, dirò meglio, una cotogna, attraversata da una z schiacciata, nella quale si raccolgono le quattro maiuscolo z, v, a, n, Zuan prenome del Pomedello. Il monogramma è inciso nell’esergo dell’una e dell’altra.

Dalla descrizione dell’Armand risulterebbe che il concetto fosse uno e identico in entrambe le medaglie. Il diritto infatti, così dell’una, come dell’altra, reca, al dir di lui, il busto d’Isabella con la fronte a sinistra, la testa coperta d’un drappo ravvolto, e al basso un tronco, seguito dalla leggenda: ISABELLA • SESSA • MICHAEL • VENETA • E identici sarebbero, del pari, i rovesci, dove tiene il campo la Fortuna, una donna seminuda, seduta, con la fronte volta a sinistra, un freno nella manca, tre chiodi nella destra, il piè dritto su d’un cranio e un casco dopo il sinistro. Le uniche differenze, che vi s’incontrano, secondo quella descrizione, si manifesterebbero non nella sostanza, ma in alcuni accessori: nell’ortografia cioè della leggenda, ch’è greca, nelle dimensioni e ne’ tronchi, che l’Armand ravvisa nei due diritti. Il motto: ΕΚ ΠΑΛΑΙΜΟΙ • ΜΗΝΙΖΟΜΕΝΗ • della prima, ch’è di millimetri quarantaquattro, si converte in: ΕΚ ΠΟΛΕΜΟΥ • ΜΗΝΙΖΟΜΕΝΗ • della seconda di millimetri cinquantadue: e il tronco diritto di quella, guemito di due foglie, curvasi in questa e reca un’unica foglia. Che l’Armand abbia veduti i due esemplari, conservati nel Gabinetto Nazionale di Francia, io non ho motivo di dubitare: dubito, invece, che non sieno esatte del tutto le due descrizioni. E il mio dubbio deriva dal raffronto, che mi è dato di fare, con un esemplare della prima delle due medaglie, custodito nel Civico Museo di Vicenza. In esso io cerco invano il tronco, che l’Armand ravvisa, con poca ragionevolezza, nel diritto e propriamente in precedenza alla leggenda: lo incontro, invece, nel rovescio alle spalle della Fortuna, che sembra assidervisi sulle radici. Aggiungasi che nella descrizione del rovescio non s’avverte dall’Armand un particolare di qualche importanza; non s’avverte cioè la foggia singolare dell’acconciatura de’ capelli della Fortuna, i quali son legati sul davanti della testa e si protendono quindi in un ciuffo, ch’espandesi all’aria. Che queste inesattezze sieno comuni alla medaglia di dimensione maggiore, non so; nò so quale essa si descriva dal Koehler8, che pur la riproduceva sin dalla prima metà del secolo decimo ottavo.



