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RILEGGENDO OMERO
a giulio salvadori
I.
Son paghi i voti miei. Divin custode
ondeggia innanzi a la mia porta il mare.
Canta, grave e soave: il suo cantare
ha un’ignota virtù su l’uom che l’ode.
Qual gregge, con un lento digradare
scendon li olivi a le ricurve prode;
in su ’l meriggio la pia selva gode
le chiome ne la queta cada specchiare.
Son paghi, o amico, i voti miei. Conviene
Omero ne’ giocondi ozi: non cede
pur la sua voce a ’l grande equoreo coro.
Quale il Sole per l’alte aure serene,
fulgido, lungo i liti Achille incede
ne la lorica tutta quanta d’oro.
II.
In vano, in van tra le colonne parie
de ’l mio sogno di lusso e di piacere
le bellissime forme statuarie
ridon pur sempre. - O sacre primavere
de l’arte antica, o grandi e solitarie
selve di carmi ove raggianti a schiere
passan li eroi, ne l’arida barbarie
de l’evo or chiedo splendami a ’l pensiere
la vostra luce! - Troppo in un malsano
artifizio di suoni io perseguii
a lungo de l’amor le larve infide.
Ora un lucido senso alto ed umano
me invade, poi che novamente udii
cozzar ne ’l verso l’armi de ’l Pelide.