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Athenais Medica
Donne - Gorgon Donne - Donna Francesca

ATHENAIS MEDICA

Nobili e puri, splendono
quali forme di luce.


Romanza.


Disegno di Vincenzo Cabianca.

I.

Poichè su la campagna salutare
era venuta la dolce stagione
e un gran disio di vivere e d’amare
in me tornava con la guarigione,
ella talvolta a le mattine chiare
tutta ridente apriva il mio balcone.
Il suo riso e la luce in un sol getto
m’inondavan di gioia: álacre in petto
balzava il cuore. Oh mie memorie buone!

Vedea composti in fila li alberelli
su ’l ciclo azzurro come il fior de ’l lino,
dritti, con rare foglie, e lunghi e snelli,
quali eran cari a Pietro Perugino;
e a quando a quando udia di tra’ ramelli
gittar suoi trilli dotti un lucherino.
Mi veniva ne ’l cuor si gran diletto
da quella vista, ch’io m’ergea su ’l letto
alquanto, a riguardar più da vicino.


Ben ella avea que’ miei palpiti istessi.
Talvolta io mi sentia li occhi velare.
Le lacrime facean sì ch’io vedessi
tutte le forme a l’aria tremolare
confusamente, simili a riflessi
vani di cose in fondo a un roseo mare.
Ella, ne le sue man présomi stretto
il capo, susurrava: - Oh mio diletto!
Amor mio dolce! - Io mi credea mancare.

II.

1.

Io ricordo, Atenài. Lungo il sentiere
de’ pioppi bianchi e de le tamerici,
maga possente contro i maleficj,
guida voi foste a ’l debil cavaliere.

Ilare, accanto a voi, senza temere,
io respirava l’aure innovatrici:
mi battean ratte ne le cicatrici
l’onde de ’l sangue tiepide e leggere.

Or co ’l vento giungean quasi a riviere
i profumi da l’ultime pendici;
e, sentendosi il vento a le narici,
i cavalli fremevan di piacere.


Su l’argine de i fossi aride e nere,
fuor de la terra uscendo, le radici
si distendean con lotte ed artificj
meravigliosi a l’ime acque per bere.

Ma salivan ne’ tronchi e ne le intiere
membra correvan l’acque avvivatrici;
contendeva il germoglio i beneficj
de la luce, bramando di godere;

e, in alto, a ’l Sole un coro di preghiere
mormoravano li alberi felici,
espandendo le chiome ai vènti amici,
crescendo a le future primavere.

2.

Io ricordo, Atenai. Voi, con un mite
sorriso di bontà su le fiorenti
labbra, i miei gesti e i vari atteggiamenti
de ’l mio cavallo seguivate. — Oh dite,

maga Atenai, voi che le mie ferita
curaste di sì dolci lenimenti;
voi che le mani tenere ed aulenti
posaste ne le mie piaghe inasprite;


voi che le insonni mie notti infinite,
piene di mille acuti patimenti,
confortaste d’amor co’ pazienti
balsami de la voce umile, dite,

adorata sorella, oh dite, dite
la gran soavità di quei momenti,
allor che li occhi in lacrime ridenti
vi baciai con le labbra impallidite!

3.

Noi, muti, a lungo cavalcammo ancora
quella terra benigna ove fioriva
la pace ira le umane opre, lì s’udiva
de’ cavalli la lenta orma sonora.

Poi, ne la grave santità de l’ora,
sorse un cantico lungi da la riva
de ’l Mar, subitamente. E il sol moriva.
Ma quel tramonto a noi parve un’aurora.

Io ricordo. Infinito, da le chiare
comunioni de le cose, a ’l giorno
emanava non so qual senso umano

di dolcezza e di oblìo. Proni d’intorno
stavano i poggi e risplendea lontano,
non anche sazio de la luce, il Mare.

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