Ho detto che il Museo Civico di Vicenza possiede un esemplare della prima delle due medaglie, illustrate dall’Armand. Dovevo dire, invece, che gli esemplari son due, simili ne’ diritti e ne’ rovesci, uguali nelle dimensioni e col monogramma entrambi del Pomedello. Si direbbe di primo tratto ch’essi fossero fattura d’uno stesso artefice e impronta di un identico conio. E in questa credenza potrebbe facilmente fermarsi chi non sapesse che ne’ primordi del secolo XVII, quando non erasi smesso ancora il vezzo delle contraffazioni, le quali avevano reso famosi i nomi prima di Valerio Vicentino e poi del Cavino di Padova, coniavasi pure una medaglia in onore della Sesso. N’erano autori due artefici Vicentini, allievi di Camillo Mariani pur Vicentino, il quale architettava in Roma la Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore e vi moriva nel 1611 in età di 44 anni. Di quella medaglia si custodiva un esemplare nel Museo Gualdo di Vicenza, disperso, non si sa né come né perchè, avanti la fine del secolo XVII, Attingo la notizia della descrizione del Museo stesso, fatta da Girolamo Gualdo, che n’era il possessore, verso il 1650. “De’ due condiscepoli, Felice e Pasquale, conservo, scrive il valent’uomo, alcune medaglie coniate in metallo, fra le quali una, che impronta Isabella Michiel, moglie del Conte Bernardino (leggi Giambattista) Sesso, il rovescio della quale è assai vago9”. Io non so che cosa si figurasse in sì fatto rovescio. M’è noto, invece, che Vincenzo Gonzati, un erudito e antiquario vicentino, morto a mezzo il secolo XIX, riputava lavoro di Felice e Pasquale una medaglia, veduta da lui, presso il Maggiore Tonelli, Comandante la Piazza di Vicenza. “Essa, scriveva l’egregio uomo in una nota a un esemplare del Giardino di Cha Gualdo da lui trascritto, porta la testa d’Isabella con le parole: ISABELLA • SESSA • MICHAEL • VENETA • Il rovescio ha una figura di donna pettinata con lungo ciuffo legato davanti; nella mano destra ha tre chiodi, nella sinistra due delfini: è seduta a pie d’un tronco secco: ha di dietro un elmo e davanti sotto un piede una testa da morto con la leggenda greca: ΕΚ ΠΑΛΑΙΜΟΙ • ΜΗΝΙΖΟΜΕΝΗ.”10.

Ora è a sapere che l’esemplare della medaglia, veduta dal Gonzati, è l’uno de’ due, posseduti dal Museo di Vicenza. Lo prova una nota autografa del Gonzati medesimo, annessa alla medaglia, “coniata, v’è detto, non so se da Felice, o da Pasquale Vicentini, discepoli di Camillo Mariani”11. Ma la descrizione, onde si correda la copia, da lui trascritta, del Giardino di Cha Gualdo non è esatta del tutto. Il bravo erudito scambia in essa il freno in due delfini, e non rileva il monogramma del Pomedello, che si presenta evidentissimo nell’esergo. Appare specialmente da quest’ultima omissione che la molta erudizione delle cose vicentine non era bastata a fargli conoscere l’opera, che in onore della Sesso aveva condotto l’artefice veronese; non era bastata a mettergli, per conseguenza, nell’animo il sospetto che la medaglia de’ due Vicentini alla quale accenna il Gualdo, potesse essere una contraffazione. In lui più che l’esame attento e minuzioso del lavoro valse l’asserzione del Gualdo; tanto che fini con l’attribuire a Felice e a Pasquale ciò, ch’era lavoro incontestabile del Pomedello. Ma non credasi, per questo, che la notizia, attinta dalla descrizione del Giardino di Cha Gualdo, difetti di fondamento. Dell’opera de’ due allievi del Mariani s’ha la prova nell’altro de’ due esemplari, custoditi nel Civico Museo di Vicenza. Vero è che i diritti, i rovesci, le dimensioni e perfino i monogrammi sono gli stessi; ma gl’indizi della contraffazione si manifestano a vista d’occhio anche a’ meno periti: si manifestano cioè nella precisione del taglio, nel rilievo delle pieghe, nello spicco dei profili, nella proporzione delle lettere e delle loro distanze, perfetti, se così m’è lecito dire, nell’esemplare veduto dal Gonzati, incerti e talvolta ineguali nell’altro, sfuggito, forse, alla dispersione del Museo Gualdo. E dove ciò non bastasse, una prova incontestabile della contraffazione si avrebbe nell’alterazione della leggenda del diritto, comune a’ due esemplari. È l’alterazione, che si rivela nell’epiteto, premesso al nome della Sesso. Vi si legge cioè: DIVA • ISABELLA • SESSA • MICHAEL • VENETA.



