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Donne - Viviana Donne - Athenais Medica

GORGON

L’Asiatico già tende le braccia
trepidamente verso l’imo ignoto:
attonito, fra i calici de ’l loto
ei vede arguta ridere una faccia.


Hyla! Hyla!


Disegno di Cesare Formilli.

I.

Ella avea diffuso in volto
quel pallor cupo che adoro.
Le splendca l’alma ne li occhi
quale in chiare acque un tesoro.

Ne la bocca era il sorriso
fulgidissimo e crudele
che il divino Leonardo
persegui ne le sue tele.

Quel sorriso tristamente
combattea con la dolcezza
de’ lunghi occhi e dava un lascino
sovrumano a la bellezza

de le teste feminili
che il gran Vinci amava. Un fiore
doloroso era la bocca,
e un misterioso odore


esalava ne ’l respiro.
I capelli aridi in onde
s’accoglieano su le tempie,
su la nuca, di profonde

voluttà larghi a l’amante
che scioglieali ne l’alcova,
forse; e avean talor riflessi
di viola, come a prova

de la fiamma il puro acciaio.

II.

Questa nobil donna un giorno
io conobbi. Era l’estate
ampia; e dolce il mare intorno

diffondevasi nel sole,
come un drappo suntuoso.
Templi, portici, obelischi
partoria l’imaginoso

vespro; e a fior de ’l mare pénsili
le sottili architetture
si moveano lentamente:
emergean lunghe figure

fra li intercolonni, a un tratto,
mostri umani o bestiali;
s’immergeano li edifizi
ne le fredde acque natali.

Ella, sola, su la loggia,
tutta involta da i prestigi
de ’l tramonto, in attitudine
d’indolenza, li occhi grigi

tenea quasi semichiusi.
Quando Alberto Delle Some,
conducendomi cortese
presso a lei, disse il mio nome,

ella volse il capo e li occhi
grandi aprì su la mia faccia.
Poi mi porse ambo le mani
sorridendo. Avea le braccia

sino al gomito scoperte,
bianche, pure, di squisite
forme; a’ bei polsi rotondi
eran finamente unite,

come a stel fiori, le mani.
Oh divine mani, oh bianche
mani ch’io non ho baciate!
Si posavan, come stanche,


su ’l marmoreo davanzale;
e le lunghe ésili dita
risplendevano di anelli.
Io sentia dolce la vita

mia fluire ed i capelli
divenir gelidi, quasi
per un’ideal carezza,
da sottil fremito invasi.

III.

Ella, semplice, parlava,
con la sua voce sonora,
lievemente roca a tratti.
Una preziosa flora

nascea lenta ora da ’l mare,
a’ nostri occhi. Li edifizi
giacean spenti in fondo a l’acque.
Pe’ i mirabili artifizi

de la luce ora sorgevano,
come calici di gigli,
alte trombe, e si spandevano;
e nutrite dai vermigli


fumi in cielo prendean tutte
forma d’alberi. Viole
d’improvviso da le arboree
forme piovvero, e ne ’l sole

tutto il mare allora parve
brulicante di meduse.
Ella tacque. Io la guardava.
In quell’attimo confuse

le nostre anime rimasero.
Io non seppi dirle: - V’amo.
Ella, forse paventando
l’ora, disse: - Rientriamo;

è già tardi. Io vi saluto. -
E, tendendo la sicura
man, sorrise un’altra volta.
Quindi uscì.

IV.

                    La sua figura

ondeggiava alta ne ’l passo,
con un ritmo affascinante.
Un pensier dolce mi venne:
- Io sarò forse l’amante;


io felice le mie notti
dormirò sopra il suo cuore! -
Ah, perchè voi mi fuggiste?
Ebro, come d’un liquore

troppo forte, ebro di voi,
de ’l ricordo di voi, sento
da quel giorno in tutti i baci,
sento in ogni blandimento

feminile, sento in ogni
voluttà più desiata,
o signora, voi, voi sola;
voi che tanto avrei amata!

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