Ho già avvertito che l’Armand, nella descrizione delle due medaglie in onor della Sesso, non è esatto del tutto. Ed esatto non è ugualmente nella descrizione della medaglia, che fa parte della Collezione reale di Berlino e fu già illustrata dal Friedlaender12. Lo deduco da un esemplare in zolfo, posseduto, come gli altri due, dal Museo Civico di Vicenza; esemplare, che ho motivo di credere tolto dal custodito in Berlino. L’Armand ritrae, non v’ha dubbio, con esattezza il diritto, dove, recata la leggenda, uguale per intero alle leggende delle altre duo medaglie, dice che il busto d’Isabella, volto a sinistra, ha la testa scoperta co’ capelli distesi, non più in giù però della linea del mento. Ed esatta ugualmente, ancorché non avvertasi il ciuffo come nelle altre due, è la descrizione del rovescio, dove si dice che la Fortuna è rappresentata da una donna nuda, in piedi, con nella manca un freno, nella destra tre chiodi, il piè dritto su d’un cranio, un elmo presso il sinistro, e la leggenda: AETERNA • FORTVNA • Ma l’Armand manca d’esattezza, quando soggiunge che il campo del rovescio reca a sinistra un tronco con foglie. Se così fosse, né si avesse il monogramma, del quale la descrizione non fa cenno, non si capirebbe con che fondamento il dotto francese annoverasse la medaglia tra le incise dall’artefice veronese. Ma buon per lui che quello, che si ravvisa nel campo, non è un tronco. È, invece, il monogramma, bello ed evidente, del Pomedello.


Ora rimarrebbe a definirsi il tempo, in cui s’ebbero a coniar le tre medaglie. L’Armand ha notato che i millesimi, i quali s’incontrano in alcune delle medaglie, da lui illustrate, del Pomedello, sono il 1519 e il 1527. Reca cioè il 1519 la medaglia in onore di Stefano Magno, patrizio veneziano; recano il 1527 le medaglie in onore di Giovanni Emo e di Tommaso Moro, l’uno podestà e l’altro capitano di Verona. Ma chi vorrebbe dire, come sembrerebbe pensare l’Armand, che il Pomedello s’esercitasse nell’arte dei conii entro quel solo periodo? Badisi che il Moro e l’Emo furono rettori di Verona; e che non vi può esser dubbio, mi pare, che il 1527 segni un anno diverso da quello, in cui i due magistrati durarono nella magistratura. Quanto poi al Magno, che aveva esercitato l’ufficio di podestà nel 1527 in Treviso, è a credere ugualmente che il 1519 fermasse l’anno o d’una promozione, o di qualche nobile ufficio, commessogli dalla Signoria. Va pertanto da sé che i due millesimi non possano determinare i confini, entro i quali lavorava l’artefice veronese. Ch’egli del resto vivesse ancora dopo il 1527, lo attestano, non fosse altro, le incisioni, segnate dal monogramma, comune a parecchie delle medaglie, e dell’anno 1534. E se nel 1519 era già provetto nell’arte de’ coni, come si può argomentare dalla medaglia in onore del Magno, perchè non vorrassi concedere che ne battesse prima la via, per la quale doveva salire a tanta perfezione? L’Armand stesso nell’illustrare la medaglia in onore di Carlo V avverte ch’essa doveva coniarsi tra il 1516 e il 1519, ch’è quanto dire dopo la morte di Ferdinando di Aragona, onde venivagli il titolo di Cattolico che sta scritto nella leggenda, e avanti la fine di Massimiliano I, spento il quale, conseguiva la suprema dignità d’Imperatore, che vi si desidera.



Ora io non so in quale anno uscisse di vita la Sesso; né so, del pari, quanto tempo s’intrattenesse, profuga di Vicenza, in Verona. Ch’ella col favorire le sorti dell’Impero si mettesse in non buona condizione di fronte alla Signoria di San Marco, non vuol certo esser cosa, di cui s’abbia a dubitare. La notizia delle nozze col Vincer, un nemico acerrimo della Repubblica, non credo si meriti maggior fede d’una baia. La diffusero forse per i loro fini, che ora non giova indagare, gli avversi all’Impero. Il Sanuto stesso, che la riferisce, non sembra accoglierla altrimenti che una diceria. Ciò non toglie però che la diceria non avesse a conseguire l’intento di gettare il maggior discredito sull’audacissima donna. Né la Signoria ebbe a considerarla altrimenti che una fuoruscita, colpevole d’aver attentato alla integrità della Repubblica. Il Da Schio, che ha potuto consultare, come si è detto, le carte della famiglia Sesso, ebbe a riconoscere che i beni d’Isabella furono presi, dopo la sua fuga di Vicenza, dal fisco. Queste ed altre considerazioni traggono naturalmente a pensare che nessun’altra terra le dovesse porgere tanta sicurezza, quanto la città di Verona, presidiata, com’era, di continuo dalle soldatesche imperiali: traggono a pensare che in Verona, ov’entrava, secondo che s’è detto nel novembre del 1511, s’intrattenesse fino all’anno 1517, in cui la città restituivasi per trattato alla Repubblica di Venezia. Lo fa congetturare, non fosse altro, la poca o nessuna sicurezza, comune al resto della Venezia, corsa e ricorsa ora dalle armi della Repubblica e ora dalle orde de’ Confederati. In questo periodo, tra il 1511 e il 1517, è a credere si coniassero le medaglie, delle quali si è fatta parola. E al conio dovevano contribuire, mi pare, l’atteggiamento e la fama d’Amazzone, ond’Isabella entrava in Verona. Vero è che dopo il 1517 ella viveva ancora per parecchi anni; viveva almeno fino al 1528, in cui dettava, come attesta il Da Schio, il suo testamento; ma non per questo vuolsi pensare che le condizioni le si volgessero così propizie, come avanti la restituzion di Verona. Ricuperata la città, andava mi pare, da sé che Isabella dovesse considerarsi e trattarsi anche da’ Veneti non altrimenti che i molti fuorusciti vicentini, i quali, fatta la tregua, tornavano in patria. E, sia che vivesse in Vicenza, o che fermasse altrove la sua dimora, non è nemmen presumibile ch’ella volesse nuocere al tornaconto proprio, e a quello de’ figli rinnovando con la coniazione delle medaglie la memoria d’un fatto, che avrebbe potuto arrestare o rendere almeno difficili le buone relazioni con la Signoria.



  1. Articolo, pubblicato in embrione nell’Arte e Storia (5 febbraio 1890) e rifuso poi dall’Autore con la scorta di nuovi dati per la Rivista italiana di Numismatica.
  2. Gio. Da Schio, Memorabili. — Famiglia Sesso, Msc. nella Biblioteca Comunale di Vicenza.
  3. Luigi Da Porto, Lettere Storiche. Lett. 63, pag. 285. Firenze 1857.
  4. Castellini, Storia di Vicenza, Tomo XIV, lib. 17. Vicenza 1822.
  5. M. Sanuto; Diarî. Tom. XIII, pag. 196. Venezia, 1886.
  6. Da Schio, Memorabili. — Famiglia Sesso. Msc. nella Biblioteca Comunale di Vicenza. — Vedi anche il nostro scritto: Un Episodio della Vita di Carlo V, Archivio Veneto. Tomo XXVII, parte II (Venezia, Visentini, 1885).
  7. Armand, Les Médailleurs Italiens, etc. Tomo I, pag. 127-128. Paris 1883.
  8. Koehler, Historische Münz-Belustigung XVIII, 121, Nürnberg 1729-1750,
  9. G. Gualdo, Giardino di Cha Gualdo, Msc. nella Marciana di Venezia, Cod. CXXVII, classo IV,
  10. G. Gualdo, Giardino di Chi Gualdo, trascritto dal Gonzati. Msc. nella Biblioteca Comunale di Vicenza.
  11. La nota è proceduta delle parole: «Isabella Michieli Sesso,» e seguita dalla data «1650» e dalla citazione: «V. Gualdo, Giardino, anno 1650».
  12. Friedlaender, Die Italienischen Schaumünzen des fünfzehnten Jahrhunderts. XIX. Berlin, 1880-1882.

Note

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